La luce della luna filtra da una finestra semiaperta e illumina la stanza.

Guido, allungato sul letto, fissa il soffitto. Quanto tempo è passato?

Ormai, non lo sa più.

Potrebbero essere giorni, ore, mesi o anni.

Tutto gli sembra uguale.

Sfiora con la mano il lato destro del letto. Lì, forse, è stata concepita sua figlia Anna.

Elena è diventata completamente sua moglie.

Amaro, sorride. In quel momento, la realtà gli appare chiara, non più velata dall’odio e dalla rabbia.

Lui ha cercato di negare la realtà, ma ha sempre paragonato Elena a Luisa.

Non ha mai visto sua moglie come una donna, con la sua unicità.

Ha cercato di imparare ad amarla, ma il suo cuore, ostinato, si è sempre rivolto a Luisa e si è consumato in un rimpianto insensato.

Quanto più ha cercato di soffocare il suo amore, tanto più ardeva nella sua anima e la copriva d’una ombra opprimente.

La nostalgia di sogni mai concretizzati consumava il suo cuore.

Ed Elena ha percepito questo suo sentimento, da lui tenacemente negato.

− Me ne rendo conto ora. Anche io sono colpevole. – mormora. Ha basato la sua famiglia e il suo matrimonio su una involontaria bugia.

Non ha permesso ad Elena di fidarsi di lui.

Certo, non l’ha mai tradita, ma non le ha mai dato l’amore che ogni donna merita.

Le ha voluto bene, ma il suo cuore è sempre appartenuto a Luisa, ormai proiettata verso un’altra vita.

E lei, non fidandosi del suo giudizio, ha cercato di proteggere la loro bambina.

Pur con mezzi ignobili, ha voluto tutelare sua figlia da un improbabile disamore di suo padre.

Ha proiettato su Anna quello che le è accaduto.

Di scatto, si rialza e, colto da un accesso di vertigine, barcolla.

Appoggia la mano al muro e, per alcuni istanti, rimase immobile, gli occhi fissi in un punto indefinito e il petto scosso dal respiro affannoso. Quella solitudine, ravvivata solo dalle voci dei suoi incubi, è tormentosa e crudele.

I suoi sogni sono tormentati dai volti di Elena ed Anna, umidi di lacrime, che fissano i loro occhi accusatori su di lui.

E gli chiedono la ragione di tanto odio.

Con un movimento nervoso, l’uomo apre il cassetto della scrivania.

Su alcuni fogli, è poggiata una rivoltella di medie dimensioni, la canna color acciaio e il manico marrone.

Prende l’arma e, per alcuni istanti, la studia, come fosse un reperto antico. Sente il dovere di porre fine ad un simile tormento.

Non può godere della bellezza del creato, quando Elena e Anna non hanno questa possibile.

Carica la pistola e la appoggia sulla tempia, rabbrividendo per il gelo della canna. Non riesce a credere di avvertire sensazioni così forti.

In quelle giornate, la sofferenza si è alternata all’apatia.

Di scatto, preme il grilletto e una detonazione, cupa, risuona nella stanza.

Il dolore, implacabile, dilania la sua testa e il suo corpo si accascia sul pavimento. Il gelo, inesorabile, si impadronisce delle sue membra, ma riesce a sentire il calore del sangue.

Chiude gli occhi e, estenuato, muore. Va bene così.

In fondo, è bastato un proiettile per finire tutto.