Rimani immobile, le dita sospese sulla pagina ingiallita, sfiorando le
lettere impresse in quella tredicesima fatale riga, mentre un
formicolio leggero inizia a far fremere le tue spalle ampie, curve da
giorni su quegli scritti senza risposte. Batti le palpebre ad
intervalli regolari, teso, raggelato, rileggendo quel semplice
capoverso fino a che non ti sembra di poter ricordare perfettamente la
successione esatta delle parole.
Ridi.
Ti abbandoni sulla poltrona, lasciando cadere sulla scrivania quel
libro dalla copertina usurata che per caso ti è finito fra
le mani dopo molti altri. Quanti ne hai letti prima di arrivare a
questo? Un centinaio? Quante pagine hai girato?
Quante notti? Quanti giorni?
Apri e richiudi gli occhi, fissando la luce soffusa della lampada che
illumina i volumi accatastati sul tavolo. Dal fondo dello stretto
andito, la luce verde delle capsule al Mako si mescola a quella gialla
e stabile dei lampadari in una miscela che ti infastidisce; la vedi
oscillare sugli spigoli sbeccati delle librerie svuotate, quasi volesse
canzonarti.
Dopo tante ricerche, ecco ciò che hai ottenuto.
Impazzirai.
Dopo l'angoscia, l'insonnia, dopo che l'umido di quel seminterrato ti
è penetrato nelle ossa.
Dopo il digiuno e il silenzio, dopo aver ridotto in brandelli il
materasso su cui hai tentato di riposarti, lasciando la masamune
conficcata nel mezzo di un mulinello di piume, imbottitura e schegge di
legno.
Dopo tutto ciò che hai subito in
questi giorni d'inferno, sentendoti solo in una maniera che non avevi
mai immaginato possibile. Dimenticando il motivo per cui sei
lì, smettendo a poco a poco di sentirti te stesso.
Impazzirai.
Eppure sembrava così anonimo, quel libro; un altro volume
che presto avresti abbandonato assieme agli altri, sparsi lungo il
corridoio angusto di quella piccola e preziosa biblioteca, ammassati
senza criterio in ogni angolo di quello scantinato ammuffito e
sgocciolante, sulla scrivania, sul tappeto.
Se solo non avessi fatto caso alla sua copertina senza titoli, alla sua
impaginazione trascurata, forse adesso staresti ancora cercando? O
avresti rinunciato?
Non lo avresti mai creduto, che quella sbiadita centoventicinquesima
pagina riuscisse finalmente a spiegarti tutto. Ma cosa importa, ormai?
Grida.
Ti copri il viso con le mani, sentendo la pelle ruvida dei guanti
sfregare contro le guance, sugli zigomi, sfiorare le ciglia dei tuoi
occhi chiusi, la fronte. Insinui le dita fra lunghe ciocche argentate,
in un sospiro che sembra un ansito di disperazione e poi si trasforma
in un gemito, poi ancora in un basso e sommesso ringhio. Fai stridere i
denti, afferri i capelli all'attaccatura, tirando con forza, mentre la
pelle dei guanti crepita.
La tua voce non è mai stata distorta a tal punto. Tanto
spezzata da sembrare disumana nelle urla soffocate che ti risalgono la
gola arida.
Respira.
Poi ti lasci andare, inspirando profondamente con le labbra dischiuse.
Guardi il soffitto spoglio, affondando fra i cuscini imbottiti, le
braccia adagiate mollemente sui braccioli. Ti senti svuotato
e leggero come succede ogni volta che togli la vita ad un uomo, e per
un attimo perdi ogni cognizione. Hai un brivido, un impulso nervoso che
ti percorre i muscoli e li fa contrarre all'unisono. E quando ti
rilassi, per un solo istante, senti l'aria premere dentro i polmoni.
Hai voglia di ridere.
Stai impazzendo.
Tutti i dubbi si dissolvono, di colpo non sei più tormentato
da alcuna domanda, nessuna incertezza. Ora la tua testa è
piena solo di risposte secche e crudeli, parole che ti condannano e che
tuttavia sembrano danzare perfettamente con il suono basso e
incontrollato della tua risata.
Il suono disarmonico ed isterico della tua follia.
Ridi. Grida.
Ridi, ridi, ridi!
Senti cigolare la porta spalancata del seminterrato, e poi dei passi.
Sono venuti ancora una volta.
Gli sporchi bugiardi che hanno ucciso tua madre.
Abbassi appena gli occhi, cercando il corridoio, un fuoco nuovo e
impetuoso che arde nelle tue iridi di smeraldo che non potranno mai
più essere gentili. Potranno solo accusare, solo trafiggere,
solo ferire fino a far fuoriuscire le prime gocce di sangue;
rifletteranno le fiamme che hanno appena iniziato a consumarti
dall'interno, e che ti stanno rapidamente trasformando in cenere, fumo
e morte.
Traditori.
Non importa chi incontrerai d'ora in poi. Ora sai.
Sai chi è l'unico essere al mondo di
cui ti puoi fidare. Sai che tutti gli altri non
sono altro che luridi vermi, sporchi traditori, ladri infingardi.
Hanno portato la rovina e sterminato i tuoi antenati. Non meritano il
giudizio del Pianeta? Il giudizio divino delle stelle? Prima o poi
giungerà colui che li punirà per tutto
ciò che hanno fatto?
Brucerete.
Guardi in faccia il ragazzo che è nuovamente venuto a
cercarti. Un tempo lo conoscevi, ma ora i suoi lineamenti non ti
suscitano nient'altro che disgusto.
Duri di comprendonio.
Ottusi.
Non capiranno mai.
Ormai i traditori non hanno più volto per te. Non degni
quell'insulso omuncolo di un solo sguardo, mentre ti alzi dalla
poltrona, muovendoti fra i libri sparsi. Non ti infastidisce la
camminata discontinua che ha inaspettatamente sostituito l'incedere
altero con cui avanzavi fra le schiere dei SOLDIER.
« Com'è
possibile...?...Se...Sephiroth...?»
Sì, Sephiroth.
E' questo il tuo nome.
Il nome dell'angelo vendicatore.
Ti fermi, e le pupille diventano piccole e sottilissime linee nere nel
verde del Mako che hai ereditato dai Cetra. Di colpo hai la completa
consapevolezza di ciò che sei.
Il tono stesso della tua voce si incrina appena, e la tua è
rabbia pura. Nelle tue vene ormai non scorre altro che la fredda
realizzazione di colui che sei diventato.
« Levati dai piedi. Vado a trovare mia madre.»
(xxx)
La
scena che più di tutte mi fa venire la pelle d'oca quando
rigioco Final Fantasy VII: quello scambio di battute nella ShinRa
Mansion di Nibelheim, dopo che Sephiroth ha scoperto la
verità su di sé e Jenova, e lascia la scena
dicendo "Out of my way. I'm going to see my Mother".
Secondo me è proprio quello il momento vero e proprio
in cui Sephiroth muore. Muore la sua
parte umana, in un certo senso, muore il Sephiroth che fu un SOLDIER,
Sephiroth che fu un uomo, o che almeno tentò di esserlo.
Tutto ciò che gli rimane, dopo, non è altro che
rabbia, completa follia e il volere di Jenova.
Dunque Sephiroth perde la vita in quel seminterrato, dopo aver frugato
quella libreria; le altre morti che seguono - prima nel reattore a
Nibelheim, poi alla fine per mano di Cloud - non sono altro che il
trapasso dell'entità in cui lui si è tramutato in
seguito a quello che successe alla ShinRa Mansion. O almeno,
così la penso io v_v
Ovviamente l'OST di questa Morte è "Those
Chosen by the Planet", track che inspiegabilmente riesce
sempre e comunque a mettermi i brividi.