disclaimer | L’idea di fondo non è mia. Appartiene ad un assoluto, inimitabile ed
intramontabile genio di nome Roald Dahl. Uno dei miei desideri più nascosti è
quello di poterlo riportare in vita per abbracciarlo e ringraziarlo di tutte le
incredibili storie di cui ci ha fatto dono, da Matilde a Danny il campione
del mondo, passando naturalmente per Gli
Sporcelli e Furbo, il signor Volpe.
Da semplice scribacchina quale sono, mi sono limitata a rimuginare sulle
meraviglie da lui partorite per far dono al mondo di quello che in effetti è
soltanto uno scempio, l’insensata ed assurda profanazione di un capolavoro.
note dell’autrice
| Prima di cominciare, vorrei fosse ben chiaro che rispetto alla storia
originale questo è uno schifo senza pari, dunque se siete schizzinosi lasciate
questa pagina prima che sia troppo tardi. Fatto? Bene. Ai pochi che sono
rimasti rivolgo un caloroso benvenuto. Per scrivere questa storia mi sono
ispirata sia al romanzo sia alla prima versione cinematografica (quella del
1973, che mi ha fatto conoscere ed amare Gene Wilder). Rispetto alla storia
originale, sono presenti alcuni significativi cambiamenti: tanto per
cominciare, i cinque bambini di cui si parla sono in realtà cinque giovani
adulti, ed in secondo luogo il giovane Charlie Bucket diventa la giovane Charlie Bucket. Inoltre, ci
saranno alcuni piccoli cambiamenti riguardanti la fabbrica stessa. Se qualcuno
si sente in qualche modo offeso da queste affermazioni, il mio consiglio è di
lasciar perdere sin d’ora. Fatto? Ottimo. Al poveraccio rimasto indirizzo i
miei migliori auguri.
titolo della
storia | Il titolo della storia è ispirato all’omonima
canzone di Luciano Ligabue, contenuta nell’album Mondovisione (2013). I titoli dei capitoli verranno creditati di
volta in volta al termine del capitolo stesso.
Sono sempre i sogni a dare forma al mondo
Capitolo primo.
Non è troppo presto per sognare.1
Londra, qualche anno fa
Fino a una ventina di anni
prima, Spinner’s End2 era stato un quartiere densamente popolato,
casa di molti dipendenti della vicina fabbrica di cioccolato Wonka: pur essendo
una zona di periferia molto lontana dall’elegante e attivo centro di Londra,
era un posto pulito e accogliente, dotato di tutte le comodità necessarie per
condurre una vita decorosa e crescere dei figli. Per questo i Bucket avevano
ritenuto che trasferirsi lì da Wandsworth, altro quartiere di lavoratori, fosse
una buona idea: per raggiungere il lavoro il signor Bucket, neoassunto alla
fabbrica di cioccolato Wonka, non avrebbe avuto che da percorrere poche
centinaia di metri, mentre l’ospedale in cui la signora Bucket lavorava come
infermiera distava poco più di dieci minuti di autobus. Oltre alle ragioni
pratiche, la giovane coppia nutriva anche la speranza che la loro figlioletta
Charlotte, all’epoca poco più che una neonata, potesse crescere sana e felice
insieme agli altri bambini del quartiere, circondata da una famiglia amorevole.
Per questo insieme a loro si erano trasferiti anche i rispettivi genitori: il
signor e la signora Bucket, ovvero nonno Joe e nonna Josephine, e il signor e
la signora Mayfield, meglio noti come nonno George e nonna Georgiana. Mentre le
due nonne si occupavano di tenere in ordine la casa e badare alla nipotina, i
nonni si erano dati da fare cercando un lavoretto in grado di arrotondare la
pensione: mentre nonno George consegnava giornali al vicinato, nonno Joe
sfruttava il proprio pollice verde curando le piante e i giardini di tutto il
quartiere.
Ma la felicità non era durata a lungo: soltanto due anni più
tardi il signor Wonka aveva inspiegabilmente chiuso la fabbrica, licenziando
tutti i dipendenti che vi lavoravano. La stampa aveva molto speculato
sull’accaduto, e dopo parecchi mesi di suspense si era saputo che i signor
Prodnose e Slugworth, suoi diretti concorrenti nella produzione dolciaria,
avevano corrotto alcuni operai al fine di impadronirsi di quei segreti che in
poco tempo avevano reso Willy Wonka, allora poco più che ventenne, uno dei
pilastri del settore. Scopertosi ingannato, il signor Wonka aveva deciso di
agire per la salvaguardia del bene proprio e dell’azienda, sbarazzandosi di
tutti i lavoratori – purtroppo anche di quelli che, come il signor Bucket,
erano troppo onesti per prestarsi a un gioco tanto bieco. In poco tempo
Spinner’s End si era svuotata, e la famiglia Bucket era rimasta quasi sola in
quella periferia un tempo molto accogliente, e ora silenziosa e spettrale
quanto il vicino cimitero di St. Michael. Se ce ne fosse stata l’opportunità
anche i Bucket avrebbero lasciato il quartiere, ma con un solo stipendio
assicurato era impossibile anche solo pensare
di poter spostare una famiglia di sette persone all’altro capo della città.
Quando il signor Bucket trovò finalmente un nuovo lavoro, comunque, qualsiasi
affitto si dimostrò troppo alto per le povere tasche di quella sfortunata
famiglia.
Nel frattempo Charlotte crebbe e iniziò a frequentare la
scuola. Passando ogni giorno di fronte ai cancelli sprangati della fabbrica
Wonka, iniziò presto a manifestare una certa curiosità per quella costruzione
tanto grande e lugubre, che sembrava svettare sull’ambiente circostante come un
monumento al degrado e alla desolazione della periferia. Aveva da poco compiuto
sei anni quando, tornando a casa insieme al nonno paterno, si decise finalmente
a porre la prima domanda. «Nonno Joe, perché questo posto mi mette paura?»
Nonno Joe ridacchiò, continuando a tenere stretta la mano
della nipotina. «Mia cara, questo posto non dovrebbe affatto metterti paura.
Questa è la fabbrica di cioccolato di Willy Wonka, la più grande e
straordinaria fabbrica di cioccolato del mondo! Ci ha lavorato anche tuo padre,
lo sapevi?»
«Chi è il signor Willy Wonka?»
«Il signor Willy Wonka, signorina, è uno degli uomini più intelligenti
e geniali che esistano al mondo. Quando ha aperto questa fabbrica aveva appena
compiuto vent’anni, e gli ci sono voluti soltanto un paio di mesi per diventare
il più celebre pasticcere del mondo. Lui sì che sapeva creare dei dolci
assolutamente eccezionali.»
«Ma se era tanto bravo, perché la fabbrica è chiusa?»
«Beh, tesoro, devi sapere che quando uno è bravo in qualcosa
– intendo, davvero bravo, come il
signor Wonka – per forza qualcun altro finisce con il diventare invidioso. E
quando l’invidia diventa odio, allora le cose per la persona di talento non si
mettono tanto bene. Vedi» continuò, cogliendo l’espressione interrogativa
comparsa sul volto della bambina, «il signor Wonka era così bravo nel creare
dolci che il signor Prodnose e il signor Slugworth, che avevano aperto le loro
fabbriche molto tempo prima, iniziarono a invidiare il suo successo. Erano così
invidiosi da essere pronti a tutto pur di mandarlo in rovina. Così si misero
d’accordo per mandare nella fabbrica del signor Wonka delle spie che potessero
rubare i suoi segreti. Le spie si facevano assumere come operai, e appena
scoprivano un segreto succulento correvano subito da Prodnose e Slugworth per
raccontarglielo. Quando lo scoprì, il signor Wonka ne fu molto triste, perciò decise
di chiudere la fabbrica e licenziare tutti gli operai» concluse in tono triste.
«E non poteva licenziare soltanto gli operai cattivi?»
«Più facile a dirsi che a farsi, Charlotte. Tanto per
cominciare, il signor Wonka non poteva sapere quanti operai cattivi ci fossero
nella sua fabbrica. E poi quando scoprì il tradimento perse la fiducia in tutti
coloro che lavoravano per lui. Devi capire che quando si perde la fiducia in
qualcosa o in qualcuno, ritrovarla diventa molto difficile.»
«Ma se non fa più il cioccolato, adesso cosa fa il signor
Wonka? Non ha un lavoro?»
«Oh, credimi, è così ricco che potrebbe passare il resto
della vita a non fare niente» rise nonno Joe. «In verità, nessuno sa dove si
trovi. Nessuno lo ha più visto dal giorno in cui sprangò i cancelli della
fabbrica. C'è chi dice che si sia nascosto in un qualche angolo del mondo a
disperarsi per essere stato gabbato, altri invece dicono che se la stia
spassando su un'isola tropicale.»
«E tu, nonno Joe? Dove credi che sia?»
«Secondo me Willy Wonka non ha ancora finito di stupire il
mondo. È troppo in gamba per passare il resto della vita a nascondersi. Per me
se ne sta chiuso da qualche parte a progettare un modo per tornare a
riprendersi il titolo di miglior pasticcere del mondo. Sai, non mi stupirei se
un giorno o l'altro questa vecchia fabbrica tornasse in attività. Con un genio
del calibro di Willy Wonka, non si può mai sapere.»
Charlotte gettò un'ultima occhiata alla vecchia fabbrica,
pensando che il nonno doveva avere una grande immaginazione se davvero era
convinto che un giorno quel rudere sarebbe tornato a sfornare i dolcetti più
buoni del mondo.
Un paio di mesi più tardi, tuttavia, le toccò ricredersi,
come le altre migliaia di persone che credevano le industrie Wonka morte e sepolte.
Era un freddo mattino di dicembre, mancavano pochi giorni a Natale e il signor
Bucket stava facendo gli straordinari per mantenere le strade libere dalla neve
che da parecchi giorni scendeva copiosa sulla città. Passando davanti alla
fabbrica, Charlotte tirò il naso fuori dalla pesante sciarpa di lana,
avvertendo un odore sconosciuto. «Nonno Joe, cos'è questo odore?»
L'uomo tirò fuori a sua volta il naso, fermandosi a fiutare
l'aria come un segugio. «Questo, cara mia, è profumo di cioccolato! Willy Wonka
ha riaperto la fabbrica!» Dimenticando per un attimo la loro destinazione,
entrambi scrutarono oltre i cancelli alla ricerca di un qualunque segno di
vita, restando però estremamente delusi: i lucchetti arrugginiti non sembravano
essere stati toccati, la neve depositata nel cortile era intonsa, le finestre
apparivano ancora sprangate. L'unico segno di attività sembrava essere il fumo
che fuoriusciva dai comignoli. «Eppure, qualcuno là dentro deve esserci»
borbottò il nonno, strizzando gli occhi per riuscire a cogliere altri dettagli.
«Non mi sbaglio, questo è proprio profumo di cioccolato» aggiunse, grattandosi
distrattamente la nuca.
«Magari è soltanto una nostra impressione» commentò
Charlotte, facendo sfoggio di tutta la saggezza propria di una seienne.
Ma i giornali del giorno successivo smentirono la sua
opinione: dopo quattro anni di inattività, Willy Wonka aveva davvero
ricominciato la produzione, tanto che tutti i negozi di dolciumi della città
avevano già ricevuto intere casse piene di nuovi prodotti. «Però non parla
degli operai» commentò il signor Bucket, ripiegando il giornale. «Ho provato a
chiedere in giro, ma sembra che nessuno sappia nulla. Persino al collocamento
non mi hanno saputo rispondere. Pare che Wonka non abbia formalizzato alcuna
assunzione.»
«Ma questo è impossibile!» replicò la moglie, mettendo in
tavola una zuppiera colma di minestra. «Non può certo mandare avanti quella
fabbrica enorme tutto da solo. Sarà anche il pasticciere più bravo del mondo,
ma non è certo onnipotente.»
«Certo che no. Anche avendo a disposizione i macchinari più
moderni, avrebbe comunque bisogno di qualcuno che li manovrasse. Avrebbe
bisogno... non lo so, di un centinaio di persone almeno!»
«Ma i cancelli sono ancora chiusi con i lucchetti» osservò
Charlotte, soffiando sulla minestra per farla raffreddare. «Come fanno gli
operai ad entrare se i cancelli sono chiusi?»
Rigirandosi tra le mani il giornale appena messo da parte
dal figlio, nonno Joe le rivolse un'occhiata divertita al di sopra degli occhiali.
«Tesoro mio, te lo avevo detto o no che Willy Wonka è un genio? Avrà
sicuramente trovato un modo per far entrare gli operai senza che nessuno se ne
accorga.»
«Via, papà, non metterle in testa strane idee...» sospirò il
signor Bucket, rimestando nella fondina con il cucchiaio.
«Andiamo, Andrew, tu lo hai conosciuto! Gli hai stretto la
mano! Sai meglio di me quanto sia assolutamente straordinaria la sua mente!
Vulcanica, a dir poco! Guarda qui!» esclamò, sventolandogli il giornale davanti
al naso. «Ha inventato il gelato caldo! Il gelato caldo per le giornate fredde!
Ditemi voi se questo non è un uomo geniale!»
«Che idea cretina» borbottò nonna Georgiana, la madre della
signora Bucket. «Chi mai avrà voglia di mangiare un gelato quando fa freddo?»
Nonno Joe la ignorò, pensando che la sua sordità stesse
peggiorando. «E i Confettini Canterini!» proseguì, continuando ad agitare il
giornale come una bandiera. «Deliziose praline da lasciar sciogliere in bocca
fin quando non resta un canarino in miniatura che fischietta la tua canzone
preferita!»
«Se voglio sentire la mia canzone preferita, basta che
accenda la radio» commentò nonno George.
Nonno Joe scacciò il pensiero con un gesto della mano,
continuando a leggere. «Un uomo geniale, semplicemente geniale. Scommetto che
in questi quattro anni non ha fatto altro che viaggiare in giro per il mondo
pensando a quali meraviglie proporre per il suo grande ritorno. Oh, vedrete
adesso, vedrete come si mangeranno il fegato Prodnose e Slugworth. Pensavano di
averlo fatto fuori, ma credete a me: non ci vorranno più di due settimane
perché Willy Wonka torni a essere il più grande cioccolatiere del mondo!»
Nonna Josephine si limitò a sorridere, sapendo che ribattere
non sarebbe servito a nulla: suo marito nutriva una profonda ammirazione per
Willy Wonka e il suo genio, e nulla di ciò che chiunque avrebbe potuto dire o
fare lo avrebbe mai distolto dal pensare che fosse un vero eroe.
La previsione di nonno Joe si rivelò corretta: un paio di
settimane dopo la grande riapertura, in città non si parlava d'altro che delle
deliziose creazioni Wonka, e di come questi si fosse a tutti gli effetti
ripreso il titolo meschinamente rubatogli dagli spregevoli Prodnose e
Slugworth. Tuttavia, i cancelli della fabbrica continuarono a rimanere chiusi:
mai nessun operaio era stato visto entrare, e mai nessun operaio era stato
visto uscire. Il signor Bucket, che aveva nutrito qualche speranza di poter un
giorno essere riassunto, aveva smesso di chiedere informazioni all'ufficio di
collocamento, rassegnandosi a lavorare come spazzino e spazzaneve per il resto
della vita, mentre l'intera famiglia continuava a fare immensi sacrifici per
tirare avanti.
Dal canto suo, Charlotte era contenta che la fabbrica avesse
riaperto: le difficoltà della vita non l'avevano resa meno fantasiosa, e ogni
volta che passava davanti ai cancelli sprangati le piaceva fermarsi per qualche
secondo ad immaginare che cosa nascondessero quei muri anneriti dal tempo. E
poi l'aroma di cioccolato era piacevole da annusare – per una come lei, che non
aveva denaro da sperperare in dolciumi, era un buon compromesso per avere
comunque la sua dose di dolcezza.
L'inverno dei suoi undici anni, però, rischiò di minare la
sua serenità, poiché un tragico quanto inaspettato evento scosse la sua vita
alle fondamenta: la signora Bucket morì. Come ogni mattina, la signora Bucket
si stava recando al lavoro in autobus, quando l'autista aveva perso il
controllo del mezzo a causa della strada ghiacciata. Pochi passeggeri erano
sopravvissuti, e per la signora Bucket non c'era stato nulla da fare.
L'atmosfera in casa Bucket era diventata grigia e triste, soprattutto perché
mancavano poche settimane a Natale: il signor Bucket era diventato solitario e
taciturno, al punto da passare fuori casa anche sedici ore al giorno pur di non
essere costretto a tornare nella casa in cui aveva vissuto, anche se povero,
estremamente felice. I quattro nonni avevano fatto di tutto pur di tenere alto
il morale di Charlotte, che mai avrebbe pensato di potersi trovare ad
affrontare una tragedia così grave. Poi il Natale passò, tornò la primavera, e
con essa parve che le cose potessero riacquistare una parvenza di normalità,
anche se qualcosa, nel suo cuore ancora bambino, era irrimediabilmente
cambiato: quando passava davanti alla fabbrica Wonka, si limitava ad annusare
il profumo che ne fuoriusciva senza più fermarsi ad immaginare quale
straordinario mondo potesse nascondersi dietro il solido portone in quercia.
Il giorno in cui smise di concedersi anche quella piccola
grazia fu il giorno in cui anche il signor Bucket andò all'altro mondo. Le
feste natalizie erano passate da poco, e senza alcun preavviso una brutta
polmonite se lo era portato via. Charlotte non aveva ancora compiuto sedici
anni, e per la seconda volta in pochissimo tempo si ritrovò ad accompagnare al
cimitero una delle persone che più si erano sacrificate per lei. Superare quel
secondo colpo fu in un certo senso meno faticoso, soprattutto perché era molto
cresciuta dalla morte della madre, arrivando a capire che al mondo nessuno ti
regala niente, e che se vuoi qualcosa devi alzarti e andare a prenderla. Fu
proprio mentre rincasava dal funerale che si accorse, entrando in una casa un
po' più vuota e un po' più fredda, che se avesse voluto avere un futuro degno
di questo nome avrebbe dovuto rimboccarsi le maniche e darsi da fare in prima
persona. Così, alla fine dell'anno scolastico annunciò ai nonni che avrebbe
rinunciato ai propri studi e si sarebbe cercata un lavoro.
Nonno Joe fu quello che reagì nel modo peggiore: sapeva
quanto suo figlio e sua nuora avessero faticato per mettere da parte i soldi
necessari all'istruzione di Charlotte, e sapeva quanto in cuor suo avesse
sperato che la ragazza riuscisse a raggiungere un obiettivo molto più alto, un
successo in cui nessuno di loro aveva mai sperato. Vederla gettar via
l'occasione di diventare qualcuno lo feriva non poco, convinto com'era che una
ragazza come Charlotte avrebbe potuto convincere le leggi dell'universo a
mutare, se solo lo avesse voluto. Ma per quanto ferito e depresso dalla scelta
della nipote, sapeva di non avere alcun potere per cambiare quell'infelice
condizione: Charlotte aveva avuto la sfortuna di ereditare la cocciutaggine dei
Bucket, e nulla avrebbe potuto dissuaderla dal mutare le proprie convinzioni.
Così, a sedici anni appena, Charlotte dimostrò ancora una volta di essere molto
più matura ed equilibrata dei coetanei, al punto di riuscire a prendere in mano
le redini della propria esistenza.
***
Londra, oggi
Ad una prima occhiata, Charlotte sembrava una ragazza come
tante altre: aveva vent'anni, era bella come un sereno mattino di primavera,
possedeva un carattere genuino ed un'indole piuttosto tranquilla, e chiunque
avesse a che fare con lei anche per un minuto soltanto finiva irrimediabilmente
con il volerle bene. Ma si sa, raramente la prima impressione racconta tutta la
verità, e la verità era che Charlotte, nel profondo del cuore, era una ragazza
che aveva smesso di sognare troppo presto, e che dietro ogni sorriso celava una
profonda malinconia. Lo sapevano bene i nonni, che l'avevano vista sprecare gli
ultimi quattro anni rincorrendo bollette e conti da pagare e un lavoro che,
oltre a sfinire ogni fibra del suo essere, nemmeno la soddisfaceva – lei non
l'avrebbe mai ammesso nemmeno sotto tortura, ma i quattro vecchietti erano
certi che nessun essere umano avrebbe potuto dirsi soddisfatto di passare le
giornate lavando e stirando i panni sporchi dei clienti di un albergo di lusso.
Per questo, quando lessero sul giornale quella che non avrebbero tardato a
definire la Straordinaria Notizia, decisero di comune accordo di giocare ogni
carta in loro possesso per far sì che la loro unica nipote potesse trarne ogni
beneficio possibile.
*
Sin dai tempi della scuola gli insegnanti avevano parlato di
lui come di un bambino straordinariamente intelligente, dotato di un intuito
comune a pochi altri, una sorta di dono che gli consentiva di vedere ben oltre
l'orizzonte cui il resto del mondo si affidava. William Wilbur Wonka, conosciuto
da tutti come Willy, sapeva che era stata proprio la sua straordinaria
intelligenza, oltre ad una buona dose di spericolatezza e senso degli affari, a
fare di lui uno dei più grandi cioccolatieri del mondo – in barba ai desideri
del padre, che lo avrebbe preferito avvocato, come voleva la tradizione di
famiglia. Tuttavia, quando la Grande Idea gli attraversò la mente, per un
istante Willy si diede dello stupido, poiché erano mesi che cercava un modo per
cavarsi fuori dallo spinoso problema che da qualche tempo aveva iniziato a
minacciare la sua serenità.
Willy Wonka era un uomo dall'aspetto piacevole, con un
carattere piuttosto buono e un'indole sufficientemente amichevole, nonché un
patrimonio personale che superava di gran lunga le necessità di un uomo nella
sua posizione sociale. Da quando aveva compiuto il fatidico quarantesimo
compleanno, però, una domanda aveva iniziato ad assillarlo: a chi avrebbe
lasciato in eredità il proprio impero, quando fosse stato troppo vecchio per
dirigerlo da sé? Figli non ne aveva, non si era mai sposato. Una volta ci era
andato vicino, ma era molto più giovane, e si era tirato indietro appena in
tempo, non appena aveva compreso che l'impegno derivante dalla costruzione di
una famiglia lo avrebbe irrimediabilmente distolto dai propri doveri di
imprenditore. Lavoro e famiglia erano due binari da tenere ben separati, questo
lo aveva imparato a proprie spese quando sua madre era venuta a mancare, ormai
quasi trent'anni prima: da quel momento Willy, osservando il modo in cui suo
padre lo aveva affidato alle cure di una governante per continuare indisturbato
la propria carriera giuridica, aveva capito che nessun uomo poteva eccellere
nel proprio lavoro e allo stesso tempo occuparsi in maniera attenta della
propria famiglia – si doveva sempre scegliere, alla fine, a meno di voler
passare il resto della vita trascurando l'una e l'altra cosa. Lasciando la
fidanzata, Willy aveva scelto di dedicarsi a ciò in cui era più bravo: donare
la felicità al mondo un morso alla volta. E ci era riuscito – oh, se ci era
riuscito: i dolci Wonka erano conosciuti in tutto il mondo emerso, osannati da
personaggi famosi, uomini politici, re e regine, e addirittura gli erano valsi
il titolo di baronetto. Tuttavia, ciò di cui andava più fiero era che i suoi
dolci riuscivano a migliorare anche l'esistenza delle persone comuni, persino
della gente meno fortunata, quella che ogni giorno si arrabattava per arrivare
incolume alla sera – quello, quello era il suo più grande successo. Vedere i
bambini scartocciare pacchi di Bon Bon Boh cercando di indovinare in quale
gesto si sarebbero imbattuti, o due innamorati dividersi un gelato caldo in una
fredda sera invernale... quelle erano le cose che riuscivano ancora a scaldare
il suo gelido cuore di imprenditore, quelle poche volte che decideva di
interrompere il proprio esilio per farsi un giro in quel mondo che tante volte
lo aveva deluso.
In fondo, diceva a se stesso in quelle poche occasioni in
cui si ritrovava a sorridere, forse il mondo non è così crudele. Ma dopo un
istante scuoteva la testa, ricordando lo scandaloso comportamento di Prodnose e
Slugworth, che aveva sempre trattato lealmente, e dai quali invece era stato
malamente imbrogliato. Tante volte si era ritrovato a ripensare alla repentina
decisione di chiudere lo stabilimento ed emigrare all'estero in un tentativo di
sbollire la rabbia, e ogni volta si chiedeva se fosse stato un comportamento
corretto: in fondo, una volta eliminate le spie che avevano minato il suo
successo, restava un gran numero di dipendenti onesti che aveva lasciato in
mezzo ad una strada con la sola consolazione di una buona liquidazione.
Sforzando un po' la memoria, ricordava ancora molti dei loro nomi, anche se non
sempre riusciva ad abbinarli al volto giusto: in fondo, in mezzo a loro c'erano
molti bravi ragazzi. Quando era tornato allo stabilimento, deciso a riaprirlo e
a ributtarsi nella mischia, si era illuso di poter riassumere alcuni di loro,
ma si era trovato di fronte ad una deludente realtà: quasi tutti i suoi ex
dipendenti si erano trasferiti, seguendo nuove opportunità professionali, e
Spinner's End era diventato un quartiere fantasma, rifugio di disperati e
poveracci e sede di sporcizia e vecchi depositi. Nel vedere ciò che il vecchio
quartiere era diventato, ogni proposito di farsi perdonare era svanito, così
come ogni prospettiva di togliere i pesanti lucchetti che sigillavano i
cancelli dello stabilimento. In fondo, non aveva motivo di riaprire le porte
della fabbrica, se tutto ciò di cui aveva bisogno per farla funzionare già si
trovava al suo interno. Durante il suo esilio lungo quattro anni, Willy Wonka
aveva viaggiato in ogni angolo del mondo. Su una scoscesa ed inospitale
montagna del Sudamerica si era imbattuto nella sua più grande fortuna: non
soltanto aveva scoperto l'esistenza di un frutto tropicale dal gusto
assolutamente unico, ma aveva anche incontrato la tribù dei Chocachaca, un
popolo pacifico spinto verso le montagne dalle guerre e dall'odio verso le
minoranze etniche. Ospitali e gentili, i Chocachaca avevano da subito stretto
amicizia con il grande uomo bianco, come lo avevano soprannominato sin dal
primo momento, e avevano dimostrato un tale amore per il buon cibo che Willy
aveva trovato assolutamente naturale invitarli a seguirlo a Londra per aiutarlo
a rimettere in piedi la propria fabbrica. Erano in tutto un centinaio di
persone tra uomini, donne e bambini, e contrariamente a quanto si potrebbe
pensare non era stato difficile convincere il loro capo, Reginaldo, a
sottoporre la questione al gran consiglio dei saggi, che si erano detti
d'accordo. Farli espatriare era stato ancora più facile: a Willy era bastato
presentarsi alle autorità locali portando in dono un campionario delle proprie
creazioni, e una volta promesso di inviare periodicamente una fornitura di
leccornie l'accordo era stato raggiunto in fretta. Una volta al sicuro in
Inghilterra, anche i Chocachaca più scettici si erano convinti di aver compiuto
la scelta più giusta: Willy aveva assicurato loro contratti regolari, aveva
mandato i bambini a scuola e trovato per ognuno l'occupazione giusta, facendo
sentire ciascuno utile, speciale ed amato come mai prima di allora era successo
nella storia di quel popolo.
Stava per l'appunto osservando alcuni di loro mentre erano
al lavoro nella Stanza della Cioccolata, quando qualcuno bussò alla porta del
suo ufficio. Si trattava di Reginaldo, il capotribù, che senza indugio Willy
aveva nominato da subito come proprio vice. «I giornali del mattino, signore»
esordì, appoggiando un fascio di quotidiani sulla lucida scrivania in mogano.
«Anche il quarto Biglietto Dorato è stato trovato.»
«Sul serio?» esclamò Willy, voltandosi rapido per avventarsi
sul primo giornale. «Dove? Quando? Da chi?» domandò in rapida successione,
sprofondando nella poltrona.
«La ragazza si chiama Veronica Salt, è di Los Angeles. Il
ritrovamento è avvenuto ieri pomeriggio verso le quattro, ora locale.»
Terminato il proprio riassunto Reginaldo rimase in silenzio, permettendo al
principale di leggere da sé il resto della notizia. Quando lo vide abbandonare
il giornale con aria sconsolata, si conferì da solo il permesso di continuare.
«Brutte notizie, signore?»
«Come i suoi tre predecessori, questa ragazza è una sciocca,
inutile, meschina... meglio che mi interrompa qui, amico mio. Resto sempre un
gentiluomo.»
«Dalla fotografia non pare una persona tanto orrenda»
rispose l'altro, riprendendo il quotidiano per dare un'occhiata alla ragazza
bionda che sorrideva dal centro della prima pagina.
«Certo che non lo sembra» sbottò Willy. «Bionda, occhi
celesti, un viso angelico, ma il suo cuore è marcio quanto quello degli altri
tre. Ha costretto il padre ad assumere una squadra di persone che scartassero
tavolette Wonka dalle otto del mattino alle otto di sera, sette giorni su
sette, per un mese intero. Tutto perché è una ricca ragazza viziata abituata ad
ottenere sempre tutto ciò che desidera. Col cavolo che sarà una persona simile
a dirigere questa fabbrica!»
«State perdendo il vostro consueto aplomb, signore» lo prese
in giro Reginaldo. «Non per inquietarvi di più, ma io vi avevo avvertito che la
vostra straordinaria idea vi si sarebbe potuta ritorcere contro. Considerando
l'alta percentuale di gente indegna che popola questo mondo, era abbastanza
prevedibile che almeno uno dei biglietti avrebbe potuto essere trovato da...»
«Che almeno uno fosse trovato da una persona indegna lo
avevo messo in contro, ma quattro è davvero troppo! Del quinto non si sa ancora
niente?»
«Nessuna notizia. A questo punto, non ci resta che sperare
nella fortuna.»
«Quale rosea prospettiva...» sospirò Willy, coprendosi gli
occhi con una mano. «Tutto ciò che chiedo è una persona di buon cuore. Una
persona onesta, gentile, che sia ancora in grado di anteporre il bene degli altri
al proprio» aggiunse, alzandosi. «So cosa stai pensando, amico mio. Pensi che
sia soltanto un sognatore, un poveretto che vive nell'illusione di un mondo
svanito ormai da tempo. O forse un matto che sopravvive nel ricordo di un mondo
che forse non è mai esistito» aggiunse, infilandosi la giacca. «Ma soltanto un
uomo che non abbia mai nutrito un sogno potrebbe pensare di lasciare tutto
questo nelle fragili mani di una persona che non abbia mai conosciuto il
piacere di cullarsi in un desiderio» disse ancora, avvicinandosi di nuovo alla
vetrata dalla quale riusciva a dominare il centro nevralgico dello
stabilimento. «No, dobbiamo continuare a sperare» aggiunse a voce più alta,
sistemandosi i polsini. «Per quanto la situazione possa apparire disperata oggi,
dobbiamo continuare a credere che l'impensabile possa accadere domani.»
«So che probabilmente mi pentirò di quanto sto per dire,
ma... perché non cercate il vostro erede in un modo più... come dire,
tradizionale?»
«Che intendi dire?»
«Beh, siete ancora piuttosto giovane, e nessuno conosce i
vostri principi meglio di voi stesso. Non sarebbe troppo tardi per...
accasarvi.»
«Intendi... stai forse dicendo che dovrei sposarmi?» replicò
Willy, strabuzzando gli occhi per la sorpresa. «Non immaginavo avessi tanto
senso dell'umorismo, Reginaldo. Sposarmi, che idea...» ripeté, ridacchiando tra
sé e sé.
«Sposarsi è una cosa che le persone fanno da secoli,
signore, e da uomo sposato sinceramente non riesco a capire che cosa vi diverta
tanto. Per come la vedo io, mi sembra l'unica alternativa sensata. Avreste la
possibilità di avere dei figli da crescere secondo le vostre idee e i vostri
principi, e quale erede migliore del vostro stesso sangue? Senza contare che
avreste anche la certezza di non trascorrere il resto della vita da solo.»
«E sentiamo, come pensi che potrei trovare una moglie?»
«Uscendo da questa fabbrica, per esempio. Ora che ci penso,
è parecchio tempo che non fate vita di società. Se provaste a farvi vedere in
giro, di tanto in tanto, forse scoprireste che il mondo non è fatto di praline
e gomme da masticare.»
«Non dico che il ragionamento sia del tutto sbagliato, ma
cerchiamo di vedere la cosa in maniera razionale: in quale tipo di donna pensi
che potrei imbattermi, là fuori? Gli uomini come me raramente trovano l'amore.
Il meglio cui possono puntare è una donna avida e senza scrupoli il cui unico
scopo è quello di sistemarsi per la vita. E non guardarmi così, è un fatto
scientificamente provato.» Reginaldo alzò gli occhi al cielo, senza rispondere.
Uno degli svantaggi di lavorare per un uomo dalla personalità dirompente quanto
quella del signor Wonka era che raramente si riusciva ad avere la meglio
durante un dibattito. «Non accetterò mai di dividere la mia vita con una
persona incapace di amarmi per l'uomo che sono. Senza contare il figlio che
potrebbe mai venir fuori da una simile unione. No, mi rifiuto di condannarmi ad
un tale supplizio. I Biglietti Dorati mi sembrano una soluzione ragionevole. E
se disgraziatamente anche l'ultimo dovesse essere trovato da un completo
idiota, penseremo a qualcos’altro.» Considerando chiusa la questione, Willy
lasciò l'ufficio per il consueto giro di controllo dello stabilimento,
malvolentieri seguito da Reginaldo, sempre più convinto che la trovata dei Biglietti
Dorati non avrebbe portato altro che guai.
*
«Forza, Charlotte, aprila!» insistette nonna Josephine
battendo le mani con allegria, uno stato d'animo che aveva abbandonato tutti
loro da molto tempo, ma che ogni rara volta che si presentava ringiovaniva il
volto della donna di almeno vent'anni.
«Avanti, nell'attesa potrei morire!» calcò la mano nonna
Georgiana, da sempre la pessimista della famiglia.
«Andrà a male, se non ti sbrighi» la avvertì nonno George,
come sempre il più pragmatico del gruppo.
«E non guardarmi così, signorina. Non è stata affatto una
mia idea.»
«E ti aspetti che ti creda, nonno Joe?» replicò Charlotte,
agitando la tavoletta di cioccolato come un'arma in direzione del vecchietto.
«Sei tu il solo ad avere una mente criminale, in questa casa.»
«Mente criminale o meno, quella tavoletta è tua, e devi
aprirla. Non leggi i giornali, tesoro? È rimasto un solo Biglietto Dorato in
tutto il mondo! Non sarebbe meraviglioso se a trovarlo fossi proprio tu?»
«Tu sogni, nonno Joe. Hai una vaga idea di quante persone ci
siano al mondo, e di quante probabilità ciascuna di esse abbia realmente?»
«Oh, smettila con la matematica! Sono tuo nonno, e ti ordino
di scartare quella tavoletta di cioccolato!» insisté lui, balzando in piedi con
una straordinaria agilità.
Alzando gli occhi al cielo, Charlotte si preparò ad
obbedire, sapendo che non avrebbe avuto pace finché non avesse lacerato quella
carta. Successe una cosa strana, mentre stringeva tra le dita i lembi della
confezione e si preparava a separarli: nel suo cuore fiorì una strana
sensazione, quasi una speranza. Erano anni, ormai, che aveva rinunciato ad ogni
sogno, convinta com'era che ognuno dovesse concentrarsi unicamente sul presente
e impegnarsi per sopravvivere, ma le parole di nonno Joe avevano smosso qualcosa
nel suo giovane cuore reso freddo e realista dalle avversità della vita. Per un
istante, Charlotte sperò che quel lucido incarto rosso nascondesse uno dei
famigerati Biglietti Dorati, che nel corso degli ultimi due mesi sembravano
aver scatenato un vero e proprio caso mondiale. Chiuse gli occhi, scacciando il
pensiero, e senza pensarci troppo su tirò forte, strappando la carta. Quella
che le cadde in grembo era una normalissima tavoletta di cioccolata – anche se
era cioccolato Wonka, quindi proprio normale non poteva dirsi. «Nessuna
sorpresa, direi» sorrise, guardando l'incarto vuoto. «Non ci aspettavamo
davvero uno di quei biglietti, giusto?» scherzò, ma l'espressione sconfitta
dipinta sul volto dei nonni mostrava ben altra realtà: i quattro anziani ci
avevano davvero creduto, avevano davvero sperato che il loro sguardo
incontrasse il luccichio di uno di quei fantomatici tagliandi. «Guardiamo in
faccia la realtà» riprese, alzandosi lentamente. «Ci sono qualcosa come sette
miliardi di persone al mondo, e soltanto cinque Biglietti Dorati. Volendo
mettere la cosa su un piano razionale, le possibilità che io ne trovi uno, che
chiunque in questa stanza ne trovi uno, sono davvero minime. Soprattutto
considerando che...»
«...che siamo poveri e non possiamo permetterci di comprare
tonnellate di tavolette Wonka?» completò nonno Joe, il solo ad avere il
coraggio di dar voce a ciò che tutti stavano pensando.
«Bisogna ammettere che in certi casi disporre di molto
denaro aiuta. Ma poi, chi lo vuole quel biglietto? Scommetto che dà un
saporaccio al cioccolato. E poi non si vince nemmeno un premio utile» aggiunse,
scrollando le spalle.
«Una visita alla fabbrica di Willy Wonka ti pare una cosa
inutile?» protestò nonno Joe, alzando la voce come poche volte gli era capitato
di fare. «Ragazza mia, vedere l'interno di quella fabbrica potrebbe essere
l'esperienza più esaltante della tua vita! Una visita alla fabbrica di
cioccolato più straordinaria del mondo e una fornitura di dolciumi per tutta la
vita non ti sembrano un premio abbastanza buono?»
«Non quanto lo sembrano a te, nonno» replicò lei, senza
perdere la calma. «Visitare la fabbrica vorrebbe dire perdere una giornata di
lavoro. Senza contare poi che con tutti quei dolci finiremmo con il rovinarci i
denti. Credo di parlare a nome di tutti quando dico che non abbiamo fondi per
permetterci cure dentistiche adeguate.» Nonno Joe abbassò lo sguardo,
sconfitto: tutto ciò che aveva sempre desiderato era dare un futuro migliore
alla nipote, e ora per la prima volta si rendeva conto di avere fallito.
«Senti, nonno» riprese lei, inginocchiandosi di fronte all'uomo, «ammetto che
un po' dispiace anche a me. So che sarebbe meraviglioso poter visitare la
fabbrica e conoscere di persona il signor Wonka, ma... non dobbiamo permettere
a questo sogno di soppiantare tutto il resto. So che non vorresti mai e poi mai
sentirmelo dire, ma... non possiamo permetterci di sognare.»
*
Quella sera, rinchiuso nel buio della propria stanza, Willy
non poté impedirsi di tornare con la mente alla conversazione intrattenuta quel
mattino con Reginaldo. Certo, considerando che i primi quattro Biglietti Dorati
erano finiti nelle mani di quattro potenziali idioti non c'era da aspettarsi
che il quinto subisse una miglior sorte – tuttavia, gli piaceva sperare che la
fortuna decidesse di assisterlo ancora una volta. In fondo, non gli sembrava di
domandare qualcosa di impossibile: tutto ciò che chiedeva era che l'ultimo
Biglietto Dorato finisse tra le mani di una persona capace di sognare, una
persona che non avesse timore di coprirsi gli occhi e fare un passo nell'ignoto
– una copia di ciò che era stato lui all'inizio di quella grande avventura,
insomma. Ma forse lui era l'ultimo sognatore al mondo, l'ultimo grande
romantico disposto a sacrificare la vita per dar vita ad un'illusione.
Guardò la fotografia incorniciata che teneva sul comodino,
ed il sorriso sincero della madre gli rispose da un passato lontano ma
difficile da dimenticare. Era sempre stata lei a spingerlo verso i suoi sogni,
a ripetergli che sarebbe potuto diventare chiunque avesse voluto, che avrebbe
potuto avere tutto ciò che avesse desiderato; era stato soltanto per amor suo
se non si era mai arreso, se aveva continuato a lottare anche quando ogni
speranza sembrava perduta, anche quando si era trovato con le spalle al muro,
perso, privo di motivi per proseguire nel proprio cammino. Lei era stata con
lui in ogni momento buio e in ogni giorno di luce, sempre pronta a rassicurarlo
e spingerlo in avanti, fino a consegnargli il suo più grande sogno. Ora più che
mai avrebbe voluto riaverla indietro, sentire ancora la sua voce e la sua mano
dolcemente poggiata sulla testa, impegnata a ravviargli i capelli e dargli il
coraggio di non perdere mai la speranza. Willy Wonka aveva quarant'anni e
quella sera, solo nel buio della propria stanza, si sentiva più solo e piccolo
che mai.
*
Erano passate due settimane dal tentativo dei nonni di farle
trovare l'ultimo Biglietto Dorato, e da quel momento Charlotte non aveva più
pensato all'accaduto – o almeno, aveva cercato di pensarci il meno possibile.
Non era stato molto difficile, considerando quanto la impegnassero il lavoro e
le faccende quotidiane, soprattutto quando il raffreddore di nonna Georgiana si
era ripresentato, scatenando di nuovo nella vecchina il terrore di lasciare la
vita terrena. Di rado aveva pensato alla prospettiva di visitare la fabbrica
Wonka – salvo ogni notte prima di addormentarsi, ogni mattina quando passava
davanti ai cancelli per andare al lavoro, e di conseguenza ogni sera, quando
ripercorreva la medesima strada per ritornare a casa.
L'ultima mattina di settembre, partita qualche minuto prima
del necessario, si prese un momento per fermarsi davanti all'alto muro di cinta
che circondava lo stabilimento. Chiudendo gli occhi ed inspirando forte, poteva
quasi sentire i vari aromi raggiungerle la gola, saziandola quanto un quadretto
dello splendido cioccolato tanto osannato dal resto del mondo. Per la prima
volta dopo molto tempo tornò a domandarsi quale volto avessero gli operai che lavoravano
oltre quelle mura, e soprattutto come riuscissero a raggiungere la fabbrica
sfuggendo agli occhi del mondo esterno. Poi, inaspettatamente, si domandò quale
volto avesse il signor Wonka: la sola immagine che conoscesse di lui
corrispondeva ad una fotografia vecchia di vent'anni nella quale appariva come
un giovane dagli occhi vispi, elegante e distinto come un gentiluomo d'altri
tempi. Ma Charlotte non si illudeva che il tempo non avesse cambiato anche lui,
in qualche modo: in fondo ormai doveva essere sulla quarantina, e sicuramente
nessun uomo di quell'età poteva corrispondere perfettamente ad un ricordo di
vent'anni prima. Di certo doveva essere stato un giovane ben fuori
dall'ordinario, per essere riuscito a creare dal nulla un impero tanto solido.
«Ma di certo deve essere matto come un cavallo» sussurrò tra sé e sé,
riprendendo a camminare. «Soltanto un matto licenzia tutti i dipendenti perché
qualcuno è stato pagato per fare la spia.»
Un uomo la superò di corsa, e nell'atto di tirar fuori la mano
dalla tasca fece cadere a terra una moneta. Charlotte la raccolse, e
accorgendosi che si trattava di una sterlina nuova di zecca lo richiamò.
«Signore, ha perso questa!»
Voltatosi al richiamo, l'uomo scrollò le spalle. «Tienila
pure!» esclamò, continuando ad allontanarsi.
Charlotte guardò a lungo la moneta, chiedendosi come sarebbe
stato essere una di quelle persone che potevano permettersi di perdere una
sterlina intera senza subire un grave danno. Dopo un istante mise la moneta al
sicuro nella tasca del cappotto liso e riprese la marcia. La tenne in tasca per
tutto il giorno, e aveva quasi dimenticato di averla con sé quando, tornando a
casa dopo la fine del turno, transitò davanti al negozio di dolciumi più
fornito di tutto il quartiere, la Bottega dei Dolci del signor Sweets. Nel
medesimo istante in cui il suo sguardo stanco incrociò la vetrina del negozio,
la moneta parve quasi bruciarle nella tasca, come animata da un incantesimo,
ricordandole la sua presenza. Charlotte la prese e la fissò a lungo, combattuta
tra il pensiero di correre a casa e metterla al sicuro e l'istinto di entrare
per comprare qualcosa. Alla fine prevalse l'istinto, e ancor prima di
rendersene conto stava già spingendo il battente della porta. «Stiamo per
chiu... oh, ma che piacere vederti!» la salutò l'anziano proprietario, un uomo
rubicondo che ricordava sotto molti aspetti Babbo Natale. «Io ti conosco,
signorina. Tu sei Charlotte Bucket, la figlia di Andrew. Era tuo padre che si
occupava di consegnarmi la merce, quando ancora lavorava alla fabbrica Wonka.
Ma tu non ti ricorderai di me, eh? Eh, ne è passato di tempo... allora, dimmi,
in che cosa posso aiutarti?»
«Una tavoletta di Cioccocremolato Delizia Wonka al
Triplosupergusto, prego» rispose lei, facendo scivolare la moneta sul ripiano
lucido, ricordando quanto le fosse piaciuta quella che i nonni le avevano
regalato nella speranza di renderla la vincitrice dell'ultimo Biglietto Dorato.
«Ecco a te, cara» rispose l'uomo, porgendole il cioccolato e
avvicinandosi alla cassa per prendere il resto.
«Grazie» rispose in fretta lei, animata dall'irrefrenabile
impulso di scartare immediatamente il dolce per ficcarsene in bocca un grosso
pezzo.
«Vacci piano, tesoro, finirai per strozzarti» scherzò lui,
lasciando il resto sul bancone. «Ne avevi proprio bisogno, dico bene?»
aggiunse, fissandola al di sopra degli occhiali dalla forma squadrata. «Era da
parecchio tempo che non ti vedevo in giro. So che non ve la passate molto bene,
da quando...» Lasciò morire la frase, certo che ricordarle i dolori passati non
sarebbe stata una buona idea. «Se aveste mai bisogno di qualcosa, non hai che
da venire qui e chiedere. Conoscevo bene i tuoi genitori, mi dispiacerebbe
sapere che siete nei guai.»
«La ringrazio molto, signor Sweets» rispose lei, abbassando
lo sguardo. «Ma non ce ne sarà bisogno, le cose non vanno poi tanto male.»
«Ma certo che no» replicò lui, senza credere ad una sola
parola. Esattamente come suo nonno Joe, Charlotte era una pessima bugiarda.
«Porta i miei saluti ai tuoi nonni, e passa una buona serata.»
«Grazie molte, una buona serata anche a lei.» Charlotte fece
per prendere il resto, ma la vista delle monete le fece balenare in testa
un'altra folle idea. «Signore, crede che potrei averne un'altra? Per i miei
nonni» precisò, sentendosi in colpa al pensiero di risultare tanto ingorda.
«Ma certo che puoi. Quel Wonka, che tipo» aggiunse, porgendole una
tavoletta identica alla prima. «Per due mesi la gente non ha fatto altro che
comprare i suoi prodotti, con quella storia dei cinque Biglietti Dorati. Una
bella trovata pubblicitaria, ecco cos'è secondo me. Anche se, detto tra noi,
non avrebbe proprio bisogno. Da quando ha aperto la sua fabbrica, gli altri
pasticcieri non hanno avuto più speranze. Prodnose, Slugworth, tutti quelli che
avevano più successo... da quando è arrivato lui, nessuno ha più mangiato altro
se non i prodotti Wonka. Un mago, ecco cos'è.»
«Bravo lo è di certo. Non ricordo di aver mai assaggiato una
cioccolata migliore.»
Il signor Sweets sorrise, pensando che tra tutti i bambini
di Londra Charlotte Bucket era sicuramente stata l'unica a non avere mai
nemmeno una carie ai denti. «Chissà che ne è stato di quell'ultimo Biglietto
Dorato. Pare che nessuno finora l'abbia trovato, e non è che resti molto tempo.
Il primo ottobre è domani» aggiunse, indicando il calendario appeso alle
proprie spalle.
«Ci vorrebbe una bella fortuna, certo» replicò Charlotte,
infilandosi la seconda tavoletta di cioccolato in tasca. «Ora devo andare, i
nonni si staranno preoccupando per me. Buonasera, signor Sweets. E buona
fortuna per gli affari!»
«Buonasera a te, Charlotte! E buona fortuna per la vita»
aggiunse in un sussurro, non appena la porta si fu richiusa dietro di lei.
Charlotte finì la tavoletta in pochi bocconi, piangendo
lacrime di gioia e di rabbia nel sentire la cioccolata scenderle in gola e
finirle nello stomaco. Si pentiva amaramente della propria debolezza, ben
sapendo quanto fosse importante per la famiglia ogni singolo penny risparmiato;
ma sapeva anche che ormai ciò che era fatto era fatto, e non poteva certo
tornare indietro nel tempo per impedirsi di entrare nel negozio. Continuò a
camminare con le mani infilate nelle tasche e la testa bassa per ripararsi dal
vento, finché non si trovò di nuovo a costeggiare i cancelli della fabbrica.
Alzò gli occhi verso la costruzione, rallentando il passo fino a fermarsi.
Sentì nuove lacrime farsi strada dietro le ciglia ancora umide, perché per un
momento ci aveva di nuovo creduto, aveva di nuovo sperato che dietro la carta
lucida si nascondesse l'oro del quinto biglietto. Ma ancora una volta la realtà
aveva azzoppato le sue speranze, precipitandola di nuovo nel baratro che
attende tutti coloro che si ostinano a vivere nel mondo dei sogni.
Stava per riprendere a camminare, quando percepì la forma
della seconda tavoletta nella tasca sinistra del cappotto, così grande ed
ingombrante che sembrava non domandare altro che essere spostata di lì. Ancor
prima di rendersene conto la stava tenendo tra le mani, e con la punta delle
dita stava tormentando una delle estremità dell'incarto. Chiuse gli occhi
mentre strappava l'involucro, e ciò che vide quando li riaprì le fece mancare
il fiato: lì davanti a lei, comodamente adagiato sul retro di una gustosa
tavoletta di cioccolato, l'ultimo dei Biglietti Dorati restituiva il suo
sguardo.
*
Seduto nella propria stanza, Willy Wonka teneva lo sguardo
fisso sul grande orologio a pendolo acquistato durante un viaggio in Baviera.
Quando le due lancette si unirono sulla cifra più alta, scosse la testa,
avvicinandosi alla finestra. Era appena scoccata la mezzanotte del primo
ottobre, e nessuno aveva trovato il quinto Biglietto Dorato. Ciò significava
che il mattino seguente gli sarebbe toccato accompagnare in giro per la propria
fabbrica quattro stolti che nemmeno in un milione di anni sarebbero riusciti a
comprendere la bellezza di ciò che avrebbero visto. Quasi quasi, il consiglio
di Reginaldo di cercarsi una moglie gli sembrava una proposta accettabile.
Ma un attimo prima di voltarsi e mettersi a letto, qualcosa
catturò la sua attenzione: gli era sembrato di vedere uno strano luccichio giù
in strada, un bagliore dorato che gli fece tremare il cuore. Era quasi sicuro
che quello sprazzo di luce provenisse dall'ultimo, introvabile Biglietto
Dorato. Non poteva esserne del tutto certo, ma qualcosa gli diceva che in
quella strada deserta, poco oltre il confine della sua fabbrica, ci fosse
l'ultimo dei fortunati vincitori. Provò a strizzare gli occhi per vederci più
chiaro, ma l'eccessiva distanza e il buio della notte non aiutavano, non
permettendogli nemmeno di capire se si trattasse di un uomo o di una donna.
Tutto ciò che riuscì a percepire fu che la misteriosa figura si allontanò
rapida lungo la via, diretta verso il quartiere più povero della città, quello
che ormai era formato principalmente da magazzini e rimesse, più che da vere
abitazioni. Si chiese chi mai potesse ancora abitare in quella periferia così
degradata, e subito si rispose che di certo non si trattava di qualcuno
abituato a soddisfare ogni minuscolo capriccio.
Quella sera Willy Wonka si mise a letto con il cuore gonfio
di speranza, felice come non si sentiva più da tanto tempo: forse non tutto era
perduto. Forse al mondo esisteva ancora quell'unica persona buona che tanto
aveva sperato di trovare. Quel che era certo era che mancavano appena dieci ore
al momento in cui le avrebbe stretto la mano.
*
«Charlotte, finalmente!» esclamò nonna Josephine, portandosi
una mano al cuore.
«Iniziavamo a pensare che avessi avuto un incidente»
borbottò nonna Georgiana.
«Dovresti smetterla di rincasare così tardi» la ammonì nonno
George.
«Ti abbiamo lasciato la cena in caldo» sorrise nonno Joe,
abbassando il giornale. «Devi avere una gran fame, dopo aver lavorato così
tanto.»
«Lascia perdere la cena, nonno Joe!» replicò svelta la
ragazza, con il fiato corto e le guance rosse per aver percorso l'ultimo
chilometro quasi di corsa. «L'ho trovato! Ho trovato l'ultimo Biglietto
Dorato!»
«Ma non farci ridere» la rimbrottò nonna Georgiana. «Eravamo
con te quando hai scartato quella tavoletta, l'abbiamo visto tutti che non
c'era niente.»
«Ti sembra uno scherzo da fare a quattro poveri vecchi come
noi?» scosse la testa nonno George.
«Non è affatto uno scherzo, ve lo assicuro!» replicò lei.
Per tutto il tempo aveva tenuto la tavoletta stretta al petto, sporcando il
cappotto di cioccolato. «Guardate, è qui!» aggiunse, mostrando il bottino a
quattro paia d'occhi increduli. «Questa mattina ho trovato una moneta andando
al lavoro, e mentre tornavo a casa sono passata davanti al negozio del signor
Sweets, e... non lo so, mi è venuta la folle idea di entrare. Nella prima
tavoletta non c'era niente, poi ne ho comprata una seconda, sono uscita, e
mentre passavo davanti alla fabbrica ho avuto l'idea di aprirla, e lui era lì!
L'ho trovato, capite? Con tutte le persone che avrebbero potuto trovarlo,
io...»
«Forse lo volevi più di chiunque altro, tesoro» le sorrise
nonno Joe, alzandosi per abbracciarla. «Sono così felice per te, mia cara. Lo
meriti davvero. Lo meriti più di chiunque altro.»
«Forse dovrebbe andarci uno di voi» disse all'improvviso la
ragazza, guardando a turno i nonni. «Io non posso assentarmi dal lavoro senza
preavviso, sicuramente avrò dei...»
«Non è un'opportunità che ti capiterà di nuovo, tesoro» la
interruppe nonna Josephine.
«Non crollerà certo l'albergo, se manchi per un giorno»
aggiunse nonno George.
«E che diavolo, non ti sei presa un solo giorno di vacanza
in quattro anni!» concluse nonna Georgiana.
«Nessuna protesta, Charlotte» sussurrò nonno Joe,
accarezzandole il viso con una mano rugosa. «Il biglietto è tuo, dunque tuo è
il premio. E poi che se ne farebbe Willy Wonka di un vecchio roseto
spelacchiato, quando può avere un fresco bocciolo?» Sul punto di scoppiare
nuovamente in lacrime, Charlotte lo strinse in un forte abbraccio, tra i
bisbigli eccitati degli altri nonni. «Su, ora lasciami andare e corri a
dormire. Devi riposare, domani sarà un giorno importante. Sveglia alle otto precise,
una buona colazione, doccia, vestiti puliti, e per le dieci sarai davanti a
quei cancelli!»
1 Non è troppo presto per sognare | Il titolo del
capitolo è ispirato a un verso della canzone Mary Queen of Arkansas di Bruce Springsteen, contenuta nell’album The Wild, The Innocent & The E Street
Shuffle (1973).
2 Spinners’s End | Omaggio alla
saga di Harry Potter: nei libri,
Spinner’s End è il villaggio natale di Severus Piton.