NESCIO, SED FIERI SENTIO ET EXCRUCIOR
“La
Regina vuole la tua testa.”
Lo
disse senza adornare il comando con merletti zuccherati e centrini di
pizzo. Non meritava abbellimenti un ordine crudele che gli era stato
gettato sulla guancia sfregiata con sadismo e spietato
godimento. Era un imperativo che lui era stato costretto a sputare
dalla sua bocca, simile ad un rimasuglio di cicuta gocciolante tra i
denti. Sporco, contrito e con lo sterno dolorosamente in affanno. Si
era reso conto troppo tardi che insieme al fiele era scivolato
giù anche un brandello nerastro del suo cuore.
Il
suo sguardo era crollato verso il basso solo in seguito al silenzio con
cui era stato accolto. Tutto concentrato ad osservare le espressioni
del viso della bambina Stark non si era reso conto che non gli aveva
risposto - la bambina impazzita a causa del
dolore e delle angherie.
Troppo
bella nei suoi gesti. Corrosiva nel modo in cui versava gocce di
tè in tante tazze sbeccate. Ognuna era stata rotta nello
stesso punto e nel medesimo modo - un gioco malevolo in cui era
stata imprigionata dalle mani del figlio della Regina.
Lui
era stato costretto ad assistere senza poter compiere un passo
indietro. Fermo lì - e lei seduta su una sedia logora
e con le vesti strappate, i suoi capelli sciolti e
così malamente afferrati e strattonati dai pugni
dell’abominevole mostro.
Non aveva mai realmente compreso quanto potesse essere senza limiti il
dolore.
Bevi
il tè. Sansa, bevi il tè con il tuo nasino. Non
mi ami abbastanza da farlo?
“La
tua testa sarà posizionata vicino a quella di tuo
padre.”
Quanta
sofferenza il suo corpo era in grado di contenere e non lasciar cadere
via, in tanti pezzi minuscoli.
Bevi
il tè. Sansa. Mi ami?
“Vicino
a quella di tutti i tuoi fratelli. Vicino a quella di tua
sorella.”
Io
amo il mio Re con tutto il mio cuore.
La
sua fronte che sfiorava il tavolo e le narici immerse con forza dentro
una piccola tazza di tè caldo. La Regina madre era sempre
tanto contenta di guardarla mentre scalciava e si scorticava le mani
contro le schegge del legno. Il bambino sempre immensamente divertito
dalla disperazione della sua vittima. Con le guance violacee a causa
delle troppe risate, l'unica cosa che gli impediva di crollare era
immaginarlo in grado di strozzarsi da solo e morire tra atroci
sofferenze - ma sempre con un dito puntato
contro Sansa.
Lei
nelle vesti della causa di ogni male. Orrore incarnato nelle sembianze
di una ragazzina con la pelle color perla e i capelli fiamme di stelle
incandescenti.
Relegata
con dei pazzi in una stanza rettangolare. Pochi metri arredati con un
lungo tavolo pieno di vene colorate e decine di sedie sbilenche.
Centrotavola di pizzo e nastri rossi ai pomelli delle porte dorate.
Destinata a mangiare dolci e bere tè in ogni momento della
giornata - soltanto zucchero filato da
adagiare, come bende, sulle croste delle sue piaghe oscenamente aperte.
Pensava
al modo in cui il sangue era colato sulle sue vesti o come si
era asciugato sulle sue guance e sciolto tra i suoi capelli. Come se
piangesse sempre lacrime rossastre. Era capitato anche che lo avesse
sputato e che avesse sorriso con i denti decorati da strisce scure.
Spesso
si era fermata ad osservarlo e lui si era aggrappato alla sua spada pur
di trattenersi dal compiere qualcosa di pazzo.
Siamo
tutti matti qui.
Sansa
gli aveva rivolto una risata roca e così si era reso conto
di aver già perso.
Matto
anche lui. Perse tutte le rotelle.
Io
ho perso. Ho perso tutto e come è potuto accadere? Quando?
Chi è stato?
Quella
stupida bambina. Non desidero che lei soffra. E non voglio che le
facciano ancora del male. Che muoiano. Chiunque l’abbia
toccata, che muoia per mano mia.
“Hai
capito? Mi stai ascoltando?”
Continuava
a non guardarlo. Ostentava le spalle nude tappezzate di cicatrici e lo
incastrava tra quelle ragnatele fino a fargli ingoiare il suo respiro.
Gli occludeva il naso con polvere e fumo. Lasciava che dei ragni gli
stringessero lo sterno con fili d’argento e ciocche di
promesse infrante.
Stupida
bambina.
Nel
suo corpo il dolore aveva sempre gorgogliato in un pozzo nero pece. I
suoi continui tentativi di salvezza si erano basati sul dimenticare.
Aveva preteso che rimanesse intatta soltanto una cocente rabbia con cui
trascorrere la sua egoistica solitudine. Non aveva fatto altro se non
schiacciato i rammarichi in dei gusci di noci chiuse a chiave,
sotterrate sotto un campo di battaglia polveroso. Senza sapere - stupido stolto di un cane -
che in quei campi le ossa piangevano cocenti lacrime di vergogna e che
i loro laghi creavano vene nel terreno da cui sbucavano tutti gli
scrigni.
Era
sempre stato sconfitto. Molti dei suoi incubi erano ritornati in
superficie durante le notti di veglia o le albe assonnate. Poche parole
e una strana ansia racchiusa al centro del suo addome e così
la cute straziata del suo volto all’improvviso si spalancava
e lo inghiottiva al suo interno. Come nel suo eterno passato - sempre presente -
soltanto i ceppi ardenti e le mani di suo fratello erano stati in grado
di fare. Era bastato poco. E poi era bastata lei.
Lei
lo aveva spezzato tutto.
Pezzo
dopo pezzo gli aveva strappato ogni sua resistenza e lo aveva lasciato
da solo con un rigurgito di sentimenti di cui non sapeva cosa farsene.
Lo stava ancora soffocando. Lei. La stupida
ragazzina folle tanto innamorata del suo Re.
“È
buffo. Buffo buffissimo.”
Sansa
era intenta a rigirarsi tra le sue dita una foglia d’acero.
Contava con i polpastrelli ogni punta scheggiata. Sorrideva
estatica tra le evanescenti volute di fumo del Brucaliffo. Era simile
ad una falena bruciacchiata dalle code delle stelle appena nate. Bellissima.
“Che
cosa, uccelletto?”
Sorrideva
con i denti bianco perla. I suoi occhi di porcellana brillavano.
Bella.
“La
foglia. Mi ricorda il tuo viso.”
E
subito dopo la strinse creando dei coriandoli nel suo palmo. Piano
piano Sansa ne lasciò cadere dei pezzi nel suo tè.
Oh. Come era capace
lei di distruggerlo. Di destrutturare ogni sua parte.
Il suo cuore ero grondo di terra con orologi bloccati sempre allo
stesso orario. La morte.
“Temo
di essere definitivamente impazzita.”
Gli
faceva male il cuore.
Stupida
lei.
Stupido
lui.
Fanculo
gli ordini. Fanculo il Re.
Desiderava
scuoterla e fece un passo verso di lei. Desiderava stringerle forte le
braccia e sollevarla da terra chiedendole perché.
Perché fai questo,
smettila. Smettila adesso.
Così
fece un altro passo verso di lei e poi un altro ancora e forse un altro.
Bramava
avvicinarsi. Baciarla e sentire il suo corpo schiacciato contro il suo
ventre. Un altro passo avanti. E poi un altro? Sì. Un
altro e un altro ancora e un altro ancora e le sue mani tese a sfiorare
il suo abito e poi un altro passo e poi. E poi. Poi si
fermò.
Sono
come gli altri. Sono come lui.
Fanculo ogni cosa.
Sansa
fece cadere la tazzina a terra e quel suono gli fermò il
respiro.
Lei
si sporse appoggiandosi sui gomiti. Il suo grazioso collo teso verso
l’alto. Lo guardava e si masticava le labbra con estrema
calma.
Gli
ricordava un uccellino curioso. Uno di quegli uccellini stupidi che
cade dal nido e muore trafitto da spine e bocche assassine.
“Taglierai
la mia testa con quella spada? Posso vederla?”
Che ogni cosa si fotta. Fanculo.
Fanculo il mondo.
Strinse
l’elsa e fece un passo indietro. Si era avvicinato troppo
senza accorgersene e non avrebbe dovuto. Era pericoloso.
Patetico.
Ti spaventi di una bambina matta?
Sansa
stese la mano - giostrando le dita come una
manovra di marionette.
Glielo
chiese di nuovo e lo fece con un soffio di voce. Impregnata di filtri
magici e qualche altra stregoneria. Per questo non era mai stato in
grado di negarle nulla. Giusto?
Il
rumore della spada sguainata gli diede un fremito di goduria. Lei
abbandonò la sedia e il tavolo. Con un passo leggero lo
raggiunse e poi d’improvviso Sansa era troppo vicina.
Sentì lo schiocco delle sue labbra contro la lama e la
ferita aperta sulla sua bocca.
Spostati.
Corri. Scappa.
Con
entrambe le mani Sansa strinse il ferro della spada e lo
avvicinò alla sua gola.
Io
devo andarmene. Non posso.
Eccole
le macchie rosse sui suoi denti mentre continua a spingere la lama
contro le ossa e a sorridere.
Stupida bambina. Ti stai
soltanto facendo male. Rischi di ucciderti. Di uccidere me.
Cercare
di riprendersi la spada senza procurarle dolore sembrava impossibile.
Si stava disintegrando le mani scavandone il centro. Dita di petali e
rubini che gli mangiavano il cuore fino a lasciargli una sensazione di
tepore.
“Lo
sai che sono innamorata di te? Credo di essermi innamorata
nell’esatto istante in cui hai pulito le mie labbra sporche
di sangue. Ho visto i tuoi occhi e ho compreso che eravamo uguali. Ti
ho amato subito. Non ho mai smesso.”
Il
suo sguardo dovette tradire i suoi pensieri.
Con
le rotele fuse, dei matti. Qui siamo tutti folli e tu mi stai prendendo
in giro. Non mi ami. No, non c’è amore qui. Non
c’è amore per me e non da te. Tu mi detesti. Io ti
odio tanto. Tanto, tantissimo e infinitamente.
Ti
odio talmente tanto che vorrei entrare dentro di te e rimanerci fino
alla fine della mia schifosa esistenza. Il tuo corpo mi stringerebbe
forte ed io sentirei finalmente qualcosa di buono tra i tuoi sospiri e
la tua bocca che mi bacia. Senza mai pensare al mio volto sfregiato e a
tutto il male che hanno fatto a te. Ci rimarrei dentro di te, voglio
te, ogni singola cosa che ti riguarda è mia. Tu saresti mia.
La
bambina dovette comprendere ogni cosa.
Anche
il dolore e l’incredulità di cui lui stesso non si
era reso conto.
“Non
ci credi? Brucaliffo, lo confermi? Brucaliffo. Margaery, mia Margaery,
lo confermi?”
Sansa
non si volse ad osservare il Brucaliffo nel suo inchino silenzioso,
senza esalare alcuna parola se non il tintinnio dei suoi riccioli di
rame. L’unico suono che si fece largo nell’aria
bluastra e che si tese in un elastico d’argento sottile. Li
univa causandogli una strana nausea e dolore in qualche parte del suo
sterno - lì avrebbe dovuto
esserci il cuore, ma se lo era strappato da tempo.
Ci
credi?
Sì.
L’ho bruciato insieme ad ogni possibile altra esistenza che
avrei potuto crearmi. L’ho visto sciogliersi sui ceppi e
colorare le fiamme di viola. Un odore putrido.
E
cosa c’è di reale nel tuo sterno?
Soltanto
un animale chiuso in gabbia.
“Lord
Tyrion. Confermi anche tu? A che ora mi sono innamorata?”
Non
si volse neppure ad osservare Lord Tyrion che estraeva il suo orologio
da taschino e declamava ore e minuti e secondi. Guardava soltanto il
loro riflesso nella lama e lui sentì un fischio acuto tra
gli spazi vuoti del suo costato.
Una
collisione di stelle e Sansa nel cuore dell’esplosione. Colta
a divorargli l’anima con sguardi e respiri trattenuti fino a
far scoppiare le arterie. Sarebbe capace di abbandonarlo versando
colori ossidati tra i suoi capelli e buttando ai suoi piedi una bambola
di pezza. Gli scorticherebbe la ruggine caduta sul suo costato e poi
farebbe scomparire la mano nel suo petto - fino al polso, e lui sentirebbe
un battito confondersi con il suo e così si scoprirebbe
innamorato.
Fanculo.
No.
Lui
la ama. E proprio per questo la odia. Perché fargli questo?
“Tu
non mi farai del male. Non puoi. Non ci riuscirai mai.”
Sansa
lo disse con orgoglio. Serena, compiaciuta e cominciando a ridere.
Senza mai smettere di puntarsi la lama alla gola.
Come
se fosse una vittoria e fosse solamente sua e nessuno potesse sottrarle
il suo trofeo. Le guance arrossate e gli occhi lucidi mentre tanti
bisbigli strisciavano insolenti tra le mura della stanza in cui era
stata rinchiusa e il ticchettio della spada caduta a terra riempiva lo
spazio intorno alle loro caviglie. Le gambe iniziarono a tremare e le
ginocchia a cedere. Cadde in ginocchio dinanzi alla lama e parte del
suo abito scese a scoprirle le clavicole e il seno a malapena coperto
dai suoi lunghi capelli rossi. Segni di lividi ovunque.
Le
risate le sconvolgevano il petto anche se il sangue continuava a colare
dalle sue labbra e si mescolava con le sue lacrime.
Era
bellissima e lui sentì la terra tremare al suo cospetto - come se il mondo non potesse
accettare oltre la sua sofferenza.
“Puoi
baciare la sposa. Questo puoi farlo.”
E
la vide farsi forza sulle ginocchia e sollevarsi su di esse mentre con
le mani tastava il terreno. Le braccia stanche lungo i fianchi e il
viso sollevato con il mento in su.
“Io
sono tua e tu sei mio, da oggi, fino alla fine dei miei
giorni.”
Sansa
allungò le dita verso i suoi polsi e lo ripetè.
“Io
sono tua e tu sei mio, da oggi, fino alla fine dei miei
giorni.”
Non
riuscì a mantenersi in equilibrio e cadde di nuovo
scomposta, tentando con le mani di aggrapparsi alle sue ginocchia e poi
ai suoi piedi.
“Io
sono tua e tu sei mio, da oggi, fino alla fine dei miei
giorni.”
Lei
era con la fronte contro le sue scarpe, ma era un gioco di specchi in
cui sarebbe stato semplice scivolare. Lei così umile negli
atteggiamenti e così sbagliato tutto - era lui ai suoi piedi, lui in
preda alla sua trappola, lui che si era rinchiuso in una gabbia
innamorandosi di una tale bambina magnifica e pericolosa.
Non
era in grado di dirle di no o di farle del male o di ferirla in alcun
modo o di accettare che anche un solo capello le fosse sottratto contro
la sua volontà. Lui aveva visto cosa aveva sofferto e mai
più lo avrebbe permesso.
Fanculo.
Non avresti dovuto farmi provare questo. Perché lo hai
fatto? Perché non lo fai smettere subito?
Sansa
sollevò il suo sguardo e le lacrime incastrate nelle sue
ciglia erano simili a perle e diamanti. Preziose come tante stelle che
cadono giù e ti divorano il cuore mentre ti lasciano un
sasso incastrato tra gli altri organi.
“Non
pronunci i voti?”
Glielo
chiese con una voce impastata e si accorse che tutti i membri della
stanza si erano bloccati ad osservarli.
Lady
Margaery non fumava più.
Lady
Brienne sorreggeva la teiera al contrario senza rendersene conto.
Lord
Tyrion aveva lasciato l’orologio sul tavolo e glielo indicava
- non
c’è più tempo, stanno arrivando.
Se lui. E se lui. Se.
La sua mente era un disastro mentre le parole e i gesti si confodevano
come i cerchi evanescenti dei fumi degli incensi. Linee sottili senza
sapore e con un profumo di ambra e resina. L'unica cosa che ricordava
era che l'amava e che desiderava soltanto nasconderla sotto la sua
cappa bianca e rossa - sangue, sempre sangue -
e correre via, in un luogo senza fiamme e senza matti. Si rese conto
che era in grado di farlo e che nessuno le avrebbe mai più
fatto del male. Bastava essere l'assassino più crudele e
spietato di tutti.
“Io
sono tuo e tu sei mia, da oggi, fino alla fine dei miei
giorni.”
Angolo autrice
Mi sembra impossibile, irreale, invece eccomi qui. Sono tornata su Efp, con una SanSan e con una SanSan AU Wonderland. Bessie ha dato l'idea per questa ambientazione e la ringrazio, ho amato scrivere questa storia, amando loro infinitamente. Spero vi sia piaciuta e sarebbe bello un vostro commento per un riscontro. Inoltre, state guardando House of The Dragon? Non mi dispiacerebbe scrivere anche una storia su Daemon e Rhaenyra, ditemi voi cosa ne pensate. Grazie a chiunque sceglierà di leggere questo lavoro, ve ne sono grata.