Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: PerseoeAndromeda    25/01/2023    2 recensioni
Eren lo sostenne con la premura che non avrebbe riservato a nessun altro, neanche a Mikasa e, dentro di sé, Armin lo sapeva benissimo, se ne sentiva in colpa e, al tempo stesso, ci si aggrappava con tutta la propria volontà di sopportazione: Eren era tutto ciò che aveva per mantenersi integro in mezzo alla follia e per far sì che il loro sogno comune non venisse meno.
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Armin Arlart, Eren Jaeger
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Fanfic scritta per il writober indetto da Fanwriter.it.
Lista: Pumpnight
Prompt: 30. “Per favore”
Titolo: Tutto quello che ho
Fandom: Attack on titan
Personaggi: Eren Jeager, Armin Arlert
Rating: giallo
Genere: angst, introspettivo, hurt/comfort, drammatico
Warning: Debolezza fisica e malattia
 
 
TUTTO QUELLO CHE HO
 
 
“Per favore… ‘Min… apri gli occhi…”.
Era lontana, inizialmente, quella voce, si introduceva nei suoi sogni allucinati e confusi.
Ma, dopo un po’, divenne il tassello più reale e concreto di quel vortice sensoriale nel quale era immerso.
“Per favore, Armin… mi stai facendo preoccupare”.
La riconosceva, ma faticava ad ascoltarla, stava talmente bene in quel limbo vuoto e scuro, senza urla, senza paura, senza giganti…
Poteva riposare…
Per sempre.
“Armin… per favore…”.
Eren…
Armin avrebbe fatto qualunque cosa per lui, ma era così stanco…
“Noi abbiamo un sogno, ricordi? Quel sogno non ha nessun senso se non lo realizziamo insieme”.
Il sogno…
Il mondo fuori delle mura…
Il mare…
“Il nostro mare…”.
Furono le sue prime parole, deboli, uscirono a stento.
Ma c’era Eren…
C’era sempre Eren lì, per lui.
Eren era la sua forza e per lui sarebbe stato forte, avrebbe parlato e, presto, si sarebbe rialzato da quel letto, sarebbe uscito da quel limbo.
Solo per lui…
Voleva vederlo, ma le palpebre erano pesanti.
Aveva bisogno di quegli occhi verdi che cercavano costantemente i suoi.
Le ciglia sembravano incollate, faceva male, eppure riuscì ad aprire un varco: nella nebbia della febbre che attanagliava le sue membra, ritrovò quel verde sempre più intenso, che lo aspettava e lo supplicava di tornare.
Istante dopo istante, la coscienza si faceva più lucida.
Dopo la vista si risvegliò il senso del tatto, sottoforma di una mano che teneva qualcosa di fresco sulla sua fronte.
Poi di nuovo l’udito e quella voce, accompagnata da labbra che sorridevano:
“Ciao, ‘Min… bentornato”.
“E… ren…”.
Ogni suono che tentava di pronunciare grattava dolorosamente nella gola e lottava per uscire dalle viscere in fiamme.
“Non parlare” lo redarguì Eren.
Intanto, passò quella cosa che già aveva percepito prima e che doveva essere un panno bagnato, morbido e fresco, lungo tutto il viso, poi sul collo.
“Ti fa molto male la gola, vero?”.
Armin si limitò ad annuire mentre, lentamente, i suoi ultimi ricordi si facevano strada attraverso la nebbia del malessere fisico.
Ricordò che stavano affrontando un addestramento parecchio duro, una prova di sopravvivenza.
Faceva freddo e lui arrancava nella neve alta fino ai fianchi, un carico pesante sulle spalle.
Non stava bene, tossiva e starnutiva da giorni, le battute sul suo naso perennemente arrossato si sprecavano più che mai.
Aveva la febbre almeno da due giorni, ma non aveva detto nulla, seppur consapevole che era impossibile non accorgersi quando il suo fisico soffriva.
I pochi amici che si era fatto, gli unici che non si prendevano gioco di lui, cercavano di non risultare insistenti, per non umiliarlo ancor più di quanto si sentisse già umiliato lui stesso.
L’ultimo tassello della sua veloce ricostruzione fu la propria immagine che rifiutava testardamente l’aiuto di Reiner…
Poi il nulla…
Si era trovato a vagare in uno stato di semi incoscienza fatto di sogni e visioni insensate.
Fino al momento in cui i suoi occhi si erano schiusi su quelli di Eren.
Il panno bagnato gli venne posato sulle labbra, dando un po’ di sollievo alla pelle screpolata.
Intanto, Eren continuava a parlare:
“Questa volta ci hai fatto preoccupare più del solito. Sei rimasto incosciente per due giorni interi e deliravi. Non sapevamo cosa fare, persino Hange sembrava tesa quando ti curava”.
Armin sospirò, avrebbe voluto dire che gli dispiaceva, ma la gola gli faceva troppo male.
“Sei sudato, ma tremi come una foglia, hai ancora la febbre alta. Hai sete? Fammi solo cenno con la testa”.
Armin obbedì.
Certo che aveva sete, la bocca era asciutta e secca e impregnata di sapori disgustosi.
Attese solo qualche istante, quindi la mano di Eren si posò sotto la sua nuca e gli sollevò la testa, poi gli accostò un bicchiere alle labbra.
Era tanto sofferente e le labbra così screpolate che, come le ciglia, sembravano incollate l’una all’altra e schiuderle risultò doloroso, così come furono dolorose le goccioline che scivolarono attraverso esse, benché ne avesse un disperato bisogno. Ma, quando si trattò di deglutire, gli sfuggì un gemito e gli vennero le lacrime agli occhi.
Eren notò la fatica che gli costava anche solo inghiottire due gocce d’acqua e la sua espressione si fece seria, sempre più preoccupata.
“Sei un testone, sai Armin? Come al solito non ci hai detto subito quanto stavi male”.
Poi abbassò lo sguardo e rivolse il successivo rimprovero contro se stesso:
“Io però sono uno stronzo, perché me ne sarei dovuto accorgere. E invece sono sempre troppo preso da me stesso”.
Armin scosse il capo, avrebbe voluto contraddirlo ma, quando provò a dire qualcosa, uscì solo un gemito roco, subito seguito da un attacco di tosse che lo costrinse a sollevarsi di colpo, accentuando il dolore che gli esplodeva nelle tempie.
Eren lo sostenne con la premura che non avrebbe riservato a nessun altro, neanche a Mikasa e, dentro di sé, Armin lo sapeva benissimo, se ne sentiva in colpa e, al tempo stesso, ci si aggrappava con tutta la propria volontà di sopportazione: Eren era tutto ciò che aveva per mantenersi integro in mezzo alla follia e per far sì che il loro sogno comune non venisse meno.
 
 
   
 
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