Percorse alcuni metri, poi si lasciò cadere su una panchina, la testa tra le mani. Hermann, che era seduto a poca distanza, si alzò e gli si sedette accanto. Per alcuni istanti, tacque e strinse i pugni con forza, fin quasi a farli sanguinare. Le domande volevano uscire dalla sua bocca, ma non poteva costringere Karl a parlare. Il suo compagno di squadra non era facile alle emozioni e un simile, sconfortato atteggiamento era insolito da parte sua. E non gli piaceva affatto. – Potrebbe morire, Hermann... – ruppe ad un tratto il silenzio il centravanti, la voce forzatamente calma. Per fortuna, il suo compagno di squadra aveva frenato le sue pur comprensibili domande sulle condizioni di Genzo. Con una rara delicatezza, aveva atteso le sue spiegazioni e questo gli aveva dato la possibilità di recuperare la razionalità. – Come... Come può essere? Spiegami. – chiese Hermann, angosciato. Presto, avrebbe compreso le ragioni della pena di Karl. E, malgrado la lunga attesa, non era sicuro di volere simili spiegazioni. Scosse la testa, irritato con se stesso. No, non aveva senso una tale, vile fuga dalla verità. Anche se non le avesse conosciuto le condizioni di Genzo, non sarebbero mutate. La verità, per quanto dolorosa, era preferibile ad una bugia insensata. Genzo aveva bisogno di aiuto e non si poteva prescindere dalla realtà. – Usciamo. Ti dirò tutto. Ma non qui, o soffoco. – confessò. Silenziosi, cupi, i due giovani si allontanarono dal reparto e uscirono dall'ospedale.
Percorsero diversi metri e si sedettero su una panchina, sotto un albero di quercia. Per alcuni istanti, Karl rimase immobile, lo sguardo fisso davanti a sé. – Se vuoi, vado a prendere un caffé. Sei sconvolto. – propose Hermann. A quelle parole, il centravanti si scosse dai suoi pensieri e si girò verso il compagno di squadra, rivolgendogli un debole sorriso. – Ti ringrazio, ma non preoccuparti. – lo rassicurò. Poi, il suo sguardo si incupì e rilasciò un debole respiro. – E' vivo... Respira, il suo cuore batte, ma è stato sedato. Un qualsiasi stimolo può agitarlo e danneggiarlo. Ma l'impatto gli ha provocato danni importanti, con una forte emorragia. E questo lo ha reso vulnerabile alle infezioni. Credimi, è terribile vederlo immobile, pallido come un morto. – affermò. Hermann annuì. Karl, seppur a fatica, gli aveva rivelato ogni cosa. Comprendeva bene perché avesse scelto lui di sincerarsi delle condizioni del loro compagno. Se lo avesse visto, avrebbe rischiato di avere una reazione inconsulta. – Come un morto. Hai detto bene, Karl. Ma non è morto. Non possiamo fasciarci la testa prima di essersela rotta. – scandì. Forse, in quella prova difficoltosa, lui e Karl potevano aiutarsi a vicenda. Una speranza, per quanto cauta, era necessaria. Karl sospirò, ma non allontanò lo sguardo ceruleo da quello dell'amico. Sì, le parole di Hermann avevano un senso. Eppure, quel senso di oppressione non svaniva. – Lo spero, Hermann. –