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Autore: Fiore di Giada    15/06/2023    0 recensioni
− Non posso garantirle nulla. – dichiarò, secco.
Evan scosse la testa. Quelle parole, per quanto ruvide, donavano un mutamento nel cuore del suo interlocutore.
Aveva veduto la sua sincera volontà di redenzione.
Con un gesto solenne, Shaban salutò il monarca, girò le spalle e si allontanò.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La luce di due torce, collocate alle pareti, illuminava la sala del trono d’un vivo riflesso dorato.
L’ambiente, di forma rettangolare, era piuttosto ampio e il pavimento era ricoperto da un tappeto viola, adorno di frange nere.
Anche le pareti laterali erano ricoperte di stoffe viola, mentre il soffitto era stato dipinto di nero.
Sul fondo, appoggiati ad un gradino di marmo, c’erano due troni dorati, circondati da ornamenti a forma di voluta.
Un uomo alto e robusto, avvolto in un ampio mantello color rosso sangue, era seduto sul seggio di destra.
I capelli biondi scendevano sulle sue spalle e gli occhi, d’un verde intenso, risaltavano sul suo viso dai lineamenti virili, simile ad una statua.
Una collana d’oro, terminante in una acquamarina tagliata a rettangolo, cingeva il suo collo robusto, mentre un anello d’oro, su cui era stata montata un’ametista, scintillava sul suo dito indice destro.
Di tanto in tanto l’uomo, con un gesto quasi meccanico, toccava la collana, mentre lacrime silenziose bagnavano il suo viso.
− Che cosa succederà? – si domandò ad un tratto.
Le parole, per alcuni istanti, rimbombarono, prima di spegnersi nel silenzio.
 
Ad un tratto, l’ingresso della sala, con un lugubre cigolio, si aprì e un uomo alto e robusto entrò.
Lunghe trecce di capelli neri ricadevano sulle sue spalle imponenti e la sua pelle era d’un nero intenso, simile all’ebano.
Sul suo viso, dai lineamenti decisi, spiccavano gli occhi ambrati, dal taglio allungato, simili a quelli dei felini.
Una lunga tunica rossa copriva il suo corpo, fin quasi alle cosce, mentre i polpacci erano fasciati da pantaloni neri.
Fissò per alcuni istanti lo sguardo sull’uomo seduto sul trono, poi piegò il ginocchio e si inchinò.
− Re Evan. – scandì, con voce monocorde.
Questi, sentendosi chiamare, corrugò la fronte. Riconosceva la pelle scura di quell’uomo.
La sua patria era Amarsia.
Suo figlio Roran, nei suoi  anni di peregrinazioni, aveva trovato rifugio in quelle terre selvagge?
 
Una risata aspra, come un lamento, risuonò sulle labbra dell’uomo.
− Anche Roran era molto diffidente verso di noi. Ora, però, siamo diventati amici. E io, Shaban di Amarsia, sono felice di averlo conosciuto. – affermò, risoluto. 
Evan scosse la testa e tacque. Avvertiva odio nelle ultime parole di quel gigante.
Perché era stato mandato lì?
Un brivido gelido percorse la sua schiena, come una frustata. Forse, era stato mandato a parlargli di quel suo figlio sfortunato.
− Puoi parlarmi di lui? – azzardò. Morrigan e suo fratello Erwen erano stati sconfitti ed erano stati condannati alla Prigione dell’Abisso.
Ma tale combattimento era stato arduo e Roran era stato ferito.
Cosa devo fare?, si chiese Shaban, amaro. Gli occhi di Evan erano lucidi di lacrime.
Ma lui, pur essendo suo padre, non aveva esitato a condannare a morte suo figlio, senza porsi alcuna domanda.
Un sorriso amaro sollevò le sue labbra. Tra Amarsia e Namida si stagliava un muro di incomprensioni.
Eppure Roran era riuscito ad andare oltre i suoi pregiudizi e, tra loro, era nato e cresciuto un legame forte.
Strinse il pugno, mentre le lacrime tremarono nei suoi occhi. Perché doveva parlare a quell’uomo di un figlio condannato, senza alcuna prova?
− Fosse per me, non farei avvicinare nessuno di voi a Roran… Merita di passare i suoi ultimi giorni con persone che hanno creduto in lui. − iniziò Shaban, la voce forzatamente calma.
A quelle parole, Evan sbarrò gli occhi e boccheggiò, come un pesce appena pescato. Ultimi giorni?
Nemmeno Kaidan poteva salvarlo?
Vedendo l’espressione sgomenta del monarca, il gigante accennò ad un amaro sorriso.
− Sì… Il sole sorgerà e tramonterà per nove volte, prima che la sua agonia si concluda. Kaidan può solo contenere le sue atroci sofferenze… − cominciò.
Di scatto, reclinò la testa verso destra e i lunghi capelli neri coprirono il suo viso. Quell’uomo, che pure era il padre del suo amico, non doveva vedere il suo dolore.
Col suo solo sguardo, contaminava la sacralità della sua pena.
Nove giorni di dolore sempre crescente…, pensò Evan, gli occhi sbarrati dallo sgomento. Suo figlio era costretto a sopportare una pena tanto crudele…
Zanna d’Ombra, unita al sangue di Morrigan, lo aveva condannato ad una tragica fine.
 
Si passò una mano sugli occhi, sopraffatto dalla disperazione. Aveva perduto non uno, ma due figli.
Lui e sua moglie raccoglievano il frutto delle loro scelte scriteriate.
Di scatto, alzò la testa e fissò lo sguardo sul gigante.
− Alzatevi. – gli ingiunse, la voce incrinata dall’amarezza.
Stupito, il guerriero di Amarsia si alzò da terra.
Il re si alzò dal trono, scese i gradini e si avvicinò all’altro.
Poi, con un gesto fluido, solenne, si sfilò la collana e la pose al collo di Shaban.
− Perché un simile regalo? – chiese, stupito. Non comprendeva una simile generosità.
Il re non lo ascoltò e si tolse l’anello.
− Mia moglie non è riuscita ad essere qui, perché è sconvolta dal dolore e dal rimorso. Non giudicarla, se non riesce ad affrontarvi. – si scusò il re.
Shaban emise un breve sospiro.
− Vedi, se puoi dona questa collana a Roran. Mi addolora dirlo, ma noi non meritiamo il suo perdono. – confessò. Le parole, in quel momento, erano fuggite e lui aveva dovuto ricostruire la realtà.
− A cosa servono? – chiese Shaban, sospettoso. Gli sembravano bei monili, ma privi di caratteristiche insolite.
Perché Evan li riteneva tanto importanti?
− Io volevo chiedere a mio figlio perdono per il dolore che l’ho costretto a subire… Ma non si può imporre la propria presenza. – dichiarò.
Un lieve sospiro fuggì dalle sue labbra e il re si passò una mano tra i lunghi capelli.
− Quella è la Collana dell’Odio. Mio padre la donò a me e io ora la consegno a mio figlio. Lui… Indossandola, io ho giurato di odiare Roran per un omicidio che non ha mai commesso…  Se lui vorrà, potrà distruggerla. Ma non è obbligato a un simile passo. – spiegò.
E’ davvero disposto a sopportare il peso dell’odio di suo figlio?, si chiese Shaban, stupito. Evan, annebbiato dal suo orgoglio, aveva preteso il sangue di Roran.
In quell’omicidio, vedeva la vendetta per la morte di Aidan.
E, in quel momento, senza alcuna affettazione, dava a suo figlio la facoltà di rivalersi per le tante, troppe sofferenze patite?
 
Poi, il re si tolse l’anello e lo diede al colosso.
Shaban si rigirò l’ametista e la fissò, stupito. I riflessi viola di quella gemma attiravano la sua attenzione.
Nelle terre di Amarsia, quel colore era un simbolo di sventura.
Perché aveva ricevuto un tale dono? Era un congedo funebre?
Evan, vedendo l’interesse dell’altro, accennò ad un sorriso.
− Questo anello è stato benedetto da una magia di protezione. Fu Kaidan a donarmelo, quando eravamo giovani e ingenui. Ora… Ora io lo dono a lui. –
Si interruppe e si passò una mano sugli occhi, umidi di lacrime.
− A causa mia… Kaidan ha sopportato le torture di Morrigan. Lui non ha mai ostentato il suo dolore, ma il suo corpo patisce ancora. Non posso salvare mio figlio, ma posso aiutare chi conterrà le sue pene. – affermò.
Shaban, per alcuni istanti, osservò i monili e se li rigirò tra le dita. Poteva sentire il potere di quelle gemme pervadere la sua pelle.
Era così mutato l’animo del re?
− Non posso garantirle nulla. – dichiarò, secco.
Evan scosse la testa. Quelle parole, per quanto ruvide, denotavano un mutamento nel cuore del suo interlocutore.
Aveva veduto la sua sincera volontà di redenzione.
Con un gesto solenne, Shaban salutò il monarca, girò le spalle e si allontanò.
   
 
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