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Autore: Gia August    01/02/2023    0 recensioni
Quando il confine tra illusione e realtà viene superato, il desiderio di un amore diviene ossessione e pone le vite di Bo e Luke in pericolo. Laura Dawson per possederne uno, deve impedire all'altro di mettersi tra lei e l'oggetto dei suoi desideri.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bo Duke, Luke Duke
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo diciannove: il bell’addormentato

 

Un sospiro pesante fece capire a Laura che Luke si stava finalmente svegliando. Si scostò gentilmente il suo braccio dalla vita. Riluttante a lasciare il suo abbraccio, si mise a sedere sul letto. Aveva dormito profondamente per ore (era stato incosciente forse era l’espressione più adatta). Non aveva reagito quando lei gli aveva tolto i vestiti, così come non aveva reagito ai suoi tocchi. Non aveva opposto resistenza quando lei gli si era stesa di fianco e si era inserita nella curva che il suo corpo faceva dormendo su un fianco. Aveva trascorso così tutta la notte, con la schiena poggiata su di lui e tenendosi le braccia avvinghiate.

Laura aveva realmente temuto che Luke fosse andato in overdose da Roypnol. Fu sollevata quando finalmente lui si era girato sulla schiena. Era il primo movimento volontario che faceva, ma ora che si stava svegliando era tempo per lei di andare via. Non avrebbe voluto ma sapeva che Luke le avrebbe ancora opposto resistenza, in fondo era tutta la vita che la sua famiglia gli faceva il lavaggio del cervello. Sarebbe servita tutta la sua pazienza e tutta la sua volontà per allontanarlo definitivamente da loro. Sarebbe servito tempo, ma ora doveva andare. Non aveva altro Roypnol da somministrargli se avesse iniziato a ribellarsi. Doveva trovare una soluzione e nel frattempo sarebbe stato meglio se non ne avesse preso per un paio di giorni. Doveva stare più attenta con il dosaggio in futuro, troppo poco e sarebbe stato arrendevole, troppo e sarebbe diventato incosciente.

Luke sentì il cigolio del lucchetto mentre tentava di uscire dal suo stato di incoscienza. Era consapevole della fioca luce, doveva essere giorno ormai, era ora di alzarsi e iniziare i lavori nel granaio. La testa gli pulsava. Si mise a sedere lentamente, fu assalito dalla nausea. Il suo stomaco era in subbuglio.

Farfuglio: “Bo è ora di alzarsi” voltandosi alla sua destra e aspettandosi di vedere il cugino.

Ma Bo non c’era nella penombra. Il letto di Bo non c’era. Quella non era la loro stanza. Il cuore iniziò a martellargli nel petto e la nausea e il mal di testa peggiorarono all’istante. Luke non sapeva dov'era, ma sapeva che non doveva trovarsi lì. Mentre si guardava attorno gli tornò la memoria. Laura. Laura lo aveva rinchiuso in quella stanza. La scandagliò ma di lei non v’era traccia. Era solo.

Luke si mise a sedere sul bordo del letto, con un braccio tentava di tenere a bada il suo stomaco. L’ultima cosa che ricordava era di aver mangiato un panino e di aver bevuto il latte che Laura gli aveva dato. Presto realizzò che ogni volta beveva qualcosa che arrivava da Laura, diminuivano i suoi tempi di veglia e si sentiva sempre più male. Era chiaro che gli somministrava qualcosa, sapeva solo che non si trattava di alcol. Non era ubriaco, non aveva i postumi di una sbornia.

Ma si sentiva male. Si alzò in piedi e la nausea aumentò. Si trascinò in bagno e arrivò al wc giusto in tempo. Lo stomaco gli faceva male quando quindici minuti dopo finì di rimettere. Esausto rimase seduto sul pavimento con la schiena contro il muro. Il freddo del pavimento e del muro lo aiutarono a calmarsi mentre il suo corpo si riprendeva. Presto iniziò a tremare.

Si accorse con sgomento che non aveva vestiti indosso. Non ricordava di essersi spogliato e sperò ardentemente di esserseli levati da solo. Dolorante afferrò un asciugamano e si tirò su. Aggrappandosi al muro per avere stabilità tornò nella stanza cercando qualcosa che fosse fuori posto. Non era stato spostato niente ma sapeva che Laura era stata lì. Si sentiva debole e si sedette sul letto. E si accorse di cosa mancava. Non c’erano più il piatto e il bicchiere sul tavolo. Decisamente Laura era stata lì.

Gli girava la testa. Si appoggiò alla testiera del letto e prese un cuscino. Qualcosa cadde, guardò e vide che si trattava di un orecchino d’oro a forma di cuore. Laura indossava sempre cuori. Era stata lì con lui nel letto. Il cuscino che aveva afferrato profumava vagamente di rose. Lei era stata lì e lui aveva perso l’occasione di scappare.

Mentre ci pensava, la sua disperazione si tramutò in rabbia. Laura aveva dormito con lui, ormai non aveva più dubbi. Non sapeva cosa aveva fatto o se aveva fatto qualcosa. Forse si era limitata a dormire. Non era giusto, niente di tutto questo era giusto. E la cosa peggiore era che non ricordava niente.

Luke chiuse gli occhi mentre si teneva lo stomaco. Aveva bisogno di riposare, giusto un po’. Doveva fuggire da quella prigione. Appena si fosse sentito meglio avrebbe iniziato a cercare un modo per andarsene. In una maniera o nell’altra lo avrebbe trovato.

Non sapeva quanto avesse dormito. Era impossibile capire quanto tempo fosse passato. Non c’era luce naturale, non c’erano orologi. Sapeva che erano passate ore ma non sapeva dire quante. Laura non tornava con i pasti ad intervalli regolari che gli avrebbero dato un’idea del tempo che passava. Per quanto ne sapeva potevano essere passate ore o giorni o settimane. Essere stato drogato poi non aiutava, non aveva la percezione di niente.

Si mise a sedere lentamente dando al suo stomaco e alla testa il tempo di abituarsi. Passato qualche minuto si avvicinò all’armadio e si vestì con abiti non suoi. Le misure dei jeans e della camicia erano perfette. Laura conosceva tutto di lui, perfino la sua preferenza in fatto di boxer. E quello era un pensiero fastidioso. Sapeva ogni intimo dettaglio della sua vita. Non avrebbe voluto indossare i vestiti che lei gli aveva comprato, ma non aveva scelta. I suoi di vestiti erano spariti.

Il dolore alla testa era diminuito considerevolmente fino a diventare solo un fastidio. Probabilmente non sarebbe stato in grado di trattenere niente nello stomaco, ma almeno non gli faceva più male. Iniziò a controllare la stanza. Doveva esserci un’uscita se era stata costruita per essere un rifugio e non una prigione. Gli occupanti che si rifugiavano là dovevano poter contare su un’uscita di emergenza nel caso qualcosa avesse bloccato la porta. Almeno lo sperava. Se avesse costruito lui quel rifugio si sarebbe di certo assicurato una via di fuga.

Le mura erano solide. Aveva già spostato tutti i mobili per guardarci dietro. Avrebbe controllato anche il pavimento, ma temeva che gli sarebbe tornata la nausea. Doveva muoversi piano e con cautela. Si sedette su una sedia e si mise a pensare.

Il pavimento. Doveva assolutamente controllarlo. La superficie esposta sembrava compatta ma non aveva controllato quella coperta dai mobili. Si tolse gli stivali per sentire il pavimento con i piedi nudi. Con metodo, come seguendo una griglia, camminò cercando possibili irregolarità.

Non ce n’erano, il pavimento era compatto. Con tutta la forza che aveva spostò di lato il pesante letto. Su di una piccola area c’era una coperta. Luke la sollevò rivelando la presenza di una botola. Si inginocchiò e afferrò il chiavistello che la serrava. Qualche istante dopo riuscì ad aprirla.

Luke sbirciò nell’oscurità incapace di vedere alcunché. Uno spiacevole ricordo si affacciò alla memoria. Era accovacciato insieme ad altri due Marines all’entrata di un tunnel scovato sotto un materasso. Avevano seguito la scia del sangue di tre compagni colpiti da un cecchino. Si guardavano l’un l’altro, ognuno di loro sperava non toccasse a lui scendere in quel buco…

Non c’era niente che odiasse di più che scendere in tunnel bui. Si passò una mano sugli occhi tentando di scacciare quel ricordo. Per quanto non volesse farlo, non aveva scelta. Non ne aveva mai avuta. Indossò gli stivali, afferrò la lanterna e controllò il livello dell’olio. Era quasi vuota. Quella fioca luce non sarebbe durata a lungo. Doveva fare in fretta. Avvicinò la luce all’entrata del tunnel per valutarne la profondità. Erano meno di due metri. Un salto facile.

Saltò giù tenendo stretta la lanterna. Si trovò circondato da mura alte e solide. Il passaggio era all’incirca due metri in altezza e un metro e mezzo in larghezza. La luce morente della lanterna illuminava solo ciò che aveva a stretto contatto. Non riusciva a vedere la fine del tunnel.

Tentò di calmare il respiro, sarebbe andato tutto bene. Quel tunnel doveva arrivare da qualche parte e sarebbe stato comunque meglio di dove si trovava prima. Iniziò a camminare nell’unica direzione possibile. Si muoveva piano e con circospezione anche se il suo istinto gli diceva di correre.

Il suo cuore sussultò quando una cinquantina di metri dopo si trovò di fronte un muro. Avvicinandosi fu sollevato nel rendersi conto che il tunnel non era terminato. Di divideva in due, destra e sinistra. Quello a destra sembrava più stretto rispetto al tunnel principale.

Non riusciva a vedere niente in nessuna delle due direzioni. Bofonchiò: “uno vale l’altro.”

Andò a destra. Più si addentrava più l’aria diventava fredda. Lo spazio si restringeva. Duecento metri dopo il tunnel era finito. Luke esaminò le mura, il pavimento e il soffitto alla ricerca di una porta segreta. Era tutto cemento, un vicolo cieco.

“Perché?” Urlò. “Perché qualcuno dovrebbe costruire un tunnel che non porta da nessuna parte? E’ un gioco malato. Non ha senso a meno che non si voglia torturare qualcuno.”

Rimase immobile qualche istante tentando di calmarsi. La rabbia non era una soluzione e aveva bisogno di volgerla in positivo se voleva uscire di lì. Doveva avere il controllo delle proprie emozioni e rimanere lucido. C’era un’altra opzione.

“Va bene” disse a voce alta per convincere se stesso. “Questo tunnel non porta da nessuna parte. C’è ancora l’altro. Nessuno avrebbe faticato tanto per costruire dei tunnel ciechi. Ci deve essere una via d’uscita.”

La luce della lanterna diventava sempre più fioca mentre Luke tornava verso il tunnel di sinistra. Sembrava più alto e più largo dell’altro, il senso di claustrofobia che stava provando si allentò un po’.

Luke implorò la luce di durare ancora mentre si avventurava nel tunnel più veloce di quanto avrebbe voluto. Era più lungo rispetto a quello di destra. Vedeva così poco ormai che rischiò di finire addosso alla parete di fondo. Si guardò intorno in cerca di un altro passaggio, ma non c'era. Quella era la fine. Un altro vicolo cieco. Non c’erano altre opzioni. Non c’era nessuna via di fuga.

“Che tu sia dannata Laura!” Urlò colpendo il muro con la mano. La sua voce riempì il passaggio e gli tornò indietro come eco.

Rabbia. Disperazione. Frustrazione. Paura. Luke era sopraffatto dalle emozioni mentre si trovava da solo alla fine di un tunnel senza uscita. Facendo qualche passo indietro colpì qualcosa sul pavimento. Cercò di proteggere la lanterna mentre cadeva a terra seduto. Tentò nuovamente di farsi luce. Il cuore prese a martellargli nel petto e la nausea ritornò. Tentò di far star ferma la lanterna cercando di vedere quello che aveva di fronte, ma le sue mani avevano cominciato a tremare. La fiammella rimasta si spense definitivamente lasciando Luke al buio con Edward e Julia Dawson.

 

To be continued…

  
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