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Autore: Parmandil    01/01/2023    0 recensioni
Tornate con noi ai giorni gloriosi in cui veri uomini con pistole a raggi e splendide donne in abiti succinti affrontavano gli orribili mostri dello spazio esterno! Tornate ai giorni in cui Capitan Proton, difensore della Terra, dominava i cieli!
Per l’equipaggio della Destiny, sperduto nel Multiverso, il ponte ologrammi può costituire una piacevole distrazione. Specialmente se s’indossano i panni di Capitan Proton, l’eroe in bianco e nero ispirato alla Golden Age della fantascienza. Ma tutto cambia quando, visitando lo Spazio Fotonico, il programma olografico sovrascrive la realtà stessa, materializzando meraviglie e pericoli dalle Avventure di Capitan Proton. Stavolta la finzione esce dalle anguste pareti del ponte ologrammi, facendosi realtà, dalla Nave a Razzo fino alla Fortezza del Destino. Seguite l’audace Capitan Proton e il leale Buster Kincaid nella lotta contro il perfido dottor Chaotica e i suoi biechi scagnozzi, per salvare il cosmo e liberare l’incantevole Constance Goodheart. Sempre che Malicia e Demonica, le Signore Gemelle del Male, non abbiano qualcosa in contrario...
Genere: Avventura, Comico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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-Capitolo 1: Golden Age
Data Stellare 2611.125
Luogo: USS Destiny
 
   La Destiny vagava senza meta nel Vuoto, il cosmo privo di stelle che era stato il suo principale rifugio da quand’era finita dispersa nel Multiverso. Era un periodo di stanca dopo i tristi fatti di Thalassa, quando gli avventurieri si erano imbattuti nel pianeta oscillante tra il Vuoto e il loro Universo, ma non erano riusciti ad approfittarne per tornare a casa. Peggio ancora, avevano dovuto aggredire selvaggiamente quel mondo ospitale per rubare tutto il dilitio. Era stata una scelta obbligata, dato che l’alternativa era restare bloccati senza energia nel Vuoto, il che equivaleva a una lenta morte. Ma anche così, gli avventurieri – e il Capitano in particolare – non riuscivano a scrollarsi di dosso la sensazione di aver esagerato. Tra l’altro, essendosi lasciati in malo modo con gli abitanti, non sapevano nemmeno se questi avrebbero parlato di loro alla Flotta Stellare. Tutto ciò aveva demoralizzato l’equipaggio, tanto che da parecchie settimane la Destiny non lasciava il Vuoto. Gli avventurieri preferivano girarsi i pollici su quell’astronave lussuosa piuttosto che rischiare la vita esplorando il Multiverso, nella flebile speranza di trovare la via di casa. Del resto molti di loro non desideravano nemmeno tornare, essendo ricercati nella Federazione. Così il tempo passava senza nuovi viaggi.
   I membri dell’equipaggio più attivi erano certamente gli ingegneri, dato che il loro capo Irvik stava approfittando della lunga sosta per effettuare una revisione generale dei sistemi di bordo. Stavano anche replicando nuovi robottini Exocomp, affinché li aiutassero nei lavori, e potenziavano quelli già esistenti dotandoli di nuovi strumenti e protocolli. Oltre agli ingegneri, gli unici a darsi un po’ da fare erano gli addetti alla sicurezza, che sotto la ferrea guida di Naskeel cercavano di diventare più professionali, in previsione di futuri scontri. Il resto dell’equipaggio aveva ben poco da fare e i risultati si vedevano. La sala ricreativa e quelle sportive erano sempre gremite, mentre i ponti ologrammi erano costantemente in uso. Il Capitano stesso era talmente assorbito dalle Avventure di Capitan Proton che ormai trascurava i suoi doveri. In plancia si vedeva più spesso la Comandante Losira, peraltro sempre più irrequieta a causa della situazione di stallo.
   Ma c’era un altro elemento assai attivo: Giely, l’unica superstite dell’equipaggio originale. La giovane Vorta era l’unico medico di bordo, se non si contava il Medico Olografico d’Emergenza recentemente acquisito su Thalassa. Pochi la vedevano, perché rifuggiva dagli incontri sociali e passava il tempo in infermeria, tutta presa da strani esperimenti. In effetti molti la consideravano lunatica. Così Rivera non fu stupito di trovarla in servizio, sebbene fosse ormai tarda sera.
   «Disturbo?» chiese l’Umano, indugiando sulla soglia.
   «Certo che no, Capitano! Dimmi, che posso fare per te?» chiese Giely, che fin dalla prima missione aveva raggiunto una certa confidenza con lui. Lasciò il microscopio e gli venne premurosamente incontro. Come tutti i Vorta aveva capelli corvini che contrastavano con la carnagione cerea, grandi orecchie zigrinate e occhi violetti che le davano un’aria ultraterrena. I capelli però non erano impomatati come quelli dei Vorta al servizio del Dominio, bensì lisci, dandole un’aria più fresca e simpatica.
   «Oh, non è nulla di che. Mi sono preso una banale storta» ammise Rivera. «Può occuparsene il Medico Olografico» suggerì, facendosi avanti con passo leggermente zoppicante.
   «L’MOE è occupato, gli ho dato da fare dei test molecolari» spiegò la dottoressa. «Ci penso io, stenditi pure sul lettino» lo invitò. Il suo sguardo indugiò sull’uniforme di Capitan Proton, ma per il momento non fece commenti.
   «Grazie» disse Rivera, sdraiandosi come indicato. «Posso chiederti come mai tu e l’MOE siete così indaffarati in questo periodo? Non mi pare che abbiamo emergenze mediche a bordo» notò.
   «Nessuna emergenza, infatti» confermò la Vorta, analizzandogli la caviglia gonfia. «Ma stiamo studiando a fondo la fisiologia degli Undine, analizzando i loro resti conservati dalla prima missione. Così, se mai dovessimo incontrarli di nuovo, saremo più preparati. E studiamo la bionave che ci hanno lasciato nell’hangar» aggiunse.
   «Ah, la bionave!» s’interessò Rivera, sfregandosi il mento irsuto. «Finora non siamo mai riusciti a farla funzionare».
   «Perché il sistema di guida reagisce solo al DNA degli Undine e alle loro onde cerebrali» annuì la dottoressa. «Ma finalmente sto aggirando l’ostacolo. Con l’aiuto di Irvik sono riuscita a entrare nel bio-processore. Lo stiamo riprogrammando affinché accetti ordini da noi. Tra poco potremo fare i primi voli di prova» rivelò.
   «Interessante» disse il Capitano, vedendo i vantaggi di padroneggiare quella formidabile tecnologia organica. «Tenetemi informato dei vostri progressi».
   «Veramente ti spedisco un rapporto completo ogni settimana. Non li hai mai letti?» si accigliò la Vorta.
   «Io... ehm... temo d’essermi un po’ distratto ultimamente» ammise l’Umano, imbarazzato. «Ma ti prometto che mi metterò in pari».
   «Distratto sul ponte ologrammi, suppongo» disse Giely, tornando a osservare la sua tenuta retro-futuristica. «Beh, è sempre meglio che startene chiuso nel tuo alloggio a tracannare tequila. Almeno nel simulatore ambientale resti sobrio e ti tieni in forma. È lì che ti sei procurato questa storta?» chiese, iniziando a curarlo con uno strumento che interveniva sui legamenti.
   «Sì, io e Talyn eravamo coinvolti in una scena d’azione» confermò Rivera.
   «Dev’essere un programma interessante, a giudicare da quanto ci giocate» commentò la Vorta. «Di che si tratta?».
   «Sono le Avventure di Capitan Proton. Ne hai mai sentito parlare?» indagò il Capitano, osservando attentamente la sua reazione.
   Giely s’interruppe un attimo per frugare nella memoria. «Direi di no» disse, riprendendo le cure. «Cos’è, una storia sugli albori della Flotta Stellare?».
   «Decisamente no» sorrise Rivera. «È un’opera di fantasia... il futuro visto con gli occhi del passato. Per la precisione s’ispira alla Golden Age della fantascienza terrestre, la prima metà del XX secolo».
   «Quindi... prima del vostro Primo Contatto?» chiese la Vorta, interdetta.
   «Prima che il primo essere umano lasciasse l’atmosfera terrestre» precisò il Capitano.
   «Caspita, ma allora è storia antica!» commentò Giely, spalancando gli occhioni violetti. «Perché scegliere un’opera così datata?».
   «È proprio questo il bello: all’epoca noi Umani non avevamo la minima idea di cosa ci fosse là fuori, quindi potevamo sfogare liberamente la fantasia!» spiegò Rivera. «E poi, quello che facciamo io e Talyn non è solo un gioco. Vedila come una ricerca sociologica sul XX secolo e sul suo immaginario!» suggerì, per non dare l’idea di sprecare il suo tempo in una ragazzata.
   «Caspita, non credevo che fosse un’esperienza così istruttiva!» esclamò la Vorta, sempre impressionabile e incline a bersi quello che le veniva propinato.
   «Eh già, ho pensato che fosse utile per il ragazzo» disse il Capitano, dandosi una certa importanza. «In effetti... uhm... potrebbe non essere l’unico a beneficiarne» disse, osservando Giely sotto una nuova luce. Giusto poco prima s’era chiesto chi mai, a bordo, potesse interpretare la beneamata Constance Goodheart. E ora la soluzione era lì davanti a lui, sotto forma dell’ingenua Vorta.
   «Ecco fatto, i legamenti sono a posto!» disse allegramente Giely, che si era persa le sue ultime parole. «Tieni la caviglia a riposo per almeno ventiquattr’ore» raccomandò, «dopo di che potrai tornare a correre e saltare sul ponte ologrammi». Lasciò il lettino, per riporre lo strumento medico in un armadietto.
   Rivera si raddrizzò e mise i piedi a terra, notando soddisfatto che non sentiva più alcun dolore. Alzatosi in piedi, indugiò brevemente. «Davvero pensi che il mio programma sia istruttivo?» indagò.
   «Ho detto così? Sì, credo di averlo detto» ricordò la Vorta, con la testa un po’ fra le nuvole. «Il fatto è che conosco a grandi linee la cultura umana così com’è ora, ma mi manca la prospettiva storica. Mi piacerebbe sapere come si è evoluta la vostra idea dell’esplorazione spaziale».
   «Muy bien!» approvò l’Umano, sentendo di averla agganciata. «Allora che ne diresti di unirti al gioco?» propose.
   «Vuoi che partecipi con te e Talyn?» si stupì Giely. «Credevo fosse un programma per due soli giocatori».
   «C’è l’opzione per interpretare un terzo personaggio... l’ultimo elemento della nostra squadra. Finora l’abbiamo tenuto come NPC, ma trovo che il gioco sarebbe più interessante se qualcuno lo interpretasse» spiegò Rivera. «È un personaggio femminile e credo che ti calzerebbe a pennello. Sempre che tu non voglia distrarti dal lavoro, s’intende» aggiunse doverosamente.
   «Oh, non sono così occupata da non potermi permettere distrazioni. Specie adesso che ho l’MOE ad aiutarmi» garantì la dottoressa. «Anzi, ora che ci penso un hobby del genere potrebbe farmi bene. Mi aiuterebbe a rilassare la mente, fra un esperimento e l’altro. Così unirei l’utile al dilettevole!» disse allegra.
   «Perfetto. Allora incontriamoci domani in sala ricreativa, subito dopo pranzo, per parlarne più a fondo» propose il Capitano. «Verrà anche Talyn, così ti daremo una panoramica del gioco e in particolare del tuo personaggio» disse, avviandosi all’uscita.
   «A domani, allora!» trillò Giely, emozionata. Da quand’era salita sulla Destiny, era la prima volta che qualcuno la invitava a giocare sul ponte ologrammi. Sentì che poteva essere l’inizio di qualcosa di unico.
 
   L’indomani, all’ora convenuta, Giely andò a cercare Rivera e Talyn in sala ricreativa. Li trovò già seduti a un tavolo, che discutevano animati sopra un d-pad. Non appena la vide, il Capitano si alzò e le offrì premurosamente una sedia. «Ah, eccoti qui! Accomodati, così parleremo del gioco. Sempre che tu sia ancora dell’idea di partecipare» chiarì.
   «Sono qui per questo» assicurò la Vorta, sorpresa e lusingata da quelle attenzioni. Si accomodò al tavolino. «Allora, ditemi tutto».
   «Per prima cosa, raccontaci che esperienze hai di olo-romanzi» disse Rivera, risedendosi.
   «Poco o nulla, temo» ammise Giely. «Quand’ero nel Dominio usavamo gli ologrammi solo per studio ed esercizio. Dopo essere passata alla Federazione mi è capitato di usarli per svago, ma mi sono limitata a vedere posti esotici e spettacoli. Qualche volta sono entrata in sala mentre erano in corso programmi altrui, ma non ho vere esperienze di recitazione» chiarì.
   «Non preoccuparti, il tuo ruolo non è impegnativo» disse Talyn, trattenendo a stento le risate.
   «Già, ma comunque il programma ha delle peculiarità che richiedono spiegazioni» disse Rivera, zittendolo con un’occhiataccia.
   La dottoressa notò che l’Umano aveva un atteggiamento ambiguo. Da un lato era palesemente desideroso di coinvolgerla nel gioco; dall’altro era anche reticente, come se temesse che il contenuto potesse deluderla. «Sono tutta orecchi, Capitano» disse, ironizzando sui suoi grandi padiglioni da Vorta.
   «Ecco, come ti ho accennato ieri sera, si tratta di fantascienza Golden Age» disse Rivera. «In pratica è il futuro come se lo immaginavano i terrestri d’inizio XX secolo, cioè prima ancora di avventurarsi nello spazio. È l’avvenire visto da una specie che ancora non sapeva se era sola oppure no nell’Universo».
   «Affascinante» commentò la dottoressa.
   «Naturalmente ci sono un sacco di cliché narrativi» proseguì il Capitano, come scusandosi anticipatamente. «Ma spero che apprezzerai l’atmosfera vintage. Ad esempio, tutta la vicenda si svolge in bianco e nero».
   «Questa, poi! E perché? I tuoi antenati erano forse daltonici?» si stupì Giely.
   «No di certo. Erano le trasmissioni e le registrazioni audiovisive a essere in bianco e nero, perché ancora non c’era la tecnologia per renderle a colori» chiarì l’Umano.
   «Caspita, com’erano primitivi!» si lasciò sfuggire la Vorta. «Ma forse è da qui che viene il fascino, giusto?» aggiunse, non volendo ferire il Capitano.
   «Sì, esatto! Vedo che stai entrando nello spirito della cosa!» approvò Rivera. «Dunque, veniamo alla storia in sé. Le avventure di Capitan Proton. Come dice il titolo, l’eroe è Capitan Proton, il Difensore della Terra».
   «Uomo Spaziale di Prima Classe, Flagello del Male Intergalattico, eccetera eccetera» fece Talyn in tono annoiato.
   «Fammi indovinare... lo interpreti tu» intuì Giely, accennando a Rivera. «E tu, invece?» chiese a Talyn.
   «Io sono Buster Kincaid, il suo fedele gregario» spiegò il giovane. «Beh, tecnicamente sarei un reporter, ma per qualche strano motivo passo tutto il tempo nello spazio ad aiutare Proton».
   «Insieme scorrazziamo sul Rocketeer, la Nave a Razzo, proteggendo la Terra e gli altri Mondi Incorporati dalle insidie dello spazio esterno» proseguì il Capitano.
   «Sembra appassionante» commentò la Vorta. «In fondo non è molto diverso da ciò che fanno gli ufficiali della Flotta Stellare. Ma io chi dovrei interpretare?».
   La domanda ebbe uno strano effetto su Rivera, che d’un tratto divenne nervoso. Anzi, Giely comprese che tutto il nervosismo trapelato finora dipendeva proprio dall’attesa di questa domanda specifica. «Ecco, tu saresti Constance Goodheart, la mia – ehm – segretaria» rispose il Capitano, guardando altrove.
   «Una segretaria? E che ci fa una segretaria nello spazio?» s’incuriosì Giely.
   «In teoria dovresti rimanere a terra, ma in pratica sei quella che i cattivi rapiscono tutte le volte. Sai, per mettere in moto la trama» spiegò Rivera.
   «Così io e lui ti recuperiamo – ogni volta – e strada facendo salviamo il cosmo» puntualizzò Talyn.
   «Beh, considerando che è la mia prima esperienza di recitazione, mi sta bene interpretare un ruolo semplice» acconsentì la Vorta. «Ma prima di cominciare l’avventura dovrei conoscere la trama, giusto? Voglio dire, ci saranno battute da recitare. Devo pur sapere cosa dire, scena per scena!» s’interessò.
   «Questo in realtà dipende molto da te» spiegò Rivera. «Certi giocatori si preparano puntigliosamente, memorizzando ogni linea di dialogo. Altri preferiscono cominciare il gioco senza sapere cosa li aspetta, e capire il da farsi in base all’evoluzione della storia. Sono stili differenti, non ce n’è uno migliore dell’altro. Certo che, per un giocatore alle prime armi, non guasterebbe avere un’idea di massima. Qui ad esempio ci sono le tue battute» disse, porgendole il d-pad.
   Giely lo prese e cominciò a leggere mentalmente, ma rimase ben presto interdetta. Dopo le prime righe scorse rapidamente l’elenco, mentre un cipiglio le incupiva il volto. «Qui c’è qualcosa che non va» commentò. «Tutte le mie battute sono cose come Aaaaaaahhhhh, Eeeeeeekkkkk, Iiiiiiihhhhh, Ooooooohhhhh, Uuuuuuuhhhhh! Non c’è una sola parola di senso compiuto. Aspetta, forse ho capito!» s’illuminò. «Il mio personaggio è muto, dico bene? Magari devo usare il linguaggio dei segni?».
   «Ehm, non proprio...» fece Rivera, sudando freddo.
   «No, aspetta, c’è una frase compiuta, proprio in fondo all’elenco!» notò Giely. Prese fiato prima di recitarla: «Oh, mio eroe!». Detto questo, guardò l’Umano con aria interrogativa.
   «Quel che il nostro baldo Capitano stenta a dirti è che nelle vecchie storie terrestri le damigelle in pericolo avevano poche o nessuna battuta» chiarì Talyn. «Ci si aspettava che fossero pollastre da salvare e nient’altro. I discorsi filosofici erano roba da uomini» disse, godendo nel mettere Rivera in difficoltà. Lui invece era fuori causa, essendo El-Auriano.
   «Senti, senti! E io pensavo che i Fondatori mi tenessero il guinzaglio stretto!» commentò la Vorta, sempre più critica. «E dimmi, chi è l’antagonista della storia?».
   «Oh, in effetti ce ne sono parecchi, anche se alcuni sono più ricorrenti» si riprese il Capitano. «L’arcinemico di Proton è indubbiamente il dottor Chaotica, un malvagio scienziato pazzo che aspira a dominare il cosmo. È acquartierato nella Fortezza del Destino, sul Pianeta X, dove ha inventato armi terrificanti come il Raggio della Morte. Ovviamente ha a sua disposizione un esercito di scherani, tra cui spiccano Lonzak, il capo delle guardie, e il Robot Satanico» spiegò, accostandosi a Giely per richiamare le immagini sul d-pad. Il Robot Satanico somigliava a un vecchio boiler cilindrico, a cui qualcuno avesse appiccicato braccia e gambe di stagnola. «È con loro che dovremo vedercela, in quest’avventura. Gli altri antagonisti sono elencati qui» aggiunse Rivera, accennando all’elenco sottostante.
   La Vorta si scostò un poco, per leggere da sola. «Vediamo: la Regina Arachnia del Popolo Ragno, una fattucchiera maliarda capace d’irretire chiunque con le sue pozioni. La Regina Fems delle Amazzoni Spaziali, che vuole imporre il matriarcato in tutta la Galassia. Malicia e Demonica, le Signore Gemelle del Male, che vagano per il cosmo sul loro disco volante, in cerca di nuove forme di dolore e piacere». Calò il d-pad e gli rifilò un’occhiata sorniona. «È una mia impressione, o più che alla fantascienza vintage tutto ciò somiglia a una perversa fantasia maschile?».
   «Una cosa non esclude l’altra!» ridacchiò Talyn, godendo nel vedere Rivera che avrebbe voluto sprofondare nel pavimento.
   «Suvvia, non sono cose da prendere seriamente. È solo un gioco, un passatempo!» si difese il Capitano, buttandola sul ridere. «A volte è bello immergersi in un mondo in cui buoni e cattivi si riconoscono subito e i problemi hanno una soluzione semplice».
   «Escapismo?» chiese Giely, ancora scettica.
   «Per così dire... ma non nel senso di un soldato che diserta dal dovere, quanto piuttosto di un prigioniero che riconquista la libertà» suggerì astutamente Rivera. «Comunque se non t’interessa me ne farò una ragione».
   «Oh no, m’interessa eccome! Amo sperimentare cose nuove!» disse inaspettatamente Giely. «Certi dettagli sono strani, ma non voglio giudicare prima di aver provato».
   Talyn sgranò gli occhi, sbalordito da come la Vorta riuscisse sempre a essere imprevedibile. Nel suo interesse onnivoro per le trovate delle altre specie, non distingueva fra alta e bassa qualità. Questo però capitava a fagiolo per Rivera, che approfittò subito dell’occasione. «Quindi sei dei nostri?» chiese, sulle spine.
   «Considerami arruolata... Capitan Proton» sorrise Giely.
   «Muy bien!» s’illuminò Rivera. «Dunque, ecco le specifiche sul tuo costume di scena» spiegò, richiamando i dati sul d-pad.
   La Vorta aggrottò di nuovo la fronte. «Oh, è più succinto di quanto mi aspettassi!» notò. «Perché mai una segretaria dovrebbe vestirsi così? Con l’addome scoperto e la gonna con spacco sembra più una ballerina da cabaret».
   «Fa parte dell’atmosfera, sai... lo spirito d’altri tempi!» spiegò Rivera, ricorrendo alla solita giustificazione. «Comunque non sei tenuta a travestirti. Se preferisci puoi venire così come sei».
   «Voi due però vi abbigliate da uomini dello spazio» notò Giely. «Sarebbe brutto se solo io non mi sforzassi d’entrare nella parte. E va bene, indosserò gli scarsi panni della tua segretaria. Ma non farti strane illusioni, Capitano!» ammonì. «Niente scene spinte».
   «Non mi permetterei mai. E poi le avventure di Capitan Proton sono family friendly» chiarì l’Umano.
   «Certo che non so se ho il fisico adatto al ruolo» sospirò la Vorta, osservando l’immagine del suo personaggio. Constance Goodheart era alta e giunonica, mentre lei era l’esatto opposto, bassa e mingherlina. Constance aveva lunghe chiome bionde; lei aveva corti capelli neri. «Beh, suppongo che il replicatore adatterà l’abito alla mia taglia. Quanto ai capelli, potrei indossare una parrucca» ragionò.
   «Non importa somigliare fisicamente ai personaggi» ribadì Rivera. «Io stesso non mi sono curato di tagliarmi i capelli per essere più simile a Proton. Ciò che conta è entrare nella parte e divertirsi».
 
   «... e ha detto che conta entrare nella parte e divertirsi» concluse Giely quella sera. Stava cenando con Losira e Shati, in sala mensa, e naturalmente la conversazione era caduta sull’esperienza in cui la Vorta stava per lanciarsi.
   «Beh, i ponti ologrammi servono a quello» commentò Shati. La Caitiana stava piluccando il suo filetto di merluzzo, intanto che ascoltava il resoconto.
   «Però mi ha anche spiegato che sarà un’esperienza istruttiva» ricordò Giely. «Mi aiuterà a capire come si è evoluta la visione umana dell’esplorazione spaziale. In un certo senso, sarà come studiare sociologia».
   «Sì, e anche biologia!» fece Shati, ridendo sotto le vibrisse.
   «È la giustificazione che mi aspettavo da Capitan Sciupafemmine» commentò Losira, che aveva a malapena toccato la sua insalata mista.
   La Vorta restò un po’ delusa da quelle reazioni sarcastiche. Smise di sgusciare le noci di kava che aveva nel piatto e si concentrò sulla conversazione. «State dicendo che potrebbe avere secondi fini?» chiese. «Eppure era così appassionato dalla storia! Sapeste quanto mi ha parlato della Nave a Razzo; pareva conoscerla meglio della Destiny. E ci teneva proprio ad avermi nella combriccola. Lì per lì ho accettato, perché mi sembrava un’esperienza nuova e interessante. Ma se devo interpretarla come uno strano corteggiamento, allora non posso che rifiutare. Voi siete più esperte di me in queste cose... che ne pensate?» chiese.
   Losira e Shati si scambiarono un’occhiata esitante. Fare battute era facile, ma ci voleva cautela nel dare consigli in materia di cuore. «Io passo» disse la Caitiana, e tornò a concentrarsi sul merluzzo.
   Con un sospiro, la Risiana capì che toccava a lei. «Bambina mia, le persone s’invitano sui ponti ologrammi per le ragioni più disparate. Lo fanno per divertimento, per liberarsi dallo stress, per ritrovare la propria autostima o semplicemente per stare con gli amici. In tutto questo, è ovvio che alcuni lo facciano anche per corteggiare. Ma in mancanza di segnali espliciti in tal senso, non credo che tu debba prenderlo come un segno d’interesse romantico. Non ci sono altri segnali, vero?» si affrettò a chiedere.
   Giely inclinò fortemente la testa, come facevano i Vorta quando riflettevano. «Direi proprio di no» ammise, tornando a raddrizzarsi.
   «Bene, in tal caso non penso che avrai fastidi» fece Losira. «Comunque tieni sempre a mente che è un passatempo, un’attività facoltativa. Nessuno, nemmeno il Capitano, può costringerti a farla contro il tuo volere. Se la trovi spassosa, buon per te. Se invece cominciasse a pesarti, o anche solo ad annoiarti, hai tutto il diritto di uscire in qualunque momento» chiarì.
   «Grazie del consiglio!» sorrise Giely, rincuorata. Riprese a mangiare, stavolta concentrandosi sulla ciotola di bacche rosse. «Domani pomeriggio parteciperò alla mia prima puntata. Vi farò sapere in serata com’è andata» promise.
   «Aspetto con ansia» fece Shati, ironica.
   A fine pasto, quando la Vorta ebbe salutato e se ne fu andata, le colleghe si soffermarono ancora qualche minuto. «Rivera e Giely... mah, non so se potrebbe funzionare. Lei non ha esperienza, lui ne ha fin troppa» mormorò Shati.
   «Staremo a vedere» fece Losira. «Su Risa abbiamo un detto: “Se son rose, fioriranno”».
   «E se fossero cardi?».
   «Non so... carderanno?».
 
   Quella sera stessa il Capitano era nel suo ufficio, a mettersi in pari coi rapporti di Giely, quando il cicalino dell’ingresso lo avvertì di una visita.
   «Avanti» disse Rivera, soffocando uno sbadiglio. Fu un po’ sorpreso nel vedere la faccia verdastra e scagliosa dell’Ingegnere Capo. Il Voth veniva raramente da lui, specie quand’era preso dalle revisioni. «Si accomodi, Irvik» lo accolse. «Che posso fare per lei?».
   Il sauro si fece avanti stranamente circospetto e aspettò che la porta si richiudesse alle sue spalle prima di prendere la parola. «In primo luogo devo informarla che abbiamo terminato la revisione dei sistemi. Le ho inviato il mio rapporto».
   «Ottimo lavoro. Appena avrò terminato di leggere questi referti medici guarderò anche quello» promise Rivera.
   «Non c’è molto da dire, in realtà. Tutti i sistemi della Destiny sono in piena efficienza. Abbiamo terminato di riparare le navette e potenziato gli Exocomp» riassunse Irvik. «Per quanto riguarda gli esperimenti con la bionave, è tutto nei rapporti medici che sta già leggendo».
   «Bene, allora. Deve dirmi altro?» chiese il Capitano, intuendo che quello era solo il preambolo. Se il Voth si era scomodato a venire di persona, doveva esserci una ragione.
   «Ecco, signore... posso parlare liberamente?» chiese l’Ingegnere Capo, con una strana gravità.
   «Non vorrei che parlasse altrimenti, Irvik» disse Rivera. «Se ci sono problemi, mi dica tutto».
   «Capitano, il vero motivo per cui in queste settimane io e i ragazzi dell’ingegneria abbiamo controllato ogni bullone e circuito della nave è che altrimenti non avremmo avuto nulla da fare» spiegò il Voth. «Mi riferisco al fatto che da troppo tempo, ormai, non esploriamo più il Multiverso. Alcuni sono persino convinti che non ci restino coordinate quantiche sulla lista, ma io che l’ho estratta dal computer so bene che non è così. Perciò devo chiederglielo: perché indugiamo nel Vuoto, invece di tentare altre coordinate?».
   «Immaginavo che prima o poi me l’avrebbe chiesto» sospirò il Capitano. «Vede, finora tutte le coordinate che abbiamo tentato ci hanno condotti in Universi strani e pericolosi. Abbiamo rischiato più volte la distruzione totale e alcuni dei nostri compagni sono morti. Ormai l’equipaggio non è più ansioso d’esplorare nuove realtà. Preferiscono rimanere al sicuro su questa bella nave, piuttosto che affrontare gli orrori del Multiverso; e come dargli torto?».
   «Ma non possiamo restare qui per sempre!» protestò Irvik, accennando all’oscurità senza stelle fuori dal finestrone. «Capisco il timore di nuove disgrazie, ma nessuno vuol tornare a casa?».
   «Molti di noi sono esuli, senza una casa e una famiglia ad attenderli» borbottò Rivera. «Questo vale anche per il sottoscritto. In effetti siamo quasi tutti ricercati nella Federazione. Se anche riuscissimo a tornare, ci attenderebbe più probabilmente il carcere che una ricompensa» confessò.
   «Capisco che ve la passate male, e mi dispiace» disse il Voth. «Ma la mia situazione è diversa. Io sono incensurato, ero sulla vostra nave solo come passeggero, e soprattutto ho una famiglia che mi aspetta. I miei figli non mi vedono da un anno e mezzo. Capisce che devo tornare da loro? Che padre sarei, se almeno non tentassi?!» chiese, con un’urgenza che sconfinava nella disperazione.
   Vedendo Irvik in quello stato, Rivera provò compassione. Al tempo stesso temette qualche atto inconsulto da parte sua, se non lo avesse accontentato. Forse il sauro avrebbe sabotato i sistemi di bordo, o forse avrebbe incitato alla rivolta quei colleghi che la pensavano come lui. In ogni caso, bisognava sbloccare la situazione; e non c’era che un modo.
   «Molto bene, signor Irvik, accolgo la sua richiesta» dichiarò il Capitano. «Oggi è tardi, ma le prometto che domani stesso ricominceremo a esplorare il Multiverso. A lei la scelta di quali coordinate quantiche tentare».
   «Grazie, Capitano!» disse il Voth, rincuorato. «Vedrà che non tutti i tentativi saranno così catastrofici. Per la legge delle probabilità, dev’esserci qualche Universo decente. E alla fine... chissà che non ritroviamo il nostro» sospirò.
   «Chissà!» convenne Rivera.
 
   La notizia che le esplorazioni sarebbero riprese si diffuse in un baleno sulla Destiny, destando un misto di speranze e timori. Quali che fossero le opinioni degli avventurieri, un risultato fu innegabile: scuoterli dal torpore. Tutti abbandonarono la mentalità “da vacanza” e ricordarono d’essere su un’astronave in missione.
   La mattina dopo, come annunciato, la Destiny dette piena energia al deflettore e lanciò l’impulso gravitonico, aprendo la fenditura verso un nuovo Universo. Prima di passare con l’astronave, gli avventurieri inviarono prudentemente una sonda con campioni biologici. Al suo ritorno li analizzarono per essere certi che non ci fosse nulla, nelle leggi fisiche di quel cosmo, di dannoso per i loro organismi. Non appena Giely segnalò l’okay, la Destiny avanzò a impulso, attraversando la breccia fra le realtà. Gli scudi erano alzati e le armi pronte, nel caso che li aspettasse un’accoglienza simile alle precedenti.
   Non appena il vascello fu dall’altra parte, gli ufficiali di plancia osservarono con ansia lo schermo. Il nero intenso dello spazio era punteggiato da una miriade di piccole luci remote. «Stelle! Da quant’era che non le vedevo!» si rallegrò Shati. «Ma saranno quelle della Via Lattea?».
   «Lo sapremo presto. Analisi sulle costellazioni, cerchiamo riscontri sulle mappe stellari» ordinò il Capitano.
   Trascorsero diversi minuti, nei quali Talyn e altri addetti fecero le comparazioni del caso. Infine l’El-Auriano parlò in tono sconfortato: «Non ho riscontri con le nostre mappe. Quasi certamente siamo in un altro cosmo».
   La tensione tra gli avventurieri diminuì, senza tuttavia svanire del tutto. C’era ancora troppo da capire su quello spazio così stranamente familiare. «Non hai rilevato mondi abitati, astronavi di passaggio, trasmissioni subspaziali...?» chiese Losira.
   «Non ancora, ma ci troviamo in una regione piuttosto povera di stelle» spiegò Talyn. «Qualche centinaio d’anni luce più avanti le cose migliorano. I sistemi stellari sono molto più fitti. Se andiamo lì, ci faremo un’idea più precisa di dove siamo finiti».
   «Andiamo, allora» approvò Rivera. «Shati, traccia la rotta; velocità 6. Talyn, tieni i sensori all’erta e avvertici alla prima novità».
   «A questa velocità raggiungeremo l’ammasso stellare in un paio di giorni» informò la timoniera, prima che la Destiny balzasse a cavitazione.
   «Allora rilassiamoci... per il momento» disse il Capitano, riadagiandosi contro lo schienale della poltroncina. Fu allora che gli tornò in mente la puntata di Capitan Proton fissata per quel pomeriggio. Da quando Irvik gli aveva chiesto di riprendere l’esplorazione del Multiverso, la faccenda gli era uscita di mente; ma ora tornò a rifletterci. Avevano appena raggiunto una realtà sconosciuta e potenzialmente pericolosa; forse era meglio concentrarsi su quella e rimandare il gioco a un momento più calmo. Già, ma se ricominciavano a visitare un Universo dopo l’altro, non avrebbero più avuto periodi calmi. Forse la cosa migliore era darsi una routine, come i veri ufficiali della Flotta Stellare, che affrontavano le missioni più ardue senza rinunciare poi a svagarsi.
   «Tra l’altro, se la ciurma mi vede tranquillo, questo contribuirà a mantenere la calma» ragionò Rivera. Un buon Capitano non deve forse infondere sicurezza al suo equipaggio? E quale modo migliore che mantenere la routine, incluso lo svago? Se poi fosse scoppiata un’emergenza, allora avrebbe reagito al meglio delle possibilità.
   Fu così che, al termine del turno, il Capitano decise di non trattenersi in plancia più del necessario. «A te il comando, Losira» disse lasciando la poltroncina. «Avvertimi se ci sono novità» raccomandò.
   «Ricordi il briefing sulla sicurezza di stasera» disse Naskeel, con la sua voce tradotta elettronicamente. Come tutti i Tholiani, l’Ufficiale Tattico era ossessionato dalla puntualità e non sopportava che qualcuno, fosse anche il Capitano, tardasse agli impegni.
   «Tranquillo, ho una memoria da elefante!» garantì Rivera, già diretto all’uscita.
   «Cos’è un elefante?» chiese Naskeel.
   A quella domanda il Capitano si bloccò e fece un sospiro. Quando parlava al Tholiano non poteva mai dare nulla per scontato. «Gli elefanti sono una specie originaria della Terra» spiegò con pazienza.
   L’Ufficiale Tattico ponderò brevemente la questione. «Strano, non ne avevo mai sentito parlare. Hanno un seggio nel Consiglio federale?» volle sapere.
   Rivera sgranò gli occhi, sempre più disarmato dall’alieno. «No, no. Si tratta di animali, non di esseri senzienti. Beh, a dire il vero sono piuttosto intelligenti... diciamo che sono semi-senzienti. Comunque non abbastanza da potersi occupare di politica. Vivono in alcune riserve naturali, perlopiù nel continente africano» spiegò.
   «Però hanno una memoria superiore alla sua, altrimenti perché usare quell’espressione?» insisté Naskeel.
   «Io... uhm... non so di preciso come sia la loro memoria» ammise il Capitano, sempre più in difficoltà. «In realtà non credo che superi quella umana; dopotutto noi dobbiamo memorizzare molte più cose. Se ho usato quell’espressione, è solo perché si tratta di una frase fatta».
   «Una frase fatta?».
   «Sì, una frase che si dice quando non si sa che altro dire».
   Naskeel ponderò di nuovo, prima di rialzare gli occhi sulfurei all’interlocutore. «Ah. E non sarebbe meglio tacere?» chiese.
   «Ora che l’ascolto sì, preferirei tacere» ammise Rivera.
   «Come vuole, Capitano» fece il Tholiano, e tornò a concentrarsi sulla consolle.
   Un po’ stranito da quello scambio di battute, Rivera lo lasciò al suo lavoro e si accostò invece a Talyn, ancora alla postazione sensori. «Ci vediamo tra poco sul ponte ologrammi?» chiese in tono disinvolto, così che gli altri sentissero.
   «Non vuole che resti ai sensori, signore?» si stupì il giovane.
   «Finché non ci sarà ragione di fare altrimenti, manterremo i nostri turni. Non occorre che tu faccia gli straordinari» assicurò il Capitano, sperando di far passare il giusto messaggio.
   «Allora... volentieri, signore» sorrise l’El-Auriano. In fondo anche a lui piaceva distrarsi e scaricare la tensione.
   Udendoli, Losira si accigliò, pensando che non era il momento migliore per indulgere in quelle distrazioni. Tuttavia non volle contraddire il Capitano davanti alla ciurma. In fondo sia lui che Talyn erano padroni del loro tempo libero.
   Lasciando la plancia, Rivera si disse che il suo comportamento era razionale. Mantenere la routine, alleviare la tensione, rassicurare l’equipaggio... erano tutte giustificazioni logiche. Ma non poté negare a se stesso che il vero motivo per cui intendeva continuare a giocare era un altro: aveva appena convinto Giely ad aggregarsi e non voleva darle il tempo di cambiare idea. 
 
   
 
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