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Autore: _p_ttl_    30/09/2022    4 recensioni
Il giorno in cui aveva chiesto a Ginevra di sposarlo era stato l’uomo più felice del mondo. Lei aveva accettato rendendolo sicuro di un futuro che fino a quel momento aveva solo sognato. Stringendola tra le braccia si chiese se fosse lei la sua neach-gaoil.
Questa storia partecipa alla "Challenge delle Parole Quasi Intraducibili" organizzata da Soly Dea sul forum di EFP. La parola scelta è la parola gaelica “neach-gaoil”, la persona che vive dentro il tuo cuore.
Specifico che ho attribuito alla parola una storia completamente inventata, rendendola propria del gaelico antico usato dagli stregoni e praticanti di magia in generale. Non ho idea della vera etimologia, storia o impiego della parola. Chiedo scusa a filologi e linguisti!
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Gwen, Merlino, Principe Artù | Coppie: Gwen/Artù, Merlino/Artù
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Questa storia partecipa alla "Challenge delle Parole Quasi Intraducibili" organizzata da Soly Dea sul forum di EFP. La parola scelta è la parola gaelica “neach-gaoil”, la persona che vive dentro il tuo cuore.
Forse sarebbe stato il prompt perfetto per una storia strappa-lacrime su come una persona cara ormai morta possa restare viva per sempre nel cuore di chi l’ha amata, ma non ho resistito ad interpretarla invece in un altro modo, dal momento che appena l’ho letta mi è nata l’ispirazione per questa fic. Specifico che ho attribuito alla parola una storia completamente inventata, rendendola propria del gaelico antico usato dagli stregoni e praticanti di magia in generale. Non ho idea della vera etimologia, storia o impiego della parola. Chiedo scusa a filologi e linguisti! In ultimo voglio dire che ho usato i nomi inglesi per Arthur e Merlin, ma per gusto personale ho lasciato il nome di Ginevra in italiano.

 
Dentro il cuore
Un giorno, da bambino, Arthur stava giocando a rincorrere con una spada un malcapitato servo per tutte le scuderie. Uther, trovatosi lì di passaggio, lo aveva rimproverato in modo severo e gli aveva intimato di lasciar in pace qual poverino che, tra l’altro, aveva tanto lavoro da sbrigare e davvero poco tempo da perdere a correre per non rischiare di morire per mano di un piccolo principe annoiato. Arthur aveva sbuffato contrariato e si era lamentato del fatto che suo padre gli dicesse sempre che doveva diventare un grande cavaliere e poi, trovandolo con una spada, lo aveva ripreso. Uther sorrise teneramente e Arthur pensò che avrebbe ricordato quel sorriso per sempre, prezioso e raro com’era. Il re gli aveva pazientemente spiegato che per imparare ad usare la spada servivano anni di allenamento e che mettere in pericolo la vita di un servitore fedele non era un comportamento onorevole degno di un uomo giusto. Il principino aveva ascoltato con attenzione e aveva fatto tesoro di quelle parole, che però non erano state le uniche a imprimerglisi permanentemente nella memoria quel giorno. Annoiato ma rassegnato aveva restituito la spada allo stalliere, incaricato da Uther di riporla al suo posto nell’armeria, ed era corso via. Aveva attraversato a gran velocità lo spiazzo antistante il castello di Camelot ed era volato su per l’imponente scalinata senza prendere fiato nemmeno una volta. Poi giù dritto nelle cucine.
La cuoca di allora era una donna dolce e sinceramente affezionata al principe, di cui Arthur conservava un affettuoso ricordo. Come una tata premurosa e un po’ troppo accondiscendente, gli permetteva di spizzicare qualsiasi cosa di nascosto da tutto il resto della servitù e, tra la preparazione di una zuppa fumante e un profumatissimo arrosto, era solita raccontargli tante storie. Sua nonna era stata una strega, prima della grande epurazione, ma questo Arthur lo aveva appreso solo dopo la sua sofferta morte. Era quindi questo, realizzò quando lo seppe,  il motivo per cui la donna conosceva tante parole ed espressioni dell’antica lingua gaelica, ormai in disuso, di cui ancora gli stregoni si servivano. Per tutta la sua infanzia era stato un mistero per lui come la cuoca conoscesse quella lingua ed ogni volta che per gioco gli insegnava qualche parola, rigorosamente all’insaputa del re, Arthur restava affascinato dalla musicalità e dai suoni di quella lingua antica e misteriosa.
Ora, dopo così tanti anni, aveva dimenticato tutto ciò che la cuoca gli aveva insegnato, tranne una parola. Una sola. Vedendolo correre verso di lei, quel giorno, gli aveva dato un pezzo di formaggio di capra e ridacchiando gli aveva chiesto cosa avesse combinato. Niente!, era stata l’ovvia risposta, tra un boccone e l’altro di formaggio.
“Ah, Arthur,” aveva sospirato la donna con tono affettuoso, “ormai siete diventato un piccolo ometto e dovreste smetterla coi pasticci e i dispetti alla servitù. Ma poi, nessuna bambina vi ha ancora rubato il cuore?”. Un sorriso sornione si allargò sulle sue labbra, accentuando le rughe attorno agli occhi dolci, mentre Arthur faceva una buffa smorfia.
“Non mi interessano queste cose! A me piace tirare con l’arco e usare la spada!”
“Va bene, va bene. C’è ancora tempo per l’amore. Ma di sicuro ve ne accorgerete quando avrete trovato la vostra neach-gaoil.”
“La mia che?”, chiese Arthur con espressione ancora contrariata.
“La vostra neach-gaoil.” Ripeté la cuoca. “La persona che vive dentro il vostro cuore.”
Arthur non aveva capito cosa intendesse la donna, ma quella parola gli era rimasta dentro e non se la sarebbe mai più scordata.
Crescendo tante volte si era chiesto se la sua neach-gaoil esistesse, se sarebbe mai arrivata, se sarebbe stato in grado di riconoscerla. Ancora oggi, a volte, guardando l’orizzonte o nella calma della sua stanza, pensava alla persona che avrebbe vissuto nel suo cuore. Come sarebbe stata? Bella? Aggraziata? Con grandi occhi dolci e un sorriso affabile? La avrebbe davvero trovata o sarebbe rimasto solo per sempre? Le questioni del cuore, spesso pensava, sono molto più complicate e misteriose delle questioni di guerra e giustizia.
 
Il sentimento per Ginevra era cresciuto nel tempo. Si era insinuato nel suo cuore come un piccolo seme e con sorrisi, parole, pensieri e gesti, era stato annaffiato. A poco a poco era cresciuto ed improvvisamente era sbocciato, senza che Arthur se ne rendesse conto. L’amore che provava per lei era genuino e profondo e sembrava un sogno il fatto che Ginevra provasse lo stesso amore. Per la prima volta nella sua giovane vita, ad Arthur non interessava la disapprovazione del padre, né i mormorii delle guardie. Lui voleva Gwen. E Gwen voleva lui. Tutto il resto non contava, non aveva bisogno dell’approvazione di nessuno. E poi Merlin era d’accordo. Merlin lo aveva aiutato, gli aveva detto che Ginevra era perfetta per lui ed era una degna regina per Camelot. Forse l’opinione di Merlin era l’unica di cui ad Arthur importasse, l’unica che contasse davvero qualcosa. Merlin, il suo servitore, il suo più fedele compagno, il suo più grande amico. Merlin sapeva meglio di Uther ciò che fosse giusto o sbagliato per lui. Merlin voleva il suo bene, sempre. Eppure, nonostante fosse stato proprio lui a spingerlo tra le braccia di Gwen, gli sembrava che a volte, quando la nominava o quando gli chiedeva di coprirlo affinché potesse passare del tempo con lei, negli occhi di Merlin passasse qualcosa. Un lampo, durava solo un secondo. Gli occhi di Merlin sembravano diventare più tristi, più spenti, più piccoli. Lo sguardo si abbassava per un istante a guardare il pavimento, prima di tornare al suo viso. Durava solo un istante, eppure Arthur lo aveva notato, più e più volte. Poi, passati quei pochi secondi, gli occhi di Merlin tornavano a sorridere assieme alle sue labbra e al resto del volto e il servitore gli faceva qualche sciocca raccomandazione ridacchiando, guadagnandosi un pugno sulla spalla e una linguaccia da parte del principe ereditario. Arthur proprio non riusciva a capire cosa potesse significare quella momentanea mancanza di controllo, a quali emozioni tristi il cuore di Merlin cedesse in quei pochi istanti, prima che il ragazzo riprendesse possesso di sé. Ormai era diventata per lui una specie di ossessione. Ogni volta che capitava si ritrovava a pensarci per giorni. Cosa poteva mai turbare Merlin? Aveva anche pensato di chiederglielo ma si era istantaneamente dato del cretino. Chiederglielo era fuori discussione, avrebbe potuto negare, mentire o prenderlo per matto. E quindi ecco che si ritrovava ogni volta impantanato in una marea di ipotesi. Che fosse geloso del fatto che Arthur aveva una ragazza e lui no? Che fosse geloso perché, a discapito di quanto diceva, era segretamente innamorato di Gwen? Che fosse preoccupato che d’ora in poi la loro amicizia sarebbe cambiata? Che fosse arrabbiato perché Gwen, da serva, sarebbe probabilmente diventata regina di Camelot mentre lui sarebbe rimasto un servitore per sempre? Che fosse innamorato di Morgana e desiderasse anche lui un amore impossibile e travagliato? Gli sembravano tutte sciocchezze o comunque cose poco probabili. Merlin possedeva un animo puro e buono e non conosceva l’invidia.
Aveva cominciato a pensare allo stato d’animo del suo servitore più del dovuto e un giorno, all’improvviso, si rese conto che Merlin non era l’unico a serbare una strana tristezza in fondo al cuore. Arthur era innamorato, ricambiato e felice, eppure dal nulla si accorse che qualcosa lo rendeva triste. E si accorse anche che era da un po’ che si sentiva così. Si diede mentalmente dell’idiota chiedendosi come fosse possibile che fosse sempre l’ultimo ad accorgersi delle cose che riguardavano la sua persona, o comunque le realizzasse sempre in ritardo.
Il risultato di quella epifania fu che ad un’ossessione se ne aggiunse un’altra. Era assurdo che si sentisse triste e sconfortato, non ne aveva alcun motivo. Era confuso e assente e, quando Merlin perdeva il controllo mostrandogli occhi tristi e animo incerto, quella sensazione peggiorava notevolmente. La sua tristezza si nutriva della tristezza di Merlin, eppure era troppo profonda per essere semplicemente dispiacere per un amico. Non riusciva proprio a venirne a capo e accettò passivamente questa spiacevole sensazione di malinconia come parte integrante e inspiegabile delle sue giornate.
 
Il giorno in cui aveva chiesto a Ginevra di sposarlo era stato l’uomo più felice del mondo. Lei aveva accettato rendendolo sicuro di un futuro che fino a quel momento aveva solo sognato. Stringendola tra le braccia si chiese se fosse lei la sua neach-gaoil. Ma certo che sì, doveva per forza essere lei. Era uno stupido a dubitarne anche solo per un secondo. Però la cuoca gli aveva detto che se ne sarebbe accorto, quando l’avesse trovata. Allora perché se lo chiedeva, se avrebbe dovuto esserne assolutamente certo? Forse doveva smetterla di pensare queste sciocchezze e dimenticare quella parola. Era tutta una favola romantica per bambini.
 
Il giorno del suo matrimonio Arthur era estremamente agitato e nervoso. Nonostante la felicità, l’ansia lo stava mangiando vivo e non sapeva più cosa fare per calmarsi. Era rimasto sveglio tutta la notte e aveva già percorso le proprie stanze avanti e indietro a passo di marcia un centinaio di volte. Si fermò di colpo davanti allo specchio e guardando la sua faccia segnata da profonde occhiaie scure (proprio il giorno del suo matrimonio!) esclamò “Merlin!”
Doveva vedere Merlin subito, solo lui poteva calmarlo, come faceva ogni volta, anche nelle situazioni più assurde, anche quando si trovava in pericolo di vita. Aprì la porta della stanza e, cacciando fuori solo la testa, chiamò a gran voce il suo servitore, che in un momento fu da lui. Entrando Merlin si richiuse la porta alle spalle e si girò a guardare l’ormai re, già vestito con gli abiti per la cerimonia. Fu un solo secondo. Gli occhi di Merlin si velarono di nuovo di tristezza e il suo sguardo si sposto sulle assi del pavimento, prima di tornare a guardarlo. Arthur sentì il cuore stringersi e una strana sofferenza pervaderlo. Stavolta non avrebbe sorvolato.
“Merlin…”, la voce un sussurro, “cosa succede?”
Il servitore gli regalò un sorriso dolce. “Pensavo mi avreste aspettato, per vestirvi. Tra l’altro è ancora molto presto, come mai mi avete già chiamato?”
Il re comprese la volontà dell’altro di cambiare discorso e senza forzare gli rispose.
“Però tu eri già qui fuori ad aspettare che ti chiamassi. Lo sapevi che avevo bisogno di te, vero?” Gli occhi di Merlin erano incatenati nei suoi e sentì il forte impulso di abbracciarlo, ma non lo fece. “Io ho sempre bisogno di te. Mi sei sempre stato vicino, anche a costo della vita. Solo tu puoi calmarmi. Solo tu puoi capirmi. Solo tu…”
Arthur restò a fissarlo senza riuscire a dire più nulla. Il pensiero che gli passò per la testa lo investì come una doccia fredda. Merlin non sarebbe più stato suo. Non come lo era stato fino a quel momento, e non come avrebbe potuto esserlo. C’era Ginevra adesso. E lui era sicuro di amare Ginevra. Eppure, guardando il giovane davanti a lui in quel momento sentì un enorme calore partire dal centro del petto ed espandersi in tutto il corpo. Il cuore batteva all’impazzata e aveva le mani sudate. Merlin… Cos’era quella sensazione? Non ebbe il coraggio di darsi una risposta, non ebbe la forza di dirsi che era questo il motivo della strana tristezza che lo pervadeva da mesi, nonostante l’amore di Gwen. Non fu così egoista da sperare che fosse questa improvvisa realizzazione, magari maturata da Merlin con molto anticipo, il motivo della tristezza del suo servitore. Non avrebbe sopportato di essere la ragione della sua sofferenza, voleva solo vederlo felice.
Merlin continuava a fissarlo senza dire una parola, allora Arthur gli chiese di andargli a prendere un bicchiere d’acqua. Lo aveva voluto lì con lui ed ora invece aveva bisogno di restare solo per qualche secondo.
Appena Merlin uscì, Arthur coprì la distanza che lo separava dalla porta chiusa e vi si appoggiò contro.
‘Merlin, Merlin, Merlin’, riusciva a pensare solo a Merlin. Avrebbe sposato Ginevra, perché la amava e perché sarebbe stata una regina degna di questo nome. Avrebbe sposato Ginevra, ma era Merlin. Era sempre stato Merlin. Si diede dell’idiota per non averlo capito molto prima. Non sapeva cosa fosse quella sensazione o come chiamare quel sentimento. Non sapeva in che modo e in quale veste, ma era sicuro, se ne era accorto senza ombra di dubbio, proprio come aveva detto la cuoca. Era Merlin il suo neach-gaoil e lo sarebbe stato per sempre.
  
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