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Autore: edoardo811    07/06/2023    3 recensioni
L'estate è finita e il Campo Mezzosangue è diventato un mortorio. Rimasto da solo dopo che tutti i suoi amici se ne sono andati, EDWARD passa le giornate cercando di trovare un valido motivo per non andarsene. Il suo lato greco si affievolisce giorno dopo giorno, per via del suo legame con gli dei giapponesi, un legame di cui, però, farebbe volentieri a meno.
LISA si trova in una situazione difficile, a fronteggiare una relazione complicata, che la spaventa, e le cose non faranno che peggiorare quando una vecchia conoscenza ritornerà nella sua vita e in quella del suo ragazzo.
Bloccata nel bel mezzo del nulla, ROSA è in cerca di sé stessa, una ricerca che per ora si è rivelata infruttuosa. Quello che non sa, è che anche lei è il frutto di una ricerca, da parte di alcune delle creature più pericolose del mondo. Un fortuito incontro con mezzosangue, però, potrebbe aiutarla a risolvere entrambi questi problemi.
Infine c'è KONNOR, a cui è toccato il facile compito di difendere New York City completamente da solo da un invasione di mostri, prima che un evento chiamato "La Notte Eterna" non si verifichi portando con sé la distruzione del mondo. Che cosa potrebbe andare storto?
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altro personaggio, Dei Minori, Gli Dèi, Nuova generazione di Semidei, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le insegne imperiali del Giappone'
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Questa storia fa parte di una serie. Prima di proseguire, consiglio a chi non l’ha fatto di leggere anche La Spada del Paradiso e L’Elisir di Lunga Vita in particolare, se volete capirci qualcosa, perché vi assicuro che se non l'avete fatto non capirete proprio nulla nemmeno delle prime cinque righe. Ve lo assicuro. Il Velo Invisibile non è importante per questa storia, mentre Demigod Diaries è giusto una cosa for fun che non ha molta importanza (e le cose importanti che ho scritto lì verranno ribadite qui) quindi potete evitare anche quella. A tutti gli altri, invece, auguro buona lettura!


 1

Un glorioso ritorno




Gli altri avevano ragione. D’autunno il Campo Mezzosangue era un mortorio. E ad Edward la tranquillità piaceva, però così era… troppo. 

Era per il suo lato semidivino, gli avevano detto. Era iperattivo, con disturbo del deficit dell’attenzione e bla bla bla. Non era una cosa che durante i suoi anni in fuga dai mostri e dalla polizia aveva notato – era un pelo occupato a non farsi fare la pelle, o sbattere in gabbia, per prestare caso al fatto che non riuscisse a leggere, o a stare fermo per troppo tempo. Anzi, era certo che, se non fosse stato per quello, non sarebbe mai riuscito a cavarsela fuori dal campo per così tanto tempo.

Negli ultimi mesi, però, aveva avuto modo di starsene fermo. La tranquillità che tanto aveva agognato, perché costretto a vivere perennemente con un occhio aperto e l’altro pure, si stava trasformando in una prigione. Non poteva andarsene per nessun motivo. Non poteva andare a trovare i suoi amici, né qualsiasi altra cosa. Se fosse uscito dal campo, si sarebbe ritrovato addosso tutti i mostri nel raggio di chilometri e chilometri.

«Vorrà dire che li ucciderò, proprio come ho sempre fatto!» aveva risposto una volta a Chirone, ottenendo uno sguardo di disappunto in ritorno.

«Non funziona così» l’aveva ammonito il centauro. «Le regole valgono per tutti.»

Dopo quella volta, Edward aveva deciso di non discutere più. Se le cose funzionavano in un certo modo, cercare di cambiarle era inutile, l’aveva capito molto bene. Al campo poteva avere quello che voleva, cibo, bevande, vestiti, eccetera, ma aveva tutto un sapore diverso, sia metaforico che letterale, e parlare con Tommy tramite messaggio Iride non era la stessa cosa. Gli mancava vederlo di persona, e gli mancavano anche Steph, Lisa, perfino Konnor.

Ma soprattutto, gli mancava un’altra persona, anche se cercava di non pensarci.

Un lungo sospiro gli scappò dalle labbra. Non aveva molta voglia di alzarsi, ma il soffitto della Capanna Sette stava cominciando a diventare uno spettacolo piuttosto noioso, oltre che ripetitivo.

Scostò la tendina che divideva il suo letto dagli altri. La cabina era deserta. La maggior parte dei suoi fratelli se n’era andata alla fine dell'estate, c'era chi andava a scuola, chi al conservatorio, ne erano rimasti giusto un paio, ma in quel momento erano tutti in giro per il campo a fare il loro meglio per combattere la noia.

Se non altro, nessuno voleva ucciderlo. Sollevò una mano e si concentrò per far comparire Ama no Murakumo, la spada divina che Amaterasu, la regina degli dei giapponesi in persona, gli aveva gentilmente sbolognato in modo da attirare tutti i malintenzionati su di lui per lasciare in pace lei. Ricordava ancora alla perfezione quando l’aveva sognata. La sua bellezza, la luce che emanava, la sua aura di potere. Aveva provato l’impulso di inchinarsi di fronte a lei anche se non l’aveva mai vista prima, cosa che con nessun altro dio era successa.

«Discuteremo ancora, in futuro» gli aveva detto. E da quel momento, nulla. Forse era anche quello a renderlo così teso. Tutto quel silenzio, tutta quella calma, parevano la quiete prima della tempesta. Se lo sentiva nelle viscere.

L’aria nel campo era fredda e uggiosa. Aveva vissuto per quasi tutta la vita nella costa ovest d’America, era nato e cresciuto in California e poi si era spostato in lungo e in largo per quelle parti, perciò non era affatto abituato al grigiore di New York. Era un figlio del dio del sole, aveva bisogno della luce, e del caldo. Anche la sua abbronzatura stava cominciando a risentirne. Perfino la capanna Sette, di solito splendente, ora sembrava pallida. Le piante sulla cabina di Demetra erano appassite, senza foglie, e la sfavillante capanna-casinò di Tyche era spenta. Tutta la luce, la gioia e la vitalità di quel luogo erano state risucchiate via dall’arrivo dell’autunno.

Incrociò alcuni ragazzi che conosceva e li salutò, ma non si fermò a parlare con nessuno di loro. Quasi tutti al campo lo rispettavano, ma erano pochi i suoi veri amici. Non aveva alcun legame particolare con la maggior parte dei semidei rimasti, inoltre a volte gli sembrava che tutti fossero cortesi soltanto perché era diventato il nuovo eroe. Un titolo che gli stava un po’ stretto, in realtà, ma non spettava a lui decidere. Aveva completato un’impresa, era stato scelto dagli dei, ed era l’unico motivo per cui non era scoppiata una guerra tra pantheon. “Eroe” era la parola che da quelle parti amavano lanciare in giro, e perciò era costretto a tenersela.

Il suo sguardo scivolò inevitabilmente verso l’arena. Quell’estate, avrebbe saputo chi ci avrebbe trovato se ci fosse entrato. Ma ora anche quello era cambiato. Mentre se ne stava seduto sugli spalti a osservare i pochi ragazzi che si allenavano, non fece altro che pensare ai momenti che aveva trascorso là dentro, e che non sarebbero mai più tornati.

«Model» lo chiamò una voce affannata all’improvviso. Solo in quel momento si accorse che gli allenamenti erano finiti e lui era rimasto seduto a fissare il nulla come un ebete.

Una ragazza lo stava scrutando dall’alto del suo metro e ottanta, con una punta di divertimento che luccicava tra gli occhi maliziosi. Alcune gocce di sudore le scivolavano dai capelli bronzei lungo le tempie rasate, altre invece le solcavano l’addome scoperto, al di sotto del top grigio scuro che indossava. Solamente una figlia di Ares come lei poteva avere una tartaruga come quella. E delle gambe così lunghe. E fianchi sodi. Edward si sforzò di tenere lo sguardo in alto, prima che la situazione si facesse imbarazzante. Dopotutto quella era Sophia Ferreira, la sorella di Konnor, nonché capocasa di Ares in sua assenza. Mica poteva farsi trovare a sbavare così per lei. «Ehm… sì?»

Sophia gli rivolse uno strano sorriso. «Vieni qui tutti i giorni, ma non ti alleni mai. Comincio a pensare che forse lo fai solo per la vista.»

Edward sbatté le palpebre un paio di volte, prima di accorgersi dell’espressione che la ragazza gli stava rivolgendo. L’odore del suo corpo sudato arrivava fino al suo naso. Il calore che emanava sembrava quello di un forno.

«Allora?» lo incalzò, chinandosi fino ad arrivare all’altezza del suo volto. Aveva le labbra carnose, lucide. Come faceva ad averle lucide? «È così?»

Edward adocchiò la scollatura del top, poi soffermò sui suoi fianchi stretti nei leggings neri che sembravano scolpiti nel marmo, proprio come quei deltoidi pronunciati. Infine, incrociò gli occhi di Sophia, e ricambiò il sorriso.

«Può darsi.»

 

***

 

«Ah!» Sophia rovesciò la testa all’indietro, mentre Edward premeva il corpo contro il suo. Una mano gli conficcava le unghie nella schiena, l’altra invece gli strofinava le dita tra i capelli. «A-Ah! M-Model!»

«Fai troppo rumore» l’ammonì lui, prima di rubarle un bacio. Al rumore delle labbra che si separavano seguì un filo di saliva. «Ci sentiranno.»

Sophia ridacchiò, strofinando la schiena contro la parete e assecondando i suoi movimenti decisi. Gli strofinò entrambi i pollici sulle guance e lo guardò dritto negli occhi. Quello sguardo poteva rivaleggiare con quello di Medusa. «E da quando ti preoccupano queste cose?»

Edward si fermò. «Che vuoi dire?»

«Niente.» In un istante, Edward si ritrovò schiacciato contro la parete, e la mano di Sophia si schiantò contro il muro proprio accanto alla sua testa. Era più alta di lui, il che aveva leggermente complicato le cose nei minuti precedenti, ma niente di irreparabile. Aveva anche i bicipiti più grossi dei suoi, constatò mentre gli sbarrava ogni possibile via di fuga. Non che lui volesse andare da nessuna parte.

Sophia gli infilò una mano sotto la maglietta del Campo Mezzosangue, per accarezzargli il petto col suo tocco deciso, suscitandogli una scarica di brividi lungo la spina dorsale. Con le labbra, invece, gli lasciò una scia di baci lungo il collo. Edward inarcò la testa e uno sbuffo soddisfatto gli scappò dalla bocca. Sophia s’inginocchiò di fronte alla sua vita. Dal basso gli rivolse di nuovo quel sorriso carico di malizia. «Non fare rumore, Model, o ci sentiranno.»

 

***

 

Quando si sedettero sul prato appena fuori dall’arena, Edward era sudato come se si fosse allenato per davvero.

«Dovremmo allenarci più spesso» disse Sophia stiracchiandosi. Sembrava soddisfatta.

Edward osservò il cielo grigio che si stagliava sul Campo Mezzosangue. Gli bastò solo quello per farlo tornare alla triste realtà di prima. Perfino la sensazione del corpo marmoreo di Sophia premuto contro il suo si affievolì di fronte al grigiore e all’aria ghiacciata del campo autunnale.

«Alla tua ragazza non piacerà» commentò ancora Sophia, dopo il silenzio di lui. La guardò mentre stendeva le gambe e si appoggiava coi palmi sull’erba umida di rugiada. Aveva ancora indosso il top sudato e gli addominali ambrati scoperti. Il profumo del suo corpo sembrava perfino più denso di prima, come due dita invisibili che lo afferravano per il naso.

Il figlio di Apollo sollevò le spalle. «Abbiamo una relazione aperta.»

Non era una bugia. Anzi, forse avrebbe dovuto dire che non c’era proprio più una relazione, ma non aveva voglia di spiegare il modo patetico con cui Natalie l’aveva scaricato. Qual era quel detto? La distanza rende il cuore più stronzo?

«Sì, ho notato» ridacchiò l’altra.

«Tu invece? Credevo che stessi con Derek» fece Edward, pensando a quando aveva visto il suo vecchio capocasa al capezzale di Sophia, quell’estate, quando lei era stata folgorata da una scarica elettrica, o qualcosa del genere. Una storia lunga, fatta di furti di bandiere finiti male e tentati omicidi, in quest’ordine.

Sophia si abbracciò le ginocchia. La sua espressione divenne di fastidio, misto a disgusto. «Tsk. Gli piacerebbe.»

«Perché? È un bravo ragazzo. Dovresti dargli una possibilità.»

Lei lo guardò come se fosse sceso da un altro pianeta. «Sei strano, lo sai?»

«Fa parte del mio fascino.»

Sophia gli sferrò un pugno alla spalla, ridendo. Poi, seria: «Allora, perché vieni sempre all’arena?»

«È… una lunga storia.»

«Mica dobbiamo andare da qualche parte.»

«È anche complicato.»

«Insomma, non vuoi parlarne.»

«No.»

Sophia sollevò le mani. «Va bene, va bene. Tanto non m’interessava davvero.»

Ora toccò ad Edward ridacchiare. Da quando era così semplice avere a che fare con le ragazze? Tutte le donne più importanti della sua vita fino a quel giorno l’avevano paccato una peggio dell’altra. Stephanie – con cui però rimaneva amico, e comunque dopo quello che aveva appena fatto, con Konnor aveva pareggiato i conti – Natalie, Amaterasu.

Rosa. 

Udì uno scalpiccio di zoccoli all’improvviso farsi sempre più forte. «Edward.»

Tutto a un tratto, il figlio di Apollo si sentì come se il mondo gli fosse svanito da sotto i piedi. Quella era la voce di Chirone. E lui non lo cercava mai soltanto per parlare del meteo. Il centauro si avvicinò trafilato ai due ragazzi. Guardandolo di sfuggita il suo viso sembrava quello di un uomo comune, con i capelli lunghi e la barba brizzolati, ma la realtà era ben diversa.

Edward non aveva mai avuto problemi a reggere lo sguardo degli adulti, ma con Chirone era molto più difficile. Era come se nei suoi occhi fosse racchiuso il peso di migliaia e migliaia di anni vissuti addestrando eroi, vederli crescere e anche morire. Un qualcosa di ben oltre la sua comprensione.

«Potresti venire con me? C’è qualcuno che vorrebbe incontrarti.»

Edward corrugò la fronte. Quell'estate erano arrivate al campo delle kunoichi, delle donne ninja, che l'avevano cercato probabilmente per scuoiarlo e mettere le mani sulla Spada del Paradiso. Per fortuna, erano riusciti a far credere loro che non avesse più la spada. Non ci teneva molto a ripetere quell'esperienza. «Di nuovo delle donne giapponesi armate e pericolose?» 

Chirone ridacchiò. «No. Questa volta sono amici.»

“Questo sarò io a valutarlo” pensò il ragazzo, che comunque non poteva fare altro che accettare. Se Chirone ti cercava, tu andavi, questo almeno l’aveva capito.

«Torna ad allenarti anche domani» gli disse Sophia, ammiccando senza nemmeno cercare di nascondere quello a cui stava alludendo. Tuttavia il centauro, se aveva notato qualcosa, non lo diede a vedere. O forse era davvero tanto ingenuo. Un’altra cosa che Edward aveva capito era che quel tizio non era molto ferrato con gli adolescenti e i loro ormoni.

L’accompagnò fino alla Casa Grande e per tutto il tempo Edward non fece che domandarsi chi ci fosse di così importante da guastargli quella splendida giornata. «Era da tanto che non venivano a trovarci» stava spiegando Chirone, sembrando perfino emozionato, come un bambino che incontrava il suo idolo. «Il loro è un grandissimo ritorno.»

Infine arrivarono a destinazione. Appoggiati al portico, ad attenderli, si trovavano due ragazzi. Parlavano fittamente tra di loro, ma si voltarono verso di lui non appena fu abbastanza vicino. Sentì la pelle arricciarsi. Erano sicuramente due semidei, e anche piuttosto forti a giudicare da come il suo corpo stesse reagendo. Ad Ama no Murakumo non piacevano molto i semidei potenti, era una cosa che aveva imparato a sue spese quando lui e Steph si erano quasi uccisi a vicenda.

Uno di loro era un gigante alto quasi due metri, scuro come l’ebano e con gli occhi che scintillavano come monete d’oro. Avrebbe potuto far fuggire in lacrime un mostro con un solo sguardo. Ma il pezzo forte non era lui. Tra i due, a emanare più energia era sicuramente la ragazza più bassa di almeno trenta centimetri che gli stava accanto. Riccioli biondi, occhi celesti, pallida e graziosa, con i lineamenti delicati e un po’ infantili. Sembrava uno di quegli angioletti nei dipinti ma a grandezza naturale.

Entrambi indossavano dei mantelli, la ragazza ne aveva uno rosso ed elegante, il ragazzo uno nero e sgualcito, e tutti e due avevano dei bustini d’armatura, color oro per lei e ossidiana per lui. Per tutto il tempo non gli staccarono gli occhi di dosso. La ragazza gli rivolse un sorriso che aveva un po’ di incuriosito, un po’ di divertito, mentre il gigante mantenne il proprio cipiglio, stoico come una montagna.

«Edward» esordi Chirone quando si trovarono di fronte a loro. «Vorrei presentarti…»

«Ashley Flare.» La ragazza tese la mano. «Figlia di Giove. Pretore del Campo Giove. Sono davvero onorata di conoscerti.»

Edward rimase immobile per qualche istante, sorpreso. Gli avevano parlato del Campo Giove. La casa delle loro controparti romane, un luogo dove disciplina e regole regnavano sovrane. In poche parole, carburante per gli incubi.

«Però Nuova Roma è molto bella!» aggiungevano sempre.

«Piacere mio» rispose, stringendo la mano di Ashley. Era fredda e piccola, ma con una presa di ferro.

Il suo sguardo scivolò sul gigante, che non si era ancora mosso. Sentì Ashley ridacchiare.

«Lui è Elias Crowe. È il mio collega, figlio di Plutone. Non è di molte parole, ma credimi, nel profondo è un gran tenerone.»

Elias grugnì. Edward lo prese come un: «No, non è vero. Ma posso comunque spezzarti la schiena.»

Quindi loro due erano i pretori. Quando aveva sentito che al Campo Giove non c’erano dei in castigo o centauri a comandare, bensì due semidei proprio come lui, aveva faticato a crederci. Trovandosi di fronte a quei due i suoi dubbi si erano dissipati. Qualcuno avrebbe potuto essere abbastanza stupido da sgarrare con uno come Elias, ma non sarebbe arrivato al giorno dopo sulle sue gambe. Ashley, invece, gli dava l’idea di una che ti sorrideva accomodante mentre sanciva la tua pena di morte.

«Abbiamo sentito molto parlare di te, Edward» proseguì Ashley, sempre con quel suo strano sorriso. «Sei arrivato da poco qui al Campo Mezzosangue, ma hai già impressionato molti.»

Edward sollevò le spalle, non sapendo bene come reagire. «Beh, che posso dire. La mia fama mi precede.»

«Sì, è vero.» Questa volta il tono della ragazza sembrò farsi più freddo. «Sappiamo che sei stato scelto dagli dei. Deve essere un grande onore per te.»

Sembrava risentita. Per quanto assurdo potesse sembrare. Ad Edward sfuggì una risatina nervosa. «Insomma. Me la sono vista brutta un paio di volte.»

Non voleva sembrare irrispettoso o chissà che, tuttavia, dopo tutto quello che gli era capitato, sentirsi dire che trovarsi in quello schifo di situazione fosse “un grande onore” gli sembrò così assurdo da essere divertente.

«Quindi non credi che lo sia?» domandò Ashley, il sorriso che svaniva dal suo volto alla rapidità della luce.

Il ragazzo venne colto in contropiede da quel cambio di atteggiamento. «Ehm, beh…» per un attimo cercò di trovare una risposta che facesse contenta quella stramba. Poi, però, si rese conto che invece non doveva fare proprio un bel niente.

«No, non penso che lo sia» replicò, reggendo lo sguardo della romana. «Rischiare di morire per qualcosa che non mi riguarda non è un onore. È solo stupido.»

Le nocche di Ashley sbiancarono da quanto forte si strinse gli avambracci. Elias rivolse uno sguardo verso la sua compagna. Per un secondo, parve angosciato. Forse fu solo la sua immaginazione, ma ad Edward sembrò anche di sentire il cielo che borbottava.

«Che significa che “non ti riguarda”?» gli chiese, gelida. «Sei un figlio di dei, Edward Model, proprio come noi. Tutto quello che riguarda gli dei riguarda anche noi.» Con il braccio accennò alla Casa Grande e al resto del Campo Mezzosangue. «È per questo che siamo qui. Io ed Elias siamo stati scelti quando avevamo soltanto undici anni per difendere il Campo Giove. Non sapevamo nemmeno chi fossero i nostri genitori, l’abbiamo scoperto dopo. L’avevano fatto per metterci alla prova. E dopo siamo diventati pretori. Eroi. Come te, Edward Model. Come puoi pensare che non ti riguardi?»

Edward avrebbe voluto risponderle tante cose. La prima, di smetterla di chiamarlo per nome e cognome come se fosse stata la sua insegnante. Era stanco dei megalomani che si comportavano come se ne sapessero di più di lui. La seconda, che tutto quello che gli aveva detto non aveva alcun senso. Soltanto perché era figlio di dei non significava che doveva essere lui a ripulire i loro casini. Non aveva chiesto lui di nascere loro figlio. Non aveva chiesto lui tutto quello, gli era stato imposto con la forza. Aveva accettato, suo malgrado, di fare quello che andava fatto per salvare i suoi amici, sua sorella, le persone a cui voleva bene, ma non significava che doveva essere felice di farlo, e soprattutto non significava che doveva essere grato agli dei, o pensare che fosse un onore morire per loro.

Si sfiorò il petto, dove Izanami l’aveva trafitto. Morire, letteralmente.

Avrebbe voluto dirle di prendere tutto quell’onore di cui tanto decantava e infilarselo da qualche altra parte, ma poi guardò Chirone, che non aveva più detto una parola. Il centauro sembrava invecchiato ancora di più, in una maniera che Edward non avrebbe mai potuto spiegarsi. Non si era intromesso nella discussione, ma al ragazzo fu chiaro quello che doveva fare. Scaldarsi per così poco era inutile, lo sapeva bene. Ed era anche un brutto vizio di cui avrebbe decisamente dovuto fare a meno.

L’ultima cosa che gli serviva, erano altri nemici.

«Sì… è vero» disse infine, abbassando le mani e sospirando profondamente. Sorrise di nuovo ad Ashley, e anche ad Elias. «Dovete perdonarmi. Quest’estate… mi ha scombussolato parecchio. Mia sorella è stata rapita, ho quasi perso i miei amici, ho rischiato di morire un bel po’ di volte e poi… beh, ecco… la mia ragazza mi ha scaricato. Eh, sono pur sempre umano per metà, no? Stavo decisamente con la luna storta. Scusate. Certo che penso che sia un onore.»

Anche i due romani si scambiarono un rapido sguardo. Dopodiché, Ashley tornò a sorridere. «Stai tranquillo, Edward. Ti capisco. Anche noi eravamo piuttosto sconvolti dopo la nostra prima impresa.»

«Sì, a tal proposito…» Edward riprese la parola. «… voi due siete piuttosto forti, mi pare di aver capito. Avete salvato il vostro campo e ora siete i capi di tutto.»

Ashley gonfiò il petto come una bambina a cui avevano detto che il suo vestitino da principessa era il più bello della festa di halloween. «“Capi di tutto” è un po’ eccessivo, ma sì, è così.»

Edward distese il sorriso. Fissò la ragazza dritta nelle sue iridi celesti, che sembravano essere state dipinte da delle mani esperte. Belle, fredde, e letali. «Allora perché quest’estate non siete venuti voi due a San Francisco?»

L’ossigenò sembrò smettere di arrivare al cervello di Miss Perfettina. Perfino il gigante muto s’irrigidì. Vi fu qualche istante di silenzio, mentre Ashley ponderava sulla risposta da dare. Alla fine, mandò giù il boccone amaro e disse: «È… per questo che siamo qui. Abbiamo saputo del tuo ruolo, della tregua tra gli dei, e volevamo garantire che da questo momento in poi il Campo Mezzosangue avrà il completo appoggio del Campo Giove. Se ci sarà una guerra, noi saremo pronti ad aiutarvi.»

«Mh-mh. Sapete, sono morte delle brave persone» proseguì Edward. «Alcune delle Cacciatrici di mia zia. Con l’aiuto di due eroi come voi forse non sarebbe morto nessuno.»

«Mi… dispiace molto» gracchiò Ashley. Edward era sicuro che i denti del giudizio le fossero usciti fuori più facilmente di quelle parole.

«Il Senato si era opposto a mandare i guerrieri più forti, pensavano che avreste potuto farcela da soli, e così è stato, ma ora sono qui per promettere che questo non si verificherà più. Tutte le vite sono importanti, e siamo tutti dalla stessa parte.»

Edward annuì. Non gli importava un accidente dell’aiuto dei romani. Aveva fatto a pezzi un intero esercito da solo e poi aveva sorriso in faccia alla morte. Non aveva paura, e di sicuro non gli serviva l’aiuto di quei palloni gonfiati. Ma mettere a disagio Ashley, quello sì che gli era piaciuto.

«Vi ringrazio molto. Sono sicuro che il vostro aiuto sarà fondamentale.»

Ashley sforzò un altro sorriso, ma sembrò più una smorfia di dolore. «Molto bene. Credo che per noi sia ora di andare.» Sollevò di nuovo la mano. «Ci dispiace non poterci trattenere di più ma…»

«Nessun problema.» Edward gliela strinse di nuovo, anche se questa volta fu un gesto più frettoloso e goffo rispetto a prima. «Tornate pure al vostro campo, di sicuro avrete molto da fare.»

I due romani salutarono anche Chirone, poi si allontanarono di qualche passo. Ashley posò lo sguardo un ultima volta su di Edward. «Spero di poter collaborare presto con te. Ricordati, c’è sempre bisogno di nuovi eroi.»

Pronunciò l’ultima frase con uno strano tono di voce. Sembrava un monito, una minaccia di qualche tipo. Elias gli rivolte un cenno della testa, poi entrambi sprofondarono nel terreno in un ammasso di melma nera. Un’immagine che evocò in Edward ricordi spiacevoli, ma sapeva che quella era anche una delle abilità dei figli di Ade, o Plutone che fosse.

All’uscita di scena dei due romani, calò un pesante silenzio. Solo in quel momento Edward realizzò quanto satura fosse l’aria. Ashley non doveva aver apprezzato i suoi ultimi commenti, ma non gli importava. Era soltanto una mocciosetta così abituata a sentirsi dire quanto bella e brava fosse da chiunque che ora non riusciva ad accettare più altro, e lui, forse un po’ infantilmente – anche senza il “forse” –   non avrebbe mai chiesto scusa a una persona del genere senza poi avere comunque l’ultima parola.

«Non avresti dovuto farlo, Edward» disse Chirone all’improvviso, con voce incolore. «Ashley Flare è molto influente al Campo Giove. Non devi provocarla in quel modo.»

Edward sollevò le spalle. «Se l’è meritato.»

Udì un sospiro provenire dal centauro. «Non riesci proprio a…»

Tacque all’improvviso, ma il figlio di Apollo aveva sentito abbastanza.

«Cosa?» domandò, fissandolo dritto negli occhi. «A fare cosa?»

Chirone assottigliò le labbra. Ora c’era qualcosa di diverso nel suo sguardo. Ricordava il suo primo giorno al campo, al modo in cui aveva guardato Stephanie. E anche quella sera alla Casa Grande, al modo in cui aveva guardato Tommy e Konnor. Perfino la sera del Consiglio, quando erano partiti per l’impresa. Ricordava quello sguardo orgoglioso che aveva rivolto a loro, ai suoi preziosi semidei, i suoi pupilli, i suoi figli. 

Non era lo sguardo che aveva in quel momento. Non c’erano né quell’orgoglio che aveva visto tanto tempo prima, né quel peso che aveva scorto giusto pocanzi. Solamente delusione.

 «Nulla. Non importa. Torna pure al campo.»

Gli diede le spalle senza aggiungere altro. E, per qualche motivo, Edward sentì il sangue ribollirgli nelle vene.

«Scusa se non sono come vorresti!» sbottò, mentre quell’altro gli sventolava il posteriore bianco davanti. «Scusa se non sono come tutti i tuoi preziosi eroi!»

Il centauro non gli prestò alcuna attenzione. Edward si passò una mano fra i capelli. All’improvviso si sentiva esausto. E arrabbiato. E triste. E deluso. Da cosa, non lo sapeva. Forse dal modo in cui si erano comportati o romani. O forse era deluso da se stesso, dal fatto che, nonostante tutto quello che aveva passato, ancora non riusciva a controllare le sue stupide emozioni.

Stupidi dei. Stupidi semidei.”

Fece comparire Ama no Murakumo e la fissò intensamente, avvertendo un brivido lungo la schiena.

Stupida spada.

La scaraventò via con un urlo frustrato. Sapeva che tanto sarebbe tornata da lui. Non poteva perderla. Era una spada appartenuta a Susanoo, Amaterasu e tutta la loro dinastia di imperatori, guerrieri e quant’altro. Ora era sua. Di un ragazzo testardo, solo e con problemi di gestione della rabbia. Che gran passo avanti.

Spostò lo sguardo sul Campo Mezzosangue, su tutte quelle case e quei ragazzi a cui in teoria spettava il compito di proteggere. C’era stato un momento in cui aveva davvero amato quel luogo, in cui davvero avrebbe fatto di tutto per proteggerlo. Ora, l’unica cosa che provava guardandolo era una fitta al cuore.

Lui non apparteneva al Campo Mezzosangue. Era più giapponese che greco, per via del suo legame con Ama no Murakumo e Amaterasu. Più passava il tempo e più se lo sentiva dentro. Forse anche Chirone lo sapeva, per questo l’aveva trattato in quel modo.

Doveva essere un ponte di congiunzione tra i due mondi, invece si sentiva di più una corda tesa, sul punto di strapparsi a metà. I suoi amici erano greci, ma più passava il tempo e più sentiva come se il suo cuore, la sua mente, non lo fossero più.

E poi, quali amici? Se n’erano andati, tutti. Tommy e Lisa erano felici e innamorati, e lo stesso valeva per Stephanie e Konnor. Non avevano bisogno di lui. Natalie? L’aveva scaricato. E Rosa? Sua sorella, la sua prima vera amica? Non avrebbe mai più rivisto nemmeno lei. C’era un futuro fatto di caccia e immortalità ad attenderla. Sarebbe stata una sciocca a non sceglierlo.

Gli occhi di Edward si volsero verso il cielo grigio.

«Cosa devo fare?» domandò, smorto. «Cosa… papà?»

Non si sorprese quando non ottenne alcun tipo di risposta. Sarebbe stato molto più sorprendente il contrario.

«Bella chiacchierata» concluse.

A testa bassa, con un umore perfino peggiore di prima, tornò verso il campo.






Sogno o son desto? Sono proprio io? Wow. Sì, sono proprio io. E non è che sono tornato col Velo Invisibile, nonono, troppo facile, sono tornato a peggiorarmi ancora di più la vita. Sì! Urrà per me! Ok, no, in realtà, non sono tornato. Se avete letto fino a qui, grazie, ma non sono tornato. Avevo questo capitolo pronto già da un eternità, più o meno da quando ho smesso di aggiornare il Velo, e mi son detto, perché no? Lo carico, che magari mi torna un po’ di voglia di scrivere. Sono successe molte cose durante la mia assenza, nella mia vita privata, ho deciso di intraprendere una strada difficile, ma che un giorno spero dia i suoi frutti. Magari ne parlerò più nel dettaglio in futuro. In realtà ho il capitolo del Velo quasi pronto, devo ancora dare le ultime sistemate (in realtà ho ancora almeno un quarto di capitolo da scrivere ma chiamiamole solo “le ultime sistemate”). Magari poi lavoro anche su quello e lo carico, tanto questa storia e il Velo accadono praticamente in concomitanza, e possono essere lette in maniera separata senza che una faccia spoiler sull’altra. Il Velo parla dei romani, questa parla dei greci, anche se abbiamo avuto un piccolo cross-over con Ashley ed Elias, giusto per. Spero che importi ancora a qualcuno, ma non dubiterei del contrario, alla fine sono svanito nel nulla. Ma come ho già detto, la vita privata ha avuto la meglio su di me. Adesso che ho un po’ di tempo libero magari continuerò in maniera più costante ma non faccio promesse. È anche colpa mia, che mi sono impelagato in questo progetto difficilissimo e lunghissimo. A chiunque legga dal day one, vi ringrazio di cuore. La vostra pazienza forse è un dono che non mi merito, ma che apprezzo moltissimo. 

Cazzarola, penso sia stata la nota di fondo capitolo più brutta di tutti i tempi. Oh, beh, immagino che si abbini alla bruttezza del capitolo. Lol. 

Grazie per aver letto e alla prossima!

   
 
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