Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
Ricorda la storia  |      
Autore: PerseoeAndromeda    23/05/2023    1 recensioni
Perché, in fondo, loro due erano sempre stati la stessa cosa, due metà di una stessa anima, si erano trascinati all’inferno a vicenda e quell’inferno solo loro avrebbero potuto comprenderlo fino in fondo.
“Due mostri…” sussurrò ancora e non avrebbe voluto piangere, ma non poteva farne a meno.
“Ti avevo promesso che ti avrei seguito fino all’inferno… ed effettivamente… è stato così, non è vero?”.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Annie Leonhardt, Armin Arlart, Eren Jaeger, Jean Kirshtein
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Tematiche delicate
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
hurt/comfort. Eren/Armin. Eren appare ad Armin in sogno per asciugare le sue lacrime.
 
FANFIC SCRITTA PER IL GRUPPO FACEBOOK PROMPTS ARE THE WAY
 
Fandom: Attack on titan
Titolo: Con te all’inferno
Personaggi: Armin Arlert, Annie Leonhardt, Jean Kirstein, comparsa di Reiner e Connie, cenni Eremin
Genere: introspettivo, angst, drammatico, malattia fisica e psicologica, traumi, chi più ne ha più ne metta
Rating: giallo per le tematiche conflittuali
Note: post canon, spoiler per chi non ha letto il manga

 
CON TE ALL’INFERNO

 
Sentiva la presenza dei compagni alle sue spalle, il loro silenzio pesava come un macigno e lui non aveva il coraggio di voltarsi, di incontrare i loro sguardi pieni di dolorosa compassione.
L’incontro con i diplomatici dei paesi alleati non era andato bene, troppi conflitti, troppe voci contrarie ad una pace duratura, troppa paura di un passato non ancora abbastanza distante e troppa voglia di vendetta.
La cosa più terribile era che lui stesso non poteva dare torto a nessuno: solo aveva sperato che il bisogno di pace fosse più sentito.
Al termine dell’incontro era uscito dalla sala senza rivolgere neanche un’occhiata ai suoi compagni: loro non lo lasciavano neanche per un istante, i pericoli erano dietro l’angolo e lo proteggevano da possibili ritorsioni. La vita del comandante Armin Arlert era costantemente appesa a un filo, sia a causa di un fisico sempre più precario, sia perché ad ogni angolo aveva nemici, pronti a fargli pagare qualunque cosa: il legame con il genocida da parte di chi lo aveva subito, il tradimento nei confronti di Eren, da parte di chi aveva invece appoggiato le azioni del genocida, la presunta ipocrisia che vedevano nel suo voler cercare intensamente una pace dai più ritenuta impossibile utopia.
Strinse i pugni lungo i fianchi e si fermò.
La sua mano fremente venne sfiorata da un’altra, pallida, un po’ esitante, l’orecchio raggiunto da una voce malferma:
“Armin…”.
Perdonami, Annie… non posso…
Una figura molto più alta di lui si portò al suo fianco:
“Non è andata poi così male… c’era qualcuno dalla nostra parte”.
Jean non sembrava convinto delle proprie parole e Armin era perfettamente conscio che, tutto quel che tentava di fare, era conferire alla loro situazione una visione meno pessima di quel che era davvero.
Lo facevano soprattutto per lui, perché avrebbero voluto sottrarre alle sue spalle almeno qualcuno dei pesi di cui si era fatto carico.
Sospirò, allontanò la mano di Annie, scosse il capo in direzione di Jean.
Quindi posò gli occhi sugli altri, che restavano qualche passo più indietro, ma lo osservavano, altrettanto cupi.
“Va tutto bene. Andrà tutto bene. Riposatevi stanotte, domani avremo ancora da fare”.
Con la coda dell’occhio vide Annie che si mordeva il labbro, mentre Reiner corrugava la fronte, un po’ con rimprovero, ma soprattutto con tormento, pena, perché forse avrebbe voluto avvicinarsi, mettergli una mano sulla spalla e magari abbracciarlo: ma non lo avrebbe fatto, perché Armin non avrebbe accettato, non in quel momento.
“Armin…” sussurrò Jean.
Jean… per favore…
“Rimaniamo ancora un po’ tutti insieme…”.
Parliamone… avrebbe forse voluto aggiungere, ma la frase rimase sospesa.
Il capo di Armin si abbassò, tentò di rendere gentile la propria voce, quasi lui volesse confortare loro… lui prendersi cura di loro, perché gli erano sempre così vicini, troppo vicini…
“Dovete riposare… e mangiare qualcosa”.
“Anche tu” lo interruppe Jean, in un sussurro che trasudava una rassegnata frustrazione.
“Lo farò” rispose Armin con un filo di voce e senza osare guardare in faccia nessuno, perché lo sapeva lui e lo sapevano tutti quanti che non avrebbe mangiato.
Riposato…
Forse… perché il suo corpo sarebbe crollato contro la sua volontà.
“Ci vediamo domani” soggiunse a voce altrettanto bassa e dando di nuovo le spalle a tutti, segno che, per lui, la conversazione era chiusa.
Non per gli altri però, non per Annie che tentò nuovamente, incerta, già conscia di quale sarebbe stata la risposta:
“Non vuoi che almeno uno di noi ti faccia compagnia?”.
Sottinteso, se non vuoi me, forse Jean, o Connie…
Armin scosse il capo:
“Vai a dormire Annie… andate tutti”.
Fu il suo definitivo congedo e nessuno osò più provare a seguirlo verso la sua stanza.
In realtà, Armin li avrebbe voluti tutti, non amava stare solo e amava troppo tutti loro, così come sapeva di essere da loro altrettanto amato.
Eppure, desiderava altrettanto tenerli lontani, esclusi dal suo dolore, in salvo dall’inferno morale che gli lacerava l’anima senza possibilità di redenzione.
Un inferno che era solo suo…
Suo e di Eren.
Chiuse la porta del proprio alloggio alle spalle, appoggiò ad essa la schiena e rimase qualche istante immobile.
Ora cado… sto per cadere e forse, questa volta, mi sarà concesso non rialzarmi più.
Scosse il capo.
No. Nessuna concessione. Troppo facile.
Se avesse potuto permettersi un finale così facile avrebbe lui stesso scelto la morte da un pezzo, ma non sarebbe stato giusto.
Io in pace… e loro? I miei amici, ciò che rimane del mondo… a piangere sul mio totale fallimento?
Le loro lacrime non le avrebbe meritate, anche se, ne era certo, contro il fallimento non avrebbe potuto fare nulla comunque.
La sua inutilità non aveva limiti, ma almeno non si sarebbe concesso sconti.
 Con uno strattone violento contro la propria persona, staccò la schiena dalla porta e barcollò per qualche passo.
Sono stanco… sono così stanco…
Raggiunse il muro dalla parte opposta e lì dovette posare una mano sulla parete per sorreggersi, si chinò in avanti, la testa che girava e la nausea che risaliva dal suo stomaco perennemente vuoto.
Portò la mano libera alla bocca e si lasciò scivolare a terra.
Era debole, esausto, sempre malato e circondato da persone che gli volevano bene e che avrebbero voluto prendersi cura di lui.
Non li merito, non merito nessuno.
Li avrebbe tanto voluti accanto in quel momento, il suo cuore lo supplicava di richiamarli, perché gli restassero vicino, ma il suo maledetto cuore doveva tacere, doveva lasciarli in pace.
Doveva tacere in tutti i sensi, anche smettere di invocare chi non poteva rispondere, colui con il quale aveva condiviso sogni, incubi e traumi, colui che lo aveva tradito, forse per salvarlo…
Ma anche io ho tradito lui, la libertà che gli ho mostrato non era ciò che cercava… io l’ho attirato nei miei sogni e lui li ha trasformati in un inferno nel quale siamo entrambi invischiati senza speranza.
La mano scivolò lungo il muro e lui si ritrovò in ginocchio, tremante per il freddo e per le reazioni involontarie del suo corpo ormai fuori controllo.
“Eren…”.
Ancora prima di rendersene conto, le sue labbra aride pronunciarono il nome dell’unica persona che avrebbe accettato accanto a sé, con la quale avrebbe accettato di condividere il buco nero che aveva dentro…
Perché, in fondo, loro due erano sempre stati la stessa cosa, due metà di una stessa anima, si erano trascinati all’inferno a vicenda e quell’inferno solo loro avrebbero potuto comprenderlo fino in fondo.
“Due mostri…” sussurrò ancora e non avrebbe voluto piangere, ma non poteva farne a meno.
“Ti avevo promesso che ti avrei seguito fino all’inferno… ed effettivamente… è stato così, non è vero?”.
Si lasciò andare completamente a terra, spalla e tempia appoggiati al muro e mani abbandonate e inermi, anche se lui le sentiva ancora tremare, era una costante.
Avrebbe dovuto alzarsi da quel pavimento, che visione patetica dava di se stesso?
Quello che sono… sono patetico, non può essere altrimenti.
Le palpebre erano pesanti e non riusciva a tenerle aperte, gli occhi bruciavano per le lacrime che tentava di trattenere senza riuscirci.
Provò a muoversi, sperando di trascinarsi almeno fino al letto ma, non appena spostò il capo, venne assalito da un fortissimo dolore alle tempie, la vista divenne nebbia e fu solo un miracolo ad impedirgli di vomitarsi addosso, mentre tutto il corpo veniva scosso da un violento attacco di tosse che portò buio e vuoto tutto intorno.
Quando l’attacco si fu calmato, si ritrovò sdraiato sul pavimento, le mani sporche del proprio sangue che si confondeva con le lacrime.
La totale confusione dei sensi si impadronì di lui.
Dove sono? Chi sono?
C’erano momenti in cui giungeva a mettere in discussione la propria identità…
Da quel giorno sui tetti di Shiganshina quando, insieme al corpo di Berthold, aveva inglobato dentro di sé i suoi ricordi insieme a tutti i ricordi dei colossali del passato… e cos’altro ancora?
Emozioni?
Sentimenti?
E, adesso che i titani non esistevano più, che in teoria più nulla di Berthold era rimasto in lui, cosa restava, invece, di se stesso?
Lui non era più se stesso da quel giorno, perché quel giorno due persone erano morte per permettere a lui di vivere e Armin Arlert, da quel momento, aveva deciso che si sarebbe annullato e che non si sarebbe più concesso di esistere per se stesso e per i propri sogni.
“Armin…”.
Una scossa attraversò le sue membra da capo a piedi e la sua guancia venne sfiorata da un tocco gentile.
“Apri gli occhi…”.
“Perché, Eren? Per scoprire che in realtà non sei qui?”.
“Io sono qui…”.
“Sto impazzendo…”.
“Siamo pazzi entrambi. Lo siamo sempre stati, lo sai”.
Armin si morse il labbro, si sforzò di aprire gli occhi, per vedere la persona cui apparteneva quella mano che si attardava sulla sua guancia.
 
Lui era lì, con i capelli sciolti che ricadevano sulle spalle e quell’espressione che aveva riservato sempre solo a lui.
Ma tutta la sua persona era avvolta in una patina scarlatta e non poteva scorgere lo smeraldo delle iridi in cui amava smarrirsi un tempo.
Era il rosso del sangue, una cortina di sangue tra la sua vista e la realtà.
Le dita di Eren scivolarono sul suo viso:
“Armin… le tue lacrime…”.
L’espressione di Eren si era fatta angosciata e Armin sapeva perché: nei momenti peggiori sanguinava quando tossiva e persino quando piangeva.
“Non devi essere triste per me…”.
Eren scosse il capo:
“Non puoi chiedermelo…”.
“Neanche tu puoi chiedermi di stare bene…”. Non c’era rimprovero nelle parole di Armin, solo la constatazione di un dato di fatto. “Non dopo tutto quello…”.
“Che ho fatto…”.
“Che abbiamo fatto”.
Eren scosse il capo:
“Tu no…”.
Nonostante tutto, nonostante la lacerazione dell’anima, nonostante il dolore al petto, agli occhi, ad ogni frammento di corpo e cuore, sulle labbra di Armin comparve un sorriso, o la parvenza di esso, perché venne fuori più che altro un ghigno amaro:
“Hai sempre avuto una considerazione troppo alta di me…”.
Seguì un attimo di silenzio, durante il quale Eren lo accarezzò ancora, raccolse un’altra lacrima di sangue e, adesso, anche i suoi occhi piangevano:
“Io so chi è Armin… lo so meglio di chiunque altro”.
Armin fece per ribattere, ma ogni parola si spense sul nascere in un singhiozzo, che lo portò a serrare le palpebre. Reclinò di lato il viso, per accentuare il contatto con quella carezza che aveva agognato per troppo tempo.
Sapeva che non poteva essere reale, sapeva che, probabilmente, era pazzo e visionario, ma aveva bisogno di quello che stava accadendo, ne aveva così bisogno che avrebbe accettato di perdere definitivamente la ragione: in fondo, il filo che separava lucidità e follia, nella sua mente, aveva iniziato ad assottigliarsi anni prima.
“Perdonami…” sussurrò Eren.
Un profondo sospiro sollevò il petto di Armin, mentre la carezza si faceva più profonda.
“Non mi lascerai?” riuscì a chiedere con voce stentata.
“Non posso… per questo devi perdonarmi… perché non riesco… a lasciarti andare”.
Nemmeno io… e non voglio che tu lo faccia…
Il tocco sul suo viso si fece sempre più leggero, sempre più evanescente e lo stesso accadeva all’immagine di Eren, per quanto lui si sforzasse di tenerla viva, solida.
“Non te ne andare…”.
“Sono qui… sarò sempre qui per te”.
Furono le ultime parole che udì, prima di riaprire gli occhi del tutto in una stanza buia e silenziosa, improvvisamente sveglio, con la sensazione di aver vissuto un vivido sogno…
O un’illusione della sua mente malata.
Era ancora sdraiato a terra quando, al di là della finestra, giunse distinto il rumore di un battito d’ali.
Solo in quel momento si rese conto di qualcosa di morbido posato sulla sua mano. Non ebbe bisogno di guardare per capire di cosa si trattasse: le dita si chiusero sulla piuma, finalmente riuscì a compiere un movimento senza sentirsi male e portò la mano al petto, all’altezza del cuore.
Poi la portò più in alto, alle labbra e qui posò un bacio su quel soffice simbolo di quanto aveva di più caro.
Te l’avevo promesso, Eren… che sarei venuto con te anche all’inferno.
   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti / Vai alla pagina dell'autore: PerseoeAndromeda