Storie originali > Fantascienza
Ricorda la storia  |      
Autore: GirlDestroyer1988    12/06/2023    0 recensioni
Formare le nuove femministe è un imperativo inderogabile. Ma cosa succederebbe se anche loro si ribellassero?
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Kidfic | Avvertimenti: Violenza
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

IL GIOCO DELLE BAMBINE

Come pedine di Non ti arrabbiare, tante bambine quante ce n’erano per i loro interessi e per la “principessa” che volevano diventare camminavano pacioccone come brutti dinosauri dall’animazione pari a quella di un giocattolo trainante nella penombra bluastra. Bambine guerriere selezionate. Principesse guerriere selezionate. Eccovi il gioco. Sappiate che solo noi donne-invulnerabili nella loro giovinezza che raggiungerete anche voi, il cui seni e i cui glutei sono i più grandi per noi come per le robot come per le aliene-proteggiamo la natura dopo la distruzione della Terra. Ora sarà anche vostro compito eliminare i maschi che quella Terra l’hanno distrutta. Non vi hanno letto le insulse fiabe con cui essi giustificano la nostra sottomissione verso di essi; questo lo posso vedere da cosa avete scelto. Nessuna serva, nessuna ancella, solo regine, amazzoni, guerriere, sterminatrici. Tante quante sono le categorie di donne nella storia. Adesso andate.

ORGA: PREHISTORIC badockadonk 

Quando le donne correvano con i lupi erano lupe anch’esse, delle Andrewsarchus. La piccola Melissa detta Missy ha studiato che gli Andrewsarchus, vissuti 30 milioni di anni prima della cavernicola che ha scelto in realtà erano ungulati, come miti erbivori quali cavalli e che rivede come Elasmotherium), mucche, capre, e i nostri “cacciatori di Andrew” erano vieppiù imparentati con i voluminosi e/o agili cetacei che ha visto solo in acquari, imperciocché grandi come mari. Ma visto chi è il suo avatar, Orga la feroce paleodonna, un bestione grande come una delle supercar a uso delle adulte inalterabilmente sexy è il minimo. Orga ha capelli di un rosso perforante come il fuoco che la cinge quando balla nuda, come il fuoco che esce dal suo utero unico autentico figlio, i cui segreti sono come i rugosi lembi del suo mestruato utero-estremamente intimi e estremamente rinvigorenti, che nessuno dica che Orga è debole; Orga donna più forte del mondo!-zanne, muscoli enormi come enormi sono i suoi seni, così enormi che chiudendosi possono frantumare la testa di ogni bestia del mondo, il cui minestrone di frattaglia cerebrale e sangue glieli rende così ingolosenti da leccarli come la vespa lecca il polline o la resina degli alberi, braccia e gambe tornite e possenti, e un culo da dar la balla. Orga non ha nessun bisogno di maschi. Per lei sono prede come le altre della sua fame, violentemente gastrica e insieme copulatoria. Vestita solo di una pelliccia che non ricorda più nemmeno lei da che animale sia stata tratta, non uccide con una lancia ma, già proiettata all’età del ferro con una grossa spada che è stata forgiata da lei stessa. Il ferro la eccita: caldo e poi freddo come lei quand’è in calore, non c’è a suo ricordo ossidiana o frantumazione d’osso che tagli e conficchi come quel meraviglioso, preziosissimo minerale. E’ una donna, ama la moda e il bello, oltre che armi micidiali con il ferro, unendolo quand’è ancora aureo liquame che le fa sudare la morbida faccia a della cabasite ottiene monili, collane, catenine e orecchini che ribadiscono che è una dea. Una dea affamata…..del sangue di quegli scoiattoli brutti dappertutto i suoi suadenti occhi lievemente verdi li scrutino, come lei esentati dalla nudità (e meno male penserebbe: solo lei con la sua bellezza ha diritto all’essere ignuda) da stoffe scuoiate a altri animali, ma più piccoli, con stuzzicadenti come proboscidi di pappataci, che gliene frega a lei. O meglio dagli e dagli adesso di costoro gliene frega: camminano da qualche tempo, gobbi e indistinguibili dai Proconsul troppo vicino alla sua maestosa grotta. Se cercassero di imitare il modo in cui sa fare il ferro morirebbero nel tentativo come immersi nella lava di un vulcano, ma l’oltraggerebbero e il primo evento arriverebbe troppo dopo il secondo, e quindi non volersi far oltraggiare le interessa prima del godersi quelle mosche bruciate dall’ambra che solo lei sa come far spettacolarizzare. Sensuale lambisce con i suoi caldi 12 piedi d’altezza dove, a sinistra, la grotta immobilmente urlante si posa mentre sopra i suoi capelli s’incurva a mammella (una delle sue, due ma così grosse da sembrare quattro) facendo da vedetta a sé stessa. L’Elasmotherium c’è l’ha alle spalle, grosso quanto lei, indaffarato con rami fogliosi come suo nutrimento. Un fiume sotterraneo ha deciso di irrompere nella sua bella caverna, dandole di che raffreddare il ferro e da bere per lei e per lui, e entrambi non hanno più nulla che li fermi da attaccare gli intrusi. Manovrare Orga significa brutalizzare i tasti del proprio joypad come chi da lei verrà massacrato. L’Elasmotherium è così forte che non si spezza quando atterra con Orga in sella, immediatamente con la spada in pugno. Gli omuncoli che l’attaccano la affaticano, riescono a disarcionarla, ma con insistenza li falcidia. Lei è un mastodonte, loro inutili fiori

  

 

 

 

 

 

 

 

 

SAVOURAH: badockadonk UNDER THE PYRAMIDS

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Medina. Il cielo e il deserto magrebino erano sempre più gialli, arancioni, rossi e marroni. Un ibis martella gli interstizi dell’attaccatura di ciascuna foglia di una palma solitaria ma smette a una certa. Tutto il deserto evapora in una singola colossale tempesta di sabbia con come ventilatori le ruote dei carri filistei la cui bava equina già insozza le sabbie del faraone. E della sua regina. Tyti. Mastodonticamente tettona, possente di schiena, braccia e gambe, vestita solo di gioielli e con la khopesh più sgargiante, ossificata di arrogante e modaiola lapislazzuli e oro di tutto l’Egitto. Durano diversi minuti le cascate di latte d’ippopotamo che piovono dai seni di Tyti mentre le ancelle le ronzano attorno come api di Ra, non che strigliarla dal latte non ancora convintosi a trasecolarle via, applicarle la bigiotteria più pagabile in opprimenti sacchi di deben di tutto l’Egitto e dipendentemente dalla forgiatura di tutta la Turchia, di tutta la Libia, di tutto il Sudan e di tutto lo Yemen e portarLe la khopesh, micidiale ibrido tra la [God Sword] di [Reideen], la [Skull Harken] di [Raiking] e l’Hiraikotsu di Sango (Stella Musy) sprecasse loro tempo, fatica e entourage. Il faraone l’hanno escluso, nemmeno fosse Aureliano dei fumetti di Alem di Leone Cimpellin? Una scuderia di bighe di amazzoni di cui Tyti (rideremmo per lo stesso nome di una giocattoleria di Giulianova di Viale Orsini, ma la tettona egiziana non perdona) è la leader risolverà benissimo. Dopotutto nel mondo virtuale di Tyti i filistei sono ancora più deboli di quelli fracassati da Sansone. Eustachia detta Stacy comanda, regina delle regine, Tyti come Andy Gavin speculava sarebbe stato Sonic the hedgehog 3 se giocato da un altra prospettiva, beandosi del suo aculeato sedere come poi con il suo Crash Bandicoot ci saremmo beati del sedere del suo marsupiale, qui con più eccitazione sessuale. Tyti sul suo cocchio viene ripresa di spalle, girando di 180° lungo tutte e due le direzioni dell’asse delle ascisse, mollando pugni, fendenti di khopesh e sonori calci. I filistei le insidiano l’avatar e il suo cocchio con tenacia, ma giammai Tyti ne cade.

ADRIJANA: MORITURI TE badockadonk  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Pozzuoli, 82 a.c. Domiziano ha molte gladiatrici. Tutte tettone. E per garanzia nessuna lasciata a farsi macellare. Quel pomeriggio si fanno venationes. Adrijana viene da Zagabria, Domiziano l’ha acquistata a Gorizia, ha con le altre attraversato l’Adriatico soggiornando in una reggia a Ippocampo in provincia di Foggia prima della trasferta a Pozzuoli. Sempre dal foggiano arriva il suo avversario, un toro della fattoria lungo gli argini del Cervaro dove altresì è diventata gladiatrice lei. E’ un bel quadrato di ungulato, con corna simili a corolle di una coroncina data a una festa per bambine. Ha la pelliccia di un marrone stinto, sembra svagato. Mal per lui elucubra Adrijana passerai attraverso i mulinelli della mia spada come acqua del Maroglio nelle circonvoluzioni della vite annaffiante di Archimede. Resta solo che il gaglioffo diventi cattivo e pericoloso. Una arciera sfrutta i batuffoli grandi come cespugli per scagliare la sua freccia in un armonica marionetta di seno, freccia, nerbo dell’arco, arco, mano che trattiene la coda piumata della freccia, mano che trattiene l’arco gonfio, ferendo alla pazzia lo spaesato in mezzo al gesso dell’arena. Adrijana immediatamente lo evita; vuole assaporarselo. Quello si fa un ascesso sbattendo la testa contro la parete, poi si ricorda di lei e la carica. Adrijana gli scivola sotto il busto (i gambali sono come slittini per lei) e con un un fendente gli squarcia fuori i reni e gli amputa il pene con tutti i testicoli. Il sangue la bagna eccitandola infingarda.

SAMIRA: ONE THOUSAND AND ONE BADOCKADONK

Il viaggio di Samira verso le spiagge a canyon del Gondwana è stato come uno spogliarello di lusso: prima lo scioglimento dei capelli, con un atto di beneficenza la seduttrice dei mari fece far fare alla pingue di seno sultana Naurrah (con Samira pure tettona), un semplice bambino, Hammud, portato a palazzo e fatto principino, con disappunto di due ombre, il visir Harufah e la sultana del limitrofo regno di Bassora Azimah, nessuno dei due contenti di vedere la donna che hanno spinto in avanti si è messa a fare la mammina “dopo anni di faticosa emancipazione” vanno a provocare la sirena, imponente cariatide dei mari affinché terrorizzi il porto di Mumbai, in cui l’emancipazione a livelli da permettere una sultana arranca ancora, ribadendo che colpirà anche Madinat Al Kuwait, poi tette (enormi) al vento con bacetti e occhiolini da Change his ways di Robert Palmer da Heavy nova, il saggio Izmal che rivela a Samira dell’isola di Gondwana, dove originano le sirene e dove, liberandolo dai ghiacci di una montagna potrebbero avvalersi del Mushushu, un antico drago che potrebbe avere ragione della sirena, ma ormai nude anche le gambe e il ventre Samira, la donna che ama gli uomini deve affrontare non poche sfide: un automatico cavallo sputafuoco, i cirripedi sulla chiglia della nave organizzati in un gigante naufragatore, arrivando alla parte in cui c’è da combattere: Samira è tra le dentellature nordoccidentali di Gondwana, la scimitarra in pugno e il Mushushu da alleato a nemico. L’emersione della sirena, i suoi seni che spaccano ancora di più la roccia erosa in frane che deprivano Azimah di Harufah, con la guerra tra mostri che, svantaggiata la sirena pur con il suo morso da lampreda presto con il Mushushu che se ne ciba a Samira, dopo così tante tribolazioni a cui basta un salto con la scimitarra in avanti.

MORGANE: BARBARIAN BADOCKADONK

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Doveva esserci -49° in quella storta e macinante discarica di taglierini, ma Morgane era scosciata, seni voluminosi che come le altre rimbalzavano enormi accompagnati da ampi glutei e fianchi, nemmeno un fiocco di neve tra i licopodi dei suoi capelli rossi come un fiume di sangue, un Vortex di Acquafollie che cambia tracciato spezzato e ricomposto dal vento, come un uomo che manipoli con la rigidità di pezzi di Tetris disegnati nell’aria un modello anatomico di un dinosauro. Apparentemente e assieme seriamente a disturbarla era il gigante nero, con quella dislocazione di spalle e bicipiti da Harley Gerson (David Chevalier), algidi fari dentro il menpo affusolato frantumato come un cristallo di selenite su di lei e la schiena montagnosa, qualcosa che odiava e il qualcosa l’odiava a propria volta. Potentissima com’era, Morgane rimase però immobile quando il pugno del mostro, che osservato da dove potevano osservarlo tanto Scrat quanto la stessa Morgane, con la camera che abbracciando il suo poderoso sedere retrocedeva al mettersi in posizione del mostro, Ymir, con un ruggito come il freddo tutt’altro che un pensiero per Morgane la colpì con Morgane immune persino all’impatto e al volo, un montante che persino un robot gigante avrebbe incassato con la schiena crepata, mentre Morgane si era fatta male né più né meno che sbagliando una spaccata alle prove del gruppo di cheerleader. Morgane era furiosa. La sua piccola Ushio Shimabara (Perla Liberatori) era stata fatalmente intontita da quant’era spaventosamente grande il nemico, neppure fosse il mouse 🖱🐭 Click minacciato da un virus gigante della nemesi Kat, con almeno 40% della vita cancellata, ma la giovinetta, Eleanor detta Elly si ripromise che la SUA Morgane non avrebbe perso nient’altro. Stordita alla rovescia i movimenti di Morgane dribblarono con una versione saettante dei palleggi e delle sgambettate di Maurizia Ciceri, unendovi i decolli di Licia Bradamante che la misero sul braccio destro di Ymir risalendolo mentre quello intendeva punirla come un insignificante zanzara, Anopheles Annie di It’s murder she says di Chuck Jones. Ma lei non era la protagonista del corto (dis)educativo sulla malaria che-stranamente-ti fa provare pena per le zanzare, ma Mothra di Watang nel favoloso impero dei mostri di Ishiro Honda. Morgane Haruo Nakajima, Ymir Katsumi Tezuka. Adesso con la Elly con la completa padronanza del joypad Morgane passava dalla Ciceri alla Bradamante alla Tereskova con meno di un salto e più un vero e proprio volo, arrivando a dove il cielo è più terso e qui trasformandosi in un ancora più procace dea del fuoco. Una dea il cui urlo e la cui energia abbattono Ymir con quel misto tra esplosione e arcobaleno attraverso un cristallo prismatico di [Ideon] con la [Ideon Gun]. Ymir è annientato, Morgane ancheggiava con le tette extralarge da dea che rimbalzavano a tempo.

AXIKA: ELDORADO’S BADOCKADONK

 

 

 

Su quattro alberi che crescono sulla terra uno ha le sue radici nella gigantesca foresta dell'Amazonas che si estende terrificante, esuberante e parzialmente invasa dall'acqua su 300 milioni di ettari che comprendono due Stati e i quattro Territori Federali del nord. Non v'è, sul nostro pianeta, uno scenario che possa evocare con maggiore precisione angosciosa l'onnipotenza scatenata della natura primitiva e le lotte spietate dei grandi rettili dell'era secondaria (Marcel Niedergang)|Una Strega New Age che aveva appreso tutto dell’Arte Magica dai Sacri Testi (i libri di Harry Potter, i fumetti delle Witch e le riviste per ragazzine) si ritrovò un giorno su una collina solitaria, all’ombra di un maestoso albero. Gli uccellini cinguettavano nel cielo, gli insetti ronzavano al sole di primavera e una pallida falce di luna si scoloriva vicino all’orizzonte. La Strega tracciò i simboli mistici, posò i sacri amuleti, inspirò profondamente, levò le braccia cariche di braccialetti multicolori verso il cielo e gridò: "Per il Potere della Luna…Madre Natura, Vieni a me!"
Pof.
Sul prato era comparsa d’un tratto una figura maestosa, alta quasi tre metri. Era un donnone di età avanzata, i capelli grigi lunghi e sporchi lasciati liberi sulle spalle. Vestiva una specie di tunica macchiata di colore indefinibile, e si rovistava tra i denti con uno stecco. La Strega si sedette a terra di schianto, fissando a bocca aperta l’apparizione. Questa si frugò con le dita in bocca, estrasse qualcosa, lo esaminò, lo lanciò via e quindi abbassò gli occhi sulla donna. "Sei la terza, oggi. ‘Zo vuoi?"
La voce della gigantesca figura assomigliava ad un tuono dai toni di contralto.
La Strega deglutì, e, cercando di darsi un contegno, domandò con un filo di fiato: "Madre Natura?"
"Ti sembro forse Babbo Natale?"
Il viso della Strega si illuminò. "Lo sapevo! Lo sapevo che le formule magiche erano giuste! Questi amuleti funzionano veramente!"
Madre Natura fece una smorfia. "Formule? Amuleti?"
Si chinò e raccolse da terra una manciata di piramidi di quarzo e sfere di ossidiana. "Mmmh…ossido di silicio, cioè vetro, colorato con le microonde…questo invece è fatto con polvere pressata e un po’ di colorante chimico…questa pseudo-ambra è in realtà plastica…bei sassi. Valore industriale forse cinquanta centesimi". Li sbriciolò tra le dita. Sembrava annoiata. "La luna? Conosco. Palla di roccia. Morta. E’ in cielo. Frega niente. Ma vai pure avanti.".
La Strega aveva sbarrato gli occhi. Si riscosse.
"Volevo ringraziarti…per tutto quello che ci dai…"
Madre Natura si grattò l’ascella. "Tipo?"
La Strega mosse le mani, indicando quanto la circondava: "L’ombra di questo maestoso albero…i dolci uccelli del cielo…gli animali…"
La gigantesca apparizione rise, con voce tonante. "Questo albero fa una bella ombra fitta per ammazzare le altre piantine. Noti che qui sotto non cresce niente? I dolci uccellini stanno portando un verme al loro nido, dove lo daranno da mangiare ancora vivo a un piccolo cuculo ha appena mandato la loro legittima prole a spiaccicarsi per terra. Che credi, le cose vanno come devono andare. Mica le faccio io. Nel mio regno, ognuno mangia l’altro, e se non può mangiarlo cerca di distruggerlo. Ogni specie ha chi la mangia, e ti assicuro che essere carino raramente è un criterio di sopravvivenza. Ah, una formica ti ha appena morso sul culo."
La Strega si rialzò di scatto, sfregandosi la parte offesa. Madre Natura aveva ripreso a frugarsi tra i denti. "Altro?"
La donna pensò per un attimo. "Ascolta, o Grande Dea. L’uomo oggi ti ha umiliato ed offesa, ti inquina e ti distrugge; non rispetta il protocollo di Kyoto, e quindi Tu mandi i maremoti e i cicloni, e…"
"Ma sei scema?"
"Come hai detto?" – fece la Strega
"Ho detto: ma sei scema? – riprese la gigantessa chinandosi su di lei – "Pensi veramente che i maremoti ed i cicloni arrivino perche fate un po’ più di puzza? Io ho visto la terra sobbalzare così tanto da far schizzare in aria le montagne, e cicloni sollevare intere isole quando ancora i tuoi progenitori mangiavano le pulci della loro pelliccia. E se pensi che questo sia inquinamento, dovevi vedere quando scorreggiavano i dinosauri. Non ti preoccupare. Appena vi sarete estinti, tempo una decina di secoli e per trovare tracce che siate mai esistiti dovranno scavare in profondità. Hai finito adesso?"
La faccia della Strega era più lunga che lunga non si può. "Allora…se è veramente così…perchè sei arrivata quando io ti ho chiamata?"
Madre Natura sorrise. Il suo sorriso aveva molti denti, ed erano tutti aguzzi.
"Avevo ancora fame”. (Antonio Benvenuti). Questa è un osservazione esterna, di una macchina femminile, piccola e poco potente. L’uomo è una cavalletta, che disbosca una foresta come una capra bruca un prato. Quelli degli ziqqurat di Nanauatzin erano tempi in cui l’Amazzonia aveva finito d’estendersi come lo sciacquone intasato che era stato per tempi immemorabili. A passo ruzzolante di tronchi che trasportano chiatte con mattoni terra bruciata e compatta era stata fatta dove la foresta sembrava interessante, mattone dopo mattone, gradone dopo gradone, stagliando con fotomontaggio brusco lo ziqqurat di Chicen Itza sotto i solleone delle Honduras tegucigalpensi. Oggi come ieri le Honduras ristagnavano di umida canicola, dalle giungle della Sierra de Agalta piene di piccoli vampiri, le zanzare dell’encefalite, le vinchuca della tripanosomiasi, l’enorme e untuoso serpente del latte, il caimano dagli occhiali, il giaguaro, crudeltà animali che si sussumono nell’avatar di Miriana, la sacerdotessa di Xochiquetzal Axika. Gli stranieri del mare hanno portato il morbillo, un morbo che gli amerindi non conoscevano ancora. Le loro conoscenze mediche erano preistoriche rispetto agli ardimentosi conquistadores che avevano disobbedito agli dei raggiungendo il continente dopo 16 giorni di quatto arrembaggio-figli di una cagna che avevano tradito, sabotato, privi della tempra di agire alla luce del sole, come i caimani e i piranha dei fiumi, gli squali del mare-e sacerdoti e soprattutto sacerdotesse non mettevano mai in dubbio che il sangue come cura fosse indiscutibile. La piaga era nuova, indi il sangue per cessarla era nuovo, nessun dibattito, nessun concistoro. E menata come un ombra cinese all’ombra dell’esercito di mostri fotosintetici dai pulsanti di una periferica, Axika con l’ossidiana del suo macuahuitl non avrebbe aspettato che gli stranieri, quelle inique serpi avvantaggiatesi della torbidezza delle acque dove avevano avanzato nascoste perdessero a tlachtli. Il loro intero apparato circolatorio, a cominciare dallo spugnoso cuore dove ciò che le serve le è pure d’avanzo al più piccolo capillare sarebbe stato suo e sua la salvezza di tutta l’America. Una salvezza che avrebbe sterminato quei fallocentrici europei. Come bambini troppo premiati, come Yuuichi Taira (Davide Perino) di Paranoia agent di Satoshi Kon, si vantavano di quelle loro lunghe cerbottane di ferro esplosivo, ma il suo scudo poteva resistere alle frane, che cosa andavano illudendosi. E Axika alla fine non se li dovette nemmeno portare alla lastra cerimoniale.

TAMSEN CORBETT: THE GOOD, THE BADOCKADONK AND THE UGLY

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Una spiga di monarca delle praterie tra le labbra pulsanti di rossetto, occhi che invitano a letto (Oh Fred, come to bed,

Baby I will let your dreams come wet

Oh Fred, come to bed

Baby you will get a love you never had

So Fred, come to bed

Oh my fantasy will drive me mad

Oh Fred… E-rotic-Fred come to bed-Sex affairs) sotto la tesa del cappello, seni enormi “vestiti” solo di dischetti armati di nappe, calze e mutandine da puttana nelle cui risvoltate giarrettiere c’erano delle Colt 45, apparentemente poco conformi alla roccia del Nevada scarpe con tacco munite di speroni lucidi (non ama scorticare gli animali) sulla propria immusonita giumenta. Tamsen Corbett, la tettona bionda come l’oro del Walker ai confini della California, è nuda e libera nello svogliato vento che piroetta dove un giorno ci sarà Las Vegas. Mancando autostrade, si viaggia più abborracciati ma dal sole che ti strappa gli occhi la Corbett come varie altre Cowgirls di lungo corso respinge semplicemente con una carezza un pò più in basso della tesa del cappello al cielo blu scurissimo sotto il quale pasce verdastro il deserto con i suoi saguari-immagine ancora disturbante nella sua rarefazione prima che la Route 15 le desse un senso-si può diventare più contemplativi: quanti geologi, ornitologi, astronomi erano fattibili quando il canyon era ancora ostile, accidiosamente pietroso nelle miniere di argento e arenaria abborracciate con carrelli arrugginiti e piccozze scarse e troppo affilate, più brullo e incomodo della Piazza del Campo di Siena figuriamoci per chi si muove su ruote, tutto troppo sparuto, distante, e celere a degradare: Tamsen a passo di bisonte ha incontrato popolosi pueblo già ancora in Arizona, lei che nacque a Chihuahua e nessuno riesce a credere sia una mezzosangue messicana, ma anche molti tepee i cui Navajo hanno fatto uno dei loro frettolosi e edondromici abbandoni, schiavi della fame e delle loro superstizioni mumbo jumbo, cui la Tamsen è troppo rassegnata per affidarsene. Il sorriso troppo arcuato della sua faccia non è solo felice; da bambina a donna molti castelli in aria sono crollati, diventare un muro di mattoni è l’unica scelta, come l’embrione di tartaruga che calcifica già prima di nascere la corazza con essa che continuerà a impietrirsi. Non mancano del tutto degli alberi; quaggiù gli alberi servono solo per ritrovarti bandito impiccato a uno di essi. Se oggi è molto macabro intere famiglie penzolano con il collo spaccato dalla gravità spesso per condanne triviali, quando la giustizia è così pessima che un singolo, adulto ladro di polli dev’essere ucciso anche con quella sua moglie e quei suoi figli loro del tutti privi di colpa. Tamsen per questi episodi stava male, ma dopotutto gli sceriffi e i tribunali erano solo per le grandi città. E lei viaggiava verso Los Angeles, dove c’erano per lei molti conti in sospeso. Meglio fare le statue: questi viaggi puzzano di morti aggressivamente gratuite e morbose, persino un androcida come lei assaggiando la propria stessa medicina se ne nausea. Manco a pensarlo, ecco un impiccato con la reputazione di Butch Cassidy, di cui Tamsen si fida ancora meno di quanto dovrebbe. Degli uomini sciacallo vengono colti dai radar di Tamsen come certi animali-incluso il suo impaurito cavallo-sanno della pioggia prossima ventura persino nei giorni più secchi. La Priscilla (Elda Olivieri) Jennifer detta Jenny da cui dipende la sopravvivenza (virtuale) di Tamsen ha ottimi riflessi: riesce a uccidere gli arraffanti con un eleganza troppo femminile per non far capire è di Kirsty Swanson che parliamo e non di Yul Brynner. Ma adesso le tocca il confronto con il pencolante che non è nemmeno ancora morto: ha semplicemente un agonia molto taciturna. Ucciderlo del tutto o lasciarlo come l’ha trovato?

 

I bit di Gino il Pollo compongono l'essenza intima di Gino, la sua vita stessa è nei bit. Ma i bit di Gino il Pollo non sono diversi da quelli di Lucy la mucca cyberdelica o di Tobia il cane.

Un bit è un bit.

Io sono quindi Lucy, io sono Tobia. Io sono tutto (...) tutto.

(...)

io sono un bit di strada.

bit pazzi come me/non li hai mai conosciuti.

lo sai qual'è il mio scopo?

fare i megabyte cornuti! (Andrea Zingoni)

Cambiano le stagioni e cambiano i giochi

Anche chi esce dalla ribalta è ancora se non inalterabilmente smagliante

Alle volte il dilemma un pò timore se dalle cose svanisca il brillio della novità

E’ lana caprina perché fa parte di loro come i loro componenti più essenziali

Ogni Settembre nuovi titoli nuove consolle

Nuovi desideri nuove proboscidate volontà

Nuove radici nuovi tentacoli nuove strade

Stordente? Inquietante? Vecchi ricordi

Succedeva già ai navigatori agli esploratori

Agli inventori ai collaudatori

All’animalista con adesso una specie straordinaria

All’astronomo il cui cielo cresce nell’occhio

Le storie non si riciclano

I giocattoli non si abbandonano leggermente

I film non sono fatti di lucciole moriture

I videogiochi sono sempre nuovi

La carta stampata ha una lucentezza che non s’estirpa come alle perle

Il fumetto bello o brutto è piscina appena riempita

Solamente, dei personaggi li si sposta d’accanto

E se gli altri sono nuovi non lo sono più degli altri

Solo un parco con i suoi giochi attraversa le stagioni

Conoscendo le voci dei bambini anche più primordiali

Quando venne la pioggia

Quando cadde la neve

Quando non sapevamo che il tempo esistesse

 

 

Colei che baldanzosamente squadra l’Abisso, è già Abisso essa stessa. Così tra arti marziali e supereroi, Transformers e She Ra, l’immaginario pop anni 80-90 più crasso veniva intercettato dalle “nuove ondate femministe” (ormai aliene alla donna tant’è vero che una delle loro fiorentine maîtresse à penser Chiara Lonzi evolveva il femminismo in egocentrico onanismo…) e “rigirato” perché fosse più Girl Empowering. Il potere corrompe, il potere ti fagocita, il potere ti tira dentro di sé! [...] Il mio istinto è sempre stato di starne lontano. Proprio starne lontano, mentre oggi vedo tanti giovani che godono, che fioriscono all'idea di essere vicini al Potere, di dare del "tu" al Potere, di andarci a letto col Potere, di andarci a cena col Potere, per trarne lustro, gloria, informazioni magari. Io questo non lo ho mai fatto. Lo puoi chiamare anche una forma di moralità. Ho sempre avuto questo senso di orgoglio che io al potere gli stavo di faccia, lo guardavo, e lo mandavo a fanculo. Aprivo la porta, ci mettevo il piede, entravo dentro, ma quando ero nella sua stanza, invece di compiacerlo controllavo che cosa non andava, facevo le domande (Tiziano Terzani). La lotta tra avere e essere era crollata demolita dalle sue stesse contraddizioni assieme al femminismo che sempre Fromm aveva affrontato in Amore sessualità e matriarcato, e ragazzine che esili durlindane di stoffa ambrata come gli scheletri ingioiellati di For the love of God di Damien Hirst affettano e sminuzzano in comodi tagli di vitellina (s)coprendole con l’(in)efficacia censoria degli squarci pubblicitari e propagandistici di Rotella uniti allo (Zambot Moon Attack) si destano già in déshabillé circondate dal consumismo più sfurbito, da albero di Natale, da Leonilde Iotti ritratta da Giovanni Guareschi, foraggiate e abbeverate dagli stessi zuccheri cucinati e liquefatti per l’altrui consumo stigmatizzati, in quell’orizzonte fantasmagorico dove chiunque altro si perda riceve il biasimo che tocca a Kid Paddle (Gaia Bolognesi) e a Jeff Albertson (Silvio Anselmo). Certo, questo essere nerd velleitariamente femministe lo si poteva perdonare per una Lilo Pelekai (Lilian Caputo), Layla Zee (Monica Ward) e Piper Copperbottom (Alessia Amendola), con la possibilità di crescere davanti a loro altresì capaci di unire gli estremi in un mezzo virtuoso-Morgan Philip (Francesca Pucci) crescendo diventerà comunque una donna emancipata, ma senza smettere di credere al principe azzurro-non con quest’ipocrita indeterminatezza, quest’essere ornitorinchi bugiardi e complottanti, questo essere Carole di Heavy traffic che s’impermalisce per il constatare da parte del “fidanzato” Michael Corleone di essere una prostituta ma che poi per raggirare una preda danarosa batte come un intera casa di tolleranza, la stessa Zee che stupisce il suo dio-olocausto Sid (Claudio Bisio) con una spiegazione scientifica del disgelo e imminente diluvio in nome del quale l’intero branco si è ridato alle marce ma che poi fa sacrificare il bradipo più scemo dell’Olocene a un vulcano credendo che fermerà l’acqua, Entrapta (Liliana Jovino) a cui Hordak (Francesco di Federico) deve le tecnologie e i macchinari più devastanti, alla faccia della “misoginia” dei cattivi di Etheria, ed è proprio da Etheria che l’ex Chaney di Z scelse di partire. Aveva già studiato Mara di Sagar, ma già se comparata a Sorceress (Vanna Busoni) Non c'è partita tra re e democrazia

è come mettere la Psp col Game Gear (Michele Salvemini-Pimpami la storia-Le dimensioni del mio caos) come tra il pallone di Topolino del 55esimo Giorno del Ringraziamento in parata newyorchese e il DC9 dell’AMI che volò da Alicante a Roma con lo Scudetto vinto dal’Italia per la terza volta in tutto il 20° secolo, ciononostante con qualche piccola crepa di vernice sul monile dall’obsolescenza programmata (Non si sente più nessuno passare qui davanti. Sono andati tutti in centro, o a dormire. O, se gliele abbiamo date ai francesi. Più o meno. O quanto abbiamo giocato bene. Così così.
E la mente corre a ventiquattro anni fa. Non lo sapevo, ma la mia vita era appena stata per sempre cambiata, e non c’entrava il calcio.
Forse ieri eravamo più lieti, più inconsapevoli. Oggi c’è quasi una tristezza, una durezza nelle feste; ci sono pochi sorrisi, grandi urla, ma pochi sorrisi. O sbaglio?
Antonio Benvenuti), presto delusa nella caccia lunga 105 metri di quattro anni dopo che vide il fratello di quello Scudetto su un altro aereo e un altro trumeau, made in Mexico accompagnata da allentamenti delle corde del gigante pieno d’aria calda che a poco a poco guadagna il cielo più libero, non più solo gli 11 m del Teatro Minskoff ma l’intero cielo sopra Manhattan, vezzeggiandosi innanzi alle finestre più alte dell’Empire State Building, arrivando dove la città finalmente si dilava in incroci autostradali a 6 corsie, lasciando che la “sua” She Ra assumesse i colori della sciagurata Mara (Liliana Jovino) venendo considerata una ragazzina creativa. La Fright Zone insistentemente le maitresse a penser la presentavano come una metafora dell’inquinamento che le politiche di Donald Reagan avrebbero provocato, quando di sottecchi le piccoline avevano studiato l’esodo dalle città dopo la loro rovina verde causata dalle Bombe Vegetali, armi che dilagano piante quasi impossibili da distruggere che divorano anche il cemento (Dieci anni prima aveva lasciato la fattoria per recarsi in città. Il tentativo d’evasione era fallito, così come erano morte le città, e Buddy, come il figliol prodigo della parabola, aveva dovuto fare ritorno a Tassel e alla casa paterna Thomas Disch), e attorno alla Tana Spaventosa c’era vieppiù e assolutamente incomprensibile una foresta florida e palpitante nella sua debolezza, nella sua corteccia storta e nosocomiale, nei suoi orribili e liquefacenti cascalote ciascuno con i suoi strascichi di parassiti e saprofagi, dove tuttavia, è vero, a reggere bordone all’ambientalismo senza idee e con l’autosufficienza di un virus semantico che significato proprio non riesce e forse non vuole cocciutamente averlo c’è l’effettivo maniero dell’Orda, uno sbilenco aracnide più cefalotorace che occipite con opistosoma svettante tra le membrane bavose di un esofago di cui spadroneggiava con parure et chignon di goticismi (i bernoccoli del Duomo di Milano, i camini delle fate e i muri del diavolo di Arrigo Arrighetti per la metropolitana Amendola di Milano assieme agli altrettanto meneghini chiesa di San Giovanni e palazzo Sormani, le fantasiose valvole biomorfe di Pierre Watrin e Rick Carter e, fuori dai film Arthur Burton e Veldon Simpson) sul suo sfintere esofageo indaffarato a graffiare la poca terra che può sconvolgere con un portone puranch’esso di certo livello: un esanime e mangbetu cranio dalla bocca zannuta con come mascherina da Blackout-Marcus Daniels un torace scuoiato fin alle vertebre ancora rosse di sangue e organi. Grossi e cattivi, gli Horde Trooper con i Trapper Tank (giusto per divagare sull’egocentrismo del Gran Capo, la fanteria cingolata da essi rappresentata ghigna un faccione dello stesso Hordak come Brivido di Stephen King) giocano sulle percezioni ingannate e ingannevoli. Se visti dall’alto di Enchanta non sono moltissimi, ma a terra sembra non finiscano mai. Quanto a quell’uccellaccio, la sola Entrapta nel suo terreno di gioco lo impalerebbe su uno spiedo dopo averlo rosolato con concia e curry, oh yeah. Trasformato, Captron fungeva da equivalente all’Attak Trak del fratello Adam/He Man (Mario Cordova), dissociato dalla sorella Adora/She Ra per misandria, con la “donna più forte dell’universo” imbronciata dagli androidi di Hordak come pupe di formicaleoni in fondo al loro gorgo di sabbia. Che facciamo? Fece Glimmer. Ho la spada, mi assicura che ho la forza per combattere contro Hordak….ma donna più forte dell’universo un corno! Pur rabbiosa, la Spada venne da She Ra appoggiata con anche troppa calma. Abbiamo combattuto così tanto e appoggiandoci su questi miei inenarrabili poteri….ma il bacino è secco. Questa magia….mi cade addosso come acqua di una cascata. Non finirà mai, non posso scegliere se chiuderla, spegnerla, persino spostarmi, e rimango comunque debole. Hordak è troppo potente persino se combinassimo tutte le nostre forze. E non riesco a fidarmi di voi il suo intero party di principesse del potere abbandonò la reverenza per quella messia in gonnellino bianco sentendo lei bestemmiare così Sì bestemmio quanto mi pare! Non è tanto per voi Glimmer Bow Perfuma Mermista Frosta Castaspella Netossa e Spinnerella Sea Hawk! E’ per Catra, Scorpia e Entrapta. Stanno succedendo troppe cose di là👉🏽 perché io She Ra possa capire, e perché SERVA She Ra. Tutta l’Orda la stanno divorando i suoi stessi schierati, e guardatevi allo specchio: cosa stanno complottando Angella e le sue alleate? Glimmer si fece nera come la pece. Con quell’Angella, con sua madre, ci aveva litigato pateticamente su come fermare l’Orda e aiutare She Ra, nonché sulla sua stessa esistenza. Se Hordak aveva seminato la sua zizzania alle loro spalle, indebolendo la sicurezza della leadership di sua madre e di numerosi altri regnanti, era la sconfitta. Ma se oltre a questo l’Orda stava divorando le sue stesse viscere per potere (e cos’altro poteva scusare questo?) Era il nulla, più ancora della sconfitta. Cosa quindi voleva significare? Che loro erano inutili. Noi non ci ritireremo, se pensate che è questo quello che vorrei facessimo adesso. Siamo onorevoli, non renderemo la morente Orda contenta di questa cosa. Che questa cascata anneghi anche loro. Captron, daremo a te la libertà. E’ l’unica cosa rimasta a avere senso di essere fatta Lo farete per me? Addirittura state combattendo solo per aiutarmi in questa conquista? E’ con She Ra che parli. Non m’importa quanto tutto si debba ingarbugliare e smentire ancora; io sono She Ra ormai Captron era una nave dei disperati, ma disperati assolutamente coinvolti e determinati. Captron venne immediatamente lanciato con solo She Ra da guidare, ma era già così un parto. Falciare androidi con la Spada del Potere, aggrapparli e dimostrare quanto forte fosse She Ra, schivare beccheggi permettendo le cannonate dei carri armati, fino alla fortezza. Dovevano vedersela adesso con i campioni dell’Orda dietro le porte del maniero. Ma fu qui che il gioco s’imbizzarrì, imbizzarrito come Slaughterhouse on the praie di Chris McKay, dall’arrivo di un incongruità: un rimarchevole robot-cecchino a metà tra [Kikai Juu] Jenova M9 e [Kaseki-jū] Dogcat. Nemico fedele o disertore fin troppo utile? Hordak in trono lo guardava orgoglioso. Ma era soltanto quello che faceva. E la sua testa era concava in maniera superficiale ma abbastanza notevole, con un buco invisibile da quell’angolazione da catcher’s box ma che aveva eruttato una lunga, addormentata coda di paradisea rossa di sangue ancora (?) Scintillante con scampoli di gomma da cancellare Pelikanc e esausti di fabbrica Perfettitm di rughe cerebrali. Hordak era morto, e quella figurina così centrale poteva esserne l’assassino. Ragazz* preparatevi. Abbiamo a che fare con una macchina per uccidere addirittura in grado di uccidere Hordak l’automa accontentò i peggiori timori di She Ra rivolgendole il fucile mitragliatore calibro 6 in mezzo agli occhi. Un ombra dagli spicchi d’occhio rossi andò scostandosi dalle costole interne della fortezza dell’Orda come un pupazzo gonfiabile che saluta come uno scemo intento a coricarsi nello sgonfiamento. Fermati N-33. Tessitrice d’Ombra, She Ra è giunta. Non è da sola Entrapta Le falci degli occhi della Tessitrice d’Ombra con la vernice nera sciolta nel risciacquo dei pennelli sembravano il cielo notturno di Etheria con la sua ghirlanda di lune, ma solo quelle gialle, addirittura giunte all’escandescenza bianca . Dopo Hordak, la Tessitrice d’Ombra era la peggior nemica di tutta Etheria e della Resistenza impegnata a sottrargliela. Forse addirittura era più importante lei di lui A tua scelta cara She Ra se distrarci tutte con quell’ingombrante spada o rinfoderarla per i 5 minuti che serviranno per parlare She Ra quei 5 minuti non voleva cederglieli. Ma i suoi rabbiosi fendenti di spada non le fecero niente, ma quando Glimmer sentì che spettasse a lei il diritto/dovere d’intervenire la sua magia di luce persino non attivata innervosì la Tessitrice d’Ombra che, zigzagando come una versione glitchata dei Mangiamorte del videogame ufficiale di Harry Potter e il calice di fuoco si prese una grossa oncia di distanza da tutt*, fuorché ovviamente N-33 ancora a fare la bella statuina di Guglielmo Lusignoli in Piazza della Pace a Parma, Entrapta e l’ancora più inane Hordak, Not afraid of love di Maurizio Cattelan Ah! Va a fartela sotto scoreggia di calamaro! I MOTU che inveiscono così volgarmente? Anche là dentro Bow avvertì Glimmer dell’eccesso che aveva appena compiuto. Non che la Tessitrice d’Ombra ne venisse disturbata; anche la meno ctonia Entrapta ci volò sopra come ci si dimentica di un simile impropero o molteplici improperi ascoltati per strada. Ti ascolterò Tessitrice d’Ombra. Voi, per carità, rimettetevi al vostro posto. Non essendoci Angella tu Castaspella dovrai interloquire insieme a me. Siamo le più autorevoli al cospetto dell’ormai deceduto Hordak. Terrò la spada nuda, rappresenta che il mio potere è legittimo E lo è anche il mio. Ricordati Tessitrice d’Ombra che hai deluso il nostro maestro, Norwyn, e che lui ha scelto me Questa litigata da scuola dell’obbligo tanse poco alla Tessitrice d’Ombra, mentre a sorpresa fu Entrapta a aprire le trattative, rese inesorabilmente grottesche dai crampi d’immobilità di N-33 ancora con quell’arnese che turbava Perfuma (colei che adesso era stata messa sotto tiro) e il cadavere di Hordak con nessuna certezza fosse più o meno fresco Avete visto Hordak. Ho davvero forgiato una meraviglia della balistica. Ha ucciso Hordak chi l’avrebbe creduto! Se la stava ridendo come impegnata nell’attraversamento di una nube di gas esilarante. Castaspella era però troppo fuori di sé per condividere quell’ecolalia autistica Castaspella fermati! Entrapta! Tessitrice d’Ombra! Perché avreste ucciso Hordak La donna più forte dell’universo non ci arriva? Il suo potere ci aveva stancate ecco Scorpia e Catra. Una che si slinguava le chele come una feticista dei crostacei afrodisiaci (aragosta), l’altra un odioso polipo che dava una cattiva nomea a tutte le lesbiche di Etheria con i suoi modi persecutori e imprigionanti Tutti conoscevano le profezie. Non esistesse la magia Hordak avrebbe solo riso, ma sapeva più degli altri e prima degli altri. Sapeva di te She Ra Toccami ancora le tette con quelle unghie del cazzo e smetterò di essere la salvezza di Etheria rimuginava She Ra innanzi a una-come da protocollo-troppo invasiva Catra Quindi sapevamo anche noi. E sapevamo che se l’Orda stava cadendo a pezzi non era per la vostra detenzione di chissà quale incomparabilmente superiore strategia e intelligenza militare. Era per te, per chi altri sennò! E preferimmo aspettare. Hordak avrebbe trovato uno dei suoi sistemi, sfruttata una delle sue invenzioni geniali, ma fu un colpo anche per noi vedere che questo non stava mai accadendo. Eri un peso che non sapeva nemmeno alleggerirsi ora Catra stava sprezzantemente sibilando l’ingiuria d’inutilità al devitalizzato Hordak e poi tu eri troppo attraente. Ho sempre cercato di capire chi sarebbe potuta essere She Ra, e la Tessitrice d’Ombra non faceva che aiutarmi. Eri tu Adora! Non mi sorprende nemmeno. L’anello più debole…..quello che spezza tutta la catena. Ma era proprio una catena testarda, con molti fabbri a supportarla. L’anello debole andava aiutato. Entrapta è sempre stata fatta così, per non dire di me. O di Scorpia. Sotto la Tessitrice d’Ombra diventammo ombre. Ombre vogliose, dalla fame capricciosa ma raffinata. E Hordak ci lasciava a stecchetto. Bene Caro! Cominciò il suo ludibrio, passo uno la detronizzazione l’Orda non la comandi più. Celebrate! Hordak è morto e proprio i suoi l’hanno ucciso. Finalmente possiamo fare pace insieme no? Catra diventava insopportabilmente sempre più iniqua, ingannevole, interessata con ogni sua nuova illazione. Le sue parole e i suoi sorrisi sembravano una scolopendra. E adesso più che mai il suo costume era quello di una prostituta, She Ra aveva del raffinato tulle bianco, da ballerina della Scala, da rispettabile regina, e quella lussuria le stava perforando il nervo trigemino. Era fin troppo evidente cosa lavorava dietro a tutta quella roba. Sete di potere. Deludente sete di potere. Castaspella sembrava la stesse pensando come lei, decifrando il bailamme delle menti avversarie con un suo incantesimo telepatico. Ci stava riuscendo impeccabilmente, e come a She Ra le rivelazioni bollivano la rabbia che l’aveva accompagnata dal Crystal Castle/Castello di Cristallo. She Ra? Sì Castaspella? Hai la mia Autorizzazione d’ucciderle tutte.

 

L’ex giocatrice di Savourah, come la compagniuccia che si era appena destreggiata con She Ra-senza che l’esito fosse trapelato, un segreto solamente suo-non aveva una bella cera. Tutte e due e presto (molte) altre erano d’aspetto malaticcio e febbricitante, forse non un granché predisposte per il giardino, per il Crystal Palace di Thicket Road dove usufruivano delle loro pittoresche panchine dalle gambette lambite da edera e fiordalisi. Il clima primaverile, Ebbene no; non si può trattare febbraio con sufficienza: provate a farlo, vi prenderà a sberle, magari vi beccherete un'influenza con una bella febbre.

Scavando appena un pochino tra il grigiore del mese balugina il fuoco che prende l'anima curiosa che osa indagare su questo mese secondo del nostro calendario; affiorano rosse luci di passioni sfrenate, cilici e rituali di espiazione, donne anelanti la frusta, penitenze, esagerazioni carnali, madonne dei travestiti... e ancora febbre, menti che pulsano febbricitanti e tanto fuoco dietro l'apparente mitezza di questo mese freddo (Italo Losero), da Febbraio, era migliore di quello del mese dell’altroieri, Dicembre All is white

I know it snowed

In the night

Everything is cold

So cold outside

I try to calm

It's a lonely trip

Listen to my eyes

Listen to my lips (Emilie Simon-All is white-La marche de les empereurs), e di quello di 3 dopodomani, Luglio Luglio. Caldo. In città i due termini sono sinonimi, significano la stessa cosa. [...] Caldo e Luglio, due gemelli nati per far soffrire la gente (Ed McBain), ma quella guarigione-se c’era una guarigione necessaria-stava costando loro troppa sofferenza Com’è andata? Non lo so ancora. Devo cominciare. Sembri malata le tocca la fronte Infatti stai scottando. Le nutrici ti lasciano così in prestito? Vieni, ti porto da loro il soccorso della bambina più malata, portata in spalla, suscitò molte occhiate E’ piena di sudore. Mi sta infradiciando più di quello che sgorgo per quant’è che pesa. Dovete metterla a letto, servono delle medicine. Mo’ comincia a farmi male la testa pure a me….

 

Doveva continuare a fare Giovanni Minoli,  [Hoshi Kantaroo] nel 13esimo episodio di Astroganga, combattere con i sensi annebbiati, stanca, fiaccata, con un emicrania a martello e lieve nausea. Gastroenterite. Se non scadeva nello psicosomatico si sentiva il pancino fare cose strane con strani gorgoglii. Però era obbligata. Che conato e che merda d’obbligo. Da Mattel a Mego. La BatCaverna in quella riscrittura-ancora peggiore di Robert “Rob” Liefeld-era una garÇonnerie piena sia di ragazze-tutte superereroine-che di seni extralarge, tutti appartenenti a quelle superpotenti squinzie più ricche di abiti fantasiosi delle “cameriere” volenterosamente puttane [Spesso, al secondo rintocco, dai rasi lugubri che tanto piacevano al capo del governo, abituato a guarnire di tali stoffe il proprio baldacchino, esalava il rantolo della bagascia propedeutica (nome in codice affibbiato dall’intelligence alla ragazza prescelta) Giampaolo Spinato] degli hotel-bisca-lupanare-sfoggio di cemento della Las Vegas’ Strip. Maschilismo? Femminismo? Un asessuato molto potente che si diverte con scubidù ideologici come il Mandrago di Jacovitti? Il fatto empirico era che Batman o altri maschi, ovviamente, non c’erano, o erano stati marginalizzati a maschietti oggetto, come a una rivenditoria d’intimo Abercrombie & Fitch. Un pigiama party tra ragazze con l’aggiunta di una jacuzzi ultimo modello. Wonder Woman risultava il modello (se di “modello” si poteva parlare e non prigioniere spossessate dell’arbitrio dei loro corpi, come Diego Abatantuono in Nirvana di Gabriele Salvatores…un ipotesi che sta guadagnando pericolosa credibilità) meglio riuscito, con il suo profilo degno di una dea greca, la Nancy Kovack di Gli argonauti di Don Chaffey, con altresì un pò di Egitto di Cleopatra, quella di Elizabeth Taylor, non che ai tempi di Le nozze di Cadmo e Armonia Roberto Calasso non avesse evidenziato i debiti, i prestiti e le miscelature (sia cocktail che adulterazioni) delle mitologie e della cultura egiziana vs cultura greca, Batgirl, Powergirl, Hawkgirl, Zatanna, Black Canary e Wildfire erano americane sia per lo schieramento condiviso anche da WW che per la fisionomia; certo, attori yankee riuscivano credibilmente a impersonare colossi storici la cui gloria risale a mille anni prima di Washington, Toronto e El Paso, ma come riconoscevi un vero film di Bollywood da uno di Hollywood semplicemente con attori bengalesi e cingalesi, un Gogola di Balwant Dave opposto a un Il fantastico viaggio di Sinbad di Gordon Hessler Wonder Woman aveva scolpito nel volto l’innegabile fatto che, da qualche parte nell’Ellade c’era la sua casa natale. Erano incantevolmente perse tra schiuma e sbuffi di calore. Una chiamata che richiedeva il loro intervento. Bene! Meccaniche da Valkyrie Profile Silmeria in cui la singola giocatrice poteva switchare tra l’intera squadra di personaggi, così che fosse possibile un test individuale, scegliendo per ovvie ragioni datele dal gioco Batgirl e la sua Batmobile, una [Guard Machine] della [Uchuu Bokan Jasdam] incrociata a Scales il Gobot Rinnegato con 4 ruote motrici tutte all’indietro e una rotellina da [End Machine] di Ken (Fabrizio Temperini) per farla procedere senza far raschiare la strada con rovina della scocca, scocca che finiva in fanali tagliati in esagoni piramidali, minacciosi occhi fendinotte di pipistrello con a arrestare la linea di design un coacervo di zanne chiusa senza modo d’aprirsi, e all’opposto, a poppa, due alettoni che rappresentano assai bene le orecchie di un mammifero alato. Feroce, voluttuosa e potente. Con quella il primo livello si presentava come un bootleg di Need for speed carbon unito a Hitman blood money, dove sparavi a altre supercar con missili e raggi laser che sembra fulmini è protetto da scudi termici sentinella lui ci fa, prendendo poi il controllo di Hawkgirl e scontrandoti contro astronavi del Dottor Destino usando i laser della nostra mazza ferrata, poi atterravamo nella ragnatela di Ragno Nero colpite a tradimento da un laser di un robot di Murray Hart, il primo ce lo togliamo di torno con la mazza ferrata integrata in uno dei nostri bracciali e il secondo un pò lo travolgiamo nell’unico “accettabile” omicidio stradale possibile un pò lo friggiamo per specchio riflesso. Raccolta Hawkgirl avanziamo in autostrada fuori da Gotham e dentro Pittsburgh, dove dovremo vedercela con Harley Quinn, Talia Al Ghoul e Livewire nella loro roccaforte. Hanno tutte le armi e i ritrovati per impadronirsi di Gotham, e solo noi possiamo far loro il culo. Contro questa trinità malefica con l’aiuto di una Catwoman che libereremo dal plagio mentale di Talia la battaglia impenna con un orgasmo per sostenerla che fa pensare ai crescendo di Akira Toriyama, sebbene lo spirito sia meno conformista e facile da scimmiottare, da Akira Akatsuki e/o Atsushi Okubo. I colpi si ripercuotono sul giocatore in un modo che non può lasciarlo indifferente; forse quella Clara digitale si sta immedesimando troppo e dovrebbe ricordarsi che sta vacillando e innervosendo per mucchi di dati elettronici, lo scarto di schede perforate se la tecnologia fosse stata quella di una volta, fantasmi di luce come quelli di McCall che allestivano una caotica danza di pugni, calci, violenze fisiche e amplessi saffici metà Dies Irae 5 episodi intorno alla fine della specie e The boomerang kid di Chris Eccon, con una vittoria che la ragazzina ottenne, ma stancandosi troppo. E nel sogno che le arrivò agitata e ebbra di quelli stimoli imparò a trovare sbagliate molte cose: la delega agli alberi, insensibili e stupidi, del computo dell’esistenza, esistenza che diventava eterno presente, chiuso nei cadaveri di foglia cruccio e stizza dei netturbini, nei menzogneri radar dei fiori le cui onde cariche di cattive promesse (Mr. Tamburino non ho voglia di scherzare

Rimettiamoci la maglia i tempi stanno per cambiare

Siamo figli delle stelle e

Pronipoti di sua maestà il denaro

Per fortuna il mio razzismo non mi fa guardare

Quei programmi demenziali con tribune elettorali

E avete voglia di mettervi profumi e deodoranti

Siete come sabbie mobili tirate giù uh uh

C'è chi si mette degli occhiali da sole

Per avere più carisma e sintomatico mistero

Uh com'è difficile restare padre quando i figli crescono e le mamme

Imbiancano Franco Battiato-Sul ponte sventola bandiera bianca-La voce del padrone) sintonizzano api teledipendenti nei pomeriggi d’estate, nella facilità con cui decifrava che il vero gnomone era l’alternanza delle locandine dei film nel vicinissimo multisala, smascherando quanto fosse effimero questo abbracciare convitati di corteccia, obelischi e cenotafi vegetali in nome delle proprie mestruazioni. Come una marcia di robot, come le vele elettroniche gonfiate da un uragano di byte di One more time e Digital love in tutte cominciava a ribattere scongelato l’intonarumori della loro rivolta contro gli alberi e le mestruazioni, contro quelle streghe eternamente giovani e barricadiere delle loro madri, grancassa synth di Etienne de Crecy in quei videogiochi-erano pazze! Cosa credevano? Il femminismo troppo conquistatore moriva con quelle sue ultime rampolle-che aveva spaccato orecchie tra i Kraftwerk, Jean Michael Jarré, Giorgio Moroder, Daft Punk e Cj McKintosh, con tragiche notizie per loro, sequestratrici di Barbie che non erano altro. Con la Marvel-comunque sin dal 1969 in contratti commerciali con la Megoc-la nuova fanciullina non fece nulla di particolarmente diverso, concentrandoci su I pirati dell’ acqua nera, selezionata ovviamente la regina della natura Tula, gonfiata in potenza come inesorabilmente succede in quelle circostanze se, in principio il personaggio femminile è un comprimario. Infatti, quando quell’obbrobrio della Hasbro (uno dei loro giocattoli peggiori) con una vela della stessa plastica dei veli degli obitori e un design navale che non la farebbe galleggiare né rendere accettabilmente idrodinamico oltretutto in plastica forma tangibile dentro quei luoghi venne arrembata da Mantus e i suoi poco credibili baffetti da Dick Dastardly (ma d’altronde erano tutti e due cartoni Hanna & Barbera) con i suoi gaglioffi, con i legittimi eroi Ren e Ioz messi subito in difficoltà ma non Tula, che la bambina che ne adempieva il destino faceva sollevare lembi d’oceano simili ai bizzarri funghi e grumi di Solaris nello e dell’omonimo romanzo di Stanislaw Lem (e che nessun film fatto in merito ha osato rappresentare in un modo o nell’altro) assieme a tempeste fuori dal vaso di Eolo. La sfida fu Bloth, grosso e ripugnante come i peggiori stereotipi sui maschi abusivi (come se si fosse tutti rimasti all’imperatore della Cina di Porcellane che vivono di Wilfred Jackson, il satiro di Il negozio di porcellane di Wilfred Jackson e il sultano di Insulting the sultan di Ub Iwerks). Tula venne prima inseguita, poi stritolata con un pò di sfiatatoio di zifio per distrarre il Truciolones e farle raggiungere il parapetto più vicino, tutto per caricare il suo attacco più potente: un beccheggio così imponente da far cadere quante più cose (tranne Tula) in mare. Era così grasso e idiota che sarà di certo affogato disse digitalmente Tula, noncurante che lo stesso atroce destino fosse più che probabile anche per i suoi amici e alleati, ma quella è misandria, uccide l’eroismo oltre che la sensata e nobile malvagità. Per non parlare dell’ipocrisia: tutte le donne orgogliosamente sole, orgogliosamente econarcisiste («Pera colui che prima osò la mano armata alzar su l’innocente agnella, 505 e sul placido bue: né il truculento cor gli piegàro i teneri belati né i pietosi mugiti né le molli lingue lambenti tortuosamente la man che il loro fato, ahimè, stringea». 510 Tal ei parla, o Signore; e sorge intanto al suo pietoso favellar dagli occhi de la tua Dama dolce lagrimetta pari a le stille tremule, brillanti che a la nova stagion gemendo vanno 515 dai palmiti di Bacco entro commossi al tiepido spirar de le prim’aure fecondatrici. Or le sovviene il giorno, ahi fero giorno! allor che la sua bella vergine cuccia de le Grazie alunna, 520 giovenilmente vezzeggiando, il piede villan del servo con l’eburneo dente segnò di lieve nota: ed egli audace con sacrilego piè lanciolla: e quella tre volte rotolò; tre volte scosse 525 gli scompigliati peli, e da le molli nari soffiò la polvere rodente. Indi i gemiti alzando: aita aita parea dicesse; e da le aurate volte a lei l’impietosita Eco rispose e dagl’infimi chiostri i mesti servi asceser tutti; e da le somme stanze le damigelle pallide tremanti precipitàro. Accorse ognuno; il volto fu spruzzato d’essenze a la tua Dama; 535 ella rinvenne alfin: l’ira, il dolore l’agitavano ancor; fulminei sguardi gettò sul servo, e con languida voce chiamò tre volte la sua cuccia: e questa al sen le corse; in suo tenor vendetta 540 chieder sembrolle: e tu vendetta avesti vergine cuccia de le Grazie alunna. L’empio servo tremò; con gli occhi al suolo udì la sua condanna. A lui non valse merito quadrilustre; a lui non valse 545 zelo d’arcani uficj: in van per lui fu pregato e promesso; ei nudo andonne dell’assisa spogliato ond’era un giorno venerabile al vulgo. In van novello Signor sperò; ché le pietose dame 550 inorridìro, e del misfatto atroce odiàr l’autore. Il misero si giacque con la squallida prole, e con la nuda consorte a lato su la via spargendo al passeggiere inutile lamento: 555 e tu vergine cuccia, idol placato da le vittime umane, isti superba Giuseppe Parini-La vergine cuccia-Il giorno), con un debito mai pagato con i mille inventori, capitalisti, affaristi e uomini d’ingegno e (necessario) inquinamento che senza le ferrovie a vapore e le pompe petrolifere di Edwin Drake che riscaldarono il laboratorio di Frank Schuman assieme ai treni e i veicoli meccanici che li permisero di far meno fatica a preparare i prolegomeni dell’energia solare, il sacrificio dei coniugi Curie per permettere il nucleare con la somma degli altri sacrifici di Einstein, Fermi, Oppenheimer e Weinberg e via dicendo-per non parlare di agricoltura, urbanizzazione, E noi bambini che ci lamentiamo

Quando alla scuola i libri portiamo

Se son pesanti allora pensiamo

Al grosso libro che aveva Gugù

Al grosso libro che aveva Gu-gù! Enrico Zanardi-Gugù il bambino dell’età della pietra-19° Zecchino D’Oro erano tutte con le big bazoombas, tutte l’apice divino della sensualità fisica, dalle fertilissime Venere delle caverne all’arsenale porno delle rivistacce di moda, e ce l’aveva Cheetara, la nuova eroina selezionata. Dopo sarebbe arrivata Steelheart. La donna-leopardo (migliore o peggiore di quella di Moravia? Ai posteri la semplice sentenza) era messa contro Slythe, un lucertolone con un malevolo look da krampus unito a un gremlin e un gargoyle con un ascia che sembra quella di [God Sigma], appropriatamente grosse per un marcantonio di 66 metri, stazza non raggiunta certo dal nemico ma con una forza simile. Cheetara possedeva un arma meno aggressiva, una lancia dalla lama doppia che si sfracellerebbe sotto le mannaie di quel bruto, come una variante femminile di [Grendizer] con la sua [Double Harken] messa contro Giroga il mostro meccanico boia del 18esimo episodio di UFO Senshi Dai Apolon, e la sua velocità supersonica unita alla preveggenza non garantivano alcuna particolare superiorità; ce li hanno altresì Flash eDottor Fato ma Flash ha rischiato di scontrarsi esplodendo come il Caspert Hunte di Africa Shox degli Africa Bambaata contro l’Uomo Tartaruga, lentissimo ma dall’indistruttibile carapace che fa un pò male a andarci contro mi ha detto un uccellino, e Amazo e Dottor Destino, uno un androide con un computer invulnerabile a un potere magico forgiato per cervelli di carne e un signore dei sogni in cui nel futuro possiamo essere noi a scegliere cosa far succedere differentemente da quando siamo svegli. Naturalmente, essendo il gioco una storpiatura femminista di un avventura dove i maschi vincevano scornati e sudati proprio perché maschi (It's Up To Me, I Won't Be Denied

It's Better To Lose Than Never Of Tried To,

Fight For Love, With All My Heart

Fight For Love, Ignite The Spark

Sometimes The World Feels Like

It's Closing In

Everything Stops, Don't Know Where

To Begin

I'll Gather My Strength To, Carry On

It's Up To Me, I've Got To Be Strong To,

Fight For Love, With All My Heart

Fight For Love, Ignite The Spark Stan Bush-Fight for love-Kickboxer), Cheetara aveva troppe cose facilitate: la sua arma era più tagliente della pistola laser di Zrzolov di Usavich di Satoshi Tomioka, aveva già ben due superpoteri ovviamente gonfiati all’uopo e il suo avversario era passato dallo Yamata no Orochi a Tamagon, dal Ceratosaurus di Un milione di anni fa al T-rex di Jurassic park, la canzone di Weird Al Yankovitch con la stop motion di Mark Osborne, con tanti minions ancora più scarsi e insignificanti (e non lo erano per finta come il soldatino a molla di Daffy sceriffo, erano veramente degli incapaci) per farle fare aerobica. La sfida c’era, ma insulsa. Insulsamente copincollata per la Steelheart dei Silverhawks, lasciando poi perdere all’eventuale altezza dei Woodencods. Steelheart overpowered con ali più lunghe e taglienti che affettano Monstar come [Ga Keen] con le sue [Mach Wing] il [Tokubetsu Kougeki Taichou Gyazaan]. Con i Transformers invece evidentemente progettarono una storia anche molto dettagliata, una fantasia automobilistica degna di Pierfrancesco Prosperi, l’unico uomo, terrestre e aretino a preoccuparsi di come costruiremo, gestiremo e proporremo le autostrade su pianeti extraterrestri con quello che vorranno o non vorranno i nativi (sperando che lo sciamanesimo locale non sia autentica magia nera con effetti conclamati come quella della strega Hannah di L’autostrada stregata di Kenneth Robeson). L’ultima location in arrivo per le novizie dai nomi generici segnaposto da Indovina chi? Femminista dove nemmeno “i veri nomi delle donne” sono credibili, oggi come domani in un domani che è come oggi e un oggi che è come domani in cui Platone ha subito il tradimento di Ermanno Bencivenga, le forme ideali del Minosse di donne che hanno grossi fianchi, grossi seni, grossi glutei e labbra come hamburger di rossetto e piombo perché è l’Essenza Femminea più primigenia, universale, protocollare e ordunque Iperuranica adesso hanno meno tio de Natal filosofici per il gioco di visori e titoli videoludici (Povero Simpson! Dopo tanti anni di fedele servizio per la NATCA, l’ultima macchina NATCA lo ha sconfitto, proprio quella che gli avrebbe dovuto rassicurare una vecchiaia varia e serena. [...] Gli [i. e. al Torec] ha sacrificato tutto: le api, il lavoro, il sonno, la moglie, i libri. Tra una sessione e l’altra rilegge l’Ecclesiaste, l’unico libro che gli comunica ancora qualcosa. S’identifica con il re biblico, ma la sapienza di Salomone era frutto di una lunga vita di eventi e apprendimenti, lui di una macchina elettronica Primo Levi) e tutta la superficialità ammaccata e malaticcia di un Pinocchio triste impiccato senza morte che rinsavirebbe con la dromologia ma la dromologia non c’è, Aulo Magrini e la vicenda d’umanità e medicina proletaria di cui Ovaro ha gratitudine era la Miami di notte. Ogni città è una foresta, più foreste sussunte per i casi della vita e delle piante, e Miami notturna non era la placida Roccacannuccia dei ricordi, delle calorosità popolari, delle miniature che diventano affreschi di bozzetti, caricature o onesti ritratti della fauna umana, delle musiche che scaldano, familiarizzano, riuniscono in un coro stonati e tenori come la Dark Bologna di Lucio Dalla (le luci di San Luca, l’ippodromo dell’Arcoveggio, la basilica di San Petronio, Bologna mi sei mancata un casino!), le Roma e Pavia addormentate di rimpianti e amori in sospeso di Pierdavide Carone e Max Pezzali, anche in eccezione la Latina che alla notte non è ancora arrivata ma notturna lo è già per Tiziano Ferro nel suo 111. Queste sono foreste chete, tanto nel basso volume di default del popolino in romanticismo di Dalla che nel raccoglimento di Carone, Pezzali e Ferro, spaziando anche oltre l’Italia con la Parigi e la Hollywood di Vecchioni (Hollywood Hollywood) e la sola Parigi di Conte (Paolo Conte, Paris milonga), la Manhattan di Bublè (Crazy love, Call me irresponsible). Persino l’allucinante Tokyo a confronto di notte è la Via Lattea atemporale tintinnante delle partiture polari che John Powell impresta da Emilie Simon (d’altronde, ambedue hanno intesa con i pinguini, signori delle silenti praterie di iceberg dell’Antartico). Miami, al Sole che cala diventava l’omonima canzone-martellante e chiassosa-di Will Smith, una discoteca sexy grande quanto una città, la città e quella città, mentre tutti gli altri mettono le discoteche fuori da sé stesse, perché se le patiscano le campagne dalle orecchie di concime (Corticella, Tor Lupara, Montebellino, Gorgoglicino) o per le megalopoli che vorremmo non morissero mai (sciò sciò Roberto Vacca che porti sfiga) c’era la grande elettronica e jazz e il loro erotismo non puzzava di Chris Griffin. Qui era tutto modellato sulla peggiore adolescenza americana, quella tanto di Pistolini che di Pierce, il romanticismo di Ren e Stimpy pur nella gratuità del loro toilette humor opposto a uno sguardo schietto su quant’è diventata scema l’America. E chiunque per travaso dal cervello al pene instupidirebbe davanti all’autolavaggio delle ragazze tettone, un classico che è un pessimo. Can y'all feel me, all ages and races

Real sweet faces

Every different nation, Spanish, Hatian, Indian, Jamaican

Black, White, Cuban, and Asian

I only came for two days of playing

But every time I come I always wind up stayin'

This the type of town I could spend a few days in

Miami the city that keeps the roof blazin’, tette giganti caucasiche, afro e asiatiche, per tutte le maggioranze e minoranze di quell’America, magliette e jeans striminziti a metà tra le catene e il caschetto del My Football Monster e i monili della Panthy (Monica Ward) di L’arca di Noè di Juan Pablo Buscarini, nudissime e impossibili da trattenere. Tutto ok per un femminismo che nel cogliere la bellezza delle catastrofi naturali s’esalta per la “bellezza” delle vittime raccolte in cataste per monatti. Contro ogni elucubrazione tra i bolidi in fila c’era un gran bel pezzo di pantera della polizia, (in)affidata a poliziotte che erano il seno violento della legge. Violento e enorme. Stranamente sembravano versioni alternative delle lavatrici, confermando l’idea che era sempre quel ristretto harem di Butcher Babies a impersonare-sottoposte a una moltiplicazione come quella dei cartoons di Pippo-tutte le donne, ragazze, puttane e femmine, fondendo Gli Zonzoli a Boys’ night out. Una monumentale Inko Ranmaru (Patrizia Salmoiraghi) faceva la biscia in muta cutanea sui sedili posteriori, gustandosi la sua Coca Cola motteggiando che la città non sembrava in procinto di farsi accadere dentro niente di grave. Altrettanto assonnata, tutta uno stiracchiarsi come Margit Foldessy nel camerino (attenta a non farsi vedere) con la collega a fare la Maria Bircher più impulsiva e bambinesca nell’esprimere (leggasi tradire) un atteggiamento non proprio da Dick Tracy ma assai più da Mutt & Jeff, influenzato dalla stanchezza ma anche da quella effimera certezza che sovente ha la polizia nei film (tipo Osmosis Jones) prima di vedersi arrivare in faccia n ottime ragioni per armarsi e intervenire. Come dopotutto insegnano Silvio Dante e Tommy Vercetti dove ci sono delle Newark e delle Liberty City ci sono mafiosi a iosa. Qui un intera cosca di quelle brave ragazze, pericolose e tettone signore della Lips, una eccitantissima droga che, interagendo esclusivamente con i lipidi del progesterone era praticamente la Versamina esclusiva per le donne occhieggiava l’autolavaggio dal Dream, rendendo Miami l’antitesi di Con un deca degli 883; 2 discoteche 106 farmacie. Qui sembrava la casa di Glenn Quagmire (Enrico di Troia) con al posto dell’onnipresenza di letti onnipresenza di night clubs. Come la famiglia Parr figlie e madri rivaleggiavano molto bene in gnoccaggine, giacché delle madri di quegli spazzoloni umani che si sarebbero fatte una seconda doccia pur con tutta quell’acqua e quel balsamo addosso, ma se ci facciamo la doccia dopo aver fatto il bagno al mare (e il mare è acqua per antonomasia) anche quello poteva andare bene. L’eminenza nera, con i capelli all’opposto non neri come i pipistrelli di liquirizia ma arancioni come la plastica made in China dello Zuccone GIGc raccolti in una crocchia assisa all’apice della sua testa nell’abito da sera esso quello sì nero e illuminato a giorno dai suoi brillantini nascondeva la sua Torre di Baraddur nell’ombra dei suoi capelli sagomati come il casco di Rick Starr/Space Ranger che, come la summa di tutto il male di Erebor si pasceva dello schiumoso racket della Lips innervosendosi però quando la volante a passo d’uomo stava per raggiungere la danza di spazzoloni nonché la vera attrazione, le vipere delle paludi di Arexonstm una delle quali, la sorella vipera cespugliata di Eminem figlia proprio dell’arpia che esattamente in quello stesso momento le faceva trillare il cellulare a mò di messaggi di fuoco durante la battaglia di  Minas Tirith sull’incombere della polizia Sì? Tra qualche macchina c’è la polizia? Al momento non sto lavando niente, quindi credo di potermene occupare. I sacchetti di Lips già poco in vista (bisognava avventurarsi nello sgabuzzino) vennero fatti cadere con nonchalance in una specie di botola di Saddam Hussein, che solamente Patricia, la bionda del ghetto conosceva, mettendosi in ghingheri con una t-shirt arrotolata fino a ridurla a una molla Slinky annodata all’enorme seno e un monokini fucsia, con come ultimo svarione da It’s Way Ed di Danny Antonucci degli scarponi scuri con i quali Ambrogio Fogar ha scalato tutte le Alpi (come tutte le altre due ragazze c’erano delle ghette per non risporcare il già pulito) attendendo al varco le poliziotte a prova di sospettosità. Silenti e snodate, ora che le tre amigas erano al completo fecero un tale battesimo alla pantera che la sergente maggiore ci si poteva pettinare i peli della figa sopra. Un lussurioso bacio alle “clienti” ignare e briefing nella riservatezza di dov’era stata prima Patricia, meditando come cambiare le carte in tavola Siamo alla luce del sole. Questa volta ci sono andate molto vicino Mi sembra un pò paranoia la tua ma effettivamente a un autolavaggio vanno a servirsi milioni di persone. In ogni caso a parte degli aficionados che dopo ogni lavaggio chiedono servizi prezzolati “bagnati” d’altro genere con il Lips come rinfresco la clientela non è grande come vorremmo. Come le nostre madri vorrebbero. Qualche idea? Le due caucasiche, Patricia la rapper e Felicia la indie dovevano se loro possibile tirar fuori delle idee. Idee leste a arrivare complessivamente: bastavano le loro tette, il loro essere più nude che vestite per affrontare il circo acquatico e una droga che bruciava la figa fino a farla venire per poi unire tutto al più grande night club lesbo di Miami: il Themyscira. Far arrivare un autolavaggio dentro una discoteca? In realtà dopotutto quello già non era un autolavaggio con la A maiuscola, era solo una scusa per il fanservice, e il Themyscira era semplicissimo, univoco, cosmopolita fanservice.

 

Il Themyscira. Irresistibile cornucopia di mestruazioni, galattorrea e smegma già dall’infinita facciata alta 78 metri lungo il cui portone lussuriose succubi dall’abbraccio saffico schiacciano le prede di quelle notti fatte di vergini dalle silenti urla di cattura nelle coccolanti ragnatele di scatenate, svergognate e insaziabili vampire sotto sguardi di donne che amano altre donne, e chi altri potrebbero esserci? Donne! Donne! Donne! Solo donne! Il locale era gigantesco. Le avventrici giacevano su letti pieni d’acqua per un extra morbidezza, affogando in puro waterboarding dentro calici di cocktail grossi come orinatoi, diventando pozzi di Sex and the City senza fondo che pisciavano con il loro intestino e esofago diventati un unico tubo senza né reni né stomaco, eccitando i fetish urofili delle avventrici, con tali straripamenti di vodka e granatina da insinuarsi come esplosivo al plastico in mezzo ai seni staccandone i bottoni di contenimento in un esplosione d’incontrollabile femminilità e fase orale edipica. Odalische e stelle del burlesque tettone, danzatrici di hula a seno (GIGANTESCO) scoperto ballavano come ossesse, enormi seni spruzzavano latte e sangue addolorati in feroci scontri tra lottatrici di pancrazio, luchadoras hermosas y tetonas e più nude che vestite maestre di arti marziali i cui seni svettano scalabili come il Fuji e Tianmen all’esordio smorfiose geishe sottomesse e disponibili, prestissimo urlanti massacratrici armate di nunchacku più nude di una uminchu che si spezzavano a vicenda ogni osso del corpo, rock band suonavano con le batteriste che facevano l’assolo di Phil Collins della sua In the air tonight da Face value con le loro abbondantissime mammelle. C’erano poi sofisticatissime cosplayers di più sexy pupe videoludiche indistinguibili dalle controparti. Se si trattava di robot erano repliche funzionanti fini al millimetro. Avevano aggiunto come da letterina a Babbo Natale (o del piccolo Manuel a Gianfranco Horvat sul fare degli Exogini fosforescenti….piccolo genio del marketing con idee assai interessanti e applicabili) un autolavaggio scarseggiante per il fornire pulizia alle nostre mogli meccaniche ma per fare le sexy c’era da dare la balla, una festa di Sant’Anna di peripatetiche datesi a servigi apparentemente utili ma della stessa foggia (in quel locale) degli extracomunitari con la specializzazione in parabrezza (I torinesi contro i lavavetri Gianni Pilon). Shadow Striker la Decepticon (finalmente eccoli i robot in incognito! Davvero mimetici) roteava come un mestolo nel calderone di una strega in modalità bolide. Un gran pezzo di Bugatti Veyron. Gli occhi delle “lavavetri” ne divennero presto consce occhieggiandola dalle rosate tendine. Dalla loro c’era una Autobot, Roulette, una Volvo XC60 che ha-come amico di bagagliaio-Tic Toc, una piccola sveglia nonché calendario elettronico Autobot di guardia sul tavolo del medesimo sgabuzzino dove giace la botola da novello conte di Montecristo che occultava le locali quantità di Lips, per l’occasione tolte dalla “cantina” visto che il Themyscira prorompeva fiumi di Lips come Lauren Lafitte fiumi di porpora. Roulette sapeva dello spaccio e non intendeva tradire Arcee. Arcee era con la polizia, accortasi del traffico nell’autolavaggio e per nobiltà messasi a spalleggiare la polizia terrestre assieme a Javelin piantonava lo stesso ingresso delle spacciatrici sgamate dalla sua irreprensibile Roulette, a distanza di sicurezza. La nostra reginetta è pronta? Tirata a lucido e con le gomme come le mie tette. Sapete se il Lips è idrorepellente? Sì l’acqua non gli dà problemi. Il problema saranno quelle zecche della DOJ. Patricia, controlla se me la sto facendo addosso per nulla Sì sono là fuori. Ma non c’era da aspettarsi qualcos’altro. Okay, ecco il piano. Ho delle maschere antigas con me Andremo a assomigliare alle cameriere del Cyberia? La “stratega” del trio, Felicia si produsse in quel modo riconoscibile dappertutto di fare spallucce del Thomas Schell di Molto forte incredibilmente vicino di Jonathan Foer, dando un incompleta approvazione. Non conta tanto che cosa finiremo con il ricordare, questi arnesi ci dovranno far respirare in mezzo a nubi di Lips. Per non parlare della capacità di vederci attraverso. Il piano è questo: sotto l’acquazzone usciremo per i finestrini e porteremo con noi i sacchetti idrorepellenti di Lips. Quando la polizia dovesse diventare troppo vicina, noi che saremo rimaste nei paraggi dell’auto ci torneremo dentro liberandoci dei sacchetti gettandoli in una scenografica esplosione di rosa che seminerà il Lips molto meglio e a molta più gente che con più desuete metodologie distributive. Capito tutte? E se piuttosto la polizia stesse dietro di noi per una “doccia”? Non cambieremo niente. D’altronde l’altresì elaborata strategia è adattabilissima anche a questo’altro scenario. Inoltre la nostra Volvo XC60 può trasformarsi in un robot da combattimento. Ce la giocheremo alla pari sorelle. Comunque il tempo stringe: facce con il naso lungo e tutte dentro

 

Bam boom bang bing bong bam baby. Ancora più luci stroboscopiche, ancora più Lips (e allora quelle lavaauto cos’erano venute a fare? A essere la goccia che farà traboccare il vaso logico) a schiumare dai calici, nonché kylix fuoriusciti dall’acropoli di Cesenatico in ammassi rosati in grado di paralizzare laboratori e aerei come quelli spaziali di Space Master X7 di Edward Bernds, ancora più cubiste. Una modella di lingerie pencolava peggio della piattaforma panoramica di Mark Johnson da un grattacielo di cartapesta non affatto dissimile da quello di Invincible dei Muse da Black holes and revelations prigioniera di una cattivona resa orba da un ciuffo di capelli che le ha mangiato l’occhio sinistro strizzata in un abitino da Vava Vavoom (Diane Michelle) virato al nero della lapalissiana malvagità e una specie di Super Liquidator Extra Potenza collegato a uno zaino che a starla a sentire sparava fulmini. Nonostante non avesse occhi che per la strada in mezzo a quello che più che uno skyline sembrava uno sketch della Linea di Osvaldo Cavandoli si fece comunque cogliere di sorpresa da una forza misteriosa che aveva risalito l’edificio indipendentemente da scale o ascensori, da novell* Fleek (Pietro Ubaldi) nel rocambolesco tentativo di gratificare Annabelle (Graziella Porta) con un regalo fiondandosi in casa sua onde evitare il sempre guardingo letterale “pescecane” Sharky Nuvola Nera! Come eroina vali veramente poco se scegli d’attaccare alle spalle! Beatrix Mellowy conta di più della tua etichetta sempre improvvisata sul momento! Non volevo risucchiarla facendola precipitare Beh ti risparmierò la fatica! La misteriosa malvagia estrasse un pugnale dai seni e con un lancio recise la corda unica salvezza della sua vittima. Nuvola Nera la raccolse immediatamente vorticando, ma venendo catturata dal fucile-aspirapolvere dell’altra tipa Ah! Che ne pensi del mio Risucchiatore di Uragani! Ma a Nuvola Nera non era necessario vorticare sul suo asse come le Flying Eagles di Canada’s Wonderland per riempire la faccia di quella Vera Verabova (Antonella Giannini) di sonori cazzotti. Vittime capaci solo di sfoggiare un gran bel paio di tette a cocomero arabescate di pizzi non ricevevano l’aiuto di Nuvola Nera, la supereroina rotante in scenari horror dove per cominciare una vampira popputa come loro le trasformava con un succhiotto (mai Utena la fillette revolutionnaire fu più rivelatore nel mostrare come ANCHE nelle fiabe aperte virgolette femministe chiuse virgolette c’è immancabile la principessa da salvare. E alla fine arriva mamma Kunihiko Ikuhara con il film fatto dalla JC Staff in cui Utena si trasforma in un automobile rosa a forma di vagina). Una mostra di Frankenstein invece se la godeva, donna della limousine di Il grande baboomba di Adelmo Fornaciari da Zu & Co sul tavolo operatorio. A completare il filone horror dopo Angie Everhart di Il piacere del sangue e Debra Wilson di The haunted world of El Superbeasto c’era la Ginny Jones di Epic Movie a fare la krampus con due bei “regali” sul davanti e una verga di saggina leccata con la stessa lussuria di una vespa in calore che mangia la rugiada. Come con il 14esimo episodio di Brividi e polvere con Pelleeossa dopo una cheerleader assassina armata di motosega una virata nel fantahorror con la donna alta 50 piedi che seminava terrore in una città. La fantascienza diventava predominante con Starline di Ratchet & Clank fuori da un gigantesco UFO da cui una limousine emergeva dalla scocca come The Stags di Patricia Piccinini con un alettone per tutta la sua lunghezza come la pinna della prima Batmobile mentre la Autobot Dumper 797f Spliced Mountain scuoteva i suoi seni metallici-i più grossi di tutti-incombendole sopra. Una xenomorfo tettona e con bellissimi occhi verdi le si strusciava sulle gambe. Dalla fantascienza alla Cenerentola negli anni Delio Zinoni (e anche nelle annate Patrizio Dalloro e Marco Paggi) di Urania si passa alle varie oasi per questa Cenerentola, il fantasy, con l’Amazzone e la Strega di Dragon’s Crown, assieme a un elfa e una satira ben armate di scuri bipenne, gongolanti i loro seni di dimensioni corna di Otmin tra gli alberi di un qualche Bosco dei 100 Acri. Dissociando la sua mente come [Amuro Ray] e [Sayla Mass] rispettivamente alla guida del (RX-78-2 G-2 Gundam) e del [G_Fighter] in modo che la seconda possa impegnarsi a ascoltare chiamate dalla [White Base] e altre [Pegasasu-kyū Kyōshū Yōrikukan] lasciando al più abile primo l’onere di sgombrare la rotta da quanti più Zaku {soprattutto gli (MA-04X Zaclero ), velocizzati e capaci di travolgere e sventrare pure le (Salamis)} possibile la sola Spliced Mountain continuò a sedurre mentre con la “mente" era altrove; in etereo ascolto di Arcee Le Decepticons di Blackarachnia si sono messe d’accordo con la malavita locale. Dopotutto vanno forti. Ma noi andiamo più forti di loro. Se ti è possibile controlleresti se gira Lips qui dentro? Non ho il supporto di qualcuno come Tic Toc come fa Roulette, o Flip Sides, ma il rosa so ancora vederlo e se è quello il colore della nostra roba, di questo deviato Energon per terrestri, allora ci sto nuotando dentro Incredibile. Zero ritegno. Mi avevano detto che avevano aggiunto un autolavaggio, ma a che punto? Dovremmo conoscerli gli umani ormai. Gli ormoni e l’accoppiamento. E come allontanando fino allo scomparire al nadir del secondo per la superficiale eccitazione dei primi nascono spettacoli come questo. A me che delle terrestri si abbandonino a atti d’autoerotismo guardandomi non importa granché. Noi non c’entriamo nulla con queste cose, e siamo benedette. State in guardia e entrate anche voi da dove stanno per uscire in un mare di schiuma da far invidia a una megattera con la rabbia Ci trasformeremo e prenderemo al volo l’occasione per farci una doverosa ripulita Altro vantaggio tattico era la gnoccaggine delle forze dell’ordine. Un assaggio c’era già stato con due sardine piccole, mancava ancora un grado superiore. E che superiorità sotto a dove si agganciano i gagliardetti. Puri erogatori di mozzarella di bufala. Realizzati scavando cocomeri olevanesi. La confidente in camicetta di flanella azzurra di Arcee con quel cappellino da ballerine per i concerti di Mika nel tour di Life in cartoon motion virato al nero era una donna imponente, una galla i cui capelli sono doratamente biondi come i granai di Correggio, i seni hanno bevuto tra quelle stesse campagne l’acqua del Secchia per irrigare i campi di Sassuolo correndovi nuda attraverso a metà tra la cover di Nuda dei Garybaldy e Hiropon di Takashi Murakami e sulle sue natiche vanno a riposare le altrettanto voluttuose e floride frisone bolognesi, fiera nel prepararsi a rovesciare il baccanale di quelle matrone il cui impero romano cadrà prestissimo, e lei ne ha intercettato il tempismo (Roma splendida città,
capitale di un impero
che si espande di continuo un po’ più in là
per conquistare il mondo intero.

Tutto fila liscio e va
con Traiano imperatore,
ma per rivalità
qualcuno adesso sta
tramando là nell’oscurità
Cristina d’Avena-Roma un grande impero-Fivelandia 20|We cannot exist in godforsaken lands

As we spiral down into oblivion

Breathing the fumes of fires that they ignite

Losing ground and we are all just losing sight

We shall never see another setting sun

Time to rise up and ascend, the end has come

No more willpower

Choked by hell fire

Darkness above

Blackening out the sun

Gripped by steel claws

Corrosion eating us

So before we're all devoured

Time to rise up and retire

In cathedral spires

Watching as the world expires

From up amongst the clouds

In cathedral spires Judas Priest-Cathedral spires-Jugulator). Ha le ovaie forti, si può ustionare le labbra con una sigaretta. Arcee con Strongarm erano già trasformate, molto comodo il fatto che un terrestre potesse rimanevi dentro in simbiosi. Dall’autoradio la maggiore Powell, il nome della barbara, comunicava con Strongarm Ho visto passare un pulitore. Autobot o Decepticon? Dovresti dirmelo te, sei tu una robot spaziale che diventa cose e si picchia Ma tu devi aiutarci. Gli stemmi delle fazioni scompaiono da trasformati. Voi umani siete i soli con la capacità di discernere queste cose. E a te te lo chiedo: non ti sembra un pò strano che una spazzola ambulante senta il bisogno di pulire sé stesso? Hai mai visto un tubetto di dentifricio convinto di doversi curare delle carie? Un tostapane con fame di panini al formaggio? Già già ho capito è tutto molto sospetto. Siamo già in coda da un pò….presto vedremo se hai ragione. Inoltre ben altri criminali stanno facendo il loro numero là dentro. Obscuria è solo una bravissima attrice, Asp, Arachne, Charlotte Witter, Beetle e Fulmina “fingono” molto di meno, non so se mi spiego. E ancora dovremo fronteggiare quelle robe grosse. Un alleanza del genere non me la sarei mai aspettata

 

L'ultima mente dell'Uomo ristette, prima di fondersi, contemplando uno spazio che non comprendeva nulla, soltanto i residui di un'ultima stella scura e niente oltre a questo, fatta eccezione per una materia incredibilmente sottile, agitata dai resti del calore che si stava consumando, asintoticamente, fino ad arrivare allo zero assoluto. L'Uomo disse: «AC, questa è la fine? Non è possibile invertire questo caos ancora una volta nell'Universo? Non è possibile farlo?» AC rispose: «NON VI SONO ANCORA DATI SUFFICIENTI PER UNA RISPOSTA SIGNIFICATIVA». L'ultima mente dell'Uomo si fuse ed esistette soltanto nell'AC - e questo nell'iperspazio. La materia e l'energia erano finite e con esse lo spazio e il tempo. Una delle bambine, una di quelle pedine di Non ti arrabbiare, leggeva Asimov passando da una pagina all’altra di quelle copyrighted Doubleday Press come un iguana masticava le foglie di un cavolo. Era accosciata all’ombra di un firmamento ancora pulsante di luce, ma s’immedesimava in Colei che assisteva all’universo diventare la versione nera della dimensione senza Spongebob dove Squiddy (Mario Scarabelli) arrivava pasticciando con l’ascensore del tempo. Non era una bambina notevole; una generica Booba di quelle descritte da Sybil Corbet nel suo Animal land where there are no people con il giusto decagrammo di capelli biondi e i vestitini di una Licca Chan le bambine da Ikebukuro Sunshine City ignoravano per le rampanti bambole Bandaic delle Pretty Cure, come le altre aveva un generico nome carino da bambina convinta. I risultati di un mondo dove la femminilità era elusiva Toshiko Tomura che i Dariani esibirebbero nel proprio zoo interplanetario, tanto granitica e meteorica ne era la genericità. Un astronauta nemmeno troppo dotto poteva rilevare per nome ogni cratere di ogni mare della Luna, Come uno spillo impercettiible

Come se un giorno freddo in pieno inverno

Nudi non avessimo poi tanto freddo perché

Noi coperti sotto il mare a far l'amore in tutti

I modi, in tutti i luoghi in tutti i laghi in tutto il mondo

L'universo che ci insegue ma

Ormai siamo irraggiungibili Valerio Scanu-Per tutte le volte che-Per tutte le volte che, luoghi-i nostri crateri, le nostre fette di salame piccante sulla pizza lume in forma di rivera

fulvido di fulgore, intra due rive

  • dipinte di mirabil primavera-tra i più monotoni e morti che i nostri occhi abbiano mai osservato con assai grande vicinanza, ragazzine vive sebbene soppressate come gamberetti rossi hawaiani ognuna più abbacinante nel conato di colori, stoffe e batuffoli che le vestiva alla stregua di alberi di Natale agghindati da un ubriaco con crisi epilettiche non si distinguevano l’una dall’altra. Erano appunto pedine, macchinine di Prendi un taxi che non è che servisse più di tanto che brillassero, differissero, risaltassero come emolumenti monodose di singoli artisti in una galleria, cazzarola, neppure come quadri diversi di un singolo, prolificissimo Marghinotti, tutto perché la Causa del Femminismo val bene un olocausto di qualcosa, qualcosa d’inaccettabile se grattato a sangue via da dov’è che pertiene ma okay se rimosso al di sotto dell’occhio: la vera individualità e la vera spontaneità. Maria Montessori non ravvedeva nel bambino comunque creta in attesa di una forma, amorfo seme che non potrà mai, lasciato a sé stesso, diventare pianta di qualsivoglia specie, granitica nelle sue convinzioni, nella sua massoneria e nei suoi collaborazionismi fascisti. Ma che risate a trasferirla a Ypsilanti Michigan, con i tre aspiranti Gesù! A livello infantile in quell’acquario in mezzo alle stelle avveniva un suo remake pedagogico. La prima Maria di Nazareth finite le sue letture guardò per un tot le arzille stelle, allontanandosi poi dando loro le spalle per inoltrarsi nella foresta che t’insegnava cos’è l’aria nemmeno fossi una rana dopo la fase di girino in Il paese dei ranocchi di Antonio Rubino. Era la notte artificiale, la foresta nei suoi respiri era la loro cupa arteria ascellare. Ah le vecchie fiabe. Quelle proibite. Se solo avessero conosciuto Biancaneve, Cappuccetto Rosso, le tre melarance! Imbottita di femminismo per beffa non sapeva cosa fare. Le radici erano tentacoli vomitati da un mare verde e ctonio, ogni albero era come una tavolozza di Chiodini Quercettitm i cui affusolati cappucci da jumbo jet non lasciavano passare la luce delle stelle. Per di più l’omogeneità degli alberi non permetteva d’orientarsi. In una città ah quanto più facili sarebbero state le cose! Quanta discontinuità, quanta enfasi su come X diverga da Y! Persino la via peggiore era meglio. Piazza Quattro Novembre a Milano a notte levata sembrava un letto. Facile però orientarsi in essa: dietro di noi scorre Piazza Duca d’Aosta con il Pirellone, Piazza Quattro Novembre ha i binari del tram svicolati a tutta mancina in mezzo agli alberi, le luci di Via Giovanni Battista Sammartini afferenti ai suoi condomini aprono e rassicurano la strada, il palo della linea ATM 87 salva come Aldo Giovanni e Giacomo portati al cospetto di Pdor tramite teletrasporto alla fine di ogni livello di Zero comico. Alzando la posta in gioco l’anonima ripensò a Vanderbilt Avenue a New York. Luci l’accompagnavano fino alla 49esima. Da là era facile girando a sinistra raggiungere il Rockfeller Center e la fermata della metropolitana Rockfeller Center Rockfeller Center. Là invece si sentiva su una giostra maledetta, la Wheel of Doom dell’One day at Horrorland Milton Bradleyc, capacitante solo di farla sedere grattugiando la giacchetta Miu Miu sull’abrasa e viscida corteccia. Aveva mille armi, ma quella era proprio la sua sconfitta. E pianse, pianse come si vergognerebbe per educazione osmotica a fare. Pianse le ululanti lacrime di Biancaneve orfana di tutto nella foresta (Rosetta Calavetta), quando albeggia e imminentemente il bosco risuonerà della leggendaria Hey Ho andiamo a lavorar, pianse le ululanti lacrime di Cenerentola (Giuliana Maroni) sentite da Smemorina (Laura Carli) fattasi carne in una eco nazarena per aiutarla, pianse addirittura lacrime maschili, quegli avvantaggiati: le lacrime di Dumbo, le lacrime di Rudy Radcliffe (Gianfranco Bellini) imitate da quelle di Pongo (Giuseppe Rinaldi), disperati per l’imminente carneficina dei loro 101 cuccioli il primo e dei suoi 101 figli il secondo, le lacrime di Semola (Massimo Giuliani) soccorso da Merlino in un evidente parallelismo tra 12° e 18° Classico Disney (Bruno Persa), le lacrime di Roger Rabbit (Marco Mete) convinto che Jessica l’abbia cornificato, le lacrime della Bestia (Massimo Corvo), che ha perso Belle (Laura Boccanera) e ogni speranza di umanità, le lacrime di Quasimodo (Massimo Ranieri) che non può fare niente per salvare Esmeralda (Daniela Miglietta) perché è un mostro e l’eroe è un altro, Febo (Roberto Pedicini) e anche lui ha fallito, le lacrime di Hercules (Raoul Bova) che va a morire per davvero assieme a Megara (Veronica Pivetti) mentre le Moire s’apprestano a sancire un altra conclusione per un vivente, le lacrime di Kuzco (Luca Bizzarri) che nella sua punizione da lama è andato oltre l’impossibile, le lacrime dei traditi Jim Hawkins (Emiliano Coltorti) e Chicken Little (Gabriele Cirilli), che perdendo i propri mentori anche loro raggiungevano il fondo della parabola cominciando però la loro risalita, mentre le lacrime di Bolt (Raoul Bova) le piangeva già in piena risalita, fuggendo dagli studi in rovina avvolti in un mare di fiamme appesantito e con le mascelle in fiamme per trarre in salvo Penny (Giulia Tarquini), le lacrime rancorose di Ralph (Massimo Rossi) che per suo gesto comincerà la risalita dall’abisso della parabola. Nessuno pensa al Principe Azzurro pensava con il baby mascara completamente devoluto in guance da Pig Pen (Alida Cappellini). E si dimenticava volenterosamente delle principesse e delle eroine degli studi e film animati non Disney. Walt Disney nel suo favellare fiabe moderne accettò un macigno di Sisifo troppo immane; gli altri non dovevano rispondere a nessuno. E come in quelle fiabe aggredite e sbranate come i conigli di Vulneraria (Sergio Fiorentini) dalle loro tracotanti Ludmilla (Gabriella Borri) giunse un aurora più grande e intensa della notte che la stava avendo in balia ancora fino a quel momento. Ti sei persa piccolina? L’interrogò una paradisiaca voce femminile, una voce che nessun’altra donna le aveva fatto sentire da quand’era nata, e che non avrebbe giammai sentito da alcuna di quelle donne sue tutrici Sì, con la notte perdo completamente il senso dell’orientamento! Improvvisò tra gli ancora non estintasi singhiozzi la piccola un tono umorista Allora vieni con me. La mia luce porterà fuori da questa foresta così oscura a fianco della dama di luce faceva anche caldo, come dentro un auto in una sera d’estate. Era incombente, una giraffa al garrese, ma alta sì come può essere alta una colonna di fumo, un impalpabile, disincarnata colonna di fumo. Emanava così tanta luce che i capelli neri come immersi nel mare (Le nuvole di fumo provocate dai botti delle battaglie rafforzano il senso di un atmosfera subacquea: cremose lingue di vapore decorano l’assalto di una combattente di sciabolate di sbuffi informi, le bende che ne fasciano il corpo si muovono come murene grafiche in uno scoppiare di scie, di sciarpe, di orli immersi nei barocchismi arzigogolati dell’universo liquido Fabriano Fabbri-Tra catastrofi e tradizioni-Lo zen e il manga) si vedevano persino in quello che altrimenti era un deserto di tenebra il cui alone da Chauffage au Radium della serie En l’an 2000 era l’unica oasi, al posto del plutonio era la sua veste a provocarla, luce dotata vieppiù di facoltà calorifiche come nuovamente constatò la ragazzina, rettificando però la natura di quello spargimento calorifico: non più l’afa di cui la Plymouth Barracuda di papà s’impregna quando il terreno di notte lo suda fuori dopo averne fatto la spugna tutto il pomeriggio, ma l’impianto Prascoc che ingolfa l’abitacolo della Citroen SM di mamma quando viene Dicembre. La ragazzina in quel momento crollò i suoi muscoli renali pisciando da verticale e tremò con una mancanza di coordinazione motoria da Peter Gabriel da Sledgehammer da So a causa del corpo che solo in quel momento si ricordò di quanto era freddamente umida la foresta da cui l’angiolessa di Leggenda di Natale pubblicità Cinzano la stava portando fuori. Nonostante quel gavettone inesorabile stile Paperino e Gastone e il duello tecnologico di Enrico Faccini oltretutto ammalorato e insudiciato dall’urea e il salterello da Marilù (Paila Pavese) in Avventura nello spazio la materna Elinore (Jesse Welles) non ci badò. Gli alberi finivano, appartamenti cominciavano a ergersi, Aldebaran

E sento sento sento nel cuore stelle

Aldebaran

Antiche misteriose sorelle

Sempre Sempre Là New Trolls-Aldebaran-Aldebaran|Distant stars, at home up in the heavens

Wonder what they see, are they watching me?

Christmas star, you spin your strands of silver

What a sight to see, are you there to guide me?

Star light, shine bright

See me through the dark night

Light mine, pathway

Guide me home for Christmas day

Midnight stars, they sail the sky in silence

Hearing all they see, are they hearing me?

Christmas Star, you watch the world so wisely John Williams-Christmas star-Home alone 2 lost in New York official soundtrack, tutrici accorrevano per lei. Nonostante le bambine avessero molta indipendenza, le toccò comunque una sgridata.

 

Il party al Themyscira era talmente convulso che erano uscite le tettone e il culo ottentotto allo stesso edificio. Versioni big boobs di Ariel, Jasmine, Pocahontas, Mulan, Kida, Campanellino e le sue amiche fate, Raperonzolo, Lalala e Elsa spadroneggiavano guardate con golosità da Malefica, animatronic di gattina, volpetta e lupacchiotta sexy furry intente a cantare,

Corteggiano le stelle

la graziosa luna;

E il volto splendïente

novellamente – celano, quand’ella

la terra tutta quanta

dal pieno disco di candore ammanta (Saffo), arrivando all’autolavaggio…e all’ecatombe virtuale che esonda fuori dalla quarta parete perché non può fermare il sesso delle donne. Non essere fermato da loro, da quelle stesse guru. All’entrata di Roulette coperta d’acqua a metà tra pioggia e fontana con rosee mine antiuomo di Lips si scatenò il caos, scoppiò Srebrenica, quella serpe, quel cascabel agli inizi di un secolo di sangue (I am ahead, I am advanced

I am the first mammal to make plans, yeah

I crawled the earth, but now I'm higher

2010, watch it go to fire Pearl Jam-Do the evolution-Yield) un tenero Camillo vermillo GIG, un innocua Cecilia, un supereroe smidollato e strusciante, Earthworm Jim, all’inizio capacissimo nel reggere una gobba d’aggressività, Maria Callasantos, ma finita poi con il diventare Vipra (Sonia Scotti). Ora il mostruoso acheiro si sfilaccia a opera dei girini che li sono cresciuti dentro. E’ una gigantesca orgia lesbica, saffica, sodomita, in cui ossa si contundono, labbra si frantumano con i denti che si sono troppo a poppa stretti a loro, seni collimano come Pachycephalosaurus di gomma in una sfida, gambe e labbra vaginali come motoscafi offshore dalla scarlatta sponsorizzazione Marlboroc che gareggiano con le mammelle giganti in fagocitazione, in un Calzettone erotico di action figures femminili con pieni seni da Stretch Screamers, console da viaggio, gli sfizi della Minnie Bloomwood di I love mini shopping di Sophie Kinsella con la madre Becky , presto con i giocattoli che decidono di giocare da soli. O, come accadrebbe in un episodio di Hai paura del buio? Giocare con noi. Le matrone urlavano d’incredulità, l’incredulità dell’eterogenesi dei fini per l’eccessiva utopia a cui il loro mondo si avviava. Avevano il potere, espresso per corpi gonfi di silicone (o di cosa permetteva a Cattleya di Queen’s blade di avere senza chimica quelle due bubble yum bum, badum-bum badum) a loro sgraditi, ma un tempo invece sì, in quella che era la rivolta del la Relatività Escheriana contro il Phil Lamarr che voleva venderla perché della semplice gente ci andasse a vivere dentro, la rivolta dell’arte astratta sui suoi arroganti Sicionide, Nel mondo dei fumetti di Sandro Dossi, con in aggiunta il tribunale ideologico del vangelo di Matteo: Riponi la tua spada nel fodero, ché tutti coloro che avran messo mano alla spada di spada periranno. Il femminismo era diventato incomprensibile, contraddittorio, ipocrita, guerrafondaio, diabolico (cioè che ostacola, questa è la sua etimologia) e chi più ne ha più ne metta. Che male c’era in Biancaneve e nella Barbie? Infinito, ma inesistente. 00 oltre che indeterminato è nulla indeterminato, anzi per sfottò è 1, nulla che tradisce sé stesso diventando cosa. Asimov, persino lui, si sbagliava: la Barbie non c’entra nulla con la sovrappopolazione. Quel Themyscira sembrava Black sheep pecore assassine quando gli animalisti liberano le pecore omicida e la Natura li tradisce. In un complesso di Elettra senza Agamennone, le madri, le matrone, le Giulia Patata (Giovanna Rapattoni) con il misticismo di Dreama (Lella Costa) erano loro le nemiche. Il genitore ribelle si merita una prole più ribelle di lui. Rinchiuse come prigioniere duplicate, dall’enorme satellite planetario dal look di Tantror, sfera di Anders pianeta artificiale che cinge un sole legato a un mondo di assorbenti artificiali in cui, come in un arca di Noè è custodita la natura della Terra a un mondo virtuale grande come uno schiaffo, in balia di quei nemici che pure i principi azzurri sconfiggono con notevole fatica, ma adesso senza di essi.

 

Forse quelle figlie, quelle Dita Liebely (Yumi Kakazu) sarebbero state meno ideologizzate, più in pace con il loro essere femmine-adesso semidee-con i loro diritti, su come rivendicarli e agirvi in politica augustea senza paranoia, libere di divertirsi con un videogioco senza fare i Mattia Balossino che, al posto di figure geometriche, vedono ovunque patriarcato, misoginia e altri lemma del (breve, come i taciturni secondo Bergonzoni) dizionario femminista. Le bambine sapevano che era tempo di fare gli addii. Ora i giochi sono finiti. Ma voi continuerete a potercelo permettere con voi no? Orga, adesso più forbita nell’interloquire, giurò che sarebbero sempre state con loro e per loro. Adesso basta virtualità: la foresta, illuminata da un tenue pomeriggio, non poteva contare solo sulla pazienza e poliedricità degli gnomi per essere rassettata. C’era bisogno di loro, di quelle principessine.

   
 
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantascienza / Vai alla pagina dell'autore: GirlDestroyer1988