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Autore: sakura_hikaru    04/01/2023    0 recensioni
[Green Creek - T.J. Klune]
«Era come...» comincia in un sussurro, nutrendosi della dolcezza dell'altro lupo. «... la nostra auto. Così vecchia... rovinata e rossa. Anche la nostra puzzava di fumo, ma... quando lei parlava e rideva e... mi leggeva le fiabe... per me c'era solo pioggia e foresta... e amore». La voce si incrina, gli occhi si chiudono e le lacrime sembrano, forse, volersi fermare. «Mi è sembrato di tornare bambino, per un attimo. Con quell'auto». Un sospiro, carico di tensione e blu, blu, così tanto blu... «Ma lei non c'era... più».
In officina arriva un'auto malandata e vecchia. E i ricordi travolgono Robbie.
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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È uno di quei giorni in cui Gordo sta facendo tardi – miracolo dei miracoli, ma bisogna ringraziare soltanto Mark per l'avvenimento – e in officina ci sono solo Rico, Tanner e Chris: Ox è fuori città per accompagnare un omega da un nuovo branco. Robbie è immerso nel suo mondo di programmi e computer, a inventarsi qualche nuova diavoleria – parola di Gordo – che farà impazzire il capo officina per il resto dell'anno. Ma “è necessario aggiornarsi, non farsi mai superare”, parola di Robbie Fontaine. Il ragazzo sa già a cosa andrà incontro, ma ormai le sue orecchie sono sorde alle lamentele sempre uguali del suo stregone.

È quasi ora di pranzo quando, dal piano terra dell'officina, sente il rumore claudicante di un'auto che si avvicina, le esclamazioni inorridite dei ragazzi e quello che sembra l'ultimo rantolo di un vecchio fumatore incallito. Uno scoppio – il carburatore? Una gomma? – mette fino all'agonia dell'auto.

«Dios mio, che diavolo è successo?!» strepita Rico inorridito. Robbie se lo immagina già con le mani tra i capelli: sa essere piuttosto teatrale quando è costretto a lavorare su catorci meccanici, invece che su automobili con un minimo di dignità.

«Quanti anni ha?».

«Come ha fatto ad arrivare qui, vorrai dire!».

«Ci vuole mettere alla prova? Perché qui serve un miracolo-».

Robbie sente Chris soffocare un lamento: ecco, Tanner l'ha cazziato con una gomitata nello stomaco, come minimo. Vanno d'accordo, a volte pensa che si comportino come più che fratelli. Ma Chris ha la lingua lunga – più della sua – e Tanner è la persona perfetta per metterla a tacere, almeno quando non c'è Jessie nei paraggi.

«Una chevrolet del...».

«1957! Un gioiellino di mio padre, dio l'abbia in gloria!» aggiunge una voce roca e sconosciuta.

«L'auto, però, no...». Lieve lieve, il borbottio di Chris raggiunge Robbie che scoppia a ridere nel mezzo del lavoro. Le sue risate coprono le parole di Rico che, in vece di Gordo, deve fare il capo “affidabile e cazzuto” come ama definirsi lui.

Robbie non resiste e, smorzate le risate, esce dall'ufficio, per vedere il rottame in fin di vita e sgranchirsi le gambe nel contempo. Scende le scale senza guardare quello che lo aspetta, ma, quando giunge a terra, la mano appoggiata al corrimano, alza gli occhi sull'auto: la mano sul ferro si stringe improvvisamente, tanto che il rumore fastidioso del ferro che si piega provoca dei sonori lamenti da parte di Tanner e Chris.

Robbie non si accorge nemmeno dello sguardo confuso che gli lancia Rico, né del blaterare del cliente sull'auto lì davanti.

Fa solo due passi, il suo cuore che batte veloce e con forza contro il petto, gli occhi enormi e inquieti mentre fissano la fiancata rosso sbiadito di quella cadillac vecchia di sessant'anni. Si volta all'improvviso ed esce dall'officina con un passo lento e pesante, una mano stretta a pugno sul fianco, l'altra sulla bocca a trattenere l'inizio di un pianto – o di un ululato, Robbie non sa proprio dirlo.

Si dirige, quasi come un automa, sul retro dell'officina e lì, col muro a reggere il suo peso quasi morto, svuota lo stomaco con un ringhio soffocato. Le lacrime stanno già scendendo, rendendo sfocata ogni cosa.

 

***
Ha sentito prima Rico, poi Chris e Tanner venire da lui, ma non ricorda bene cosa gli abbiano detto; Tanner gli ha lasciato una bottiglietta d'acqua fresca, Rico dei fazzoletti di carta, Chris gli ha messo una mano sulla schiena. Ma Robbie non ha detto una parola, lo sguardo perso su un olmo, vicino al ciglio della strada, la mente indietro di più di vent'anni.

 

«Non è molto, ma è quello che potevamo permetterci. E poi è grande e comoda per noi due, non credi, piccolo lupo?».

Robbie, occhi spalancati e vivaci, la guardava come si guarda un dio. La sua mamma, giovane e coraggiosa, era la sua luce e la sua casa; aveva uno sguardo inquieto, ora che se ne erano andati, di soppiatto e di notte, via dalla casa che condividevano con suo padre.

Si erano nascosti in un piccolo motel, nella periferia di Boston, e poi la mamma era uscita, quella mattina, ed era rientrata con quelle chiavi e quell'auto: grande, squadrata, lunghissima e ingombrante. Puzzava un po', Robbie lo sentiva e arricciava il naso.

«Sigarette? Papà?».

La mamma aveva scosso il capo, accarezzandolo con un buffetto sulla guancia.

«È tutta nostra. Mi spiace se puzza un po', piccolo lupo. Se la useremo noi, diventerà nostra, tutta nostra e con il nostro odore. Ti piace così rossa?».

Il bambino l'aveva guardata un po', attentamente, anche se le auto non gli interessavano molto. Lui adorava gli alberi e il buon odore che avevano le foglie con la pioggia che scendeva su di loro.

Quell'auto era vecchissima e aveva tanti, troppi odori e nessuno troppo piacevole. Il naso continuava a pizzicare.

«Il colore... mi piace».

Ah, la risata della mamma...

 

«Robbie, che succede?».

La mano di Gordo è pesante sulla spalla, il suo battito è nervoso, un po' affrettato; quello di Mark, al suo fianco, è molto più nervoso del suo. Robbie alza gli occhi e, per un attimo, vede il brillare dell'arancione nei suoi.

«Quell'uomo ha detto qualcosa...?».

Gordo. Dio, ha la capacità di farti sentire parte del suo cuore con un battito di ciglia... se ne rende mai conto? Di sicuro, Mark lo sa... ma non lo dice a nessuno.

«La colazione... dev'essere stata quella».

Mente, e Mark lo sa. Ovvio. Ma non è bravo, non lo è mai stato. E così, anche Gordo lo sa. E i ragazzi.

«Non prendermi per il culo, ragazzino...» parole grezze, tono morbido, tutto Gordo.

Robbie stringe una mano sui pantaloni, ingolla, evita lo sguardo di entrambi.

«Posso non parlarne ora?».

L'irritazione è nella gola di Gordo, ma la sua mano stringe con dolcezza sulla sua spalla, il calore è lì, forte e sincero addosso a lui.

«Te la senti di rientrare?» mormora Mark mentre affonda una mano tra i suoi capelli corti.

Il richiamo del branco è forte, ma il pensiero di ritrovarsi davanti a quel suo pezzo d'infanzia lo terrorizza, in qualche modo.

Robbie scuote il capo, rialzandosi a fatica e pulendosi la bocca ancora umida con la manica.

«Posso rientrare a casa?».

Gordo sta per aprire bocca quando Mark lo anticipa:

«Vengo con te, allora...».

«Ma-».

Una mano di Mark si stringe sulla sua spalla, l'altra va sulla nuca, quella stretta famigliare e calda che ha imparato a conoscere.

«Ok...».

 

***
Non parlano. Mark sa fare sempre buon uso dei silenzi, a differenza sua che, come si affanna a ripetere Carter, ciarla con l'enfasi di un bollitore. Kelly gli ricorda spesso che sembra il bue che dà del cornuto all'asino.

Sono in fondo al viale che porta alla casa azzurra e poi alla casa madre quando Robbie si arrischia a parlare: «potresti non dire nulla?».

«Capiranno che c'è qualcosa che non va...».

«Lo so».

«Non è necessario che ci dici cosa non va... ma è la prima volta che ti vedo così».

La punta delle dita di Mark sfiorano la mano più prossima di Robbie ed è un tocco di brancobrancobranco che riesce a portare un po' di armonia nel cuore confuso e triste del ragazzo.

Il desiderio di raccontare ogni cosa è grande, ma uno strano senso di vergogna e poi tristezza lo assale frenandogli le parole in gola.

«Un'altra volta, ok?».

Silenzio. Poi...

«Ok».

 

***
Elizabeth è nel suo studio, nel mezzo del richiamo della pittura, in una fase “arancione”; quando entrano, nella sala, lei sbuca dalla porta dello studio con espressione corruciata, ma non dice una parola, scambiando una serie di sguardi con il cognato.

«Te la senti di bere qualcosa per rimettere in sesto lo stomaco?».

Robbie non può che annuire, l'acido dello stomaco lo tormenta ancora sulla lingua, ma la fame non sembra volersi presentare.

Si siedono, uno di fronte all'altro, il bollitore sul gas, le finestre spalancate sulla foresta; cinguettii, il rumore del vento tra le fronde.

Il cuore di Robbie sembra quietarsi definitivamente, ma negli occhi c'è il fantasma della malinconia.

«Ogni mattina faccio allacciare i bottoni della mia camicia a Gordo».

Quello riscuote il ragazzo dal torpore, gli occhi castani perplessi che si piantano in quelli azzurri e divertiti dell'uomo.

«Scusa?».

L'altro fa un mezzo sorriso, alza le spalle e spiega:

«Per fare esercizio. Sai com'è fatto: è testardo e vuol fare tutto da solo. Ma ha bisogno di fare un po' di pratica. Io gli do la pratica».

Un'alzata di sopracciglio, un sorrisino beato e le labbra di Robbie si piegano, appena, in un sorriso abbozzato.

«Lecito. È un testone».

«E non ama le novità...».

«Non dirlo a me... sto scrivendo un nuovo programma e-».

Robbie si interrompe, arriccia il naso, ma il suo sguardo accusatorio sfiora solo la schiena di Mark, al lavoro sul bollitore e le due tazze pronte per essere riempite.

«Tu...».

«Il tè è caldo; bevilo tutto, dovrebbe bastare per cancellare l'acido in bocca».

Mark spinge tra le sue mani la tazza bollente prima di sedersi al suo fianco, la bocca intenta a soffiare con fare sibillino il vapore acqueo.

Robbie si morde la lingua, ma gli sarebbe impossibile argomentare con astio qualsiasi cosa con Mark: è un enorme muro di gomma, troppo gentile, troppo maturo... troppo. Non sbaglierebbe, Robbie, a considerarlo un po' uno zio giovane, come lo è per i tre fratelli Bennett.

Così, caparbiamente, mette la bocca sulla tazza e comincia a sorseggiare in silenzio il suo tè, gli occhi chiari dell'uomo che non lo abbandonano un secondo.

Passano pochi istanti prima che la porta della cucina si apra e che il capo biondo di Kelly Bennett faccia capolino. Per poco Robbie non si strozza con il caldo liquido in gola: fatica ad ingollare e si pulisce il mento su cui sta colando una goccia di tè caldo.

Il ragazzo biondo lo scruta per un attimo, sembra stizzito mentre lui abbassa lo sguardo sul legno del tavolo. Mark si alza, senza nascondere affatto la mossa studiata, e si avvicina al nipote con nonchalance.

«Faresti compagnia a Robbie? Io ho promesso a Gordo di sistemare una cosa a casa...».

Puzza così tanto di bugia che Robbie sbuffa nella tazza, finendo per sbrodolarsi ancora un po' di tè addosso.

Kelly fa un cenno con il capo, guardandolo richiudere la porta alle sue spalle. Poi torna a fissare l'altro ragazzo, arriccia il naso, si passa una mano sulla nuca e sbuffa:

«Sono passato dall'officina e ho visto che non c'eri. I ragazzi mi hanno detto che eri tornato a casa».

Le mani di Robbie si chiudono nervose sulla tazza, i suoi occhi rubano occhiate tra il ragazzo e il piano del tavolo: il suo cuore sussulta, nervoso, come ogni volta che loro due sono da soli. O che sono vicini. A dirla tutta, ogni volta che Kelly è presente.

Robbie spera sempre che lui non se ne accorga – ma è un licantropo, sente tutto – e Kelly sente tutto, ma cerca ancora di far finta di niente, dicendosi che è solo Robbie che è strano con lui perché, forse, lo rende nervoso. In fondo, Joe stesso lo rende ancora nervoso, a volte.

«Stai bene?».

Domanda gettata con quel modo di fare che vorrebbe essere disinteressato.

Ma allora perché chiedere?

«S-sì. Certo».

Le narici di Kelly si espandono appena, il naso si arriccia e lo sguardo del ragazzo si fa più affilato.

«Sei stato male, però».

Il volto di Robbie si colora di rosso, gli occhi sfrecciano da una parte all'altra della stanza.

«Non dovresti annusarmi...».

Qualcosa si smuove nel volto di Kelly che perde per un attimo il suo solito pallore.

«Io non ti annuso! Sei tu che puzzi...!».

L'espressione di Robbie da imbarazzata si fa fortemente indignata. Incassa la testa tra le spalle e si morde le labbra.

«Beh, grazie per avermi detto che puzzo».

Da dietro la porta chiusa, entrambi sentono un sospiro esasperato alzarsi.

«Non è-». Kelly sospira, esasperato, un piccolo ringhio in fondo alla gola. Guarda Robbie e cerca di ricordarsi – è così semplice, non fosse così testardo – perché quando gli hanno detto che Robbie non stava bene sia venuto di gran velocità a casa.

Si leva dalla testa il cappello da poliziotto che, scioccamente, aveva ancora addosso e se lo torce tra le mani – almeno ha qualcosa da fare mentre cerca le parole. Poi si avvicina al tavolo e, con nonchalance, tira a sé una sedia e si lascia scivolare sopra.

Le mani stringono e rilasciano il tessuto qualche volta prima che Kelly torni a parlare.

«Quell'uomo ti ha dato fastidio...? O ti ha ricordato qualcuno?».

Il suo tono è basso e morbido, come se volesse tenere quelle parole solo tra loro due.

Robbie si ritrova di nuovo teso, il ricordo dell'auto, l'odore delle mille sigarette fumate là dentro, quei copertoni lisi e i cerchioni consumati dal tempo. Il rosso ormai sbiadito della pittura e i graffi che percorrevano un tratto della fiancata...

«La macchina» riesce finalmente a dire, la voce roca, avvolta dalla nebbia.

«Era... tua?».

La bella voce di Kelly è un soffio, docile e gentile.

Robbie la ama, ora più che mai.

Scuote la testa, le labbra si muovono in un no.

Kelly si morde il labbro, guarda quel capo castano, chino davanti a lui, un'onda di blu pare rubare la voce e la luce dello strano ragazzo davanti a lui.

«Ti ha ricordato... qualcosa o...» ingolla, stringe con forza le mani davanti a sé. «... qualcuno?».

 

e la sera si sdraiavano nel retro dell'auto, ed era grande per tutti e due, e Robbie avrebbe potuto rotolarsi più volte senza mai andare a sbattere contro gli angoli duri e bianchi degli interni. Ma a Robbie non interessava giocare nell'auto: lui adorava, alla follia, il momento della sera in cui si fermavano, lontano dalla strada, ma sempre sotto una luce – un lampione, un piccolo faro – e, sotto le coperte, col capo che sfiorava la guancia della mamma, leggevano assieme le loro fiabe: “Cappuccetto Rosso”, “Hansel e Gretel”, “Il mago di Oz”... e lui ascoltava, imparava, leggeva... e, dio, l'odore di sigarette scompariva e c'era solo l'odore di foresta e pioggia della sua mamma; era tutto casa, anche se era scomodo, a volte strano, a volte il cuore saltellava nervoso nel petto. Ma era felice, così felice... e quando la mamma piangeva, e il verde appassiva nel blu, lui parlava e parlava, e cercava le cose più felici, divertenti... e faceva le facce buffe, finché le lacrime non si asciugavano e il sorriso tornava sulle sue belle labbra...

 

«Robbie...».

Sobbalza il ragazzo, perché una mano di Kelly è sulla sua guancia. E non l'aveva ancora visto con quello sguardo sconvolto rivolto solo a lui. Non l'aveva ancora sentito quel blu, solo per lui.

E non si è accorto che sta piangendo, e che la mano di Kelly... le sue dita si muovono per asciugare le lacrime.

E Robbie non sente imbarazzo, per una volta.

Sente calore e famiglia.

E sole.

E acqua di lago.

Ed erba.

Gli occhi, pesanti di lacrime, non abbandonano il viso di Kelly mentre quello lo accarezza con una dolcezza che non gli aveva mai (ancora) concesso.

«Era come...» comincia in un sussurro, nutrendosi della dolcezza dell'altro lupo. «... la nostra auto. Così vecchia... rovinata e rossa. Anche la nostra puzzava di fumo, ma... quando lei parlava e rideva e... mi leggeva le fiabe... per me c'era solo pioggia e foresta... e amore». La voce si incrina, gli occhi si chiudono e le lacrime sembrano, forse, volersi fermare. «Mi è sembrato di tornare bambino, per un attimo. Con quell'auto». Un sospiro, carico di tensione e blu, blu, così tanto blu... «Ma lei non c'era... più».

Sorride, tra le lacrime, ma Robbie sorride.

Ed è solo per quello – si dice e ridice Kelly – che lo avvolge in un abbraccio. E lo stringe, solo perché si fa così quando qualcuno piange. E lascia che Robbie lo stringa e lo abbraccia e che si abbandoni ancora alle lacrime.

E lo fa solo perché così gli hanno insegnato. Certo.

Kelly continua a mentire a se stesso.

Ma, dio, fatica a lasciarlo andare.

E quando lo fa, Robbie lo guarda un po' sconcertato, imbarazzato, sconvolto.

Ha addirittura un po' di moccio sul naso, ma non glielo dice.

Tanto se ne accorgerà prima o poi. Ma non sarà lui a prenderlo in giro per quello.

«Te la senti di rivederla, quell'auto? Oppure dico ai ragazzi di lasciarti a casa finché non la sistemano?».

Magnanimo. Si sente magnanimo, Kelly.

E continua a mentire a se stesso.

Robbie ci pensa un po', tira su col naso, facendo ancora più casino... e Kelly vorrebbe dirglielo, ma lo metterebbe in imbarazzo e... e oggi è magnanimo.

«Posso resistere» dice in un soffio, il blu che si dissolve, piano piano, in un cupo verde.

«Sicuro?».

Magnanimo, già.

«Certo».

Ed eccolo lì, quel sorriso un po' da schiaffi di Robbie. Quello che a Kelly non piace, nossignore.

È proprio bello mentire a se stessi.

 

***
È ormai pomeriggio quando Robbie torna in officina.

Lo aspettano tutti, anche se Rico, Tanner e Chris fanno finta che sia andata via solo per la pausa pranzo. Gordo no, ma se lo aspettava.

Robbie ruba occhiate veloci al fondo dell'officina e vede spuntare il cofano dell'auto sotto un telo bianco.

«È da rottamare...?» si ritrova a borbottare, stringendosi nelle spalle.

«Strano ma no. È duro a morire quel pezzo d'antiquariato...» fa Rico alzando gli occhi al cielo.

«Ha quasi fuso il motore però...» aggiunge Chris.

«E gli pneumatici sono uno schifo» conclude Tanner.

Gordo non ha ancora detto una sola parola, ma lo guarda in cagnesco, o almeno vorrebbe. Gli vuole troppo bene per farlo sul serio.

Infine, sbuffa, gli fa cenno di seguirlo e si ritrovano assieme davanti all'auto incriminata.

«Se ti va, ti lascio dare un'occhiata. Ma non mandarmela in fiamme».

Ruvido, come sempre, ma lo sguardo dice ben altro. Come sempre.

Robbie esita, un attimo, poi alza la mano e afferra il lenzuolo, facendolo scivolare a terra.

Ingolla invece di singhiozzare e quando la mano di Gordo sale sulla sua nuca si ritrova ancorato a terra e il passato rimane là dove deve stare.

«Ti posso raccontare una storia?».

  
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