1: UNA GIORNATA DA DIMENTICARE
Cazzo, cazzo, cazzo.
Cazzo!!!!!!!!!!!
Maledetto traffico newyorkese!!!!
Tre anni che vivo qui e non sono
mai stata tanto infuriata al volante come oggi. Ma perché sempre quando è una
giornata importante? Le cose succedono sempre nei giorni in cui uno non deve in
nessun modo, per nessun motivo, essere in ritardo. E io sono bloccata sulla
quarantasettesima per una manifestazione di eredi dei figli dei fiori. Ma non
lo sanno che i pantaloni a zampa, i capelli lunghi lisci tutti uguali e le
magliette scrause dovevano finire con gli anni sessanta?
E io per la loro “Peace and Love Walking”
devo perdermi l’appuntamento più importante per la mia carriera. Fare da
fotografa per i servizi di Vanity Fair, dopo aver sprecato mesi e mesi, anni a
fare la paparazza, è un’occasione che capita una volta sola nella vita.
Cazzo. Devo solo attraversare
ancora un corso e ce l’ho fatta. Uno solo! E vengo dall’altra parte di New
York! Fermata da un corteo a 500 metri dalla meta era alquanto triste! Dio ce
l’ha con me. Mi vuole ancora chiusa dietro quel bancone a sviluppare rullini di
signore anziane che non riescono a pensare a niente di più eccitante del
fotografare i loro gatti.
Sto giusto per dire ciao ciao per
sempre al magnifico letto che ho visto in un negozio di design sulla East, quando finalmente la macchina
davanti a me si muove. Oh bontà divina! Allora esisti! Forse non è troppo tardi
per arrivare…no. E’ decisamente troppo presto per cantare vittoria, però! Mi
blocco di nuovo. Un’altra volta. Ma porca vacca!
Dopo minuti che paiono ore,
finalmente, le capre infiorettate finiscono di passare e il traffico riprende a
scorrere. Ovviamente, passato il gregge, c’è sempre l’automobilista più scemo
di New York che indovina un po’!? Sta di fronte a te. Maledetto! Se non
schiacci sto pedale giuro che scendo e ti buco le gomme, almeno hai un buon
motivo per stare fermo!
Questo qui proprio le mie minacce
mentali non le sente, perciò decido di infrangere il codice della strada
buttandomi sulla carreggiata opposta, dicendomi che se ottengo il posto, 80
dollari di multa saranno un prezzo equo. Ma mentre lo supero non posso
resistere alla tentazione di mandare a ‘fanculo il guidatore bradipo con il
dito medio. Tolta questa soddisfazione, schiaccio l’acceleratore e filo di
corsa verso il grande palazzo a vetri sede della rivista. Qualcuno lassù deve
avere avuto pietà di me perché trovo un parcheggio proprio dall’altro lato
della strada. Lo occupo di prepotenza, attirandomi tutti gli insulti di un
pinguino su un Cayenne, ma non me ne importa. Non sa quanto è importante per me
questo parcheggio.
Sperando di non essere investita,
attraverso la strada e finalmente sono lì.
L’occasione della mia vita è
arrivata. Sicura sulle mie Prada che mi sono costate uno stipendio intero,
salgo con crescente emozione i tre gradini dell’ingresso dell’edificio. Spingo
la porta rotante ed eccomi in un atrio completamente in marmo. Tutto in
quell’edificio trasuda lusso e prestigio, mostrando a tutti chi ospita quel
grattacielo. Studi di grandi avvocati, serjeants
da generazioni, ingegneri, sedi di importanti banche e gestori finanziari,
riviste…Vanity Fair…
- Signorina! posso esserle utile?-
mi chiede un uomo dalla guardiola.
- Oh si, grazie. Ho un colloquio di
lavoro per Vanity Fair - gli rispondo avvicinandomi al suo bancone.
- Allora buona fortuna. Carina
com’è sarebbero matti a non prenderla - dice porgendomi un pass. Sembra tanto
Ambrogio dei Ferrero Rocher. Ha persino il cappello con la visiera rigida da
custode. Gli sorrido e gli faccio un cenno di saluto avviandomi ai gate per
fare strisciare il pass. Una volta agli ascensori, mentre pigio il numero 32,
inizio a sentire un po’ di mal di stomaco. Da ansia. E se non mi prendessero? E
se tutti i castelli in aria che mi sto facendo siano già pronti a cadere? Che
stupida che sono stata, forse mandare il curriculum a una rivista del genere è
stata una pessima idea. Forse non sono ancora pronta, non ho il grado di
esperienza giusta. Mi liquideranno nel giro di cinque secondi, ne sono certa.
Stringo la mia cartelletta al petto, non più così sicura delle foto che ho
scelto. E se non avessero apprezzato l’originalità dei miei scatti? E se…
Il plin dell’ascensore mi avvisa che sono arrivata, interrompendo la
mia catena infinita di e se…mentali.
Cazzo. Ok, calma Ale. Ti sei avvalsa di una personal shopper per l’abbigliamento,
sei andata dalla parrucchiera persino per farti i capelli mossi, la tua
macchina non è né in divieto di sosta, né in un parcheggio a disco orario. Non
c’è niente che non va. Ora esci da questo ascensore e tenta di avere quella che
si chiama un’aria professionale.
Metto un piede fuori dall’ascensore
e il primo tac del mio tacco mi dice
che ora è troppo tardi per tornare indietro. Tac. Cos’ho da perdere? Tac.
Al massimo sarò cacciata brutalmente fuori dall’ufficio. Tac. Oppure mi ritroverò a reggere il treppiedi del primo fotografo
per i prossimi sei mesi. Tac. Reggere
il treppiedi e porgere obbiettivi non è male come inizio. Tac. Se sono fortunata dovrò occuparmi dello sviluppo. Tac. Se la fortuna decide di voltarmi le
spalle dovrò prepararmi a portare pacchi di carta fotografica per il resto
della mia vita. Tac.
- Salve, in cosa posso esserle
utile? - mi chiede una segretaria che è tutta un lifting, vestita come se
Valentino in persona si fosse presentato a casa sua giusto per abbinarle i
vestiti quella mattina.
Mando giù saliva che non c’è e
prendo un bel respiro, prima di vomitare fuori un - Ho un appuntamento con Gary
Marshall per quel posto da aiuto fotografo - piuttosto stentato.
- Si accomodi. Vedo se è
disponibile -
Mi fa pure l’alzatina di
sopracciglio! Spero che tutto il botulino che si è iniettata nelle guance
esploda! Prendo un altro respiro mentre mi siedo su uno dei divanetti di pelle
nera del salottino. Calma Ale, sta calma. Sei parecchio irritabile oggi. Hai
detto cazzo almeno cinquanta volte in un’ora e augurato mali improvvisi a metà
dei cittadini di New York. Calma.
Inizio a lisciarmi nervosamente la
gonna, a controllare che le mie scarpe siano a posto, che i braccialetti siano
voltati nella direzione giusta e non so più che altro. Ci manca solo che il mio
nervosismo lo sfoghi nel mettere bene impilate le riviste che ci sono sul tavolino
davanti a me e poi sono a posto.
- Come ha detto che si chiama? - mi
chiede Miss lifting 2009.
- Chianti. Alessia Chianti -
rispondo con un filo di voce.
- La può ricevere. Prego, mi segua -
dice dopo aver agganciato la cornetta ed essersi alzata in piedi.
Perché i suoi tacchi sembrano avere
una cadenza molto più aggraziata della mia? Perché io vestita di tutto punto,
firmata fino alle mutande, mi sento una nullità in confronto a Miss lifting? Mi
fossi presentata in tuta avrei ottenuto lo stesso effetto risparmiando un sacco
di soldi.
Oltrepassiamo una porta a vetri,
poi un’altra e un’altra ancora. Alla quarta, finalmente, mi trovo in un
laboratorio. Grandi tavoli luminosi e bozzetti ovunque. Il paradiso del
fotografo. Seduto ad uno sgabello rotante alto, vestito interamente di nero,
con tanto di pelata lucida, occhiale Ray Ban da vista e anello grosso quanto
una polpetta sull’indice della mano destra, il genio della fotografia sta
controllando alcune stampe con una lente di ingrandimento ottica.
- Signor Marshall - chiama dopo
qualche minuto la segretaria.
Questo alza gli occhi e posa lo
sguardo su di me. Fa cenno alla mia accompagnatrice di andarsene come se stesse
scacciando una mosca e appoggia il mento sulla mano per fissarmi in comodità.
- E tu sei..?- chiede con aria
annoiata.
- Alessia Chianti, piacere di
conoscerla - dico porgendogli una mano con un sorriso. Mi ignora e torna alle
sue stampe.
- Cosa sai di fotografia? - chiede
sempre con lo stesso tono annoiato.
- Beh… Lavoro in un laboratorio
fotografico da due anni e nel frattempo faccio foto da freelance per i
giornali. Ho un diploma di licenza superiore di perito fotografico e uno della
John Kaverdash di Milano. Ho partecipato a vari concorsi e ho vinto qualche
premio, in Italia… -
- Si, si…può bastare - dice sempre
annoiato.
- Hai portato qualche scatto?-
- Certo - rispondo prontamente
porgendogli la cartelletta rossa che tenevo stretta tra le braccia. La apre e
inizia a prendere le stampe. Le prime sono degli scatti paesaggistici delle
periferie di New York. Le fa scorrere in fretta.
Nel secondo blocco ci sono degli
scatti un po’ futuristici di oggetti di design, frutto di un lavoro che mi era
stato offerto per pubblicizzare una mostra. Anche queste le fa scorrere una
dietro l’altra senza nemmeno guardarle. Il terzo blocco raccoglie foto di
modelle e modelli, gentile concessione di un fotografo per riviste di
abbigliamento dei grandi magazzini, in cambio del mio aiuto. Gary Marshall le
lascia cadere e appoggia il viso annoiato su entrambe le mani tornando a
guardare le sue di stampe. Qualcosa mi dice che ho fallito. Speravo di non
dover tirare fuori il quarto blocco, ma dovevo tentare. Mi avrebbe certamente
gridato addosso, ma ormai ero lì. Le mie foto erano state tutte scartate con
appena un’occhiata. Più umiliata di così…
Tiro fuori dalla borsa una busta ocra
e la lascio scivolare sul tavolo.
Mi guarda spazientito per alcuni
secondi ma poi la prende. Ed ecco che diventa di tutti i colori. Bianco,
rosato, rosa, fucsia, rosso, porpora, viola, blu. - Mi prendi in giro?- mi
grida.
- No, signore -
- E con che proposito, allora, ti
presenti con le mie foto qui? -
- Con tutto il rispetto, signore,
se guarda attentamente…noterà di certo che non sono le sue foto queste - dico
abbassando la testa per l’imbarazzo. Ho giocato la mia ultima carta e mi è
andata male. Ale sei stata proprio un genio a pensare che avrebbe trovato
interessanti quegli scatti.
Lui prende la lente e inizia a
studiarle attentamente.
- Hai due minuti per spiegare - mi
dice guardandomi torvo. Mi sta dando una possibilità? La prendo come tale e
provo, inutilmente, a prendere in mano la situazione con molta calma.
- Questo è il suo servizio per le
giacche di Valentino di settembre, fatto a Central Park. Lei ha usato dei campi
medi sulle modelle, ma io ho pensato che il campo lungo sarebbe stato molto più
adatto, visto che lo stilista ha preso ispirazione proprio dalla natura dei
parchi per questa collezione. Ho pensato che tagliarla fuori, sarebbe stato un
peccato perché aiutava a contestualizzare le creazioni -
Ok, ho preso il via e devo giocarmi
questa possibilità fino in fondo. Prendo un’altra stampa e continuo. - Questo è
il servizio a Monica Bellucci per la versione italiana della rivista, ma è
stato realizzato qui a New York attorno ai primi d’ottobre a Time Square. Lei è
un’attrice molto prosperosa e per il campo della moda le sue taglie non sono
certo le più adatte. Ho pensato che prendendola di profilo si sarebbero
esaltate sia le curve che la magrezza del soggetto, togliendo lo sguardo dalle
spalle molto larghe e squadrate. E questa qui…questa è il servizio che ha fatto
su Robert Pattinson e Kristen Stewart in seguito all’uscita nelle sale del loro
film, Twilight. Mi piace molto questo scatto, ma io avrei usato un primo piano
in questo caso. Hanno una perfetta alchimia tra loro, e piacciono come coppia
al pubblico. Avrei cercato di sottolineare la possibilità di un’affinità anche
nella realtà piuttosto che i loro visi -
Finisco la mia spiegazione e mi allontano
dalla sua postazione, con lo sguardo basso, in attesa dell’esito.
Mette il pollice e l’indice sulla
curva del naso, tra gli occhi, dopo essersi tolto gli occhiali. - E posso
chiederti come hai fatto a fare questi scatti? -
- Come le ho detto, signore, per la
maggior parte del mio tempo sono una freelance, una cacciatrice di star, e mi
trovo spesso a girovagare per New York. Ho trovato spesso dei set in cui lei
lavorava e non ho saputo resistere alla tentazione di assistere ai suoi lavori.
Ho fatto qualche scatto di mia iniziativa, giusto così…per gioco…personale -
- Ma si da il caso che il tuo gioco
ora sia sul mio banco luminoso - dice con calma. La calma è sicuramente il
preludio per la tempesta. È così da secoli, cinque minuti con questo qui non romperanno
una tradizione millenaria.
- Si, signore -
- E non ti è mai passato per la
mente che fotografare un set di una rivista cui non si appartiene è un reato?-
- Si, signore -
- Vai. Fuori.-
Come dicevo: la tempesta.
- Si, signore. Arrivederci, signore
- rispondo infilando la porta a vetri e chiudendomela alle spalle.
La mia vita fa schifo. Questa è
l’unica frase che mi viene in mente. Ma come mi era venuto anche solo di
pensare che facendogli vedere le correzioni che io avrei apportato alle sue
foto, lui avrebbe visto del talento in me? Ha reagito come avrei fatto io. Si è
sentito preso in giro, come se una ragazza di 24 anni fosse in grado di
spiegargli come fare il suo mestiere. Che stupida!
Restituisco il mio pass all’uomo
della gabbiola ma non lo guardo nemmeno. Non ci riesco a dire che il fatto che
sono “carina”, come ha detto lui, non è servito a darmi il posto.
Mi rifugio in macchina e scaravento
le scarpe sul sedile del passeggero. Che razza di idea stupida tentare di far
colpo con dei vestiti firmati su un uomo dichiaratamente gay! Forse vedere il diavolo veste Prada venti volte mi
aveva un pochino fuorviata, rendendomi certa del fatto che l’abbigliamento
adatto sarebbe stato un elemento centrale nella valutazione di un dipendente di
una rivista di moda. Anche se era solo un fotografo.
Accendo la macchina e sprofondo a
braccia incrociate sullo sterzo. Ma che ho fatto di male nelle mie vite
precedenti, sempre che sta cazzata della reincarnazione sia vera?
- Ehi! Qui c’è gente che vuole
parcheggiare!- mi grida qualcuno da una macchina affiancata alla mia con il
finestrino abbassato.
Abbasso il mio e, con tutta la
finezza da newyorkese d’adozione che mi contraddistingue, gli urlo - - Perché
non va più avanti a parcheggiare? A ‘fanculo c’è un sacco di posto. Vada avanti
qualche metro e poi giri a destra. Ha bisogno di una piantina? O magari di un
paio d’occhiali per vedere che questo posto è già occupato?- e richiudo il
vetro. Scusatemi. Di solito non sono così scurrile, ma la mia soglia di
sopportazione per le mie disgrazie ha raggiunto il limite massimo.
Resto chiusa in macchina con al
faccia nascosta tra le braccia e lo sterzo per un’altra mezz’ora e poi mi
decido ad abbandonare il mio parcheggio.
Voglio solo andare a casa, mettere
la mia tuta vecchia e sprofondare sul divano con una bottiglietta di tè freddo
alla pesca e la mia scatola di muffin al cioccolato, presi da Michael quella
mattina. Le calorie sono una mano santa contro la tristezza.
Ingrano la retro ed esco dal
parcheggio per immergermi nel traffico delle cinque. Come se non bastasse la
mia giornata! Decido di tagliare per delle viuzze secondarie sperando di
arrivare a Midtown prima delle sei e cerco di rilassarmi accendendo un po’ di
musica. Quasi quasi funziona. Dai Ale, come ti aspettavi che andasse? Sinceramente,
credevi davvero di potercela fare? Non ti sembra di esserti presa troppo sul
serio? Di aver puntato un po’ troppo in alto? Andare dritta da Vanity Fair
senza un minimo di gavetta con qualche peso. Ma sei scema?
Baaaaaang!!!!!!
Mi ritrovo quasi affogata nell’air
bag. Ma che cacchio è successo? Cerco di schiacciare con le braccia il pallone
che ha invaso l’abitacolo. In qualche modo trovo la maniglia ed esco.
- Ma che cazzo fai?- dice una voce
maschile molto alterata di un tipo che sta uscendo da una porche nera.
Guardo la mia macchina ed è
completamente sfasciata sul lato sinistro. Ma Dio allora mi odia sul serio! E
dove li prendo i soldi per farla riparare? Ho speso i miei ultimi risparmi per
curarmi il look per l’appuntamento di oggi! Presi e buttati nel cesso visti i
risultati, lo so, ma li ho comunque spesi! Alzo gli occhi sul responsabile
della mia ennesima disgrazia del giorno. È un uomo morto. Un morto che cammina
con un paio di Ray Ban sul naso.
- Io? guarda che avevo la
precedenza!- grido allo sconosciuto.
- Ma che cazzo dici? Questo è un
incrocio di pari importanza! Dovevi guardare prima di tirare dritto!- grida in
risposta il pirata della strada.
- Ma dove l’hai presa la patente?
Avevo la destra libera, IO! Sei tu quello che doveva guardare!-
Ma guarda sto imbecille. Lui e il suo
bel macchinone sportivo hanno rifatto il muso nuovo alla mia povera vecchia Ford,
la mia caffettiera, e ha anche il coraggio di non ammettere il torto!
- Io HO guardato, signorina, ma non
si sfreccia a cento all’ora nelle strade secondarie, te lo hanno mai detto?-
Ah si sbraccia pure? Fa pure
l’incazzato? Capita proprio male.
- Non stavo andando a cento
all’ora! Già tanto se sfioravo i quaranta! -
- Si, si , come no!- sbuffa lui
appoggiandosi alla portiera della sua macchina che se l’è cavata con un fanale
andato e una bolla sul paraurti.
- Ora tu aspetti qui e mi fai il cid-
dico infilandomi nell’abitacolo della mia caffettiera a cercare il modulo da
compilare per gli incidenti. Dato che puoi permetterti una Porche sotto il
sedere, signorino, te ne farò sganciare di soldi. E tanti anche.
- Che?- esclama lui.
- Mi fai il cid- ripeto riemergendo
dalla plastica sgonfia dell’air bag.
- Ma io non faccio proprio niente.
Quanto ti costerà riparare questo catorcio? Cinquanta dollari? Te li do in
contanti e faccio prima-.
Anche simpatico il pirata. Non ha
nemmeno la buona educazione di levarsi gli occhiali da sole lo sbruffone
cafone.
- Sarà anche un vecchio macinino,
ma mi ci vorranno più di cinquanta dollari per rimetterla a posto-
Ok, la mia macchina è vecchia ma
almeno cammina, e ha anche un rombo di motore piuttosto aggressivo, adattissima
a girare in una città come New York. Una scusa come un'altra per non ammettere
che non posso assolutamente permettermene una nuova e, ora come ora, nemmeno
una vecchia.
- Te ne do cento al massimo -
sbuffa ancora prendendo il portafogli dalla tasca posteriore dei jeans.
- Non spetta a te decidere. Lo farà
il liquidatore dell’assicurazione. Spero tu abbia la casco per il tuo
macchinone!- gli rispondo incrociando le braccia sotto al seno. Spero che
rimettere a posto la tua due posti ti costi parecchio! Oggi sono proprio pronta
ad attaccare tutto e tutti quindi vedi di non farmi incazzare! Oddio, sto
pensando davvero queste cose? Devo controllare la mia rabbia o mi troverò a
prendere a calci quel che restava del suo paraurti così per sport.
- E’ in affitto, per forza che è
assicurata- dice mentre fa spallucce, dopo aver controllato il danno a entrambe
le vetture. Cioè della sua vettura e del mio carretto preistorico. Si avvicina
al cofano della mia Ford dove avevo già appoggiato il modulo per
l’assicurazione e una penna che avevo trovato miracolosamente nel porta
oggetti.
- Sono contenta per te. Ora mi dai
le tue generalità?- gli chiedo indicando il modulo, con un ritrovato tono
debolmente cortese.
- Robert Pattinson- soffia.
Che? Ha voglia di scherzare? Un
nome falso meno falso non poteva darmelo? Tiro giù gli occhiali da sole e lui
mi imita. È alto, ha capelli castani tutti spettinati e occhi celesti. Una
leggera barbetta incolta e un taglio di sopracciglia che è impossibile non
riconoscere. Oh santo cazzo. Mi ha appena tamponata un attore.
- Ok Robert- dico cercando di fare
l’indifferente mentre gli porgo la penna - Pensi di essere in grado di compilarlo
da solo o devo scrivere io? -
Fa schioccare la lingua e incrocia
braccia e gambe mettendosi comodo sul cofano della mia macchina. Mi guarda
dalla testa ai piedi. - Il mio numero di telefono memorizzatelo sul cellulare,
preferisco. Non lo spreco per la carta dell’assicurazione- dice guardandomi da
sopra gli occhiali e aprendosi in un sorriso. Davvero pensa di incantarmi? Può
anche chiamarsi Robert Pattinson, ma non mi avrebbe raggirata per un paraurti.
Per me significa solo che ha soldi da spendere e tanti anche. Rivolgo gli occhi
al cielo e riprendo a compilare la mia parte di modulo in silenzio. Poi lo
passo a lui, che nel frattempo si è acceso una sigaretta.
- Me la tieni, per favore? Non
voglio far cadere la cenere sul tuo prezioso modulo - dice tendendomi la
sigaretta accesa. Gliela tolgo stizzita di mano e tanto per calmarmi, ci do un
tiro. Non fumo di solito. Di rado quando sono nervosa, e senza nemmeno aspirare
per giunta.
- Non ho detto “fumatela” - dice
ridendo mentre scrive i suoi dati.
- Considerala parte del
risarcimento. Falla rientrare nei danni morali - rispondo picchiettando sulla
sigaretta per far cadere la cenere. Sono talmente nervosa che non riesco a
stare ferma nemmeno un secondo, tanto che inizio anche a far ticchettare i miei
tacchi sull’asfalto. Mi guardo intorno, pur di non guardare lui. Bel posto
abbiamo scelto per fare un incidente, non c’è che dire. Deserto, sporco, con le
case in rovina, se fosse stato un killer a tamponarmi le mie possibilità di
essere salvata da qualcuno erano di una su un miliardo a esagerare.
- Fatto. Ora dammi il tuo numero di
telefono- dice togliendomi la sigaretta dalle labbra e mettendola tra le sue
con molta naturalezza.
- Come?- chiedo sconcertata.
- Il tuo numero di telefono per
tenerci in contatto per l’assicurazione, sveglia- dice ridendo e tirando fuori
il cellulare dalla tasca.
Glielo detto,anzi glieli detto. Per
andare sul sicuro, oltre a quello di casa gli do anche il mio numero di
cellulare.
- E così, Alessia, eh? Sei
italiana?- dice scrivendo il mio nome per salvarlo nella rubrica.
- Ma va? Che intuito!- rispondo.
Tra i miei dati c’era scritto “nata a Firenze”, più italiana di così.
- Scusa, era per fare un po’ di
conversazione - dice alzando le mani in segno di resa. Mi sorride e si toglie
la sigaretta dalle labbra per lasciarla cadere a terra e spegnerla con la punta
della scarpa. - Allora Alessia dall’Italia… vediamo se il tuo ferrovecchio si
accende - dice infilandosi nell’abitacolo. Il rombo del motore si fa subito
sentire e sorrido piena di soddisfazione.
- Caspita non mi aspettavo tanto-
dice Robert scendendo dalla mia macchina. È veramente alto. Io sono un metro e
settanta, con i tacchi che avevo anche uno e settantotto, ma lui resta un
gigante. Un gigante sexy, per giunta.
- I ferrivecchi circolano ancora
proprio per questo. Sono molto resistenti - gli rispondo in tono di sfida a
pochi centimetri dal suo naso.
- Non fa una piega come discorso.
Ma vedrai che anche la mia si accenderà anche se so che mi stai augurando di no
- risponde a un soffio dal mio viso. Il suo alito è profumato, nonostante sia
un fumatore. Ha un retrogusto di menta che…oh! Alessia un po’ di serietà. Non
mi dovevo far incantare. Prima pensi che sia sexy, poi che ha un alito
profumato…E’ una persona come un’altra che ti ha appena distrutto il tuo unico
mezzo di locomozione meccanica. Uno stronzo qualsiasi.
Lo guardo mentre si siede, no, non
si siede, si SDRAIA nella sua due posti e prego che non si accenda come ha
detto lui (tanto avevo già intenzione di farlo). E invece…
- Anche la mia si difende bene, non
trovi? - dice dopo aver abbassato il finestrino del lato passeggero, facendo
rombare ripetutamente il motore.
- Spero ti si stacchino i cerchi
mentre corri - dico tagliente rimettendomi in macchina anche io e staccando
quello che resta dell’air bag.
Facciamo retro e lui,
cavallerescamente (e ci mancherebbe altro) mi fa segno di passare.
- Ci sentiamo dolcezza- mi dice
quando mi fermo per salutare. Per educazione, non voglio essere cafona quanto
lui.
- Vedi di non fare un altro
incidente, Pattinson. Devi prima pagare i miei di danni - gli dico prima di
allontanarmi.