Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: lolloshima    25/02/2023    3 recensioni
Il comandante Erwin Smith si rese conto di aver perso tutto sul campo di battaglia. Anche il più importante e puro dei sentimenti, sacrificato di fronte alla spasmodica ricerca di una illusoria salvezza per il genere umano.
Si concesse un’ultima scommessa.
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Questa storia partecipa alla challenge #comeasyouarenot2023 indetta dal gruppo Facebook NonSoloSherlock Multifandom
Prompt: Ma ci hai provato? No, ovviamente
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La storia è candidata agli Oscar della Penna 2023 indetta dal Forum Ferisce la Penna
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Erwin Smith, Levi Ackerman
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Erwin Smith amava le scommesse.

Quando riemerse dal torpore in cui era sprofondato a causa dei farmaci, formulò una scommessa ancora prima di aprire gli occhi.

Concentrò ogni fibra del suo essere ed ogni sua forza residua per riuscire a percepire il suo corpo.

Cominciò dalla gamba destra: mosse appena le dita del piede, roteò di qualche millimetro la caviglia, contrasse leggermente i muscoli della coscia.

Passò alla gamba sinistra, e ripetè gli stessi gesti: dita dei piedi, caviglia, coscia.

Contrasse forte la mascella e pensò al braccio sinistro. Alzò una alla volta le dita della mano, piegò un poco il gomito, sollevò la spalla.

Era la volta del braccio destro...

Forse doveva concentrarsi di più.

Ricominciò dalle gambe: destra, sinistra, piedi, caviglie, cosce.

Braccio sinistro: mano, gomito, spalla.

Braccio destro…

Scommessa persa.

Era avvolto nel buio, ma non voleva aprire gli occhi. Non voleva essere vivo. Non così.

Che senso aveva, continuare la sua inutile esistenza?

In nome di una insensata e spietata guerra, aveva perso centinaia di soldati, decine di amici, intere guarnigioni. Pezzi di sé.

Fece un’altra scommessa con se stesso.

Non poteva continuare a vivere, quando tanti dei suoi uomini erano morti, quando anche parte del suo corpo era caduto nella battaglia.

In bocca sentiva il gusto amaro dei farmaci e la gola bruciava dall’arsura.

Con gli occhi ancora chiusi inalò l’odore acre dei medicinali, percepì chiaramente il sentore della polvere che aleggiava nell’aria.

Socchiuse appena le palpebre, quel tanto che bastava per far entrare la luce del giorno.

No, non era morto.

Seconda scommessa persa.

Fu colto da una sensazione opprimente, a lui del tutto sconosciuta. Un senso di sconforto che fino a quel momento lui aveva sempre combattuto, senza mai arrendersi. Ma adesso era così difficile...

Si rese conto di aver perso tutto sul campo di battaglia, il suo corpo, la sua anima, il suo senno. Ci aveva lasciato anche il più importante e puro dei sentimenti, sacrificato di fronte alla spasmodica ricerca di una illusoria salvezza per il genere umano.

Si concesse un’ultima scommessa.

Aprì gli occhi del tutto, abituandosi presto al chiarore del sole che inondava la stanza. Frugò con lo sguardo la piccola camera in cui era stato ricoverato: un letto, un comodino ingombro di boccette e bende, un piccolo guardaroba. Solo l’essenziale, ma comunque un lusso, considerando la situazione di emergenza che la città stava vivendo, un privilegio riservato al valoroso condottiero miracolosamente sopravvissuto all’attacco di un gigante.

In fondo, appollaiato su una sedia addossata alla parete, lui.

Scommessa vinta.

Cercò inutilmente di inumidirsi le labbra con la lingua gonfia e di deglutire della saliva inesistente.

“Capitano Levi…” sussurrò con voce roca.

“Siamo soli”.

A quelle parole, Erwin sollevò il busto, e il suo volto si contrasse in una smorfia di disperazione. Allungò il braccio rimasto nella sua direzione, come se dovesse aggrapparsi ad una scialuppa in mezzo al mare in tempesta.

“Levi… Lev…” invocò, ma il primo singulto gli impedì di proseguire.

In un istante, Levi gli fu accanto.

Si sedette sul bordo del letto, gli passò un braccio intorno al collo, e lo attirò a sé.

Con il viso affondato sul petto di Levi, Erwin si lasciò andare ad un pianto disperato e inconsolabile. Le sue larghe spalle sussultavano ad ogni singhiozzo, lamenti strazianti uscivano dalla bocca spalancata, le lacrime e la saliva bagnavano la divisa impeccabile del capitano.

Levi aumentò la stretta, avvolgendo completamente il viso di Erwin tra il braccio e il petto, così da soffocare il rumore dei gemiti e dei singulti.

Fuori dalla porta, c’erano pur sempre i soldati a guardia della stanza del Comandante, e nessuno doveva sentire quanto stava accadendo lì dentro.

Avvolse l’altro braccio attorno all’immensa schiena di Erwin, ignorando la vertigine che lo colse nel momento in cui affondò nella stoffa della manica vuota.

Con tutto il vigore di cui era capace, strinse forte quel corpo di solito così possente, ma in quel momento completamente abbandonato tra le sue braccia. La differenza di corporatura era evidente, ma Levi era abbastanza robusto e allenato da riuscire a contenere il busto di Erwin scosso dai tremori ad ogni singhiozzo.

Senza dire niente, Levi lasciò che il suo comandante sfogasse il suo dolore fino all’ultima lacrima.

Quando Erwin si calmò, gli sollevò il volto e lo prese tra le mani, affondando i suoi sottili occhi di pece in quelli dell’altro. Le iridi turchesi di Erwin sembravano due grandi isole di topazio al centro di due laghi arrossati .

“Hai un aspetto di merda” esordì.

“Scu…”

“Non azzardarti a scusarti! Chiudi quella bocca, lascia fare a me”.

Tenendo le mani attorno al volto di Erwin, Levi passò i polpastrelli dei pollici sulle sue guance scavate per asciugare i segni delle lacrime che le avevano solcate.

Lo scrutò con attenzione. Con un unico gesto, si sfilò il fazzoletto che portava al collo, e lo passò delicatamente sotto gli occhi dell’altro e poi su tutto il viso, per tamponare il sudore e quel che restava del pianto.

Lo aiutò a mettersi seduto, sistemò il cuscino sulla sua schiena e lo fece appoggiare alla tastiera del letto, sedendosi al suo fianco.

Nessuno dei due disse niente, ma entrambi volevano rinviare il più possibile il momento in cui avrebbero dovuto mandare a chiamare Hanji e gli altri capi squadra.

Ora che il Comandante si era svegliato, non poteva esimersi dai suoi doveri. Bisognava elaborare e discutere le nuove strategie e programmare le prossime missioni del Corpo di Ricerca.

Ma prima, dovevano essere sicuri che Erwin avesse ripreso l’aspetto sicuro e impassibile di sempre.

E poi, rinviare quel momento significava ritagliarsi ancora qualche momento solo per loro.

Levi avvicinò un bicchiere d’acqua alle labbra aride di Erwin e lo aiutò a bere. Continuava ad osservare meticolosamente ogni centimetro del suo volto, per essere sicuro che non si notassero gli effetti del momento di debolezza vissuto poco prima.

O forse, per imprimerlo una volta di più nella mente e nel profondo della sua anima.

Fu Erwin a rompere il silenzio, una volta riacquistata completamente la sua compostezza.

“Levi, non dovresti essere qui. Il tuo posto è là fuori, a guidare i tuoi uomini” disse serio.

“Cazzate. Adesso il mio posto è qui. Con te” rispose il capitano, distogliendo lo sguardo da lui e occupandosi di riordinare il comodino.

“Non devi pensare a me, come hai visto potrei cadere da un momento all’altro, e tu non puoi permetterti distrazioni.”

“Non ho distrazioni, e tu lo sai. E poi tu non sei mai stato solo una distrazione, per me.”

“Qualunque cosa io sia, devi togliermi dalla tua testa.”

“La finisci di dire stronzate? Te lo ripeto, chiudi quella cazzo di bocca!”

“Devo ricordati che ho un grado superiore al tuo?”

“Questo è un ordine al quale non sono in grado di obbedire, comandante” rispose secco Levi, tornando a sedersi al suo fianco.

“Ma almeno, ci hai provato?”

“Cazzo, ovviamente no!”

Seconda scommessa vinta.

Qualcuno bussò alla porta.

Levi allungò le dita verso il volto di Erwin, solleticando la ruvida barba incolta che gli era cresciuta sulle guance e sul mento. Allargò la mano in una carezza che salì fino alle tempie, mentre l’uomo a letto chiudeva gli occhi e abbandonava il capo al palmo di quella piccola mano fredda.

Levì appoggiò le sue labbra a quelle secche e assetate del suo Comandante, e le inumidì passandoci la lingua.

“Avanti!” gridò Erwin, mentre Levi era tornato ad appollaiarsi sulla sedia in fondo alla stanza, incurante delle chiazze umide che macchiavano la sua divisa.

 

 

   
 
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