Anime & Manga > Inuyasha
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Autore: moni93    14/06/2023    3 recensioni
[Prima storia della raccolta After Story su Inuyasha e Kagome]
Le battaglie sono finite, Naraku, l'eterno nemico, è stato sconfitto e la pace regna nel piccolo villaggio dove i nostri protagonisti vivono da anni. Non esistono più minacce ma, ogni notte, Inuyasha si sveglia in preda ad incubi terribili. Sono le visioni del suo passato che, ancora, non riesce ad accettare. Cerca così di risolvere il suo conflitto interiore da solo, come ha sempre fatto, ma stavolta ha una persona al suo fianco. Kagome, sua moglie, vorrebbe aiutarlo.
Riuscirà Inuyasha a tendere la mano verso colei che rappresenta per lui il sole? O le tenebre del suo animo lo condurranno ad un'agonia eterna?
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inuyasha, Kagome, Miroku, Sango | Coppie: Inuyasha/Kagome, Miroku/Sango
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Se al principio non mi trovi, insisti.

Se non sono in un posto, cerca in un altro.

Io mi fermo da qualche parte ad aspettarti…

(Walt Whitman)

 

 

 

Il destino di un demone

 

Thought I found a way

But you never go away

So I guess I gotta stay now

 

Fu come tornare a respirare dopo essere stati sul punto di affogare.

Inspirai dolorosamente, alla disperata ricerca di aria che potesse riempire i miei polmoni, eppure ero come pietrificato, schiavo del terrore che impediva al mio corpo di muoversi. Rimasi bloccato, i muscoli tesi, in procinto di provare una fitta lacerante. Inconsciamente, attesi.

Attesi e, ad ogni spasmodico respiro, pregai che quel dolore arrivasse presto, cosicché tutto potesse avere finalmente termine. Non sopportavo oltre ciò che avevo visto, la sensazione di impotenza che mi pervadeva fin dentro le viscere ogni volta che i suoi occhi si posavano sui miei, per poi chiudersi e svanire, dirigendosi in un luogo in cui non sarei mai più stato in grado di raggiungerla. Io non…

«Inuyasha?»

Sussultai, quasi fuggendo da quella voce che, gentile, cercava di raggiungermi. Ringraziai le tenebre che avvolgevano la nostra stanza e che mi impedivano di scorgere il volto di mia moglie. Perché in quel momento non avrei visto lei, ma un fantasma che mi perseguitava da secoli e che, probabilmente, non avrebbe mai smesso di farlo.

«Va tutto bene?»

Di nuovo quella nota acuta, di lieve timore, che caratterizzava ormai le nostre notti.

«Devo prendere un po’ d’aria.»

Non aggiunse altro. Kagome si voltò e finse di tornare a dormire. Avvertivo chiaramente lo sforzo del suo respiro, nel tentativo di apparire rilassato. Scorgevo la tensione dei suoi muscoli, irrigiditi dalla preoccupazione e dall’incapacità di comprendere.

Sapevo di ferirla in tal modo, ma in tutta la mia vita non ero mai stato capace di fare altro. Ferire tutte le donne che amavo, fino a quando… non le perdevo.

Scossi la testa mentre, ormai seduto, scrutavo nella penombra la sagoma della persona per me più importante. Un altro avrebbe pianto. Forse un essere umano sarebbe crollato, si sarebbe arreso alla tristezza ed avrebbe confessato ciò che lo affliggeva.

In fondo, non era quello che ci eravamo promessi? Non soltanto durante la cerimonia che ci aveva uniti agli occhi del mondo, ma molto prima, durante le lunghe battaglie condivise, mentre tutto ci crollava addosso. Tacitamente, in silenzioso accordo, come una lieve sinfonia tra anime legate dal destino, avevamo giurato di fidarci l’uno dell’altra. Per sempre.

«Smettila di voler fare sempre tutto da solo!»

Il ricordo giunse naturale, portato dolcemente dalla corrente della memoria. Mi aveva sgridato con quelle parole la prima volta che mi aveva visto trasformato in essere umano, mentre il suo viso veniva contorto da lacrime di rabbia e frustrazione. Non l’avevo mai vista piangere così, prima di allora. Nessuno si era mai interessato a me, perciò non compresi come quella ragazzina potesse permettersi di parlarmi a quel modo, come se mi potesse comprendere. O volesse almeno tentare.

Era una cosa inutile. Era semplicemente sbagliato.

«Non ti potevi fidare nemmeno di me?»

Il mio cuore distava troppo dalla sua mano.

«IO NON MI FIDO DI NESSUNO!»

E, per un istante, mi arresi a quel ricordo.

Tutto il dolore ed il rancore di quell’epoca mi avvolsero come un manto oscuro, sebbene sapessi che ciò non fosse vero. Non più. Io mi fidavo di Kagome, l’amavo, ma come potevo ammettere qualcosa che nemmeno io riuscivo ad accettare?

Potevo davvero caricarla ancora di un peso simile, proprio adesso che vivevamo finalmente in pace, senza più guerre e tormenti? Come potevo pretendere che accogliesse ancora questo lutto, che oramai sarebbe dovuto svanire da tempo?

Perché non riuscivo semplicemente a dimenticare?

Rimasi immobile, riempiendomi il petto di tenebre e rimorso.

Allungai una mano verso di lei, quasi inconsciamente.

Un gesto così banale, semplice. Sarebbe bastato così poco per raggiungerla. Volevo raggiungerla, farmi accogliere dal suo calore, essere rassicurato come un bambino. Allora perché non riuscivo a farlo?

Lei mi aveva sempre teso la sua mano, anche quando la rifiutavo, ripudiandola con parole rudi e riempiendo il suo cuore di piccole cicatrici. Graffi e morsi che laceravano lentamente l’animo di una persona, e che con i miei incubi avrei inesorabilmente riaperto.

No. Non volevo parlarne. Non con lei. Non ne ero capace. Da quando avevo cominciato ad avere quei sogni terribili, lei aveva tentato in ogni modo di farmi parlare, ma io non avevo mai ceduto. Testardo e idiota come un tempo, non ero nemmeno capace di spogliarmi di questa mia inutile aura di imperturbabilità. Così, lentamente, Kagome si era limitata a quelle due domande ed alla mia risposta, invariata da mesi.

Mi fermai, la mano a pochi centimetri da lei.

Sarebbe bastato così poco.

Mi parve di sentirla trattenere il respiro.

Forse lo feci anch’io, mentre mi allontanavo.

Quello era il mio fardello, non il suo. La mia colpa, che avrei espiato da solo in questa vita… l’unico modo in cui avrei potuto ricambiare tutto il male che avevo causato era con la mia esistenza, plasmata dal rimpianto e dal rancore.

 

Walking out of town

Something is on my mind

Always in my headspace

 

«Ti ricordi, Inuyasha?»

Sorrisi accoratamente a quel ricordo.

Io avrei sempre ricordato. Mi pareva che fosse l’unica cosa che fossi in grado di fare. Non ero forse fatto di tutte le esperienze maledette, di tutte le vite che avevo contaminato con la mia esistenza? Come avrei mai potuto dimenticare?

Al pari di tutte le altre tessere della mia lunga esistenza, il momento dell’addio con Kikyo bruciava costante nella mia mente. Cocente e dilaniante, come se avessi potuto stringerla ancora a me. Non importava dove andassi: per quanto mi allontanassi dal mondo, quel fantasma avrebbe per sempre albergato in me, come se un frammento della sua anima fosse rimasto incastonato nel mio cuore. Una scheggia affilata e inamovibile, per sempre sanguinante al centro del mio spirito. Un sussulto eterno ad ogni respiro.

Eppure sapevo che questo era ingiusto, tremendamente scorretto nei confronti di tutte le persone che amavo e che avevo incrociato lungo il mio cammino.

Perché Kikyo mi aveva perdonato e Kagome mi aveva accettato per quello che ero. Sango, Miroku, Shippo, l’intero villaggio, tutti mi avevano ormai accolto come uno di loro. Non era forse ciò che avevo sempre sognato? Appartenere a qualcosa, ad un luogo, un popolo… avere una vita come tutti gli altri. Essere semplicemente me stesso, senza più paure né vergogne. Avere finalmente una casa in cui far ritorno.

Tuttavia io… non riuscivo a perdonarmi.

Non riuscivo a sciogliere quella maledizione che mi faceva sanguinare l’animo, che mi martoriava la mente con ricordi tremendi come un supplizio senza fine. Qualcosa in me era cambiato proprio quando tutto pareva essere andato al suo esatto posto.

Naraku era sconfitto, la Sfera distrutta, Kikyo in pace. Persino Kagome era riuscita a tornare da me, dopo un tempo che mi era parso infinito.

Allora perché, perché proprio adesso che l’avevo al mio fianco, adesso che potevo chiamarla soltanto mia e di nessun altro, dovevo ferirla così strenuamente?

Era lacerante quel sentimento che cresceva in me di ora in ora, che non mi abbandonava mai, anche quando tentavo di ignorarlo o celarlo. Si insinuava nelle pieghe della mia mente e ne prendeva semplicemente possesso, fino ad intaccarmi il petto, rendendolo pesante e fragile al tempo stesso. Un castello di vetro pronto a crollare ad ogni alito di vento.

Avevo una casa in cui fare ritorno, eppure scappavo ogni notte.

Ero ridicolo, patetico e…

Mi fermai, osservando distrattamente la luce della luna. Non mi ero reso conto di quanto mi fossi allontanato, né della tensione del mio corpo. Respirai a fatica, non tanto per la stanchezza, quanto per la rabbia che mi montava dentro. Sembravo ormai capace di covare unicamente simili sentimenti. L’ennesimo lampo dei miei ricordi mi portò alla mente Naraku: era forse questo che lo aveva spinto alla follia ed infine a perdere tutto, persino la sua umanità ed il suo amore per Kikyo?

Ero davvero condannato a questo?

Dopo tutto quello che avevo affrontato, la pace non avrebbe dunque mai albergato in me? Che fosse la mia natura di demone a rendermi tanto spietato? O forse era il mio spirito umano, che mi costringeva a provare quel supplizio per espiare le mie colpe?

Era il mio sudicio sangue la causa di tutta questa agonia?

«Ricordi… avevi detto che avresti usato la Sfera per diventare umano e vivere al mio fianco. Ero così felice.»

Ancora mi detestavo.

Nonostante tutti gli anni trascorsi, non ero capace di accettarmi.

«L’avrei fatto.» sospirai, stringendo i pugni fino a farli sanguinare «L’avrei fatto, senza indugio. Avrei voluto fare tante cose con te… ma più di tutto avrei voluto salvarti!»

Gridai il mio dolore a quel cielo immobile ed insensibile.

Maledii chiunque: mio padre per avermi abbandonato, mia madre per avermi messo al mondo, Kikyo per essere morta e Kagome… per aver deciso di amarmi. Per avermi scelto nonostante non fossi altro che un mezzo-demone inutile e senza futuro.

Eccolo, il mio rimpianto.

Il mio peccato più grave.

Non ero capace di accettare che qualcuno potesse scegliermi perché sapevo che, presto, in un modo o nell’altro, mi avrebbe abbandonato. Lasciandomi solo, tradendomi, umiliandomi. Infrangendo l’ennesimo frammento del mio cuore spezzato.

E, nel fondo del mio animo sordido, ancora credevo di meritarlo.

 

Oh, I hope someday

I’ll make it out of here

Even if it takes all night

Or a hundred years

 

Fui di ritorno soltanto il mattino seguente. Da quando ero uscito, non ero più riuscito a chiudere occhio. Avevo corso, mi ero allenato prendendomela con alberi e piante indifese, avevo urlato e dato fiato a tutto il mio astio, ma il sonno non era mai giunto a farmi visita. Più mi sfogavo e più pareva crescere la mia inquietudine finché, esausto, non avevo fatto ritorno al villaggio ai primi raggi dell’alba.

Trovai Kagome intenta ad aiutare la vecchia Kaede a raccogliere erbe e boccioli, un rito antico divenuto ormai abitudine anche per lei. In quanto sacerdotessa, doveva creare unguenti e creme medicamentose, oltre che occuparsi della purificazione del villaggio e delle aree ad esso circostanti. Ultimamente la nostra gente se la passava piuttosto bene, considerando l’epoca di continue guerre e tumulti in cui versava il Paese, ma proprio per questo era costantemente necessario prepararsi al peggio. Provviste, medicinali, avevamo persino un piccolo rifugio al di là delle colline, in una grotta che Kouga ed il suo clan avevano reso disponibile per gli umani in caso di necessità.

I samurai e i demoni non si erano mai fatti problemi a spadroneggiare per le campagne, ma ultimamente si temevano molto più i primi dei secondi. Sembrava, anzi, che i demoni stessero lentamente diminuendo, forse a causa della distruzione della Sfera degli Shinkon. In fondo, non era nata essa stessa da un conflitto tra umani e demoni? Forse la sua sparizione non era altro che il presagio della fine di un’epoca: il tempo dei demoni e dei loro cacciatori stava giungendo al suo crepuscolo. Soltanto lo scorrere delle stagioni ci avrebbe svelato quale sarebbe stato il nostro destino, eppure non potevo fare a meno di chiedermi: davvero sarebbe finita così?

La voce di Kagome mi strappò da quelle riflessioni tetre e, temevo, presagio di una futura sventura. Sollevai il capo, chino in meditazione, e trovai il suo viso raggiante a pochi metri di distanza. In una mano stringeva una cesta già colma per metà di erbe, mentre l’altra veniva sventolata energicamente in segno di saluto.

«Inuyasha, vieni! Ci serviva giusto una mano a raccogliere alcune piante che si trovano oltre le colline.»

Rimasi per qualche istante immobile ad osservarla, cauto.

Sembrava… normale.

Non notai turbamenti nel suo sguardo, così come nel tono allegro della sua voce. Forse, si era semplicemente dimenticata di ciò che era accaduto. O si era arresa all’inevitabile: non poteva salvarmi.

Mi adeguai così alla sua recita, qualunque essa fosse.

«E perché mai vi servirei io? Le gambe ce le avete anche voi, mi sembra.»

«Ma che c’entra!» sbottò lei, portandosi le mani ai fianchi con fare perentorio «Se ci porti in groppa facciamo prima!»

«Che sono per te, un cavallo?» domandai, cominciando ad incupire la voce, già sull’orlo dell’isteria.

Non ero mai stato un campione nell’autocontrollo, men che meno dopo l’ennesima nottataccia trascorsa tra incubi ed insonnia. Cominciavo seriamente ad innervosirmi. Detestavo quando faceva così, sembrava una maestrina bisbetica ed infantile, mentre io mi sentivo lo stupido di cui tutti si facevano beffe.

«Non dire scemenze.» mi frenò subito lei, come a voler placare la mia ira crescente, soltanto per poi aggiungere con snervante perentorietà «I cavalli sono molto più docili e carini di te.»

«CHE COSA?!»

«Oh, insomma! Poche storie e portaci!»

Riluttante, finii per portare entrambe sulle spalle. Non che mi desse davvero fastidio la cosa; data la mia forza sovrumana trasportarle non mi causava alcuna fatica, però che diamine, non ero mica una bestia da soma!

Senza che me ne accorgessi, le ore trascorsero celeri, e una volta che finimmo tutti i nostri doveri quotidiani calò nuovamente la sera. Avevo avuto poco tempo per pensare, ma nei momenti in cui potevo osservare Kagome in tranquillità, mentre svolgeva le sue mansioni, non potevo che chiedermi se fosse davvero giusto tutto questo.

Lei stava davvero bene? L’avrei messa in pensiero anche quella notte o, semplicemente, mi avrebbe infine ignorato? Non sapevo nemmeno in cosa sperare. Sapevo solo che ogni attimo di quiete che vivevo in sua compagnia, lontano da casa, tornava d’improvviso prepotente a perseguitarmi come incubo, mascherato da pensiero insinuante. Come un serpente che strisciava nei meandri della mia mente, pronto a colpirmi col suo veleno quando meno me lo aspettassi.

«Inuyasha?»

Di nuovo, quel suono mi riebbe dalle mie elucubrazioni. Quasi non mi ero reso conto di star mangiando la nostra cena. Oramai ero un continuo vagare tra sogno e realtà.

«S-sì? Cosa c’è?» chiesi dapprima incerto e poi seccato.

Non volevo darle più pensieri di quanti già non le procurassi di notte.

Lei poggiò con delicatezza sul pavimento la sua ciotola, quasi intatta, come se temesse di spaventarmi. Il suo sguardo determinato, tuttavia, tradiva un barlume di timore che non potei ignorare. Deglutii a fatica, come se temessi quel breve silenzio che ci separava.

«Questo dovresti dirmelo tu.»

No. Non poteva davvero volerne parlare. Mi rifiutai categoricamente di darle corda, già pronto a sviare l’argomento o a zittirla in tono brusco, ma lei mi bloccò con i suoi profondi occhi castani, gli stessi di Kikyo… ciononostante così diversi.

«Inuyasha, cosa c’è che non va?»

Attese una risposta che sapeva non sarebbe giunta, sicché dopo breve proseguì.

«So bene che non ne vuoi parlare, ma non posso continuare ad ignorarti… non possiamo andare avanti così.»

Sussultai.

Cosa intendeva con quelle parole?

Ah… giusto.

Probabilmente, era arrivato il momento. Il punto di rottura era finalmente giunto. Anche lei… se ne sarebbe andata. Mi avrebbe lasciato in un mondo dove non avrei potuto raggiungerla, dove non voleva che io potessi ancora toccarla e ferirla.

Sospirò, ma la sua mano fu subito sulla mia, mentre si protendeva verso di me.

«Dopo tutto quello che abbiamo passato, ancora non ti fidi?»

Non potei parlare. Non trovavo le parole. O il coraggio. Ero come bloccato in un limbo, incapace di fare alcunché per fermare quella valanga di eventi che mi avrebbe investito. Eppure volevo soltanto che tutto si fermasse, che finisse.

Kagome chiuse gli occhi ed io avvertii la sua frustrazione attraverso il nostro legame. Era incredibile come potessi percepirla con così tanta forza, soltanto sfiorando la sua mano. E lei? Anche lei mi sentiva?

Feci per allontanarmi, ma lei mi strinse con maggiore forza.

«Inuyasha.»

Mi aspettai una strigliata, un gesto brusco e violento della mano, un addio, un urlo di esasperazione… invece ricevetti una carezza gentile. Nemmeno mi ero accorto di tremare.

«Cosa devo fare per farti capire che io non me ne vado?»

Non… non era possibile.

Come aveva fatto? Come poteva saperlo?

Quando aveva appreso che la mia inquietudine non era dovuta semplicemente al fatto che temessi di non essere perdonato, da Kikyo come da lei? Sapevo già di non poter essere graziato. Ciò che temevo davvero… era di perdere anche lei. Come era già accaduto in passato. E, dopo tutto quel tempo trascorso insieme come coppia, e non più come semplici compagni, l’idea si era fatta reale, tangibile. Insopportabile e dilaniante.

Non riuscii a reagire.

Potei soltanto farmi rassicurare da quella mano, così calda e sincera. Farmi avvolgere da quel velo leggero che si era creato tra di noi, che trasudava calore e affetto. Ad un tratto, dopo un tempo indefinibile, l’avvertii irrigidirsi.

«Insomma... comunque la si rigiri, è tutta colpa mia.»

«Eh?»

Finalmente mi permisi di aprire gli occhi.

Che cosa stava dicendo, adesso?

No, non era così… perché?

«Eppure, è così evidente… non ti dimostro a sufficienza il mio amore. O non lo faccio nel modo giusto.»

Ogni parola era una stilettata dritta al cuore. Sentii montare la rabbia. Ma che diavolo diceva, tutto ad un tratto?!

«Si vede che sono una pessima moglie.»

«Ma non è vero! Tu sei la migliore compagna che potessi desiderare!» mi alzai di scatto, colto da un impeto più forte di qualsiasi timore.

Quello no. Non avrei mai permesso a Kagome di sentirsi umiliata a causa mia. Ero io quello che si comportava da ragazzino sciocco e testardo. Io che la facevo preoccupare inutilmente, che mi rendevo ridicolo sia come uomo che come marito. Se non ero nemmeno capace di affrontare i fantasmi del mio passato, come potevo pretendere di proteggere la donna che amavo?

Fu allora che notai un tremore che la scosse, ma non per via delle lacrime.

«Maledetta strega…» mormorai digrignando i denti.

In un momento simile si metteva a fare la scema? Sul serio?!

«Oh, insomma! Eri talmente lagnoso! E poi te lo sei meritato, scemo!» disse lei ridacchiando, sebbene dal suo sguardo lessi un fondo di sincerità.

Probabilmente, una piccola parte di lei pensava davvero quelle cose, anche se aveva tentato di celarle con una risata. I suoi occhi, infatti, presero a lacrimare. Dissimulò la cosa con un gesto della mano, che però prese a tremare lievemente, insieme alla sua voce.

«Inuyasha… davvero non posso fare nulla per te? Perché non puoi semplicemente accettare che io voglia stare al tuo fianco?»

Ed allora accade.

Fu così facile distruggere quella distanza che ci separava. Fu questione di un momento. Prima ero solo con le mie paure ed ora stringevo a me il corpo tremante di Kagome.

«Io non ti voglio lasciare… non voglio. Perciò… non essere tu a farlo. Ti prego.»

Avevo temuto per così tanto quel confronto ma, ora che finalmente lo stavamo vivendo, tutto mi pareva così complicato ed insieme semplice. Sembrava davvero che si potesse risolvere tutto in quell’istante e, in una logica totalmente assurda, credevo anche che fosse per noi impossibile.

«Non ti voglio lasciare nemmeno io.»

Riuscii ad ammetterlo, infine.

«Però… non so se riuscirò davvero a…»

A fare cosa?

A vivere da umano pur essendo un mezzo-demone?

A renderla felice?

A sopportare il fatto che un giorno lei sarebbe invecchiata e morta, mentre io avrei vissuto ancora per secoli?

Da solo…

«Io… non voglio più restare da solo. Non voglio vivere in un mondo in cui tu non ci sei…»

 

Need a place to hide

But I can’t find one near

Wanna feel alive

Outside I can't fight my fear

 

Avevo combattuto così tante battaglie, vissuto al limite della morte così tante volte, ed ora temevo la quiete. Il lento ed inesorabile scorrere del tempo.

Lo sbocciare delle nuove stagioni ed il sopraggiungere dell’inverno della sua vita mortale. Tremavo all’idea del gelo che quella stagione avrebbe per sempre lasciato nel mio cuore e, piuttosto che viverla sulla mia pelle, preferivo fuggire.

Ma non potevo farlo, poiché per tutta la vita avevo cercato quel calore. Quel sole splendente che però, un giorno non troppo lontano, sarebbe tramontato per sempre.

«Io… posso davvero essere felice?»

Ecco la domanda, la sola ed unica domanda che contasse davvero per me e che non riuscivo a proferire ad alta voce. Tranne allora, avvolto tra le sue braccia ed il calore del suo corpo. Protetto dai raggi di quel sole nascente, bellissimo ed accecante.

 

Isn’t it lovely?

All alone

Heart made of glass

My mind of stone

 

«Tu non sarai mai più solo, Inuyasha.»

Tremai e scossi il capo, come un bimbo incapace di accettare le verità della vita. Ma lei continuò inesorabile, nonostante le lacrime bagnassero il suo giovane viso.

«Perché anche quando non ci sarò più, io veglierò sempre su di te.»

La strinsi con maggiore forza a quelle parole.

Non ci credevo. Non era possibile. Era semplicemente un modo stupido ed idiota per rabbonire i bambini. L’ennesima bugia a giustificazione di quel terribile tradimento. Ero stato ferito troppe volte, avevo vissuto così tanti abbandoni nel corso della mia esistenza, da non poter credere ad un simile miracolo. Era impossibile.

«Lo so che non mi credi.» disse lei, ricambiando con forza il mio abbraccio «Ma te lo prometto. E poi sai, Inuyasha... io vorrei tanto avere dei figli.»

Trattenni il fiato, nuovamente privo di parole.

«Non ne abbiamo mai parlato, eppure so quanto ti spaventi questa cosa. Non vuoi crescere un altro mezzo-demone… un bambino che non apparterrà a nessuno. Ma sarà nostro. Nostro, Inuyasha, perché non lo capisci? Non sarà solo… né lui, né tu… avrete sempre una famiglia che vi ama.»

«Kagome…»

Piansi il suo nome.

Ancora, e ancora, e ancora.

Fui patetico, ma lei fece lo stesso, stringendomi a sé con una forza di cui non la credevo capace. E siccome mi aveva detto questo, dato che aveva promesso di stare per sempre al mio fianco, io… come un idiota… le credetti.

E, finalmente, mi sembrò di riuscire di nuovo a respirare.

 

Tear me to pieces

Skin to bone

Hello, welcome home

 

«Inuyasha, ma insomma, non entri?!»

Ero proprio io: Inuyasha il mezzo-demone, il potente figlio di Inu no Taisho, uno degli eroi salvatori del mondo… paralizzato dalla paura come un poppante.

Beh, in effetti, il problema era proprio un lattante in procinto di giungere sulle soglie di questo mondo. Non credevo che potesse mai esistere evento tanto più spaventoso per un essere umano tanto quanto per un demone.

«Inuyasha.» stavolta fu Sango a chiamarmi, mentre stringeva tra le braccia il suo ultimogenito, che pareva perennemente sconsolato ed incapace di smettere di piangere «Non vuoi conoscere tuo figlio?»

Mandai giù a fatica un bolo di saliva.

Padre.

Ero diventato padre.

Per tutte le divinità del cielo e della terra, in confronto ammazzare orde di demoni assetati di sangue faceva meno paura. Avrei combattuto volentieri persino contro Sango, mentre rincorreva furente quel tonto di suo marito per l’ennesima occhiatina, ben poco celata, al sedere di qualche apprendista miko. O magari potevo fare un salto nella foresta sacra, così, tanto per assicurarmi per la centomillesima volta che nessun demone progettasse di attaccare il villaggio. Era una così bella serata, sarebbe stato un peccato non approfittarne per…

Ad un tratto Miroku smise di punzecchiarmi col suo bastone e mi fissò negli occhi serio. Fu solo un istante, un tacito messaggio tra amici, ma compresi immediatamente le sue parole silenti.

Non perderti questo miracolo per nulla al mondo.”

Nel mentre sua moglie mi osservava con un sorriso gentile, quasi materno.

Sarai perfetto, ne sono sicura” mi dicevano i suoi splendidi occhi scuri.

Non c’era più via di scampo, a quanto pareva. Mi venne quasi da sorridere.

«Kagome ti aspetta.» sussurrò appena Sango, il bambino ormai calmo tra le sue braccia esperte.

Una scossa mi pervase le membra e mi fece finalmente muovere.

Allungai una mano verso la porta e, dopo tanti affanni ed infinito girovagare, mi sentii pronto.

Ero finalmente a casa.

 

Hello,

Welcome home

(Billie Eilish feat Khalid – Lovely)

 

   
 
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