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Autore: Farkas    29/11/2022    1 recensioni
[Il commissario Ricciardi]
One-shot ambientata subito dopo la conclusione del dodicesimo romanzo della saga "Il pianto dell'alba".
Livia ormai si è arresa: Ricciardi non l'ha mai amata e non la amerà mai, e dato il complotto di cui sarebbe rimasta vittima se non fosse stato per il commissario decide di lasciare l'Italia per rifugiarsi in Argentina.
Uno sguardo ai pensieri e alle emozioni dell'ex-cantante che dopo tre anni in cui ha lottato per conquistare l'amore del tenebroso poliziotto ha capito di dover accettare la sconfitta.
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Un cuore spezzato'
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Il pianto di Livia

 
Qualche volta ci aveva già pensato, ma ora era arrivato il momento di farlo davvero. Ormai non aveva più niente da fare in quella città, così dopo aver ringraziato Clara e Arturo per non averla abbandonata dopo l’arresto, Livia Lucani vedova Vezzi si era messa a fare le valige.
Dovendo partire all’alba avrebbe portato con sé solo l’indispensabile. Il resto se lo sarebbe fatto spedire a Buenos Aires o l’avrebbe comprato lì non appena avesse trovato una sistemazione stabile.
Poche ore al massimo e avrebbe lasciato, probabilmente per sempre la casa che era stata sua per tre anni. Tre anni. Per tanto tempo aveva tentato inutilmente di far innamorare di lei Luigi Alfredo Ricciardi, commissario presso la Regia Questura di Napoli.
Quella casa che aveva pensato sarebbe stata parte del suo nuovo inizio sarebbe stata legata per sempre a numerosi ricordi spiacevoli, e a ben poche memorie felici.
Era stato in quella casa, in quel letto su cui aveva appoggiato le valige che si apprestava a riempire l’unica volta che aveva avuto Ricciardi. Lo aveva avuto febbricitante e disperato il cielo solo sapeva perché. Era forse il più bel ricordo legato a quella sua dimora, eppure era velato dall’amarezza che le suscitava il pensiero che l’unica volta in cui era stata con Ricciardi non avrebbe potuto significare niente.
Le visite di Falco, prima seccanti e poi inquietanti, il ricevimento a cui Ricciardi non era venuto, le lacrime sparse sul cuscino a chiedersi perché l’unico uomo che dopo tanto tempo fosse riuscito a farle battere il cuore fosse tanto restio ad aprirsi con lei… tutto questo roteava nelle mente dell’ex-cantante, mentre vestiti da viaggio e biancheria entravano a tutta velocità nella prima valigia. Per salvare le apparenze, forse avrebbe dovuto portarsi anche qualche vestito elegante. Tuttavia una volta arrivata a Buenos Aires, non aveva intenzione di dare ricevimenti e feste come aveva fatto a Napoli, né di cercare di inserirsi nella vita sociale della città. Non subito almeno. Per un po’ di tempo avrebbe pensato solo a lei, a godersi un po’ di tranquillità in cui avrebbe provato a ricomporre il suo cuore spezzato.
La prima frattura c’era stata poco prima della prima Pasqua passata in città, quando si era inserita in una conversazione tra Ricciardi e il dottor Modo e lui, probabilmente seccato dalla sua intrusione aveva fatto un riferimento alquanto sgarbato alle sue amicizie altolocate. Lei che amava credersi una donna decisa e sicura di sé, si era ritrovata in lacrime a causa di un commento sgarbato. Non poteva sopportare di venire maltrattata da colui che il suo cuore idolatrava, dato che la cosa implicava che la sua presenza gli fosse sgradita.
Già quella volta aveva pensato che fosse il caso di rassegnarsi e tornarsene a Roma. E adesso avrebbe voluto averlo fatto.
In fondo aveva avuto ben pochi momenti di felicità con Ricciardi da quando lui era venuto a chiederle scusa per quel commento acido, fino alla notte di metà settembre in cui era finito tutto. La notte in cui si era offerta al commissario e lui l’aveva rifiutata.
Il solo ricordo le fece sentire di nuovo l’amaro in bocca. Quella notte, che lei aveva creduto sarebbe stata quella in cui avrebbe coronato il suo sogno d’amore e avrebbe dato l’inizio a una nuova vita era stata invece la fine delle sue speranze.
Non c’era stato solo il dolore per essere stata respinta, malgrado fosse stato tremendo, ma anche il senso di umiliazione subito dopo che la sua dignità di donna era stata ferita a sangue.
E anche in quel caso non aveva avuto la forza di tornarsene a Roma incassando il rifiuto con dignità. In quel caso, Manfred in quel momento sarebbe stato ancora vivo e vegeto. Quanto a Falco… boh, forse avrebbe trovato un altro modo per sorvegliare il povero maggiore, ma considerato che era riuscito a salvarsi dall’accusa di pederastia che lei gli aveva lanciato contro in preda ai fumi dell’alcool, dubitava sarebbe davvero riuscito a danneggiare Ricciardi in modo da tenerlo lontano da quell’altra.
Povero Manfred. Livia non lo amava e lui non aveva mai amato lei, ne era certa, ma era un brav’uomo a cui si era sinceramente affezionata e che non meritava una fine del genere.
Livia ripensò alla gioia che le aveva dato la notte d’amore col commissario e non poté fare a meno di chiedersi, se nel delirio della febbre aveva creduto che con lui ci fosse la donna che poi avrebbe sposato. Perché lei, Livia Lucani vedova Vezzi, una delle donne più belle del paese era stata battuta da una rivale in amore.
“Che cos’ha lei che io non ho? Che cos’ha più di me?”.
Nell’ultimo anno si era fatta questa domanda decine di volte. Enrica Colombo non era né bella, né ricca come lei. Quindi, perché il tenebroso commissario aveva scelto lei? Non era un sostenitore del regime, ma il cognato di quella donna invece sì, quindi non c’entravano neanche le sue amicizie altolocate.
Ma in fondo era stata lei stessa a dirlo a Ricciardi durante il primo Natale passato in città: ci si innamora e basta, senza bisogno di avere un motivo. E Ricciardi si era innamorato di Enrica, non di lei. Aveva lottato con tutte le sue forze per conquistarlo e aveva perso.
Se pensava che aveva quasi rischiato di farlo deportare dopo il suo definitivo rifiuto… il senso di colpa l’aveva tormentata per giorni. Era disperata ed ubriaca, ma non avrebbe dovuto farfugliare quel suo sospetto a Falco.
Falco che si era innamorato di lei. Falco che l’aveva ricattata e minacciata. Falco che capito di non poterla avere, l’aveva usata e poi gettata via. Evidentemente gli uomini stavano imparando a farlo si disse con amara ironia mentre riponeva un cappello nella valigia e la chiudeva.
Era stata la speranza, la maledetta speranza che prima o poi Ricciardi accettasse il suo amore a farle ingoiare tutti quei rospi, a spingerla a rimanere ogni volta, ignorando i consigli e il proprio buonsenso.
Ormai i bagagli erano fatti, tanto valeva andare al porto. Ogni minuto passato in quella città, anzi in quella nazione, per lei era un rischio inutile. Chiamò Arturo e si fece portare i bagagli in auto.
A quel punto se ne sarebbe andata comunque, anche se non avessero cercato di incastrarla per l’omicidio di Manfred, si disse mentre chiudeva la porta di quella casa, chiedendosi se ci sarebbe mai tornata. Non aveva la forza che aveva avuto quell’altra donna Bianca Borgati marchesa di Roccaspina, di incassare il rifiuto di Ricciardi e accontentarsi di rimanergli amica. Ricordò il tremendo dolore di quando l’aveva visto ballare con lei e sorriderle. Si chiese se anche quella donna avesse avuto il cuore spezzato sapendo del matrimonio del commissario. Forse no, ma guardandoli con gli occhi della donna gelosa era stata certa che anche lei provasse qualcosa per il tenebroso barone di Malomonte.
Forse quei tre anni a Napoli non erano stati uno spreco totale, considerato che si era fatta degli amici sinceri. Clara e Arturo, certo, ma anche il medico e il brigadiere.
Mentre Edda che per lei era come una sorella, forse l’aveva tradita e usata. Livia voleva credere che non fosse così, ma non avrebbe mai potuto averne la certezza. E quindi molto meglio fuggire da quel paese dominato più dal padre di Edda che dal re.
Non avrebbe mai più rivisto Falco. Almeno quello.
Mentre saliva in auto Livia non poté non ricordare quella visita, in cui l’agente le aveva detto irato che aveva fallito sia nell’obiettivo affidatole da lui, che in quello che si era prefissa da sola dato che Ricciardi aveva chiesto la mano della Colombo e che lei gliel’aveva concessa.
Dopo aver sentito quelle parole, l’ex-cantante si era sentita morire. I suoi piedi erano svaniti da sotto di lei e lei si era ritrovata sul divano stordita a fissare le labbra di Falco muoversi senza capire una parola di quello che diceva. Rimasta sola aveva pianto, oh, quanto aveva pianto. E aveva bevuto, bevuto, bevuto…
Aveva bevuto parecchio anche il giorno prima del matrimonio di Ricciardi. Un’altra occasione in cui si era comportata in modo patetico e meschino: aveva atteso il moro all’uscita dal lavoro e lo aveva placcato in mezzo alla strada esibendosi in una scenata da pescivendola, che aveva terminato prendendolo a schiaffi e urlandogli che non l’avrebbe certo buttata via così. E invece l’aveva proprio buttata via. Sapeva benissimo che se non fosse successo quel che era successo, non l’avrebbe mai cercata. E in fondo perché mai avrebbe dovuto?
Le strade di quella città che aveva imparato ad amare così tanto scorrevano dal finestrino. Forse, avrebbe potuto guardarle e cercarle di imprimersele meglio nella memoria, ma non ne aveva voglia. L’unica cosa che voleva fare era piangere, e difatti le lacrime scorsero copiose dai suoi occhi e avrebbero continuato a farlo per un bel po’. Ormai si era rassegnata, ma questo non aveva aiutato a lenire il suo dolore. Le pareva che il cuore le dolesse a ogni singolo battito.
-Signora, tutto bene? - chiese esitante Arturo che tradotto voleva dire: “Mi spiace tanto che stiate male”.
-Tutto bene, grazie. Manca molto al porto? – che ovviamente significava: “Sto malissimo e nessuno ci può fare niente. Non vedo l’ora di andarmene da questa città”.
-Arriveremo tra una mezz’ora-.
-Bene- rispose Livia. Logicamente sapeva di non avere nessun vero motivo per avercela con Ricciardi né poteva dire che si fosse comportato male con lei: le aveva detto e ridetto di avere un’altra donna in mente, glielo aveva ripetuto fin da quando si erano conosciuti, ma lei era stata sicura che prima o poi gliel’avrebbe fatta dimenticare. Invece non ci era riuscita, ma certo non era colpa di Ricciardi. Eppure una parte di lei lo odiava almeno quanto tutto il resto di lei lo amava. Ma era un amore inutile: per lui non esisteva che quella Colombo, ormai erano marito e moglie e lei stava addirittura per dargli un figlio. Ricciardi l’avrebbe dimenticata entro pochi mesi, poco ma sicuro.
A quel pensiero Livia sentì una stretta al cuore. Ma rimanere sarebbe stato inutile e pericoloso. E ormai aveva capito che anche se per miracolo Enrica fosse morta in quel preciso istante, ciò non avrebbe voluto dire che lei avrebbe potuto avere Ricciardi.
Finalmente Arturo rallentò e si fermò. Livia scese dall’auto e l’autista le prese le valige, per poi accompagnarla al molo prescelto.
-Voglio solo dirti ancora una volta che sei stato un ottimo autista e che apprezzo molto che tu abbia aiutato Ricciardi- fece Livia senza fermarsi. Aveva dato un po’ di soldi sia a lui che alla cameriera e scritto a entrambi ottime referenze, ma le pareva comunque poco.
-Voi siete sempre stata buona con me. Mi sono comportato di conseguenza- rispose l’uomo. Gli dispiaceva veder partire la signora. Di certo scappava da quel Falco e dagli altri come lui, e faceva bene, ma Arturo avrebbe scommesso che anche il rifiuto del poliziotto e il fatto che si fosse sposato con un’altra fossero stati fattori determinanti di quella decisione. Ammirando per l’ultima volta la figura perfetta di colei per cui aveva lavorato, si chiese come fosse possibile che quell’uomo l’avesse respinta. La donna che poi aveva sposato doveva essere più bella o più ricca della signora, o tutte e due.
Attorno al piroscafo, quell’oggetto immenso che sembrava volesse inghiottire i passeggeri era già accalcata la folla dei migranti.
Livia mostrò il biglietto e venne fatta salire a bordo ed accompagnata nella sua cabina da un giovane marinaio. Dopo aver posato le valige salì sul ponte. Quella città di cui si era innamorata, insieme a Ricciardi, forse non l’avrebbe mai più rivista, quindi desiderava darle almeno un’ultima occhiata.
Il suono della sirena fu la chiamata per gli ultimi ritardatari, che lasciarono dietro di sé passato, amori, parenti e amici e si diressero verso il miraggio di una nuova vita.
Enrica Colombo morì per generare nuova vita nello stesso istante in cui la nave che portava Livia Lucani via da Napoli si staccò dal porto.
E Livia Lucani pianse come tanti che partivano e che restavano. I suoi compagni di viaggio piansero la separazione dalla propria terra e dagli affetti, lei pianse i momenti che lei e Luigi Alfredo Ricciardi avevano condiviso e per tutti quelli che non avrebbero mai condiviso, pianse per un amore che era stato sempre e solo a senso unico. Pianse per le sue speranze perdute e per il suo cuore spezzato. Pianse la morte di Manfred e la fine della sua amicizia con Edda, e il suo pianto echeggiò nell’alba in sincronia perfetta con quello di Marta Ricciardi che si affacciava alla vita.
 
 
 

ANGOLO DELL’AUTORE

 
Salve! Spero vi sia piaciuto questa piccola espansione dell’addio di Livia a Napoli e al suo sogno d’amore. Ci tenevo a scrivere qualcosa sul mondo del commissario Ricciardi e ho pensato che fosse bello pubblicare questa one-shot oggi che è uscito nuovo libro di Ricciardi. S’intitola “Caminito” ed ambientato nel 1939, cinque anni dopo “Il pianto dell’alba”.
Un piccolo estratto rilasciato dall’autore potrebbe preludere a un ritorno di Livia, ma in fondo chi lo sa? Credo che almeno per ora però in questa seconda serie, il ruolo del personaggio femminile principale lo avrà Bianca.
Comunque non capisco perché praticamente ogni volta che in un triangolo amoroso qualcuno sia diviso tra una persona ricca e una normale, scelga sempre la persona normale. Anche i ricchi possono avere diritto a qualcosa che il denaro non può comprare. Oltretutto Livia mi piace abbastanza come personaggio, malgrado qualche scivolone.
Spero di ritrovarvi numerosi nelle recensioni!
  
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