Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |      
Autore: Quebec    12/05/2023    1 recensioni
Uscire insieme non è solo il prologo di qualcosa, ma anche il suo epilogo.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 

Siamo al bar a ubriacarci di brutto. Io e Federica. Bicchiere dopo bicchiere, occhiate dopo occhiate. Mi vuole saltare addosso. Lo leggo nei suoi occhi nocciola da cerbiatto, in quella labbra carnose a forma di cuore che morsica quando fingo di guardare da un'altra parte.
Ordiniamo un altro giro e lasciamo il bar. È pieno di gente dentro e fuori dal locale. Un esercito di ubriaconi di cui faccio fieramente parte. E pensare che una volta non riuscivo nemmeno a finire una bottiglia di birra prima di vomitare l'anima.
Ci allontaniamo dalla folla e ci sediamo a una panchina che da sul mare. Mi gira un po' la testa, ma non per la birra. Ore prima mi ero occupato di una faccenda delicata. Qualcosa che è meglio non dire.
— Tra quattro giorni sono di nuovo a Ginevra — dice Federica. — Chi lo dice a mia madre che sono indietro con gli esami? Che non ci voglio tornare da lei?
Mi limito a osservare la sua bocca muoversi, fiumi di parole che si scontrano contro un muro. Il mio muro. Non mi frega niente della sua vita.
— Hai capito? — chiede lei.
Sorrido. Sono bravo a sorridere, a fingere che mi importi qualcosa. E non mi sento incolpa. Molta gente lo fa ogni giorno con tutti. Genitori, amici, colleghi. Tutti. Sorrisi da pubbliche relazioni. La falsità è l'unica linea sottile che separa le persone dal tagliarsi la gola a vicenda.
Federica appoggia la testa contro il mio braccio e sbuffa come una bambina. — Non voglio tornare a Ginevra. Mia madre mi ucciderà.
Le metto un braccio attorno alle spalle, lei poggia la testa sul mio petto. Rimaniamo così per mezz'ora, il rumore delle onde che si infrangono sui frangiflutti, lo schiamazzare della gente, i clacson delle auto con a bordo gente ubriaca che urla. Questa città non dorme mai. E io insieme a lei.
Guardo Federica. Ha una mano sulla mia coscia. I suoi capelli neri ricci profumano di balsamo alla ciliegia. Ne inspiro un po'. È una droga. Inspiro ancora e ancora. Mi piace. Cazzo, una vera droga.
Lei mi guarda e faccio finta di niente. — Come va con Samantha? 
— domanda.
— È sparita.
— Sparita? Che vuoi dire?
Lo sai bene cosa voglio dire. Sei stata la prima a sapere che ci siamo mollati. Credi che non sappia che mi stalkeri da quasi un anno? Guardi tutte le mie storie su Instagram, ti incazzi se esco o metto mi piace a qualcuna. E potrei continuare, Fede. E vogliamo parlare di me e te? Di questa uscita? E di quello sguardo assatanato e arrapato che ti porti dietro da tutta la sera? — Mi ha mollato.
— Mi dispiace.
È ubriaca. Domani non ricorderà nemmeno la domanda inutile che mi ha appena fatto.
Una coppia passa accanto alla nostra panchina. Ridacchia. Lui cala una mano sul culo di lei e lei gliela toglie con una risatina.
Federica allontana la testa dal mio petto. — Mi gira la testa. È meglio se vado a dormire.
Ci incamminiamo verso casa sua. La folla e gli schiamazzi un vago ricordo.
Lei barcolla, io barcollo. Due zombie che vagano tra il centro storico della città. Ridiamo, ci urtiamo e ridiamo. Ci guardiamo e ridiamo. Camminiamo e ridiamo. Tutto è una risata.
Arriviamo davanti a una schiera di villette abitate da un esercito di avvocati, giudici e dottori. Lei avvicina la chiave nella toppa del cancello, le cade per terra, si china e picchia la testa contro le sbarre del cancello.
Ridiamo.
Il suo corto vestito nero aderente si è alzato fin sopra le mutandine brasiliane nere. Ride. Non se n'è accorta. Ha dei fianchi bellissimi. Larghi e sensuali. Chiamano sesso. Le abbasso il vestito e la saluto con i due baci. Lei ride. Ride sempre da ubriaca. Mi stampa un bacio sulle labbra e mi guarda. Poi me ne dà un altro e ci infila mezza lingua. Mi sbatte contro il muretto, mi morde il labbro, infila la lingua, non mi dà spazio. Vuole sbranarmi, divorarmi in un solo boccone. Ride di nuovo e cala una mano sul mio pene, me lo stringe sotto il jeans.
Si apre la porta di casa sua. Lei mi molla subito con un bacio a stampo, varca il cancello e lo chiude.
— Sei da sola? — chiede una voce maschile nel giardino di casa sua.
— Sì, papà, sono da sola.
— Sono le tre e mezzo del mattino. Dove sei stata?
— Non cominciare.
La porta si chiude.
Mi allontano con le labbra bagnate e il pene turgido.


 

Il mattino seguente mi alzo con un dopo sbronza micidiale e vado a fare colazione al bar sotto casa. Luci e rumori sono insopportabili. Mi sento uno zombie, un vampiro. Forse tutti e due le cose. Non so nemmeno perché ci sono andato. Non ho nemmeno fame.
I bambini strillano, corrono tra i tavoli. Uno cade a terra e piange. Un altro strilla.
Esco.
Passeggio lungo il marciapiede. Squilla il telefono. È Federica.
— Sì?
— Ti ho mandato un messaggio. Perché non mi hai risposto?
— Che messaggio?
— Come che messaggio? Guarda su WhatsApp. Ti ho chiesto se volevi fare colazione insieme a me.
— Non ho guardato il cellulare. Comunque ho già fatto colazione.
— Io no.
— Capito.
— Sei a casa?
— No, sono al parco.
— Quindi sei uscito, ma non hai avuto tempo per rispondermi?
— Te l'ho detto, non ho controllato il cellulare.
— Ma se il tuo ultimo accesso risale a mezz'ora fa. Mi prendi in giro?
— Sarò entrato per sbaglio.
— Per sbaglio? Ok!
Mi chiude il telefono in faccia. È incazzata come non mai. Per fortuna ha chiuso prima che lo facessi io.
Cammino lungo i viottoli del parco e mi siedo su una panchina, il cinguettìo degli uccelli tutt'attorno. Mi rilassa. Rimango seduto per una ventina di minuti. Chissà se Fede si ricorda qualcosa di ieri notte?
Vado via.


 

Incontro Federica al bar insieme ai nostri amici. Mi ignora e mi lancia occhiatacce assassine di nascosto. Io fingo disinteresse e la ignoro anche io.
La serata passa così. Poi alcuni nostri amici vanno via e rimaniamo in sei.
La guardo. — Ti va di fare un giro?
Lei si acciglia. Glielo leggo negli occhi che è confusa. Non si aspettava che le rivolgessi la parola. — Solo un giro.
Salutiamo gli altri e andiamo via. Camminiamo sul lungo mare in mezzo a sparuti gruppi di ragazzi alticci, la luna che si specchia nell'acqua scura, le luci di una yacth in lontananza da cui giunge a palla il brano RATATA di Skrillex.
La guardo. — Sei arrabbiata con me?
— Non sono arrabbiata con te.
— Ok.
— Ok?
— Hai detto che non sei arrabbiata. no?
— Perché non volevi fare colazione con me?
Mi fermo — Perché non dovrei?
— Non lo so. Dimmelo tu.
— Non ho controllato il cellulare. Tutto qui.
Federica serra gli occhi, irritata. — Continui a mentire, anche se ti ho scoperto.
— Credi a quello che vuoi.
Torniamo a camminare.
— Domani parto
dice lei.  Vado a Ginevra da mia madre.
— Di già? Non partivi tra quattro giorni.
— Mi ha preso un biglietto aereo.
— E tu ci vai lo stesso?
Federica solleva le spalle.
— Non volevi restare qui?
— Forse è meglio così.
Le prendo una mano e la fermo, i miei occhi nei suoi. — È per colpa mia? È per prima?
Lei rotea gli occhi in aria, seccata. — Non gira tutto intorno a te, Giusè! Non sei il centro dell'universo!
Corrugo la fronte, confuso. Non rispondo. E pensare che il giorno prima non mi fregava niente di lei. Ora... ora ci tengo. Sì, ci tengo. Voglio che resti.
Federica allontana la mano dalla mia. Torna a camminare.
La raggiungo. — Senti, se...
— Smettila di parlare!
Ritorniamo al bar e ci sediamo al tavolo con i nostri amici.
Io bevo, lei pure. Ci inganniamo con l'alcool. L'abbiamo sempre fatto e sempre lo faremo.
Due bottiglie di birra vuote sul tavolo in un angolo.
Un biglietto aereo.
L'eco di qualcosa che poteva essere, ma non è stato.
Ginevra.
La tua lingua nella mia bocca, le tue labbra sulle mie.
Addio, Fede.



 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Quebec