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Autore: Subutai Khan    09/03/2023    3 recensioni
La mediana delle sorelle Tendo si ritrova alle prese con un problema a dir poco... bizzarro.
Genere: Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nabiki Tendo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Tutto… tutto questo è impossibile…” bisbiglio.

Cosa intendo con quel tutto? Oh, niente di serio.

Sarcasmo becero a parte, intendo davvero un sacco di cose.

Tipo che, sempre che non stia attraversando il peggior trip da acido nella storia dei trip da acido, mi trovo al liceo Furinkan in quello che a occhio potrebbe essere… mh, forse il 1989. O il ‘90.

E quindi? Sapete, c’è il piccolissimo dettaglio che all’epoca avevo diciassette anni. Indovinate quanti anni ho compiuto il giorno del mio ultimo compleanno.

No, non affannatevi. Ve lo dico io.

Trentadue.

Mi stai quindi dicendo che sono circa quindici anni nel mio passato? Nel mio corpo dell’epoca?

…non sapete chi sono? Scema io, non mi sono presentata.

Nabiki Tendo, simpaticamente soprannominata Cannibale. Responsabile esecutiva della Fujiwara Electronics per l’intera area metropolitana di Tokyo. Donna in carriera che non ha tempo da perdere dietro a deliri romantici di matrimonio, amore eterno e simili scemenze.

Ora sono a scuola. Ho diciassette primavere sul groppone, appena più della metà di quante dovrebbero essere.

Non so come sia stato possibile. È un evento scioccante e inspiegabile per la mia mente, saldamente ancorata a numeri e tabelle. Lo sarebbe per chiunque, capiamoci, ma figurati per una iper-razionalista come la sottoscritta.

E volete saperne una? Non è neanche la cosa più fuori dal mondo che mi è capitata negli ultimi trenta secondi. Perché, barcollando fuori dalla classe (mi scuserete, ma non ero più abituata al cianciare continuo e infermabile di Tatewaki Kuno), uno spettacolo per me assurdo si è dipinto davanti alle mie fosche pupille.

Ho incrociato Ranma e Akane che a loro volta uscivano.

Mia sorella e il suo fidanzato. Li ho visti così giovani, intenti come loro solito a insultarsi e a camuffare i propri sentimenti l’uno nei confronti dell’altra. Mi hanno quasi fatto tenerezza.

Poi un flash: quella scena era irreale. Per me lo era, quantomeno.

Perché?

Mamma mia, quanto è difficile da dire. Il bello è che dovrei esserci abituata, ormai è storia vecchia per il mio orologio personale.

Akane aveva le gambe. Ranma era vivo.

Nel 2004, anno da cui provengo, Ranma Saotome è morto da un sacco. E da altrettanto Akane Tendo se ne va in giro per la città su una comoda sedia a rotelle, impossibilitata a fare altrimenti per via della mancanza degli arti inferiori dal ginocchio in giù.

Successe quando ‘sti due scavezzacollo si recarono a Ryugenzawa a trovare un amico d’infanzia di lei e a combattere un drago a otto teste.

Fa ridere a sentirla dire così, vero? Beh, non è stato divertente.

Ricordo come fosse stata ieri la telefonata, perché ovviamente ho risposto io in prima persona. La cosa buffa è che, allo stato attuale, sto parlando di un evento futuro.

“Casa Tendo. Chi parla?”

“Uh, è il numero giusto. Per fortuna, temevo di aver sbagliato. Salve, volevo parlare con un parente della signorina Akane Tendo se possibile.”

“Sono sua sorella, può dire a me. Ma scusi, lei chi è?”

“Oh. Lei è la sorella. Capisco, sì, capisco. Ecco, mi chiamo Toranosuke Matsudaira e sono il nonno di Shinnosuke, non so se sa chi è…”

“Non è il nome dell’amico di Akane? Di… Ryugenzawa? O ricordo male?”

“No no, è giusto. Ecco, vede, è successa una cosa… bruttissima.”

“Cosa?”

“Il mio ragazzo, sua sorella e due suoi compagni… ecco, è difficile da dire…”

“Si può spiegare, per favore? Mi sta mettendo in ansia.”

“Sua sorella… è l’unica rimasta. E non ne è uscita intatta.”

“Cosa intende con non ne è uscita intatta? Inoltre, mi sta dicendo che Shinnosuke e Ranma…”

“Sì, ci hanno rimesso la vita. Mentre sua sorella…”

“COS’È SUCCESSO A MIA SORELLA, SI PUÒ SAPERE?”

“Ha… ha perso le gambe.”

Sentendo quell’ultima frase ho preso a guardare lo spazio aperto, interessandomi particolarmente a un buco nero che sembrava la palla stroboscopica di una discoteca, ho appoggiato con calma la cornetta sbattendola in faccia a quel pover’uomo e ho continuato a osservare l’infinito. Era davvero molto, molto stimolante.

I primi mesi furono uno strazio senza pari. Akane regredì in se stessa, schiacciata dal senso di colpa perché si dava la responsabilità della morte di Ranma (e di Shinnosuke e pure di Ryoga, ho scoperto più tardi). La perdita degli arti inferiori le causò una profonda depressione e rassegnazione a palate. La sua frase preferita divenne “Chi ha bisogno di una monca?”.

Io e Kasumi annaspavamo nel vano tentativo di confortarla, di cercare di farle capire che non era tutto finito come credeva, che c’era ancora la possibilità di rialzarsi. Solo figurativamente parlando, almeno finché non le arrivarono le protesi del governo. Tutto inutile, quella testona si era convinta di essere diventata uno spreco d’ossigeno e con ogni cosa che faceva e diceva intendeva dimostrarcelo.

Per farla breve si stava lasciando morire. Presumo fosse un oscuro, inconscio desiderio di voler raggiungere gli altri.

Poi per fortuna si è palesata all’orizzonte Ukyo Kuonji. Ora dico che è stata una cosa buona, ma all’epoca avrei riso se qualcuno avesse dipinto la situazione in simile luce. Quella un giorno ci irrompe in casa e che fa? Si mette a insultare Akane, che al solito vegetava sul letto, accusandola di star sprecando il sacrificio della vita di Ranma. Vista col senno di poi e con ciò che so ora, è stata una mossa geniale: al contrario nostro lei aveva capito cosa andava fatto per scuoterla dall’immobilismo fisico e mentale che si era imposta. Peccato che abbia dovuto sforzarsi di essere una iena, insensibile e ingiuriosa più che poteva. Ma solo così ha saputo sobillare lo spirito guerriero della mia sorellina, che difatti ha preso come obiettivo quello di metterle le mani addosso per fargliela pagare.

Un anno dopo l’incidente, con metà di questo tempo passato a sopravvivere solo da un punto di vista meramente fisico, Akane ha tenuto fede al proposito. Si è presentata all’ingresso dell’okonomiyaki-ya mentre l’altra lo stava aprendo, si è letteralmente lanciata fuori dalla sedia a rotelle e l’ha afferrata per le caviglie, riuscendo a farla cadere. A quel punto l’ha pestata in lungo e in largo, finalmente in controllo della propria volontà dopo sin troppa apatia.

Quel che sto per dire suona ridicolo, lo so. Ma credetemi, sono davvero contenta che sia andata così. Un po’ perché oggettivamente se le meritava, un po’ perché così facendo l’ha spedita all’ospedale e ha permesso ai dottori di curarla. Già, si è scoperto che Ukyo Kuonji stava per andarsene all’altro mondo. Aveva un’ulcera enorme nello stomaco e le si è fermato il cuore due volte sul tavolo operatorio. Non l’avrebbero mai presa in tempo se non fosse stato per i pugni di Akane.

Nonostante i sei mesi infernali che le aveva inferto, ora ho la sicurezza di poter dire che non avrei voluto saperla morta. Non sarebbe stato giusto, detto con la massima sincerità. Vero che il metodo non è risultato per nulla gradevole, volendo usare un eufemismo, ma il fine lo giustificava. Cavolo, Akane è passata dal rifiutare il cibo all’impegno focalizzato per reimparare a camminare. Di nuovo, metodo antipatico da matti ma efficace.

Poi il tutto si è concluso con quelle due che si sono abbracciate, cercando di tirarsi su a vicenda. È stata una scena dolce pur nella sua drammaticità, scena dalla quale mi sono defilata per lasciar loro il giusto spazio.

Da quel momento, da quell’abbraccio, Akane e Ukyo hanno cominciato il loro lento processo di elaborazione del lutto. E l’hanno fatto assieme, anche perché la cuoca non aveva più neanche le lacrime per piangere. Aveva finito con l’investire tutti i suoi beni materiali in questa missione, col risultato che le hanno pignorato il ristorante per le spese mediche. Quindi Akane ha fatto fuoco e fiamme per permetterle di venire a stare nella stanza degli ospiti di casa Tendo, nonostante l’opinione in famiglia non fosse esattamente positiva. Io ero l’unica che conosceva i retroscena, sentiti dalla bocca della diretta interessata poco prima di uno dei suoi incontri ravvicinati del terzo tipo con l’aldilà, ma mi aveva fatto giurare e spergiurare di non dire niente a nessuno. E guardate, so che può sembrare incredibile ma in questo genere di faccende Nabiki Tendo non si rimangia la parola data. Pertanto mi è toccato star zitta mentre papà e Kasumi esternavano i loro assolutamente legittimi dubbi. Alla fine, tanto per cambiare, quella cocciuta della nostra sorella minore ha avuto la meglio.

E poi oh, sarà cinico da dire ma quella stanza era vuota e non ci sarebbero stati problemi di sovraffollamento. Se state pensando a Genma Saotome… beh, il signore aveva ancora una moglie là fuori. Con Ranma deceduto non c’era più reale motivo per farlo alloggiare a casa nostra, pertanto si è preso il suo sacrosanto calcio nel sedere ed è stato fatto accomodare armi e bagagli fuori dall’uscio.

Ok, ok, lo ammetto: per i primi mesi dopo l’incidente la stanza degli ospiti era occupata da Akane, visto che camera sua è al piano di sopra e le risultava vagamente impossibile arrivarci. Ma dopo la prima visita di quella che per un po’ è stata la sua peggior nemica, la ragazza non ha voluto sentir ragioni e ha trasformato le scale in una palestra improvvisata, utile per aiutarla a prendere confidenza con le protesi. Anche da dettagliucci come questo, in realtà sostanzialmente insignificanti, credo si possa capire perché io, sebbene non l’abbia mai manifestato ad altra voce, sarò per sempre grata a Ukyo.

Sono passati tre lustri da allora e le situazioni generali di entrambe sono enormemente migliorate. Ukyo si è arrabattata per un po’ in vari lavoretti per racimolare il gruzzolo necessario ad aprire un nuovo ristorante e coprire i suoi debiti, cosa riuscitale in tempi relativamente brevi e che le ha permesso di tornare a vivere da sola; Akane ha invece completato l’istruzione secondaria e stava seriamente meditando di iscriversi all’università, se non fosse stato che ha scoperto il sitting volley e se n’è innamorata. Che cos’è il sitting volley, vi starete chiedendo. È uno sport inventato nei Paesi Bassi negli anni ‘50, una versione della pallavolo per persone con handicap che, come suggerisce il nome, si svolge da seduti. Le venne consigliato dal professore di educazione fisica del Furinkan durante il suo ultimo anno di frequentazione, andò a provarlo e le piacque tantissimo. Al punto che posso vantarmi di essere parente della miglior giocatrice della nazionale giapponese, medaglia di bronzo alle Paralimpiadi di Atene 2004. La semifinale con la Cina è stata una partita epica, persa solo all’ultimo punto del quinto set, ma si sono ampiamente rifatte con quel secco 3-0 rifilato agli Stati Uniti nella finale per il terzo posto.

Io c’ero, ero sugli spalti a tifare. E con me c’era una certa signorina con la spatola. Sì dannazione, se l’è voluta portare dietro a tutti i costi e ci stava quasi per far buttar fuori. Il resto della famiglia non è potuta venire ma sono sicura che abbiano seguito le sue imprese in TV.

Voi non potete immaginarvi la gioia che ho sentito nel petto a vederla in campo mentre sbraitava ordini alle compagne e cercava di abbattere quella stupida rete con una delle sue poderose schiacciate. Era viva, per la miseria. Viva. I primi sei mesi erano stati terrificanti e non credevo che avrei mai più rivisto l’Akane livida, l’Akane soddisfatta, Akane com’era prima.

Invece l’ho fatto. E in quegli istanti, per l’ennesima volta, dentro di me ho mandato un ringraziamento formato famiglia alla persona che mi era seduta a fianco. Una persona che era stata disposta a sacrificare tutto quello che possedeva pur di aiutarla a uscire dal suo stato catatonico. Certo, in effetti la ragazza è un po’ troppo ossessiva quando si impunta… ma ti dirò, se si impunta per salvare mia sorella a me sta anche bene.

Adesso è il momento di tornare al presente. Al passato, in realtà.

Devo ancora realmente raccapezzarmi su quanto mi è accaduto, sul fatto che mi trovo a scuola nei panni di un’alunna.

Normalmente cose tanto irreali succedevano a Ranma, non di certo alla sottoscritta. È la mia prima avventura bizzarra in solitaria, non collegata al fu Saotome o a qualcuno degli strani elementi che gli gravitavano attorno. Quindi spero che nessuno se la prenda se mi sento un po’ scombussolata e…

“Nabiki? Stai bene? Sei pallida.”

La voce dell’Akane sedicenne. Esagero fino a un certo punto quando dico che mi pare passato un secolo dall’ultima volta che l’ho sentita. Vederla in piedi e integra è straniante, davvero straniante per me. Per non parlare del suo fidanzato che respira.

Deglutisco nella maniera più discreta possibile, poi le rispondo: “Oh, Akane. Scusa, ero distratta. Puoi ripetere per favore?”

“Ti ho chiesto se stai bene. Mi pari strana.”

“Sì, sto bene. Se sembro un po’ svagata è perché ho delle cose per la testa.”

“Qualcosa ti preoccupa?”

“Lasciala perdere, Akane.” si intromette quello screanzato “Starà pensando a qualche squallido modo di fare soldi facili, come suo solito.”

“Ehi! Non parlare così di mia sorella, sai. Dobbiamo tutti ringraziarla se a casa Tendo si consumano due pasti regolari al giorno.”

Vero, era tutto merito mio. Sin da quando è morta la mamma, la situazione economica della famiglia è diventata mia responsabilità e ho sempre assolto il compito con perizia. Mi dovrò pur essere guadagnata il soprannome di Cannibale in qualche modo, non credete?

“No Saotome, ti sbagli. Benché possa suonare impossibile, l’oggetto dei miei pensieri non è il denaro stavolta.”

“Impossibile! Non c’è mai altro nella tua perfida testa!”

“Libero di non crederci.” Ovviamente non mi posso mettere a spiegargli il mio problema, mi prenderebbe per matta. E non solo lui.

“Quindi è tutto ok?” chiede Akane, l’apprensione piuttosto evidente sul suo volto.

“Rilassati. È una faccenda… strana, ma niente di pericoloso.”

“Se lo dici tu…” Evidente, dal suo tono di voce e dalla sua gestualità, che è dubbiosa rispetto al mio tentativo di sciacquar via la grana, ma a quanto pare decide di soprassedere perché non indaga oltre.

Dopo pochi secondi di silenzio mi dice che lei e il suo bel tomo hanno in programma di andare a cena da Ukyo. Una parte di me riceve questa informazione e la interpreta come un implicito invito ad aggregarsi. O forse faccio galoppare troppo la fantasia, anche se…

Anche se sono piuttosto propensa ad andarci anch’io.

Insomma. Per qualche imperscrutabile motivo mi trovo nel passato, nel mio corpo da diciassettenne, in un periodo antecedente alla tragedia di Ryugenzawa. Le due persone che mi sono davanti non hanno ancora ricevuto delle tremende mazzate. Lei per fortuna è riuscita a rimettere insieme i cocci al meglio delle proprie possibilità, perché chiaramente perdere le gambe ha comunque impattato la sua vita in modo davvero molto forte, mentre lui… per lui non c’è stato nulla da rimettere insieme.

Non nego che, almeno finché non verrò a capo dell’arcano e potrò tornarmene nel mio tempo, intendo approfittare del diverso status quo in cui sono finita.

“Sentite,” inizio in maniera fin troppo dimessa “potrei… venire anch’io?”

Ranma mi guarda stralunato, dimostrando che non si aspettava per nulla una simile uscita da parte mia: “Come, scusa? Vuoi venire all’Ucchan assieme a noi?”

“Vorrei, sì. Sempre che non vi disturbi troppo perché magari preferite stare soli soletti.” Oh, ecco la Nabiki che riconosco e che mi piace essere.

Colpiti sulla fiancata, tutti e due. Arrossiscono all’unisono, regalandomi un minuscolo brivido: “Ma… ma perché?” chiede Akane “Solitamente non ti piace uscire con noi.”

“Oggi ne ho voglia. Vietato, per caso? Se davvero è un’uscita romantica mi farò da parte.”

“Nabiki!”

“Dai, scherzavo. Nel caso non mi vogliate basta dirlo, non mi offenderò.” Spero che abbiano colto il sottinteso passivo-aggressivo da Sto dicendo che non mi offenderò ma, se siete furbi abbastanza, vi siete accorti che in realtà intendo l’esatto opposto. Sì, lo so, ho usato un termine tecnico un po’ a casaccio ma non stiamo a sottilizzare troppo.

“No no, ci mancherebbe. È solo che non succede mai e mi hai spiazzata, tutto qui.”

“Semel in anno licet insanire, cara mia. Quindi mi posso considerare ufficialmente della partita?”

“Uga?” borbotta Ranma, in una perfetta imitazione di un uomo di Neanderthal messo davanti a un telefono. Immagino si stia riferendo alla colta citazione.

“Se ti stai arrovellando per cercare di capire quel che ho detto, fatti un favore ed evitatelo. Non ci arriveresti neanche fra un milione di anni. Non mi dai proprio l’impressione di uno che conosce il latino.” Cavolo, mi mancava sfotterlo. Mi mancava davvero un sacco.

“In realtà dovresti spiegarla anche a me. Comunque, per rispondere alla tua ultima domanda, certo che sì. Sei la benvenuta.”

“Oh su sorellina, non provare a togliermi l’aura da donna acculturata. Credo che vi lascerò col dubbio.”

“Più che di donna acculturata, a me pare l’aura di una truffatrice. Potresti essertela inventata di sana pianta sul momento.”

“Possibilissimo, Saotome. Andrai a dormire con questo amletico quesito che galleggia nel vuoto pneumatico della tua scatola cranica.”

“Ehi! Non c’è bisogno di insultarlo così gratuitamente!” Akane che prima difende me da lui e poi lui da me. Mi fa un pochino ridere.

“Va bene, va bene. Ritiro.”

“Mpf. Sei fortunata che non metto le mani addosso alle ragazze, Nabiki.”

“Fammi il piacere, mezz’uomo. Sei solo chiacchiere e distintivo, anche se non sei un gangster italo-americano nella Chicago degli anni ‘20. Prendi in saccoccia il mio passo indietro e accontentati.” Solo ora mi viene in mente il fatto che, in un paio d’occasioni, sono stata davvero felice per il suo stupido codice d’onore. La faccia che mi aveva rivolto non era per nulla rassicurante e una piccola parte di me aveva persino avuto paura. Ma con questo tenore dovrei essere al sicuro.

Ci accordiamo sui dettagli e loro si accomiatano.

Quindi vuol dire che ho un intero pomeriggio per me e per acclimatarmi alla mia nuova situazione. Oh sì, non ho nessunissima intenzione di farmi incatenare dall’orario scolastico. Meno di zero, proprio.

L’ho detto, no? Le circostanze inusuali in cui mi trovo meritano un approfondimento.

Torno in classe e avviso Kuno di avvisare chi di dovere che io ho da fare e me ne vado. Lui mi guarda stranito, conscio che normalmente simili colpi di testa arrivano da un altro membro della famiglia Tendo e dal suo degno fidanzato e non dalla sottoscritta.

Sai cosa? Non me ne frega una beneamata. La gente pensi quello che vuole, tanto la mia fama di Cannibale non verrà di certo intaccata per così poco. E anche fosse, l’esperienza di quindici anni in più si farebbe presto sentire per rimettere tutto a posto.

Questo contesto è troppo freaky per non approfittarne. Sono curiosa, lo ammetto. Tecnicamente non dovrei, sono pur sempre cose appartenenti al mio passato e che quindi ho già almeno in parte vissuto. È il senno di poi a colorare il mondo in una maniera tutta particolare, inaspettata. Cioè, quando mi ricapiterà di avere la mente di una donna d’affari dentro il corpo di un’adolescente? Occasione più unica che rara e che come tale va trattata. Inoltre intendo appurare giorno, mese e anno precisi in cui sono capitata, giusto per evitarmi gaffe e svarioni.

Saluto sbrigativamente il Tuono Blu, il quale continua a fissarmi come se gli avessi detto che in realtà vengo da Marte e sto progettando la conquista del mondo. La seconda parte è anche abbastanza credibile in fondo, la prima un po’ meno.

Esco dal Furinkan, respirando a pieni polmoni l’aria di quasi due decenni fa. Più pura di quella a cui sono abituata.

Il mio pragmatismo mi sta suggerendo di andare a casa e di non mettere il becco fuori fino alla fine delle lezioni, perché sapete come viene guardata una studentessa che cammina per strada invece di essere ingobbita sui banchi di scuola. La mia tanto bistrattata anima avventurosa mi sta invece dicendo di… intendo essere precisa. Mi sta dicendo di fottermene, testuali parole. Di ignorare le espressioni di rimprovero e di sdegno che mi verranno sicuramente lanciate. Di alzare la testa sopra a chi si permette di giudicarmi senza avere la benché minima idea di cosa sto vivendo. Di tirare dritto per il mio cammino, priva di compagni di viaggio come sempre.

Sì, Nabiki Tendo ama atteggiarsi a lupo solitario. E vi dirò, questo non sarà l’inizio di un monologo in cui finirò con lo sconfessare la mia filosofia di vita.

A me piace essere un lupo solitario. È vero, da bambina ero molto più espansiva, amichevole, giocosa. A quattro anni mi sono rotta una gamba cadendo male da uno scivolo, con Kasumi che ha dovuto tenermi ferma perché volevo continuare a scorrazzare come un furetto sotto acidi. Ero anche incapace o quasi di mascherare i miei sentimenti, al punto che per Akane ero la frignona.

Poi nostra madre è morta. Akane aveva cinque anni, io sei, Kasumi otto. La nostra sorellina era chiaramente troppo piccola per sentirsi responsabilizzata, cosa che invece io e Kasumi abbiamo afferrato con entrambe le mani. O meglio, avrei voluto ma esattamente come Akane ero davvero ancora troppo, troppo piccola per accollarmi delle responsabilità così gravose. Kasumi ha in un certo qual modo aggirato questo ostacolo perché si è fatta carico delle pulizie di casa, che non erano di certo semplici ma alla fine non risultavano un ostacolo insormontabile. Il lato economico, che già nell’epoca in cui mi trovo ora era di mia totale e assoluta competenza, all’inizio è stato sorretto da papà. Ha fatto una gran fatica, psicologicamente distrutto com’era dalla morte dell’adorata moglie, ma si è fatto forza e per un po’ è riuscito a tenere aperta la palestra e a incassare quanto serviva per il sostentamento suo e nostro. Nel frattempo io, desiderosa di sentirmi utile alla causa comune, ho cominciato a escogitare i primi piccoli stratagemmi per raccattare due spiccioli: mi facevo pagare lavoretti dai compagni di classe o vendevo il mio pranzo al miglior offerente. Cosucce così, nulla di eclatante. Ricordo che portavo quella misera manciata di yen a papà col sorriso più grande e soddisfatto del mondo, lui li prendeva e mi ringraziava. Ora è facile capire che lo faceva solo per darmi il contentino. Poi, col lento passare degli anni, la sua capacità di reggere il dojo è andata sempre più scemando, il che mi ha obbligata ad alzare il tiro. Ed è stato lì che ho scoperto il traffico delle foto, sicuramente ciò che mi ha fatto fare il salto di qualità in termini monetari. Inizialmente era roba innocente, cominciata quando vidi un compagno di classe in preda alle turbe d’amore e mi offrii di compensare la sua timidezza con delle immagini. Fu incredibilmente proficuo, almeno ai miei occhi ancora ingenui di bambina che stava appena cominciando a svezzarsi in quell’ambito. Mi aprì un intero mondo. Però mi sono accorta presto che era un mondo spietato, dove i sorrisi e la simpatia ti avrebbero solo fatto guadagnare una lunga sequela di scarpate nel deretano. Non era l’approccio adatto, proprio per niente. Quindi ho dato fondo a tutte le mie riserve di freddezza, menefreghismo, capacità di tagliare le gole anche se solo in senso figurato. E il risultato è stata la Cannibale. La quale ormai non è neanche più una seconda pelle, si è talmente mescolata alla prima da diventarne parte integrante. O forse, per essere ancora più precisi, ha finito con il sostituirla e ora è lei la nuova prima pelle.

Avendo ormai superato i trent’anni suonati non ho più la possibilità di inserire la retromarcia e andare come un razzo verso il punto di partenza. La mia esistenza salterebbe per aria come un petardo. Fra l’altro, conoscendomi, finirei con lo stirare un’intera colonna di bonzi la cui unica colpa era di trovarsi sul marciapiede sbagliato nel momento sbagliato.

E nonostante questo, a me non dispiace essere come sono ora. Ho scoperto che fare il pescecane mi riesce bene. Credo di avere una predisposizione naturale. Sì, contraddice quanto ho detto prima… all’apparenza, perlomeno. Perché se c’è una cosa che ho imparato nel corso della mia vita è che le persone sono sfaccettate, complesse, capaci di mostrare lati di sé totalmente diversi fra di loro.

Prenderò me stessa, tanto per essere egocentrica. Quel che ho detto su di me e sulla mia infanzia è tutto vero, ma penso che sia altrettanto vero quando affermo che da nostra madre Akane ha ereditato la mano pesante e la miccia corta, Kasumi la dolcezza e io l’istinto del killer. Perché ve lo assicuro, sapeva essere la più amorevole delle mogli un momento e la più distruttiva delle persone il momento dopo. Sì, ovviamente era sempre papà a farla incazzare, mai io o le mie innocenti sorelle. L’istinto del killer non era così palese, per ovvi motivi, ma l’ho vista all’opera e… porca vacca se quella donna era capace di farti pisciare nelle mutande se solo voleva.

Si potrebbe buttarla sull’annoso dibattito nature vs. nurture: di natura io sono solare, allegra, una di quelle persone che stanno al centro della festa e ne sono il motore primo; le circostanze in cui sono cresciuta hanno invece incentivato il mio lato più schivo, riservato, scaltro, disposto ad approfittarsi del prossimo per ottenerne un vantaggio. Ma ho idea che sarebbe incompleta come spiegazione. Va a creare dei compartimenti stagni, un prima e un dopo che per carità, ci sono anche stati ma non possono fare così nettamente da spartiacque. Non ci sono due Nabiki Tendo contrapposte dentro di me, sono una sola e sono più complicata di quanto mi piace apparire. E da qualche parte quella bambina chiassosa e che baciava tutti esiste ancora. Ogni tanto la sento scalpitare, vuole uscire. Sono sempre riuscita a reprimerla finora e spero di continuare a riuscirci.

Questa pappardella per dire che in realtà un po’ temo delle reazioni imprevedibili, data la situazione assolutamente non regolamentare in cui sono stata scagliata. A proposito, chi devo ringraziare per ‘sto scherzo? Il mio kami personale? Cthulhu? La Grande Volontà del Grande Universo? Gulliver?

…perché Gulliver? Boh, non lo so perché, so solo che si è intrufolato abusivamente nella lista.

Temo delle reazioni imprevedibili, dicevo. Mi sembra in tutta onestà una preoccupazione sensibile. Uno dei capisaldi delle mie attività affaristiche, che poi mi sono portata dietro fino al mondo dell’alta finanza, è che sarebbe meglio non deviare dal solco già tracciato per non mettere il tuo cliente in condizione di dare colpi di coda. I colpi di coda sono pericolosi, scombussolano i piani, ti mandano a scatafascio i calcoli. È maleducazione da parte loro, ma il più delle volte denotano anche ingenuità o pressapochismo da parte tua perché sono facili da scorgere prima che colpiscano.

Forse in realtà ho solo… paura. Paura di potermi lasciare andare a qualche scenata plateale che mal si confà all’immagine che Nabiki Tendo dà di sé. Di nuovo, capitemi, la situazione in cui mi trovo mio malgrado è così surreale che ancora faccio veramente fatica a crederci. Anche se il mio aspetto fisico, le gambe di Akane e la sola presenza di Ranma non mentono.

Cribbio. Akane Tendo cammina. Ranma Saotome non è in un’urna un metro e mezzo sotto terra. Mi ci dovrò riabituare, possibilmente in tempi brevi.

Oh, già. I tempi. Naturalmente manco so com’è stato possibile che mi sia successa una roba tanto fuori di testa, figurati se so per quanto potrebbe durare. Spero non sia permanente o che in caso ci possa in qualche modo mettere una pezza, perché… dannazione. Dannazione.

Il contorto viaggio mentale mi ha portata a ciondolare con aria svagata per le vie di Nerima. Me ne accorgo solo nel momento in cui urto senza volerlo la spalla di qualcuno, facendoci finire entrambi a terra. No, al contrario di quanto vi aspettereste non è una persona che conosco, è stato un semplice incidente dovuto alla sbadataggine. Aiuto quest’altra persona, un signore anziano che non mi pare di aver mai visto prima, a rialzarsi e lui mi ringrazia, scusandosi a profusione per essere un matusalemme distratto. Mi affretto a rassicurarlo dicendo che la colpa è soprattutto mia.

Faccio per andarmene quando…

“Tutto accade per un motivo, Nabiki Tendo.” sento alle mie spalle.

Uh?

Mi volto e…

Sparito. Eclissato. Evaporato.

Che… che cazzo…

Sto dando fuori di matto, è evidente.

 

*

 

Il resto della giornata serve a riabituarmi alla Nerima di inizio anni ‘90. Metto una spero momentanea riga su cellulari, computer, qualsiasi ammennicolo tecnologico che sarebbe anacronistico in questo periodo. Una volta tornata a casa e salita in camera mia perdo sin troppo tempo a osservare la mia fida Polaroid, nuova di pacca, che mi guarda dal comodino. Nel mio tempo la tengo a mò di reliquia in ricordo di come ho cominciato a far fortuna e a realizzarmi come donna in carriera, anche se sono ormai anni che sta lì a prendere la muffa. È stata soppiantata da attrezzatura molto più efficace ed economica. Mi stupisco di me stessa quando mi avvicino, le appoggio una mano sopra e sento l’impulso di ringraziarla per tutto il duro lavoro che ha fatto negli anni passati.

Sdolcinata con un pezzo di plastica. Attenta a quanto in basso cadi, Nabiki.

Va bene, per oggi basta così.

Il tempo passa più rapido di quanto mi aspettassi e presto sento bussare alla porta. Sono Ranma e Akane che mi avvisano di come è ormai ora di andare.

Mi preparo rapidamente e li raggiungo all’ingresso.

Ci avviamo.

I due chiacchierano, peraltro piuttosto amabilmente per i loro usuali standard. Io invece mi tengo prudentemente in disparte, ascoltando e osservando come mio solito.

E poi, come un fulmine a ciel sereno, arriva.

“Sai Ranma, forse mancherò a scuola per qualche giorno.”

“Come mai? Vai a farti fare un trattamento di bellezza in qualche fonte termale? Lasciatelo dire, ne hai tanto bisogno.”

“Sei veramente un cretino di proporzioni bibliche. No, brutto stupido. Un paio di giorni fa ho sentito al notiziario dell’attacco di un animale gigante nei pressi di Ryugenzawa e…”

CRACK.

Qualcosa si spezza dentro di me con un gran fracasso.

“Prima, rovistando fra le cianfrusaglie che tengo in camera, ho ritrovato un fischietto. Era un regalo di un ragazzino che, quando eravamo più piccole, mi ha salvato la vita. Uno di questi animali enormi mi aveva attaccata e se lui non si fosse messo in mezzo… te lo ricordi, Nabiki?”

“Mhmh.” annuisco senza parole. Sono… sono…

“Stavo pensando di andare a trovarlo.”

L’eruzione vulcanica che scoppia nel mio petto fa impallidire il Krakatoa del 1883.

Calma e gesso, Tendo. Non è ancora il momento.

Loro riprendono lo scambio di battute. Io entro in fase meditabonda, perché il solo sentire quel nome… kami santissimi…

Giungiamo di fronte all’Ucchan.

Decido che è ora di fare qualcosa. Intimo in modo perentorio a Ranma di anticiparci e lui, forse cogliendo il fuoco nelle mie parole, decide di accontentarmi senza rimostranze. Bravo Saotome, ogni tanto anche tu riesci a stare al passo della gente normale.

Rimaniamo io e lei.

“Nabiki, cosa…”

Non la lascio finire. Avanzando la costringo contro il muro del ristorante, per poi sbattere una mano a pochi centimetri dalla sua testa: “Ascoltami molto, molto attentamente. Tu non devi andare a Ryugenzawa. Non ti ci azzardare nemmeno.”

“Ma come ti permetti? Non puoi decidere…”

“In questo caso invece lo farò. Akane, non ti posso spiegare il perché ma so per certo che se tu dovessi intraprendere questo viaggio sarà la rovina. Per te e non solo per te. Ho una tremenda sensazione e sai che generalmente ci azzecco.”

“Nabiki, finiscila! Sono indipendente e capace di scegliere per me stessa!”

“Certo che lo sei, sorellina. Solo non per questo. Ti prego di darmi retta, è importante. Tanto tanto tanto importante.”

“N-Nabiki, tu… non è possibile, la Cannibale… non piange mai…”


Per gentile concessione di Mana Sputachu

“Non sto piangendo, mi è solo entrato qualcosa nell’occhio e me lo sta irritando. Per favore Akane, fa’ come ti chiedo. Solo per stavolta. Non ti obbligherò mai più a fare alcunché se mi ascolterai. Parola d’onore.”

“Davvero?”

“Davvero. Te lo giuro su quanto ho di più importante al mondo. Anzi, ancora meglio. Ti prometto che sarai per sempre esonerata da un qualunque tipo di richiesta da parte mia e io non potrò mai accampare nessunissimo tipo di pretesa nei tuoi confronti. Niente foto, niente ricatti, meno battute possibili. Ti libero ufficialmente dal mio giogo.”

“Nabiki, sin da stamattina a scuola sei stata strana… ma questo è inconcepibile per te. Altro che okonomiyaki, io ora ti porto all’ospedale!”

“Non mi serve l’ospedale, mi serve sentirti mentre dici che non metterai piede a Ryugenzawa neanche dipinta.”

“Va bene, va bene. Se ci tieni così tanto…”

“Non hai la minima idea di quanto io ci tenga.”

“Oh no, ce l’ho eccome invece. Vedere Nabiki Tendo che sta per piangere è privilegio per pochi.”

“Ti ho detto che non stavo piangendo, era…”

“Balle. Stavi per piangere. Viviamo assieme da quando sono nata, credi che non sappia riconoscere i tuoi momenti di debolezza? Il fatto è che l’ultimo che ricordo… mh, saranno passati almeno sette anni, forse otto. Quello a cui ho assistito oggi è uno spettacolo più unico che raro oramai. Un po’ rimpiango i tempi di Nabiki la Frigna.”

Mi ha beccata. In pieno. Non che ci volesse una laurea, persino quel tardo di Ranma ci sarebbe arrivato. Però punge lo stesso.

Ecco, ora ho capito cosa si è spezzato prima.

Una diga. La diga che mi permetteva di mantenere sempre il sangue freddo, di apparire sempre altera e imperturbabile.

Un’ondata pazzesca sta esondando. E proprio in cima a quell’onda alta come un grattacielo, su una barchetta di legno che si tiene assieme per non so quale miracolo, ci sta la piccola me che urla tutta la sua gioia per aver ottenuto ciò che voleva.

Feh. Dovrei essere contrariata di fronte a tutto questo, ma…

“Nabiki, pulisciti la faccia prima di entrare. Io sono tua sorella e conosco i tuoi scheletri nell’armadio, ma so che non vuoi farti vedere così da Ranma e Ukyo. Poi cosa penserebbero di te? Perderesti tutto il tuo charme da malavitosa.”

Sogghigno mentre una singola lacrima non trattenuta scende lungo la mia guancia. Ha ragione, non posso presentarmi in queste indecorose condizioni: “Akane, te ne prego. Non *sniff* andare a Ryugenzawa.”

“Ti ho detto che non ci andrò, su. Non diventarmi paranoica ora, già sei uno spettacolo deplorevole così.”

“Me lo devi giurare.”

“Ossantocielo, quanta fatica. E sia. Io sottoscritta Akane Tendo, nel pieno possesso delle mie poche facoltà mentali, giuro solennemente di fronte a mia sorella Nabiki Tendo e all’entità sovrannaturale che va più di moda al momento che non metterò neanche la punta del naso nell’amena località di Ryugenzawa. Ora sei tranquilla?”

“Più *sniff* di prima. Grazie.”

“Dai, sistemati.” E così dicendo tira fuori un fazzoletto di carta e me lo passa. Mi soffio il naso più di una volta e asciugo le stupide lacrime, quelle già uscite e quelle in procinto di farlo. Alla fine è uno straccio, del tutto pregno dei miei meno signorili liquidi.

“Quando poi mi spiegherai il perché di tutta questa insistenza…” mormora, immagino cercando di non farsi sentire e fallendo.

“Mi spiace, non potrò mai rivelartelo. Mi prenderesti per pazza.”

“Io penso già che tu sia pazza, non vedo alcuna differenza.”

“Eh. Forse non hai tutti i torti, sai.”

“Certo che non li ho, per chi mi hai presa? E poi dai, siamo entrambe figlie di nostro padre. Non ci si poteva aspettare tanto di più.”

Rido mentre le do ragione. Sante parole.

Sai che Akane non è la fessacchiotta che può sembrare. Non puoi fare a meno di sottovalutarla sempre, poveretta.

…Nabikina. Potevi almeno annunciarti, qualcuno mentalmente più debole si sarebbe spaventato al posto mio.

Sei la Cannibale, non prendermi in giro per favore. Sarò piccola ma non scema!

Certo che no, ci mancherebbe. Ora però mettiti un secondo il ciuccio in bocca, Akane mi… ci sta guardando come se fossimo una svitata.

Perché, non lo siamo?

Alla risatina sul rimarco di Akane aggiungo quella, solo interna, sul rimarco della mia bambina interiore (in mancanza di una definizione migliore).

“Ok Akane, non fissarmi come se mi fosse spuntato un terzo braccio. Sto bene adesso, sto bene.”

“Come vuoi tu. Vogliamo andare? Ti assicuro che sei presentabile.”

“Andiamo, andiamo.”

Finalmente varchiamo la soglia d’ingresso. Ranma è già seduto e appare un po’ scocciato dal nostro ritardo: “Era ora, cacchio. Si può sapere cosa stavate combinando voi due là fuori?”

“No, non si può sapere. Fatti privati delle sorelle Tendo.” gli rispondo secca. Pensa te se ti vengo a raccontare il mezzo dramma che si è consumato pochi istanti fa.

Sta per controbattere quando dal retro spunta la proprietaria. Il suo cianciare perde d’importanza.

I miei occhi incrociano i suoi.

Oh. Per la prima volta da quando sono finita nel passato mi trovo di fronte a Ukyo Kuonji. Colei che, nel mio tempo, si può a tutti gli effetti definire la salvatrice di Akane.

Che… che succede? Perché… perché non sento… la fiammella della gratitudine?

Una sensazione stranissima. Ci avevo fatto un piacevole callo.

E se fosse perché Akane mi ha giurato che non si avvicinerà a Ryugenzawa? Ciò invalida forse quel che dovrei provare nei suoi confronti? Ma no, se lo richiamo dal suo cassettino della memoria io sono in grado di rivedere il momento in cui un’Akane priva di gambe e una Ukyo reduce da un lungo intervento chirurgico si sono abbracciate nel letto di quest’ultima. Rivedo il momento in cui una certa spatola ondeggiava per aria in un palazzetto sportivo in Grecia, con la sua proprietaria al settimo cielo mentre una cara amica ritirava una medaglia di bronzo.

Sono cose per me accadute. Non può bastare una semplice promessa, che fra l’altro allo stato attuale non sono neanche sicura verrà mantenuta, per cancellare con un colpo di spugna quindici anni della mia vita.

Porca vacca. Che situazione scomoda.

Adesso vedi di applicare un cerotto gigante alla diga, almeno per stasera. Non vuoi che ‘sti tre comincino a guardarti in modo strano. Lascia passare queste ore mettendoci la pezza migliore che puoi e affronta il problema domani, a mente più lucida.

Per fortuna riesco nel compito che mi ero prefissata, quantomeno a grandi linee. Ci sono un paio di momenti in cui corro il rischio di franare malamente, ma rientrano sempre senza destare eccessiva preoccupazione.

Solo che… la freddezza negli occhi di Ukyo quando mi chiede l’ordinazione, o in quelle due occasioni in croce in cui ci parliamo… fa male. Come ho detto mi ero abituata ad avere un certo tipo di rapporto con lei e… sì, insomma, non mi fa piacere. Poi è chiaro, ai suoi occhi io non sono altro che la sorella strozzina di una delle sue rivali in amore, non ha il minimo motivo per trattarmi con qualcosa di diverso da un neutro distacco. Peccato che io il motivo per sentirmi trattata diversamente ce l’abbia eccome.

Nonostante tutto riesco a far finta di niente. Penso di riuscirci, se non altro.

La serata trascorre in complessiva tranquillità, senza particolari episodi degni di nota. A parte lo stupore generalizzato quando sono io a pagare il conto.

Il viaggio di ritorno verso casa è altrettanto placido. I due ragazzetti paiono aver deciso di non tirarsi le trecce e una piccola tregua è una gradita novità, mentre io… eh, io.

Mi sento in conflitto come non mi capitava da eoni. Per tutta una serie di cose: quell’inizio di tracollo emozionale che ho avuto poco prima di entrare al ristorante; Akane che accetta di non mettersi in marcia per Ryugenzawa, facendomi quindi sperare con tutta me stessa di non vederla mai su una sedia a rotelle; l’inaspettata reazione al momento in cui ho visto per la prima volta l’Ukyo di questo tempo. È proprio vero che non si finisce mai di scoprirsi, di vedere affiorare sentimenti e stati d’animo che non pensavi sarebbero mai stati tuoi. E questo perché, guarda un po’, avevo perfettamente ragione quando ho detto che le persone sono esseri intricati, mai definibili da una sola parola o frase.

Sono sdraiata nel mio letto, dopo essermi preparata per una notte di sonno. Spero ristoratore, ne ho discreto bisogno. Di sicuro mi verrebbe comodo se non si presentassero altre variabili a cui non ho pensato, vorrei poter riflettere sulle problematiche emerse oggi.

Mi chiedo perché non sei saltata addosso ad Akane quando l’hai convinta a non andare a Ryugenzawa. Se lo meritava proprio.

Da una parte sì, se lo meritava. Ma dall’altra sai bene perché non l’ho fatto, l’hai detto tu stessa prima.

Sì sì, la Cannibale. Sei noiosa e ripetitiva, lo sai? Lasciati andare ogni tanto, uno slancio non ha mai ucciso nessuno.

No. Sai bene che mi serve un ferreo controllo per mantenere quel ruolo. E poi semel in anno licet insanire, non bis.

È lecito impazzire una volta all’anno, non due. Posso comprendere. Ma così facendo ti privi di esperienze significative. Ricordati com’eravamo quando c’ero io al timone.

Mpf. Mi viene quasi da definirti una piccola folle.

Esagerata. Ero solo un po’ spericolata e sprezzante del pericolo in maniera più appariscente di quanto non lo sia tu.

Hai detto poco. Io ho…

Hai un’immagine da difendere. Conosco la cantilena. Beh cara la mia Nabiki che si atteggia, magari non solo i serpenti sono in grado di fare la muta.

È passato troppo tempo da quando ho assunto questi panni, facendoli del tutto miei. Indietro non si torna, non senza abbattere lampioni e terrorizzare ogni singolo pedone che ha la sfortuna di passare di lì.

Vero, sarebbe un’inversione a U di quelle da ritiro perenne della patente. Per me può valerne la pena.

Ci penserò, piccolina. Te lo prometto. Ora però vorrei riposarmi, sai bene anche tu che è stata una giornata per tanti versi estenuante.

Mh. Non male come risposta, pensavo onestamente peggio. Va bene vecchia, dormi pure. Te lo concedo.

Carina. Grazie.

Ci metto più di quanto vorrei a prendere un minimo di sonno. Ho troppi pensieri, preoccupazioni, considerazioni che mi vorticano per il cranio, sgomitandosi e cercando di buttarsi fuori strada come durante una corsa di go-kart.

Brutto, bruttissimo affare.

 

*


“Il suo caffè, signorina.”

“Grazie.”

Lo guardo mentre appoggia la tazzina sul tavolo. Sono all’aperto, oggi è una bella giornata e volevo prendere un po’ di sole.

Prima di berlo mi fermo un attimo a osservarlo e penso.

Sono tornata indietro nel tempo a maggio 1989.

Ora è maggio 1992.

Tre anni. Tre lunghi, lunghissimi anni.

Ancora non ho capito come tornarmene nel 2004, se non vivendo gli anni che mi ci separano in maniera naturale.

Ci ho provato? Che domanda stupida. Certo che ci ho provato.

In capo a una settimana dal mio arrivo avevo parlato a più riprese con Happosai e con Cologne, le due principali fonti di robe mistiche nei paraggi. Ma, almeno inizialmente, non è andata proprio bene: nessuno dei due mi ha creduto. Non che li biasimi troppo, è a dir poco assurdo sentire qualcuno che si presenta alla tua porta e afferma di arrivare da quindici anni nel futuro pur non essendo più vecchio. Sul momento non ho trovato nulla per convincerli, anche perché mi era fattualmente impossibile dimostrarlo sull’unghia. Cosa avrei potuto dir loro per dar credito alla mia storia matta? Niente, ecco cosa.

Quindi me ne sono andata minacciando vendetta, tremenda vendetta. Oh sì, sono meschina e permalosa.

E ragazzi, sono stati fra i più soddisfacenti mesi della mia vita.

Con la vecchia amazzone ho messo in moto la mia intera rete di contatti e soci in affari, causando al Nekohanten più problemi possibili. Ritardi nelle consegne, ingredienti scadenti, voci di ratti sotto ai tavoli. Tutto il peggio che ho saputo escogitare. Sei mesi è durata questa tortura (per loro) e questa goduria (per me). Peraltro sei mesi che, per una curiosissima coincidenza, sono più o meno stati il periodo in cui Akane ha vegetato sul letto. Non solo come lunghezza, proprio come collocazione temporale. Quei sei mesi, gli stessi. Il karma o chi per lui pare funzionare alla fine.

Mentre per Happosai ho messo in campo il mio ninja personale, di cui non divulgherò il minimo dato per non toglierlo dall’ombra in cui tanto bene sta. L’ha pedinato e ha fatto in modo che ogni sua caccia alla biancheria fallisse miseramente, con le vittime che si sono trasformate in carnefici e l’hanno puntualmente gonfiato di botte come ha sempre meritato.

Cose estremamente divertenti, lungi da me ritrattare le grasse risate che mi sono fatta alle loro spalle. Tuttavia non risolvevano il mio problema.

Poi il colpo di genio: io vengo dal futuro. So cosa sarebbe successo, anche più a lungo termine.

E quale modo migliore di dimostrarlo che atteggiarmi da Nostradamus e profetare il crash economico dei primi anni ‘90? La fantomatica Decade Perduta, che a dirla tutta non è ancora finita neanche nel 2004 nonostante qualche pallido segno positivo. D’altronde, essendo il mio principale campo di competenza, ci mancherebbe pure che non fossi più che ferrata sull’argomento.

Quando la bolla è scoppiata e i suoi nefasti effetti hanno cominciato a farsi sentire anche per i comuni mortali, le due mummie hanno cambiato opinione. Addirittura è stata lei a venire a cercarmi, usando un tortuoso giro di parole per scusarsi della sua incredulità. Dal giorno dopo quell’incontro il ristorante non ha più sofferto di allagamenti casuali.

Bene, mi sono detta. Ho ottenuto l’appoggio dei gargoyle. È fatta.

‘Stograndissimo cazzo. Scusate la finezza.

Abbiamo passato intere settimane, ventiquattr’ore su ventiquattro sette giorni su sette, a spulciare rotoli, pergamene, libri. Non è saltato fuori NIENTE che potesse spiegare cosa mi era successo.

Stando ai loro tesori magici ero la prima persona nella storia ad aver avuto esperienza di… questo. Qualunque cosa sia.

Non c’era soluzione, non che loro sapessero.

Contavo tanto sulla loro esperienza. Il buco nell’acqua rimediato con entrambi è stato doloroso.

Ma non parliamo solo di me. Ho tante persone che mi corrono in testa.

Per esempio Akane. È stata incredibilmente obbediente e ha mantenuto la promessa. Non si è presentata in quel maledetto posto, col risultato che ancora oggi è in grado di deambulare con mezzi propri. Il contraltare a questa buona notizia è che Shinnosuke, il suo amico da cui è partito tutto, è morto. Se non ho capito male la dinamica, le ferite che aveva subito da bambino quando l’ha salvata non sono mai guarite e l’emersione di Orochi ha bloccato la fonte curativa che l’ha tenuto in vita per tutti quegli anni.

Un po’ mi spiace, ma sarò onesta: aver barattato la vita di uno sconosciuto, che peraltro nel tempo da cui provengo è comunque stata spezzata, per le gambe di mia sorella è un affare che rifarei.

Allo stesso modo Ranma è ancora fra noi, così come Ryoga. Niente gita a Ryugenzawa, niente combattimento mortale, niente sequela di funerali. Tutto tranquillo sul fronte occidentale. La sua presenza ha ovviamente tenuto vive le pantomime da teatro che a turno lui, Akane, le fidanzate di lui e gli spasimanti di lei imbastivano a ciclo continuo. Quella parte non mi mancava poi molto a ben guardare, anche se come al solito i miei guadagni sono stati a dir poco lauti.

Ukyo… uh, Ukyo. Forse il capitolo più delicato di tutti per me. Innanzitutto, poco tempo dopo il mio arrivo, mi sono accorta dei suoi problemi fisici e ho approfittato di un’occasione favorevole per inchiodarla e obbligarla a farsi curare. Lo stupore nel circondario (dove, usando questo termine, intendo il giro delle conoscenze di Ranma e Akane) è stato tanto, anche se si è guadagnata un breve periodo di pace per consentirle di rimettersi al meglio. Dall’altro lato della medaglia io e lei non ci siamo mai avvicinate. Non ce n’è stato motivo, essendo venuta a mancare quella tragedia. Il che… è difficile ammetterlo, ma mi manca. Con tutto che la situazione è un miliardo di volte meglio così di come l’ho vissuta la prima volta, a me manca poterla definire amica. Perché semplicemente non lo siamo. Io ho preferito non operare una svolta di centoottanta gradi nei suoi confronti, sarebbe risultato strano e sospetto se da un giorno all’altro fossi passata dal menefreghismo mio marchio di fabbrica al cercare insistentemente un rapporto diverso con lei. L’interazione più calorosa che avevamo era il “Ciao” buttato lì quando capitava di incrociarsi per i corridoi del Furinkan. Poi io ho iniziato a frequentare l’università, la stessa del mio passato per non rischiare qualche casino nel continuum spazio-temporale, e le occasioni di vedersi si sono ridotte al lumicino. La facoltà di Economia della Todai ha riaccolto la sua regina che fu e che sarà.

Insomma, ho perso una persona importante. Nabikina si è arrabbiata un sacco per questo, rimproverandomi a ripetizione che non ci si comporta così con chi ha un credito di gratitudine nei tuoi confronti. La Cannibale le ha risposto che, visto il diverso svolgersi degli eventi dovuti alla mia mossa, quel credito si è estinto da sé e io non le dovevo niente. Entrambe hanno ragione, nessuna delle due mi soddisfa appieno.

Che cavolo, perché gli esseri umani sono così complessi? Non potevamo funzionare come freddi robot che rispondono solo alle leggi della logica? Dannati primati inutilmente enigmatici.

“Tutto accade per un motivo, Nabiki Tendo.”

Grazie per la frase senza senso, vecchio. A distanza di tre anni ogni tanto mi risuona ancora in testa, quasi volesse sfottermi. Ho letto abbastanza romanzi e visto abbastanza film da sapere che in quei casi una simile affermazione viene resa valida verso la chiusura della storia, ma questo non è un romanzo e non è un film. È la mia vita, cambiata, capovolta, finita sottosopra. Migliore in un certo numero di aspetti, peggiore in altri.

Date le scarsissime se non direttamente nulle possibilità di tornare al tempo a cui realmente appartengo, temo che mi convenga far buon viso a cattivo gioco e cercare di adattarmi come posso.

Solo ora mi faccio una domanda che in realtà avrei dovuto pormi sin da subito: se io sono nel corpo della Nabiki all’epoca diciassettenne e ora ventenne, quella Nabiki… dov’è finita? Nel mio? Se così fosse, questo significherebbe che si è trovata davanti un mondo completamente diverso da quello che conosceva con una sorella disabile, un quasi cognato morto, una cuoca di okonomiyaki che probabilmente le è risultata fin troppo appiccicaticcia, un lavoro che non sa svolgere mentre si trova in un involucro che le apparirà alieno. E chissà cos’altro che al momento non mi viene in mente.

Kami. Io ho avuto i miei problemi, ma tutto sommato me la sono cavata. Lei… brrrr, poveraccia.

Non c’è niente che possa fare per aiutarla. Non riesco neanche ad aiutare me stessa, non sono proprio nelle condizioni di fare l’infermierina.

Mandale un piccione viaggiatore per darle delle dritte.

…il piccione che saltava nel tempo. Assieme alla ragazza. Sei un genio, piccolina.

Oh dai, chiaramente scherzavo. E comunque ti pare questo il modo di accogliermi dopo cinque mesi in cui non mi sono fatta viva? Maleducata!

Mi scuserai se non sono poi così entusiasta di sentirti. E non per chissà quale bizzoso motivo, ma solo per il fatto che avere le voci nel cervello tende a essere segno di squilibrio mentale.

Stupidaggini. Hai solo una fantasia molto fervida e dai consistenza a parti di te che quei grigi, tristi, monotoni droni là fuori neanche sanno di avere.

Non è una gran consolazione.

Su su, levati quel musetto incarognito. Considerata la situazione, io dico che Nabiki Tendo potrebbe passarsela molto peggio ora come ora.

Sì, dai. È tutto sommato vero. Ma di quale Nabiki stai parlando, di me o dell’altra?

…off. Mi scoppia la testa solo a tentare di raccapezzarmici.

Complicato, neh?

Fin troppo.

Ho idea che dovrò abituarmici. Il 2004 è ancora lontano.



 

Note dell’autore

Questo piccolo spazio finale è solo per segnalare il fatto che ho usato come base di questa storia una vecchia fan fiction americana, Honorable Enemy, in cui appunto l’episodio di Orochi finiva letteralmente in un massacro. Suddetta fan fiction terminava con l'abbraccio fra Akane e Ukyo, il prosieguo è farina del mio sacco.

Tutto qua.

 
   
 
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