Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: drisinil    03/03/2023    6 recensioni
Come due Ackermann sociopatici e poco inclini alle frivolezze si vendicano delle ingiustizie della vita.
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Questa storia è scema. Non artisticamente demenziale, proprio scema. Ma mi sono divertita a scriverla. E' nata nell'ambito della "reversechallenge" del gruppo fb "Non solo Sherlock" e proviene da un sogno molto vivido e dettagliato che ho fatto qualche notte fa. Decisamente, dovrei mangiare di meno cena.
Il titolo costituiva il mio prompt, e, lo so, si meritava molto molto di più.
Genere: Commedia, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Eren Jaeger, Erwin Smith, Levi Ackerman, Mikasa Ackerman
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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NESSUN RIMPIANTO


La Bellezza disarmava e feriva.
Era, questa, una consapevolezza da esteta del cazzo che Levi Ackermann aveva acquisito in tempi non sospetti, ma si trovava a rinnovare di continuo grazie alla costante prossimità con il leggendario bastardo gentiluomo che era il suo ufficiale superiore.
E poiché sapeva di essere uno stronzo sprovveduto e masochista, continuava scientemente a ricercare quel tipo di dolore fisico e morale, di sbigottimento, di smarrimento che solo la contemplazione della Bellezza, nelle sue forme più proibite e più pure (per esempio il fottuto Erwin infilato nella fottuta uniforme di gala, lavata bene e stirata molto bene dal suo sguattero privato), riusciva a infliggergli e aveva ormai assunto i tratti di una imbarazzante dipendenza.
 
Stava indulgendo da ore, come il pervertito che era, in quel genere di compiaciuto autolesionismo quando decise, tutt’a un tratto, di averne avuto abbastanza.
Fanculo. Doveva fare qualcosa o il travaso di bile si sarebbe trasformato in rimpianto e non avere rimpianti era l’unica regola che non avrebbe mai infranto. Mai. Fino all’inferno e oltre.

L’inutile cervello torpido che di solito gli languiva nel cranio si rianimò in quel momento, giusto per fargli notare, con una vocetta saccente che somigliava un po’ al gracchiare della quattrocchi di merda, che quella che gli era venuta in mente era proprio una grandissima cazzata.
Lo era. La cazzata del secolo. La regina delle cazzate, perfino più audace e avventata di tirare fuori dalle file delle reclute una qualsiasi bastardella bionda e schiaffarle in testa una corona d’oro.

Si staccò dalla parete a cui era appoggiato, mimetizzato fra le pieghe delle tende di velluto, e sgusciò di soppiatto fra la gente accalcata.
Era ancora capace di rendersi invisibile, la discutibile arte dei mocciosi di strada, e attraversò l’intera sala schivando gli sguardi, fino al suo obiettivo.
La cazzata del secolo richiedeva un complice.
“Mikasa!”
Di solito era impossibile coglierla di sorpresa, perché i muscoli e i sensi degli Ackermann, carichi come molle in perenne tensione, la facevano reagire all’istante; eppure in quel caso Levi ci riuscì.
Se ne stava in disparte, isolata, passiva, in mezzo al turbinare della folla, con gli occhi puntati verso le luci sfavillanti, eppure estranea alla vita che le si agitava di fronte, sprofondata in una cappa d’ombra e di tristezza che la avvolgeva tutta. Sentendo il proprio nome trasalì e si voltò, recuperando in un attimo una passabile espressione marziale, che però non riuscì ad arrivarle negli occhi.
“Sì, capitano?”
“Ho bisogno di te. Vieni!”
“Dove?” domandò sconcertata, mentre però aveva già iniziato a seguirlo.
“In missione.”
“Adesso?” obiettò, gettando un altro sguardo perplesso alla sala gremita.
“Adesso, subito! Che c'è: hai da fare? Troppo impegnata a mettere ragnatele? Muoviti! Diamo un senso a questi fottuti finimenti da giullare che ci hanno sbattuto addosso. Ci hai fatto caso che io e te, in modo particolare, conciati così sembriamo due mentecatti?”

Mikasa si mosse a disagio nella seta verde scuro dell’uniforme di gala, che la strizzava in un corsetto soffocante e la ostacolava con una gonna troppo larga e troppo lunga, per non dire del collo nudo, a cui le mani andavano di continuo. Avrebbe volentieri indossato la versione maschile, come il comandante Hange, ma si trattava di un privilegio esclusivo.
In ogni caso, si lasciò scivolare addosso le provocazioni del capitano e finse di non aver capito la domanda. Qualsiasi risposta gli avesse dato, avrebbe implicato una critica indiretta alla sovrana (che aveva donato le uniformi), al comandante Erwin (che aveva imposto di usarle per quell’occasione) o al capitano stesso (che stava chiedendo conferma di sembrare un mentecatto, il che in effetti un po’ era vero).
“Quale sarebbe la missione, signore?”
“La vedi quella?”
Lo sguardo affilato di Levi guidò quello di Mikasa al centro della pista da ballo.
“Si riferisce a Chris… Historia? Voglio dire… Sua Maestà?”
Historia Reiss, in bianco sfavillante, con una tiara calcata in testa e le ali della libertà ricamate in oro sulla fascia verde, danzava fra le braccia di Eren Jaeger. Era un evento pianificato, che lui la invitasse e lei gli facesse l’onore di accettare. Un ballo che serviva a ribadire il controllo che l’umanità, incarnata dalla biondissima regina, avrebbe acquisito sui giganti e il patrocinio esplicito della Corona alla Legione esplorativa, dalle cui fila la sovrana proveniva e che l’aveva messa sul trono di forza.
Era un evento pianificato, ma ciò non rendeva Mikasa più contenta di starsene in un angolo a guardare.

“Bella coppia, vero? E quell’altra lì, la vedi?”
Mikasa spostò lo sguardo seguendo quello del capitano e si trovò a fissare una sconosciuta che volteggiava con il comandante Smith, il quale, era ovvio, non aveva nessun bisogno di due braccia per far sfigurare il resto dei cavalieri.
La sua dama lo guardava incantata, incapace di distogliere lo sguardo, come se nella sala, e in tutti e tre i cerchi di mura, non esistesse nessun altro. In compenso, tutti gli altri guardavano lei: capelli ramati, occhi grigi colmi di nostalgia e di dolcezza, un corpo cesellato da un artista lascivo e accarezzato da onde liquide di una seta color cielo che sembrava scelta apposta per specchiarsi negli occhi di Erwin Smith.
“Chi è?”
“La moglie di quel grandissimo coglione di Nile Dok. Ma non ti preoccupare, è una coppia ben assortita: lei è perfino più idiota di lui. Molto di più. Un monumento alla stupidità umana.”
Le parole sfrigolavano di livore, ma Mikasa non lo notò. I suoi occhi continuavano a tornare, come calamite stanche, alla schiena pallida e nuda della sovrana, appena sopra la scollatura incrostata di gemme, dove si appoggiava la mano di Eren.
Si vedeva che ballare gli piaceva, come gli piaceva stare al centro dell’attenzione. Forse anche Historia Reiss, così bionda, regale e dolce, gli piaceva.
“Fai attenzione, ragazza mia: il cane geloso del padrone finisce sempre bastonato e alla catena” le sussurrò il capitano, insofferente e sarcastico.
“Come, prego?”
“Lascia perdere. Muoviamoci. Andiamo a fare le puttane in vetrina.”
“Come?”
“Rubiamo la scena alle stronze.”
“Come dice, signore?”
“La gelosia ti sta facendo marcire le orecchie o la stupidità di Jaeger è contagiosa?”
“Veramente…”
“Non me ne frega niente, abbiamo già perso tempo. Ora tira su da terra quel cazzo di cencio verde lurido e andiamo!” le ordinò, afferrandola per il polso e iniziando a trascinarla.
“Dove andiamo?”
“A ballare.”
Mikasa si bloccò e si liberò dalla presa con una torsione e uno strappo che Levi giudicò particolarmente funzionali e molto interessanti dal punto di vista della tecnica.
“Capitano, io non so ballare affatto e lei…beh… con il dovuto rispetto, signore, lo sanno tutti come sono andate a finire le sue lezioni di danza con il caposquadra Hange.”
“Tutti chi?”
“Tutti… tutti, signore.”
Tutti. Finanche gli stramaledetti ronzini audiolesi nelle stalle li avevano sentiti gridarsi addosso, pestarsi i piedi e insultarsi per le fottute lezioni di ballo. La quattrocchi di merda era snodata e agile come un ciocco da camino e andare a tempo e coordinarsi si era rivelata una sfida superiore alla (scarsissima) pazienza di entrambi.

Mocciosa Ackermann, a parte il riconoscimento per il coraggio che ci voleva a dirgli un faccia una cosa del genere, si meritava un calcio nel culo o una carezza di ferro sui denti. Purtroppo, pestare una recluta durante un ballo a corte sembrava un gesto tantino sopra le righe persino per uno con la sua fama. Si limitò a fulminarla con uno sguardo minaccioso che prometteva ritorsioni a base di pulizia latrine e spalamento letame fino alla fine dei tempi.
Poi le appoggiò una mano sulla spalla e la strinse con forza. Era un avvertimento e allo stesso tempo, in qualche modo, anche una rassicurazione. “Qual’è il tuo cognome?”
“Ackermann, Signore” rispose lei, reagendo in automatico più che alla domanda retorica, al tono marziale con cui era stata formulata.
“Esatto. Ackermann. Che ragazza fortunata! Generazioni e generazioni di patetiche scimmie ballerine, tenute al guinzaglio corto da stronzi opportunisti di vario calibro. Fidati: se c’è una cosa che le scimmie ballerine sanno fare per definizione è ballare, appena il padrone fischia. Non senti anche tu fischiare?”
Mikasa tese l’orecchio. Non era mai sicura di quello che diceva il capitano, a meno che non fossero istruzioni belliche, sulle quali si intendevano a meraviglia. Per il resto, le metafore che usava le erano per lo più incomprensibili e di solito non le interessavano particolarmente. Però, era piuttosto sicura che durante un ballo a corte nessuno si sarebbe messo a fischiare.
“Basta chiacchiere, muoviamoci!”
“Ma Capitano…”
“E’ un ordine” le intimò perentorio, mentre si infilava il braccio di lei sotto il proprio e marciava in avanti, percuotendo il pavimento con gli stivali. Al bordo della pista si chinò a sussurrarle qualcosa.

Nessuno si aspettava che il soldato più forte dell’umanità potesse distinguersi in un’attività frivola come la danza, nessuno si aspettava che lo facesse insieme a una recluta. Soprattutto, nessuno si aspettava di vedere lo straordinario spettacolo che in effetti videro.

Sembrava volassero, leggeri, in stato di grazia, sostenuti da venti invisibili che soffiavano solo per loro. Volteggiavano nel gioco di riflessi delle immense specchiere, girando esattamente a tempo con la musica, o anzi, leggermente in anticipo, ma con tali armonia e perfezione che sembrava fosse piuttosto l’orchestra ad attardarsi, tentando invano di raggiungerli.
La dama, giovanissima e sconosciuta, colpì la fantasia di più di un gentiluomo, tanto era esotica. Capelli colore dell’inchiostro con vividi riflessi blu sotto le luminarie, occhi notturni affollati di stelle, un sorriso dolcissimo, membra flessuose, la schiena incurvata in un arco perfetto. Impossibile crederla un soldato, sebbene l’uniforme parlasse chiaro: chi mai avrebbe votato alla morte e mandato in pasto ai giganti una simile bellezza, anziché custodirla in un palazzo?
Fortunato il capitano che approfittava dei suoi gradi, pensarono i malevoli, con tutto che gli mancavano almeno venti centimetri d’altezza e parecchi gradi in più di raffinatezza e amabilità per poter aspirare legittimamente a un trionfo sociale in quel consesso.
Avrebbero voluto criticarli, eppure continuavano a seguirli con gli occhi, affascinati, compresi, ipnotizzati. Persino uno dei violinisti perse il segno sullo spartito e abbassò lo strumento, per leccarsi le labbra e tamponarsi la fronte con il fazzoletto.

Danzavano e danzavano. Seguivano, danzando, un percorso che fioriva sul marmo in molteplici curve inanellate, tracciando disegni di arabeschi e volute immaginarie. Si muovevano audaci fra le altre coppie, cambiando direzione e velocità, sfidandole su tragitti temerari che deviavano all’ultimo istante da urti inevitabili. Quasi tutti, scampato il pericolo, si fermavano senza fiato, retrocedendo fra il pubblico per cedere il passo.
Quando l’eco dell’ultima nota si spense tremula sulle tappezzerie di seta e oro, gli Ackermann erano rimasti soli sulla pista e si trovavano al centro esatto della sala, di fronte al trono, calcando con i piedi la triplice cerchia di mura eburnee che ornava il pavimento, il respiro appena accelerato dalle loro prodezze.

Il brusio si contrasse in un silenzio ammirato e carico di aspettativa: pochi istanti rubati al tempo ordinario, mentre l’incantesimo si rompeva e il mondo ripiombava nei suoi angusti confini. Finché scrosciò un applauso come un tuono, che rimbalzò rombando fra le vetrate e gli specchi, lungo le dorsali delle colonne, in tutti gli angoli di quell’enorme palazzo, che un boato simile non lo ricordava da un secolo almeno.
Che il capitano Ackermann sorridesse compiaciuto è più che altro materia di speculazione e di leggenda.

E’ certo invece che, abbandonata la dama con un po’ troppa fretta per rendere giustizia ai pettegolezzi, si dirigesse ad ampie falcate di fronte al suo ufficiale superiore e lì, chinando il capo, gli baciasse l’orlo dorato della manica vuota dell’uniforme.

****

“Apri bene le orecchie, scimmia ballerina: sala del trono, quindici per trenta, trentasei giganti classe cinque metri, disposti a ovale, a intervalli regolari di due metri circa, immobili. Più tre al centro a triangolo.
Abbiamo un solo dispositivo tridimensionale e ovviamente lo indosso io, tu ti fai portare. Visto che hai il culo più grosso del mio, non puoi aggrapparti o finiamo ammazzati, sostieniti, ma non ti aggrappare.
Sposta il peso all’indietro, ti reggo io a sinistra, così entrambi abbiamo libera la dominante. I tuoi cazzo di piedoni enormi non voglio trovarmeli intorno mentre manovro o te li taglio, se mi intralci sono cazzi amari.
Io manovro soltanto, tu colpisci solamente, mira ai tendini delle caviglie, vai all’indietro curvando la schiena, se ti sporgi di fianco e usciamo dal baricentro sono sempre cazzi amari.
Ancora più amari se mi frani addosso o ti strusci, schifosamente sudata come sarai di certo sotto la bardatura da giullare.
Stiamo finendo il gas, quindi niente riposini fra un bersaglio e l’altro, zero pause. Dev’essere un unico movimento fluido lungo tutto l’ovale e poi verso il centro: volo, stacco, doppio avvitamento, poi cambio direzione, gas e si ricomincia.
Tre tempi: arpione, volo, colpisci, avanti.
Tutto chiaro fin qui?”
“Sissignore. Chiarissimo.”
“Bene. Ora invece dell’elsa stringi forte il fottutissimo cencio raccatta-polvere. Vedi di sollevarlo poco, se ti fai guardare le cosce da questi maiali, qualcuno ti assalirà in corridoio, tu lo sgozzerai con una forcina per capelli e saranno….”
“… cazzi amari. Ricevuto.”
“Conto due volte i tre tempi, per darti il ritmo.”
“Ricevuto.”
“Ackermann?”
“Signore?”
“Levati dalla faccia quell’espressione da sterminatrice di giganti e sorridi come se io fossi quello stordito di Jaeger e ti avessi appena chiesto di sco… sposarmi.”
“Lei non assomiglia affatto a…”
“Ackermann!”
“Signore?”
“Chiudi il becco e vai a farti fottere dal tuo amico d'infanzia. Ma dopo. Ora vedi di sorridere. E’ un ordine.”
“Sissignore.”
   
 
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