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Autore: Sally0204    06/12/2022    12 recensioni
“Sei un buon ascoltatore Wakabayashi, spero però di non averti annoiato. Mi sa che non ami molto parlare di te. Deve essere vero quello che si dice in giro che sei blindato come un carro armato…”
“E chi lo direbbe, scusa?” si finse offeso.
Ancora un bellissimo sorriso: “Beh, un po’ tutti. Ma c’è anche chi ti difende a spada tratta, tranquillo! Sanae dice che se si passa la corazza, la ricompensa è un’anima splendida”.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Il colore del grano'
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Spalancò la porta mangiafuoco che dava sulla terrazza. Aveva bisogno di respirare aria fresca, di allontanarsi dal rumore, dalla musica, dalle chiacchere, da tutta quella felicità. Troppo, troppo per lui.
 
Una delle coppie storiche della nazionale aveva deciso di dare una festa per annunciare l’imminente matrimonio e di fissarla proprio un paio di giorni prima dell’inizio del ritiro che avrebbe preceduto due importanti partite, valide per la qualificazione alla prossima coppa d’Asia. A seguire ci sarebbero state le vacanze di Natale.
 
Si chiese ancora una volta perché avesse accettato quell’invito, invece di rifilare ai due futuri sposi una delle solite scuse. Sanae. Era colpa sua. Lo aveva pregato, supplicato, infine, minacciato, in pratica costretto. Era impossibile per lui dirle di no. Aveva trascorso a Barcellona qualche giorno e poi era rientrato in Giappone con lei e Tsubasa per la festa e per il ritiro. Era a casa Ozora che si rifugiava ogni volta che le cose nella sua vita prendevano la piega sbagliata. Cosa che ultimamente succedeva con una frequenza eccessiva. Una epicondilite, che non gli dava tregua da mesi e gli consentiva di giocare solo a singhiozzo le partite del campionato tedesco, lo aveva tenuto lontano dal campo nelle ultime quattro settimane. Una tortura per il suo umore. Sperava di ottenere il nullaosta dal medico della nazionale almeno per la partita contro la Corea.
 
Quel pomeriggio aveva litigato, di nuovo, con suo padre, tornato alla carica per chiedergli di prendersi più responsabilità all’interno dell’azienda di famiglia. Anche con Christel le cose non andavano bene e di sicuro non per colpa della ragazza. Ma al suo ennesimo rifiuto di portarla ad un avvenimento ufficiale, lei aveva preso le quattro cose (non una di più) che teneva nel suo bagno e se ne era andata sbattendogli la porta in faccia.
 
Respirò profondamente, ingurgitò l’ultimo sorso di whisky che aveva ancora nel bicchiere, fece tintinnare i cubetti di ghiaccio al ritmo della musica che suonava all’interno e poi chiuse gli occhi.

Quando li riaprì un puntino luminoso attirò la sua attenzione: era la brace di una sigaretta. C’era qualcuno sul terrazzo, appoggiato al parapetto in vetro, che stava fumando.
Avrebbe voluto girarsi e andarsene, rintanarsi in un altro angolo da solo. Non aveva voglia di parlare con nessuno. Provò a fare qualche passo nella direzione opposta, ma ad un tratto lei si voltò. Gli sorrise. Un sorriso splendido.

“Pausa sigaretta anche tu?”

“Beh, non proprio. Non le compro. Mi manca solo questo vizio. E poi credo di avere già esagerato con l’alcool per stasera. Più che altro, prendo una pausa dalle dediche romantiche che suonano là dentro, mi sta venendo la nausea.”

“Vuoi fare un tiro? Non lo dirò a nessuno”, gli fece l’occhiolino e allungò il braccio verso di lui.
 
Genzo rimase spiazzato. Tutto si sarebbe aspettato tranne che lei volesse condividere una sigaretta con lui. Ma non seppe resistere. Non seppe resisterle. Si avvicinò, le sfilò la sigaretta dalle dita e aspirò a fondo, una volta, una seconda, poi la schiacciò nel posacenere sul tavolino vicino.

“Non fa un po’ freddo per stare qua fuori vestita così?“

Lei alzò le spalle, come per dire che non le importava, ma gli indicò i grossi funghi riscaldanti nell’angolo della terrazza. Indossava un jumpsuit nero allacciato intorno al collo che le lasciava completamente nuda la schiena e le spalle. Ai piedi un paio di sandali con tacco vertiginoso. I capelli erano raccolti in un morbido chignon e, nonostante il buio, i suoi riflessi ramati brillavano alla luce della luna.
 
Gli sembrò bellissima.

Genzo si appoggiò con la schiena al vetro. Era a pochi metri da lei. Poteva ammirarne il profilo, le labbra colorate di un bel rosso scarlatto. Cercava di incrociare i suoi occhi, leggermente truccati d’argento, ma lei continuava a tenere lo sguardo fisso sulle luci di Tokyo. La vista dalla terrazza panoramica era mozzafiato quella sera: le spettacolari luminarie natalizie donavano alla città un aspetto incantato.

“In quel palazzo, lì difronte, c’è il mio ufficio”.
 
Genzo sapeva di quale palazzo parlasse, lo aveva fissato per tutto il tempo in cui era stato su quella terrazza convinto di essere solo a rimuginare sulle sue rogne. Una delle aziende di suo padre aveva degli uffici al 45° piano. Era lì che suo padre lo immaginava a fine carriera. Ed era lì che aveva avuto luogo la loro ultima, feroce litigata.

“Di cosa ti occupi?”

“Sono un ingegnere. Lavoro nello studio di famiglia. Mio padre e anche i miei due fratelli sono ingegneri. Ho appena terminato un Master di 6 mesi in Ingegneria Ambientale e Risorse della Terra in Italia, a Bologna.”

Questa non se la sarebbe aspettata. Non avrebbe saputo dire cosa si sarebbe aspettato da quella ragazza. Non la conosceva. Era forse la prima volta che le rivolgeva davvero la parola. Forse, se avesse prestato più attenzione alle chiacchere infinite di Sanae, che cercava di tenerlo aggiornato sulla vita privata di tutti coloro che ruotavano intorno alla nazionale (perché i rapporti sociali, come amava ricordargli, vanno coltivati e non puoi coltivarli se non sai chi fa cosa e dove lo fa e con chi lo fa), se lo sarebbe ricordato. Ma non era stato così. A lui non importava mai niente di nessuno.

L’unica cosa che gli venne in mente in quel momento era che Bologna era in Italia e non lontano da Torino.

“Quindi hai vissuto a pochi chilometri da Hyuga? Bella fortuna…”

Scoppiò a ridere. Una risata cristallina. Pura.

“Allora è vero che ancora non vi sopportate? Beh, sì, non ero lontano da Kojiro. Ci siamo visti qualche volta in questi mesi. Sono andata allo stadio a vederlo, non solo quando ha giocato a Bologna, anche quando era in casa. E comunque, se è per quello, ero a pochi chilometri anche da te”, e così dicendo, ruotò il busto verso di lui e lo fissò.
 
Uno sguardo fiero e penetrante. Genzo non aveva idea del perché, ma quelle parole e quello sguardo avevano fatto accelerare il battito del suo cuore. Si sentì in imbarazzo e iniziò a giocare con i cubetti di ghiaccio ancora integri nel suo bicchiere vuoto.

Gli porse il pacchetto e l’accendino e le loro mani si sfiorarono, di nuovo. Dopo aver acceso la sua sigaretta, le si avvicinò per aiutarla ad accendere anche la sua. Erano così vicini che le nuvolette di vapore che uscivano dalle loro bocche si mischiarono. Il profumo intensissimo della sua pelle e dei suoi capelli penetrarono nelle sue narici e gli fecero tremare le mani.
 

Lei tirò una prima boccata e così, dal nulla, iniziò a raccontargli dell’Italia, del progetto che stava ancora seguendo a Milano in collaborazione con uno degli studi ingegneristici più importanti di Europa, di quanto la vita nel vecchio continente le piacesse. Le piaceva il cibo, la gente sempre sorridente che parla ad alta voce e gesticola mentre parla e se può cerca sempre un contatto fisico. Gli descrisse i treni sempre in ritardo e la gente che non faceva altro che lamentarsene. Gli raccontò di aver visitato Torino con la famiglia Hyuga e di aver accompagnato Naoko al concerto di una band famosissima allo stadio di San Siro. Di aver mangiato le migliori lasagne del mondo e bevuto il miglior vino rosso del pianeta.

Genzo pensò che la sua voce avesse un suono meraviglioso, raccontava cose semplici, ma che uscite da quelle labbra sembravano favole per bambini.

“Sei un buon ascoltatore Wakabayashi, spero però di non averti annoiato. Mi sa che non ami molto parlare di te. Deve essere vero quello che si dice in giro che sei blindato come un carro armato…”

“E chi lo direbbe, scusa?” si finse offeso.

Ancora un bellissimo sorriso: “Beh, un po’ tutti. Ma c’è anche chi ti difende a spada tratta, tranquillo! Sanae dice che se si passa la corazza, la ricompensa è un’anima splendida”.

Genzo non sapeva cosa rispondere. In realtà, aveva un milione di domande che gli frullavano in testa in quel momento e che avrebbe voluto farle, sul suo lavoro, sull’Italia, sul perché ci fosse andata da sola e se ci voleva tornare, su Hyuga e sulla sua famiglia, sul perché avesse parlato con Sanae della sua cazzo di corazza e di quello che ci si nascondeva sotto. Ma il suo cervello era in tilt e non riusciva più a comunicare con la sua bocca o quantomeno non riuscì a identificare, in quel groviglio di punti interrogativi che lampeggiavano come un albero di Natale nella sua testa, una domanda davvero intelligente.

Ed ecco uscirgli, invece, il più stupido dei quesiti: “Ma Misugi lo sa che fumi?”

Yayoi gli sorrise, ma non era più il sorriso spontaneo e luminoso di poco prima. Si morse il labbro inferiore e poi puntò i suoi occhi nocciola in quelli scurissimi di Genzo.
 
“Non credo che a Jun interessi, non credo gli interessi più. Io rientro, inizia a fare un po’ freddo”.

Lo superò sfiorandolo appena e lasciando dietro di sé una scia di profumo che gli arrivò dritto, dritto al cervello.

Restato solo, cercò di riconnettersi con la realtà intorno e si chiese, se il solo aver menzionato Jun, l’avesse fatta scappare. Erano arrivati insieme, o almeno così gli era sembrato. Ma perché non si concentrava mai su queste cose?
 
Voleva rientrare, voleva andare a salutare Hikaru e Yoshiko, ringraziarli, recuperare il cappotto e filarsene a casa. 
 

Quando aprì la porta che dava sul salone della festa, però, era tutto buio e silenzioso. Non fece in tempo a chiedersi se, finito il party, tutti se ne erano già andati senza manco salutarlo, che le note di Happy Birthday risuonarono a tutto volume: Taki, Izawa e Kisugi erano sul palco col microfono in mano, le luci si accesero d’improvviso e stelle filanti luminose iniziarono a brillare in tutta la sala.
 
Si ritrovò Sanae al collo che gli gridava: “Buon Compleanno Wakabayashi! Questa volta te l’ho fatta grossa, eh? Avrei dovuto distrarti io per dieci minuti e allontanarti dalla festa, ma sei sempre bravissimo a sparire da solo.”

E poi Tsubasa, Taro, Yuzo, Ryo, e Aoi erano tutti intorno a lui che lo abbracciavano, gli davano pacche sulle spalle e gli facevano gli auguri.

Hikaru gli si avvicinò con una bottiglia di Champagne: “Ehi, pure oggi doveva stare al centro della scena, eh? Non si smentisce mai il nostro Portiere! Sei sempre il solito! Dai ragazzi, questa la apriamo e la beviamo alla salute di Genzo!”
 

Semi paralizzato, Genzo non sapeva cosa dire, si limitava a ringraziare, cercando di trattenere le lacrime che gli pizzicavano gli occhi. Pensava che nessuno potesse ricordarsi del suo compleanno.
 
Mikami, dall’altra parte della sala accanto a Gamo, alzò il bicchiere in segno di augurio e gli strizzò l’occhio. Non lo aveva dimenticato, anche lui era stato ben istruito da Sanae per non rovinare la festa a sorpresa.

Sul suo viso comparve un sorriso meraviglioso, cercò Sanae con gli occhi e le sussurrò a distanza un grazie a fior di labbra, mentre a Tsubasa, che era ancora al suo fianco con una mano sulla sua spalla, disse solo: “Tua moglie è davvero speciale”.

Tra le folla che nel frattempo aveva ricominciato a ballare e ad urlare cercò Yayoi. Non voleva se ne andasse così. Era vicina all’ingresso, sembrava triste, la controfigura della donna spumeggiante che lo aveva intrattenuto in terrazza. Misugi le teneva una mano dietro la schiena, sull’altro braccio reggeva i cappotti di entrambi e intanto parlava animatamente con Katagiri.
 
Lei alzò gli occhi e lo fissò: si staccò da Jun senza dirgli una parola e si diresse verso di lui. Genzo deglutì più volte, finché lei gli fu accanto. Gli rubò il bicchiere di Champagne e si bagnò appena le labbra.
 
Si aggrappò al suo avambraccio, avvicinò le labbra alla sua guancia e poi gli sussurrò all’orecchio:
 
“Buon compleanno Genzo. Spero ci capiti ancora di dividere una sigaretta e un bicchiere di Champagne. Magari non su una terrazza al freddo.”

Con il pollice le accarezzò il dorso della mano che era ancora ferma sul suo braccio. Fissò intensamente i suoi occhi e poi le sue labbra e riuscì solo a dirle: “Grazie Yayoi”.

Non poté aggiungere altro, se ne era già andata.

 
****

Lo so che il compleanno di Genzo è domani, ma sono in partenza per un volo intercontinentale e non credo sarei riuscita a pubblicare in tempo.
   
 
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