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Autore: Red_Coat    27/06/2023    0 recensioni
"Per tutto questo tempo ho passato ogni singolo giorno della mia vita cercando un modo per riunirmi alla mia famiglia. Per riavere mia madre e mio padre, e dire loro quanto mi siano mancati. Ho speso tutto quello che avevo ... pur di poterli salutare un'ultima volta.
Se sono arrabbiata?? Si. Decisamente. Mi fa rabbia che anche il più grande potere del mondo non sia in grado di far nulla per aiutarmi!"
Emilie Gold è l'unica figlia femmina del Signore Oscuro e della sua amata Belle. Cresciuta nell'amore, curiosa come sua madre e abile nella magia come suo padre, ben presto si renderà conto di quanto il tempo possa essere paziente medico e al contempo spietato nemico. E nel tentativo di rendere possibile l'impossibile, scoprirà quanto il prezzo della magia possa essere alto, e quanto il Maestro tempo possa realmente cambiare anche il più oscuro dei cuori.
(coppie: SwanFire; RumBelle. Questa storia è una rivisitazione degli eventi della serie, potrebbero esserci spoiler così come potrebbero esserci coppie canon mai nate o fatti importanti della trama mai accaduti. Il punto di partenza dalla fine della terza stagione.)
Genere: Angst, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Baelfire, Belle, Emma Swan, Signor Gold/Tremotino
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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NdA: La soundtrack consigliata per la lettura di questo capitolo è Darkside di Neoni

 
Episodio XVI – Il volto dell'oscurità


Passato,
Pendici del monte Olimpo,
Caverna di Kronos.

 
«Kronos, Dio del tempo e vassallo degli Dei, se sai chi sono sai anche cosa voglio da te.»
 
Con voce ferma e un coraggio quasi innaturale per una ragazza come lei, minuta e all'apparenza fragile, Emilie Gold sfoderò la spada e la impugnò alzandola verso di lui.
La lunga lama scintillò sinistra, colpita dalla luce delle torce che proiettavano le loro ombre sulle pareti di rocce.
Quella di Emilie, proprio di fronte a quella del dio, sembrava quasi più grande di lui.
 
«Consegnamelo, e avrai salva la vita!» dichiarò determinata, infiammata dal calore del fuoco divampante della vittoria.
 
Il Dio sorrise, benevolo, ma anche intenerito, osservando prima lei, poi gli sguardi impietriti dei suoi accompagnatori.
 
«So chi sei, Emilie Gold.» continuò «E so cosa ti ha portato qui. Io vedo tutto, ogni cosa del passato e del futuro della tua famiglia mi è chiara perché a me è stato comandato di fissare i giorni e stabilire i modi e i tempi.
Nulla accade senza che io ne sia al corrente, nessuna foglia cade senza che io lo abbia deciso. Per questo so che non potrò oppormi al volere degli Dei, oggi.»
 
Quindi alzò un braccio, molto lentamente per evitare che la sua enorme stazza provocasse un terremoto o ferisse i suoi ospiti, e con un gesto indicò l'enorme libro posto sull'enorme scrittoio proprio a pochi passi da lui, ma a molti metri da loro.
 
«Quindi lascia che ti dia un ultimo consiglio, prima che il mio fato si compia. Niente può cambiare ciò che è già stato.»
 
Emilie, che fino a quel momento era rimasta ad ascoltare in rispettoso silenzio, sogghignò.
"Lo vedremo..." pensò, e stava per ripeterlo ad alta voce quando il gigante tornò ad avvertirla.
 
«Il tempo, proprio come ogni altra cosa sotto questo cielo, ha le sue regole, che non possono essere sovvertite. Se vorrai farlo, ti scontrerai con la sua realtà e ti accorgerai ben presto che non è dissimile dallo spazio in cui tutto si muove, fatto di punti fissi da attraversare obbligatoriamente per poter raggiungere la tua meta. Quando ti ritroverai faccia a faccia con essi, l'unica cosa che potrai fare sarà accettarli e guidare la tua nave attraverso la tempesta, sapendo bene che finirà.
Ricordalo, Emilie Gold: i punti fissi nel tempo sono come le costellazioni nel cielo notturno. Sono una guida, non un ostacolo. Non cercare di contrastarli, ti ferirai e i tuoi piani falliranno.
Piuttosto cogline i segni, e il tuo destino si compirà proprio come il tuo cuore spera.»
 
Ci fu un istante di silenzio in cui si scrutarono con la massima attenzione. Un brivido percorse la schiena di William Scarlett e della ragazza con cui aveva stipulato quello che ora come ora sembrava un accordo non più tanto vantaggioso per lui.
Ma se per il Fante si trattava di paura, il brivido che sconvolse Emilie fu l'ebrezza di sapere che, ancora una volta, aveva avuto ragione.
Cambiare il futuro, quello era il suo destino; le parole di Kronos glielo avevano appena confermato. Ecco perché nel futuro dal quale proveniva Kronos era già morto. Era stata lei a ucciderlo, e sarebbe successo quell'oggi.
Sogghignò.
 
«Grazie per le tue sagge parole.» disse, continuando a impugnare la spada contro di lui «Quindi è a te che devo dare la colpa delle sfortune che hanno colpito mio padre e la mia famiglia» lo sfidò caparbia.
 
Un guizzo balenò negli occhi della divinità, sembrava divertita e quasi ammirata dal coraggio di quella mortale, che ignorandolo proseguì
 
«Hai detto che nulla accade senza che tu lo abbia deciso. Ma vedi, a differenza di mio padre che credeva in un fato prestabilito, io ho fatto mie le parole di mia madre... Nessuno a parte me può decidere il mio destino.»
 
L'ultimo avvertimento. I suoi occhi brillarono trionfanti mentre Kronos sorrideva.
 
«Se è così…» replicò calmo, iniziando ad alzarsi.
 
La stanza tremò quando pose il primo piede a terra, e al secondo per poco il gruppo non cadde di nuovo in ginocchio
 
«Allora vieni a scrivere il tuo futuro, Emilie Gold.» la invitò.
 
E mentre lo diceva, iniziò a rimpicciolirsi fino a diventare alto appena un paio di metri più di lei.
Finalmente faccia a faccia, si fronteggiarono ancora per un altro singolo istante in silenzio.
 
«Con molto piacere.» mormorò infine la giovane Gold, e con uno scatto si avventò su di lui scagliando il primo colpo.
 
Andò a vuoto. Nonostante la stazza e l'evidente disparità di forze, l'aver accettato il suo destino non sembrava averlo convinto a rendere le cose facili ai suoi assalitori.
Era agile, e sfruttò quel vantaggio per difendersi e parare la maggior parte dei colpi e delle frecce che la retroguardia, composta da Ewan, Mulan e William Scarlett.
Non fu una sorpresa, per nessuno di loro. Una delle cose che Emilie aveva imparato da suo padre era conoscere bene il nemico prima di affrontarlo, e per assicurarsi di essere adeguatamente supportata aveva messo anche loro al corrente delle questioni principali.
 
«Kronos è il dio del tempo…» li aveva avvertiti «E come tale lo governa. Può manipolarlo, fermarlo, e tutto ciò che vi viene in mente. Inoltre è un ciclope, e il suo occhio gli permette di vedere non solo chi siete, ma anche chi siete stati. Tuttavia, non ha altri poteri se non questi. Nient'altro, se non la preveggenza e un occhio un po' troppo impertinente. Può conoscere le vostre debolezze, i vostri punti deboli, saprà se avete paura o se siete feriti, ma non userà la magia per attaccarvi, solo la sua agilità e la sua forza da semidio. Ricordate che sono stati gli dei a sceglierlo per questo ingrato compito da custode. E ora, a quanto pare, lo hanno abbandonato, quindi non è che un semplice mortale, come noi altri. Per batterlo dovremo essere compatti e decisi, come un sol uomo. Nessuna esitazione, nessun momento di stallo. Non lasciamogli il tempo di pensare o studiarci, miriamo all'obbiettivo e colpiamolo nel minor tempo possibile. Se inizieremo a stancarci, lui avrà vinto.»
 
Memori di quelle parole e spronati dalle esortazioni di Emilie e dal suo coraggio indomito, i tre riuscirono nel loro intento, e quando una delle frecce intrise di Rubus Noctis colpì l'unico occhio del Dio, la giovane Gold ne approfittò per portarsi dietro di lui e trafiggerlo con la lama avvelenata della sua spada.
Il gigante cadde in ginocchio, gemendo. Una luce cristallina si propagò dal suo occhio ferito, e un miracolo accadde.
La catena d'oro che lo legava il medaglione scomparve e il pesante ninnolo cadde a terra, tintinnando pesantemente. Gli occhi di Emilie brillarono.
Estrasse di colpo la spada, e nell'istante in cui lo fece il ciclope cadde con la faccia a terra, dissolvendosi in un nugolo di argenteo pulviscolo.
Lì dove prima regnava il caos e il rumore della battaglia, d'improvviso si fece pace e silenzio.
Tutti gli occhi si puntarono su di lei, che trattenne il fiato fissando incredula l'oggetto ai suoi piedi.
"Ce l'ho... fatta?"
Guardò la sua spada, poi il punto in ciclope era scomparso e infine, lentamente e con gesti calibrati, si chinò, allungando le mani verso il prezioso tesoro.
Non appena le sue dita riuscirono a stringerlo, la catena d'oro riapparve, e la pupilla azzurra tornò a fissarla. L'ennesimo brivido percorse la sua spina dorsale.
"Ce l'ho fatta!"
L'opale al centro dell'anello che portava al dito ricominciò a brillare, e finalmente la realtà assunse contorni definiti.
 
«Ce l'ho fatta, papa.» mormorò fissando quella luce cristallina, poi scoppiò in un pianto liberatorio, sprofondando il viso nelle mani mentre i suoi compagni, sciolti dalla tensione del momento, accorrevano ad abbracciarla e sostenerla.

"L'occhio di Kronos è mio! Da adesso in poi, nessuno potrà mettersi tra noi e il nostro lieto fine, papa. Nessun destino oserà di nuovo arrivare a tanto!"
 
***
 
Quella sera per volere di Robin Hood nell'accampamento si tenne una grande festa, con canti, balli, musica e tutto l'alcool che riuscirono a reperire, in onore di Emilie Gold e dell'indomito coraggio e della sua fine astuzia, che avevano permesso a lei di portare a termine con successo la sua missione, e a loro di diventare possessori del più grande tesoro mai visto, fatto di monete d'oro, gioielli e pietre preziose così grandi da stare a fatica in una mano. Nascosto in un anfratto della caverna che, a giudicare dalla puzza, dalle varie ossa carbonizzate e dalle varie chiazze scure sulle pareti, era stato l'antro del drago, ora più docile e completamente cieco senza il suo padrone a controllarlo, erano serviti parecchi sacchi e diversi uomini per riuscire a trasportarlo tutto.
Adesso, avvolti dalla notte, gli uomini valorosi di quella spedizione, inclusi Will Scarlett e Mulan, danzavano e ridevano a ritmo di una ballata, inebriandosi con del buon idromele.
Perfino Robin Hood, condividendo la gioia era immerso in una danza quasi febbrile, ma in quel disordine allegro c'era invece qualcuno che non riusciva a sorridere.
Emilie Gold, seduta in disparte su un masso, stringeva in una mano la conchiglia che conteneva i ricordi della sua famiglia, e nell'altra il medaglione appena conquistato. La pupilla era tornata ad essere fatta di zaffiro, la fissava come se stesse aspettando una sua decisione. Era così semplice, così facile.
Il prossimo passo era salutare, prendere ciò che era necessario e iniziare il viaggio sulle orme di Tremotino.
Tuttavia... alzò lo sguardo, e fissò il giovane arciere che danzava vicino alle fiamme con un sorriso sincero, ricordando le sue parole e quel bacio, quell'atto di coraggio che lo aveva spinto a rischiare la sua vita per permetterle di superare l'ultimo ostacolo ed entrare al cospetto di Kronos. Coraggio... Era stato solo questo a spingerlo? E cos'era quell'esitazione ora, quel peso sul petto alla sola idea di doversene separare?
Come richiamato da quei pensieri, lui si voltò a guardarla e proprio allora, spaventata, lei abbassò il fiato, stringendo il medaglione e chiudendo gli occhi.
"Non posso..." pensò, cercando di convincersene "Papa... non posso. Devo realizzare il nostro lieto fine. Devo riportarvi da me. Ci riuscirò, in un modo o nell'altro. Devo seguire il mio destino, proprio come mi hai detto tu."
Ma l'anello scintillò di una luce viva, e la voce di Tremotino tornò da lei.
 
«Non restare nel passato, Principessa. Non permettere al passato di portarti via il futuro.»
 
Scosse il capo, le labbra deformare in una smorfia di dolore. "Il mio futuro siete voi. Tu e la mamma. Gideon. Insieme. Non lascerò a nessuno l'occasione di portarmela via. Nessuno!  Neanche..." al mio vero amore. Lo aveva capito subito, ma ora il cuore era diviso, e lei sapeva bene perché. In ogni storia c'era sempre un eroe e un villain, nella sua lei era l'eroina indomita e il suo nemico... era sé stessa.
La sua più grande debolezza, l'unica cosa che poteva fermarla era la magia più potente di tutte. Ewan, il vero amore.
 
«Emilie…»
 
Un brivido la riscosse. Riaprì gli occhi, e vide i suoi che la fissavano, pieni di quel sentimento che all'improvviso la terrorizzò.
"Devo lasciarlo andare. Deve andarsene, oggi."
Risoluta, ma col cuore in pezzi. Una lacrima le sfuggì apparendo sulla sua guancia e scintillando della luce arancio acceso del falò poco lontano. Quello fu il segno. Anche lui l'aveva capito.
Si fece serio, triste.
 
«Quando partirai?»
 
L'ennesimo colpo al cuore.
 
-Stasera. Dopo la festa.- disse atona, voltando la faccia dalla parte opposta.
 
"Non dirlo, ti prego."
 
«Lascia che venga con te.»
 
Il cuore si fermò, e il passato si mescolò al presente. Rivide lei con suo padre, servitrice fedele, figlia devota, proporgli quel viaggio, l'ultimo, che li avrebbe divisi e uniti per sempre.
Represse un altro singhiozzo, scosse il capo, poi seppellì il dolore dietro una maschera di cera e replicò, dura.
 
-Non puoi. Non devi. Il tuo posto è qui, la tua epoca è qui.-
 
Un sorriso colorò appena le labbra del giovane Ewan. Entrambi sapevano bene che non era vero.
 
«Milly...» provò a replicare con dolcezza, prendendole le mani.
 
Ma lei si sottrasse a quelle carezze, si alzò e voltandole le spalle replicò, dura come la roccia.
 
«Tu sei la mia debolezza. E non posso averne se voglio andare fino in fondo. E io voglio andare fino in fondo.»
 
Quindi si alzò, e voltandogli le spalle concluse, prima di ritirarsi nella sua tenda.
 
«Per favore. Se mi ami davvero come dici … non seguirmi.»
 
***
 
Non le obbedì, non come lei avrebbe voluto. La lasciò andare, concedendole di trascorrere gli ultimi momenti da sola e rispettando il suo silenzio, ma quando i rumori della festa tacquero e venne davvero l'ora di salutarsi, accanto al falò ormai spento ad attenderla non c'era solo Robin Hood.
Ewan e William Scarlett se ne stavano pazienti accanto a lui, e non appena lo vide Emilie trattenne il fiato, lanciandogli un ultimo, rapido sguardo torvo per poi tornare a ignorarlo. Lo fece per tutto il resto del tempo, fino a che non fu l'ora dei saluti.
La accompagnarono nel luogo prestabilito, al limitare della foresta, dove nessun altro li avrebbe visti o seguiti. Il primo a salutarla con una salda stretta di mano e un abbraccio fu proprio Hood, al quale la ragazza rivolse un sorriso grato e sincero.
 
«È stato un vero onore combattere al tuo fianco, Emilie Gold.» le disse «Non so se succederà, ma spero di rincontrarti un giorno. E spero che ciò che hai fatto oggi non sia stato vano. Avrai il lieto fine che cerchi, ne sono certo.»
 
Quasi senza riuscire a trattenersi, William Scarlet rivolse una rapida occhiata ad Ewan, che continuava a fissarla con gli occhi lucidi. Lei si sforzò di non vedere nessuno dei due, neanche quando Hood, passando al fante, gli raccomandò.
 
«Non sei stato un arciere malvagio, cugino. Ma avresti potuto fare di meglio.» lo schernì scherzoso, scoccandogli un occhiolino.
 
Scarlett ridacchiò nervoso, stringendogli la mano.
 
«Ti sei assunto un grosso onere. Proteggila a costo della tua vita.»
 
Will annuì, fingendo di non vedere il lieve ghigno sul volto della sua nuova "partner" e le lacrime negli occhi stanchi di Ewan. Loro non lo sapevano, ma poche ore prima era stato lui a rivolgergli quelle stesse parole.
 
«So che partirai con lei.» gli aveva detto «Ti prego, proteggila a costo della tua vita.»
 
In quel caso, lui aveva sbruffato alzando gli occhi al cielo.
 
«Oh, per tutti i diavoli! Vieni con noi!» gli aveva risposto «È chiaro a tutti come il sole che voi due vi piacete! Magari è il tuo vero amore, e io ho già perso il mio! Non voglio proteggere la tua fidanzata. L'unico motivo per cui ho accettato questo viaggio è perché l'occhio di Kronos mi serve!»
 
In quell'occasione, Ewan si era limitato a sorridere, annuendo bonariamente e appoggiandogli una mano sulla spalla.
 
«Lo so.» gli aveva risposto «Per questo te la sto affidando. Tu sai cosa si prova. Con lei ti lascio in custodia il mio cuore.»
 
Poi se n'era andato, e ora era arrivato il momento di dirsi addio e rinnovare quelle promesse.
 
«Ci proverò.» disse, inchinandosi ad entrambi.
 
Stavolta, Emilie non poté ignorarlo.
 
«Non sarà necessario.» replicò fredda, poi tornò a parlare a Robin «Ho imparato molto stando al tuo fianco, Robin Hood. Ti devo molto. Non dimenticherò tutto quello che mi hai insegnato, e quello che hai rischiato per me. Ci rivedremo, in un altro tempo. E allora pagherò il mio debito.» concluse, profondamente grata.
 
Si abbracciarono, stringendosi forte come due vecchi amici che si dicono addio, poi Emilie fece segno a Will di seguirlo e fece per andarsene, ma Ewan ruppe finalmente il silenzio e le afferrò un braccio.
 
«Aspetta!»
 
Si bloccò, tremante, e lentamente, ad occhi sgranati si voltò a guardarlo. Lui, occhi lucidi e un sorriso sincero sulle labbra rosee, la lasciò andare e si tolse dal collo un piccolo ciondolo, la punta di una freccia legata ad uno spago.
 
«Tuo padre dice che i pegni d'amore sono tra gli amuleti più potenti.» le disse, e nel sentirlo parlare a quel modo un nodo le si legò di nuovo in gola.
 
Lottò per non scoppiare in lacrime mentre, con una delicatezza quasi solenne, lui gliela faceva indossare. Era macchiata di sangue.
 
«È la freccia che ha trafitto l'occhio di Kronos.» le rivelò, arrossendo e schermendosi mentre aggiungeva «Era la mia.»
 
Un fremito più forte degli altri. Senza più riuscire a trattenersi, Emilie cedette alla tentazione e lo baciò, appassionatamente, senza preavviso, stringendolo forte e lasciandosi stringere come se quello fosse l'ultimo bacio della loro vita. Durò a lungo, talmente tanto da costringere Robin e Will ad abbassare gli sguardi con un sorriso e fare qualche passo indietro.
Quando finì, affannata, specchiandosi nei suoi occhi Emilie si accorse di star piangendo.
 
«Ti avevo detto di lasciarmi andare, Ewan.» piagnucolò, sottovoce «Perché non l'hai fatto? Ora non potremo più tornare indietro.»
 
Lui sorrise, sfiorandole di nuovo le labbra con le sue e stringendola forte a sé, protettivo.
 
«Non voglio tornare indietro.» le rispose «Non lo farò, mai.» promise, poi vedendola aprirsi in un sorriso commosso aggiunse devoto «Va' da tuo padre, Emilie. Combatti per il tuo lieto fine. Ti aspetterò, dovessi farlo per tutta una vita. Sarò qui quando tornerai. Perché ti amo …»
 
Poi la lasciò andare, ma prima che lo facesse lei lo coinvolse in un ultimo, intenso bacio, concludendo in un sospiro, mentre le loro labbra continuavano a cercarsi.
 
«Non farlo, ti prego. Ti amo anch'io …»
 
***

 
Heroes and Villains
Capitolo XXX
 
Sola nell'immensa Biblioteca, unica stanza del Castello che le trasmettesse ancora un briciolo di malinconica sicurezza, Belle si fermò di fronte ad uno degli enormi finestroni che la illuminavano e prese tra le mani la rosa che portava tra i capelli.
Amorevolmente adagiata su un palmo, con le dita iniziò a sfiorarne i petali di velluto, trasognata, gli occhi lucidi, mentre i ricordi si facevano strada e irrompevano a scacciare quella realtà fittizia in cui era stata per troppo tempo intrappolata.
Era stato un processo improvviso. Subito dopo aver ricevuto in dono quel fiore, una sensazione di déjà-vu le aveva riportato alla mente prima la sua famiglia d'origine, il suo passato a corte, poi gli anni trascorsi assieme alla Bestia nel Castello Oscuro, e d'improvviso si era sentita mancare, ma aveva cercato di non darlo a vedere.
Aveva aspettato di essere sola per sgattaiolare in quella stanza e trovarla esattamente come la ricordava, e ora finalmente la vera Belle riemerse, con i suoi dubbi e le poche, condivisibili certezze.
Un groppo le si legò in gola.
"Ingannata. Di nuovo …"
Non riuscì a non pensarlo, perché tutte le prove convergevano su quella schiacciante verità. E cosa ancora peggiore, non era stato solo Tremotino a ingannarla, ma anche la loro unica figlia.
"Lo ha insegnato anche a lei …" chiuse gli occhi, lasciando che qualche lacrima calda le sfuggisse dalle ciglia e inspirando a grandi sorsi il profumo intenso della rosa. Un dolore intangibile le trafisse il cuore. "Quando finirà? Quand'è che il mostro tornerà a essere un umano?"
"Mai!" le suggerì l'inconscio tradito. E stavolta, nonostante tutti i buoni proposito, non riuscì proprio a dargli alcun torto.
 
***
 
La stanza era in disordine, immersa in un caos che rendeva quasi irriconoscibili i dettagli. C'erano vestiti e accessori di vario genere abbandonati sul letto e dentro due enormi valigie, e fogli e pergamene sparsi sul pavimento, sulla scrivania e su qualsiasi altro spazio utile. Emilie Gold, con indosso il suo completo di pelle nera e i soliti stivali, era intenta a ispezionare con molta attenzione l'ampia e ben fornita dispensa alchemica situata dietro la scrivania.
Prendeva tra le mani una boccetta o un sacchetto, ne leggeva con attenzione l'etichetta, se la rigirava con aria crucciata tra le dita e poi la rimetteva a posto o la accomodava nel piccolo borsone di cuoio che già ospitava un piccolo mortaio in oro e diversi sacchetti e boccette, alcune vuote, altre piene di strani liquidi o di pozioni pronte all'uso, scuotendo il capo o annuendo convinta a seconda della scelta.
Quando la porta si spalancò, non alzò neanche lo sguardo per vedere chi fosse, troppo concentrata sul piano da seguire.
 
«È una pessima idea!» Will Scarlett entrò di corsa, ma subito si fermò perché i vari oggetti che sommergevano il pavimento non gli permettevano di avanzare oltre.
 
Emilie non gli rispose neanche, scurendosi in volto.
 
«Milly, mi stai ascoltando?» la incalzò, sospirando indispettito.
 
Lei gli rispose laconica.
 
«Attieniti al piano. Andrà tutto come previsto.»
«Stiamo parlando della Salvatrice! Vuoi davvero affrontarla da sola?» sbottò a quel punto il Fante, esasperato.
 
Lei si fermò per un istante, lo guardò negli occhi e si aprì in un largo sorriso che aveva tutta l'aria di una beffa.
 
«Oh, ti stai preoccupando per me? Che carino!» lo canzonò, poi si fece di nuovo seria «Non farlo, non ce n'è bisogno.»
 
Scarlett scosse il capo, quindi si portò una mano alla fronte, girò i tacchi e uscì, così com'era arrivato, diretto verso l'unica persona che poteva aiutarlo nella titanica impresa di far cambiare idea alla testarda Lucertolina: Gideon.
 
«Non potevo fare un patto con suo padre, no? Ho scelto proprio lei! Se lo avessi fatto con il Signore Oscuro scommetto che sarebbe stato molto più semplice!» si lamentò sottovoce.
 
Svoltò l'angolo e imboccò un lungo corridoio che lo avrebbe condotto alla stanza del suo obiettivo, ma proprio a metà strada una voce lo fermò, chiamandolo per nome.
Belle. Perché tra tutti proprio Belle? Strinse i pugni, alzando gli occhi al cielo e iniziando a sudare freddo. "Ho detto che volevo fare un patto col coccodrillo, non essere scuoiato vivo da lui! Dannazione! Accidenti a me quando ho deciso di mettermi in affari con questa famiglia!"
Si voltò, lentamente dandosi il tempo per riprendere fiato, e si sforzò di sorriderle, inchinandosi con deferenza.
 
«Vostra altezza!»
 
La vide abbassare il volto contrita, scuotendo il capo e scacciando l'aria con una mano.
 
«No. No, ti prego. Chiamami … chiamami solo Belle!»
 
La fissò, sgranando gli occhi. Era sveglia? Di male in peggio.
Arrossì avvampando, memore degli avvertimenti ricevuti nel corso del tempo da Emilie che potevano benissimo essere riassunti in uno solo: "Mia madre per te è off limits, chiaro? Sfiorala anche solo col pensiero e sei morto!"
All'inizio aveva considerato eccessivo quell'atteggiamento, ma ora, con lei che lo guardava come un cucciolo bastonato e il suo cuore che batteva all'impazzata, tutto assumeva molto più senso.
"Questo è il Regno di Tremotino, Will!" si disse "Non fare scemenze se ci tieni che la tua testa rimanga attaccata al collo."
Tanto più che il Signore Oscuro sarebbe potuto apparire da un momento all'altro o, peggio ancora, avrebbe potuto benissimo starsene in disparte a osservare la scena da una sfera di cristallo come soleva fare sua figlia. I sudori aumentarono, e il fiato si accorciò.
 
«I-io …» balbettò, lanciandole un rapido sguardo per poi tornare a inginocchiarsi, allontanando gli occhi da lei «Io non credo di poterlo fare, Vostra Altezza. Mi spiace.»
 
Belle sembrò capire. Lo fissò per qualche istante scrutandolo, poi sorrise e annuì, quasi come per darsi della stupida.
 
«Ho bisogno di parlarti. Puoi concedermi un minuto? Stavi andando da qualche parte?»
 
"Perché? Perché devi essere così maledettamente gentile con me?"
Il Fante si rialzò, annuendo.
 
«In realtà si, ma non è urgente» mentì, pensando che forse lei poteva essere la persona più adatta ad aiutarlo con la questione Emilie.
 
"Se ha ricordato, forse …"
La bella sorrise, e gli chiese di seguirlo conducendolo fino alla Biblioteca, l'unico posto in cui non sarebbe stato difficile inventare una scusa per giustificare la loro presenza assieme. Una volta lì, Belle chiuse la porta e lo condusse ad uno dei tanti lunghi tavoli presenti, invitandolo a sedersi e facendo lo stesso.
A disagio di fronte a lei, Will Scarlet faticò a trovare una posizione comoda, continuando ad avvertire gli occhi di Tremotino e di sua figlia che lo fissavano da ogni angolazione.
 
«Allora …» fece, nella vana speranza di poter scacciare quella pessima sensazione solo dando voce alle proprie intenzioni «Perché avete voluto parlarmi in così gran segreto?»
 
Belle sorrise, ma apparve amareggiata.
 
«Io …» iniziò, ma le ci volle ancora qualche istante per trovare le parole giusta da usare «Voglio soltanto capire.» disse infine, annuendo come per convincersene.
 
Di nuovo, William Scarlet si mosse sulla sedia cambiando posizione in una più rigida.
 
«Mia figlia … lei cos'è per te?»
 
"Un gigantesco, mastodontico casino! Una dannatissima patata bollente!"
 
«Sono il suo consigliere.» disse invece, mordendosi la lingua quando la vide sorridere e la sentì chiedergli di nuovo sincerità.
«Per favore, ne ho bisogno. So che tu ricordi. Che lo hai sempre fatto, perché dovevi aiutarla. Quindi ora dimmi … perché? La ami?»
 
Per poco il Fante di Cuori non si strozzò con la sua stessa saliva.
Tossì per riprendersi, poi sorrise, sinceramente divertito.
 
«No, davvero!» si affrettò a precisare, a disagio, poi però si rilassò e rispose, con la massima sincerità come lei chiedeva «Io ed Emilie abbiamo avuto un obbiettivo in comune all'inizio, abbiamo viaggiato per parecchio tempo insieme e questo ci ha fatto diventare … buoni amici. Amici, tutto qui.» annuì, aprendosi in un altro sorriso divertito «Un'amicizia un po' complicata, a volte piuttosto …» si fermò alla ricerca delle parole «Difficile.» per non dire esasperante «Ma siamo davvero solo buoni amici.»
«Quindi vieni dal futuro anche tu?» gli occhi di Belle divennero due grandi caleidoscopi.
«Si. Anche se da un'epoca diversa dalla sua. Più...vicina.» la risposta coincisa.
«Hai fatto un patto con lei?»
 
Ecco la domanda che avrebbe dovuto aspettarsi. L'unica che le avrebbe permesso di capire fino a che punto il cuore di sua figlia era stato corrotto dall'oscurità del marito.
Il Fante ne fu pienamente consapevole, ma non poté impedirsi di rispondere. Non avrebbe saputo spiegare altrimenti il suo legame con la pericolosa Lucertolina. Avrebbe voluto, ma non c'era altra spiegazione.
Trattenne il fiato per qualche istante, poi annuì, ma subito si affrettò ad aggiungere.
 
«Sono stato io a volerlo. Il mio vero amore …» si bloccò, perché il solo ricordarla faceva, nonostante il tempo trascorso, ancora male al cuore «Credevo che l'occhio di Kronos mi avrebbe aiutato a sistemare le cose, ma viaggiando con lei ho capito che non ne ero capace. Credo … » sorrise, mentre Belle lo fissava attenta «Credo sia per questo che ha voluto che la accompagnassi. Era questo il patto, io l'avrei aiutata nei suoi viaggi, e quando avrebbe deciso di fermarsi mi avrebbe permesso di usare l'occhio.»
 
Tacque, osservando il volto della bella colorato da un leggero sorriso che stavolta non seppe decifrare.
 
«E tu lo hai usato?» domandò, una luce nuova negli occhi, più comprensiva.
 
Non stava più ascoltando la storia di Emilie, ma la sua. E gli parve quasi di vedere della comprensione nei suoi occhi.
"Oh, per tutti i diavoli Belle, non farlo! Sono finito se lo fai!"
Annuì, cercando di sottrarsi a quell'empatia.
 
«Si, ma poi ho rinunciato.» disse soltanto, non andando oltre nella spiegazione per non peggiorare ulteriormente la situazione.
 
Tra di loro scese di nuovo il silenzio, uno meno teso, ma ugualmente carico di un marasma di tristezza, comprensione e sensi di colpa che culminò con l'ennesima domanda, una a cui stavolta non poté rispondere.
 
«Le fate. È stata lei, vero? O … mio marito?»
 
Sospirò, scuotendo il capo e alzandosi.
 
«Credo dovreste chiederlo a lei.» le disse «Chiedeteglielo, e avrete una risposta.» poi, prima che potesse protestare aggiunse, rivolgendole un lungo sguardo sincero «Quello che posso dirvi è che potete crederle. L'ho vista affrontare il peggior genere di cose mentre viaggiavamo. Pirati, draghi, perfino Dei. Tutto questo … » aggiunse, guardandosi intorno e allargando le braccia «Tutto questo era davvero necessario. Un passaggio necessario per proteggere la cosa a cui tiene di più: la sua famiglia.» concluse indicandola con un cenno.
 
Belle sorrise di nuovo, profondamente triste.
Abbassò gli occhi e William Scarlet dovette trattenersi a fatica quando la vide resistere a stento al desiderio di scoppiare in lacrime. Avrebbe voluto continuare a rassicurarla, magari consolarla con un abbraccio, ma s'impose di salutarla con un semplice inchino, fare dietro front e uscire il più presto possibile dalla stanza, lasciandola sola coi suoi dubbi e i suoi patemi.
Richiuse la porta alle sue spalle, fece qualche passo e poi accostò le spalle contro il muro di pietra, buttando la testa all'indietro e chiudendo gli occhi.
Il cuore lanciato in una folle corsa, un groppo in gola e le gambe tremanti, espirò e ispirò più volte nel tentativo di calmarsi e ritrovare un contegno. Una soffice brezza soffiò dalle feritoie portandogli l'odore fragrante delle rose che occupavano il giardino in quella parte di castello.
 
«Aaah!» sospirò, mentre la testa ricominciava a girare «Will Scarlett, che tu sia dannato quel giorno che decidesti di vendere il tuo futuro al miglior offerente!»
 
Ben sapendo, in cuor suo, che pur con tutti i contro avrebbe rifatto quella scelta un altro milione di volte.
 
***
 
Emilie era ancora intenta a ultimare i bagagli, quando la porta della camera si aprì ed Ewan fece il suo ingresso. Non disse nulla, né le permise di parlare.
La raggiunse e la trasse a sé, trascinandola in un lungo, intenso bacio che aveva il sapore di quello che si erano dati quando avevano dovuto dirsi addio, la prima volta.
Dopo un primo istante di sorpresa, la ragazza si arrese, abbandonandosi a quell'attimo, sospirando e gemendo quando le mani forti del suo promesso sposo iniziarono ad accarezzarle il corpo e il suo fiato caldo si posò sulla pelle del suo collo, già ricoperta da uno spesso strato di squame verde scuro.
 
«Non partire …» la supplicò, e quelle semplici parole riuscirono a spegnere il fuoco quanto bastava per permetterle di respingerlo, e tornare a guardarlo negli occhi.
 
Quello che lesse le lasciò un sapore dolce amaro in bocca.
 
«Hai parlato con mio padre, vero?»
 
Scoperto, lui abbassò il capo, annuendo senza aggiungere altro. Non ne aveva bisogno, lei sapeva già tutto. Eppure un sorriso amaro le si dipinse in volto. Scosse il capo.
 
«Come può non fidarsi di me? Di me, sua figlia!» mormorò affranta.
 
Ewan tornò a guardarla, poi le prese le mani tra le sue, ignorando i guanti che nascondevano le squame e le unghie sempre più spesse.
 
«Sai che non è così. Lui si fida.» tentò di difenderlo «Teme soltanto …»
 
Ma ponendo un dito sulle sue labbra Emilie lo zittì.
 
«Lo so che cosa teme, è mio padre. Lo conosco da quando ero in fasce. Ho conosciuto molte versioni di lui, e tutte temevano la stessa cosa: L'oscurità nel mio cuore, e il vedermi diventare più potente di loro. Mr. Gold non è diverso dal Tremotino del Desiderio in questo, solo …» abbassò il viso, gli occhi lucidi «Solo che almeno lui mi considera sua figlia … ed è molto più simile a mio padre di tutti gli altri.»
 
Buttò gli occhi sulla punta dei suoi stivali, e sospirò. Sapeva che quel momento sarebbe arrivato. Il momento in cui avrebbe dovuto convincere quella versione di Tremotino a non temerlo. Fidarsi di lei era un conto, guardarla come un alleato e non come una rivale era tutta un'altra cosa. Questa versione aveva a cuore il bene dei suoi figli, tutti, perciò sarebbe stato più facile, ma l'avrebbe messa alla prova e lei doveva prepararsi a tutto.
Tuttavia, Ewan seguitò a scuotere il capo, poi le prese il volto da bambina tra le mani e lo costrinse a guardarla, esclamando quasi allarmato.
 
«No. Emilie! Lucertolina, guardami!»
 
Di colpo, lei si fermò, trattenendo il fiato e riuscendo a spegnere i pensieri. Solo allora se ne accorse. Ma cosa … cosa le stava succedendo?

«Emilie, questa non sei tu. È il Tremotino del Desiderio. I tuoi incubi, ricordi? Ora che siamo alla fine della storia, ti stai trasformando in ciò che temi di più! Lo farà anche lui. È per questo che io e tua madre siamo qui, per questo ci avete voluti!»
 
I suoi occhi grigi iniziarono a muoversi come impazienti, perché a quelle parole la stanza si era riempita di sussurri e malevole risate e il mondo aveva iniziato a sbiadirsi. Un'atroce fitta di mal di testa la colse. Strinse i denti, appoggiandosi a lui e reprimendo un urlo che divenne un soffocato gemito di dolore.
 
«S-sto … p-p-perdendo .. i-il controllo!» annaspò.
 
Ewan la sostenne, stringendola forte e seguitando a sussurrare.
 
«No, non devi! Resta con me, Emilie. Pensa a noi!»
 
Tornò a baciarla, quasi togliendole il fiato, e nel mentre le prese le mani e strinse insieme a lei la cosa più preziosa che avevano: il loro amuleto.
All'istante, le voci cessarono e il Coccodrillo del desiderio tornò a nascondersi nei suoi incubi. Nella sua parte più oscura. Sollevata, annaspò, stringendosi forte a lui e scoppiando a piangere.
 
«Grazie …» sospirò, senza fiato, guardando prima lui, poi l'amuleto stretto nella sua mano destra.
 
I guanti in pelle coprivano le squame, ma lei riuscì a sentirle ugualmente. Sospirò, mentre lo guardava fissare preoccupato quella seconda pelle che lentamente si appropriava del suo corpo, i suoi occhi grigi di solito limpidi ora appannati da un velo sempre più pesante.
Era più rapido di quanto si sarebbe aspettato. Anche in Tremotino quella trasformazione stava avvenendo, ma non così. Lei … lei era già all'ultimo stadio. Perché? Eppure l'oscurità nel suo cuore era molto meno presente, solo un pulviscolo.
Le sfiorò le guance umide, preoccupato.
 
«Lascia che venga con te. Non puoi farcela da sola.» la supplicò, in pensiero.
 
Ma di nuovo, lei glielo negò.
 
«Posso farcela. È così che dev'essere.» mormorò stringendo l'amuleto sul cuore e sospirando stancamente «Tu … tu devi restare qui. Prenditi cura di mio padre.» tornò a guardarlo, e lo implorò «La mamma. Si sta svegliando. Ti prego, pensaci tu. Papa non deve affrontare tutto questo da solo.»
 
Gli occhi le si riempirono di lacrime. Avrebbe voluto essere ancora lei la sua spalla, ma ogni tipo di magia aveva un prezzo e questo era quello da pagare per aver usato impropriamente la penna dell'Autore per raggiungere i propri scopi.
Isaac avrebbe pagato il suo, adesso toccava a loro. Meglio questa trasformazione, guardare faccia a faccia il proprio lato oscuro, che il doversi confrontare con qualche altro tipo di irrimediabile imprevisto. Anche se non era affatto pronta a vedere che faccia avesse la versione peggiore di sé stessa.
Si abbandonò tra le braccia del suo amato, stanca, confusa, spaventata, e mentre si lasciava accarezzare lo guardò e allungò una mano verso le sue labbra. Lui sorrise, lasciandola fare.
 
«Grazie … per avermi aspettato.» mormorò.
 
L'arciere le prese la mano e se la portò alle labbra, sfiorandole con un bacio.
 
«Un patto è un patto.» sorrise, poi dolcemente soggiunse «Lo rifarei altre cento volte se volesse dire stringerti sul cuore come adesso.»
 
Emilie sorrise, le lacrime sempre più numerose intrappolate tra le lunghe ciglia scure. Fece per rispondere, ma la stanchezza si fece sempre più pressante e in un impeto di terrore, prima di sprofondare di nuovo nel buio di un sonno popolato dal peggiore dei suoi incubi, si spinse in avanti, verso le sue labbra, cercandole un'ultima volta e sussurrando di nuovo un disperato.
 
«Ti amo!»
 
***
 
Belle stava ancora riprendendosi dalla conversazione avuta con Will Scarlet, meditando cosa fare con la propria vita e la propria famiglia, quando la porta della biblioteca si spalancò ed Ewan, occhi grandi e cuore sincero, accorse da lei, inginocchiandosi con rispetto e trascinandola nuovamente nella realtà.
 
«Belle, devo parlarti.» le disse, dandole del tu come lei stesse gli aveva chiesto di fare a Storybrooke, quando tutto era iniziato.
 
La principessa sospirò, gli occhi lucidi.
 
«Perdonami ma …» si sforzò di ribattere «Non è proprio il momento adatto.»
 
Non si sentiva in grado di ragionare. Non sapeva se dare la colpa al peso degli eventi o alla velocità con cui le si scagliavano addosso, magari era soltanto colpa della magia di quel posto. Ne aveva passate tante, e nonostante le apparenze era al fianco del Signore Oscuro da abbastanza tempo per riuscire a quando la magia e la sua essenza infestavano persone o luoghi. Non riusciva ancora a percepirne la vera entità, ma ora che la sua mente era sveglia sapeva che l'incantesimo che permeava quel libro, quel Regno fittizio, avvolgeva le menti e le stordiva come un veleno. Era merito di suo marito e sua figlia, se ne era convinta. Erano stati loro a volerlo, a gettarla in quella mischia a sua insaputa. Perché non si fidavano di lei. Ancora. Di nuovo.
Ma proprio quando credeva di aver capito ormai tutto, Ewan tornò a parlare, e il suo castello di carte crollò di nuovo.
 
«Perdonatemi voi, madre.» le disse, e immediatamente l'espressione della donna si addolcì e lei si fece attenta.
 
Le stava parlando in qualità di genero, non di suddito. Stava facendo appello al suo essere più profondo, alla Belle che aveva amato la Bestia fino ad ammansirla. O almeno questo credevano tutti.
 
«Ma devo assolutamente parlarvi. Si tratta di vostra figlia e vostro marito, ed è necessario che sappiate ora che siete sveglia. Perché la loro sopravvivenza è nelle nostre mani adesso.»
 
Un tono grave, un appello accorato. In un attimo, come una luce sfavillante, la speranza tornò a farsi largo nel suo cuore.
 
«Cosa …» mormorò, boccheggiando per la sorpresa «Cosa vuoi dire?»
 
E così, senza farsi pregare, Ewan le raccontò ogni cosa di ciò che sapeva. Le disse del piano di Emilie per governare il tempo, del perché di quelle bugie e di quel bieco trucco, di quel mondo fittizio e di come la storia sarebbe dovuta finire, di come sarebbero tornati a casa, a Storybrooke. Soprattutto, le disse del ruolo che spettava loro. E mano a mano che il racconto proseguiva, gli occhi di Belle si riempirono di lacrime e le mani corsero al cuore.
Così … ancora una volta … era lei l'unica salvezza per il cuore di Tremotino? Ma perché non dirglielo prima? Perché tenerla all'oscuro di tutto? Ewan lo aveva saputo in anticipo, perché lei no?
La risposta le fu chiara quasi subito: avrebbe cercato di dissuaderli, di trovare un'altra strada, di evitare l'inevitabile. Avrebbe intralciato i loro piani, qualcosa che né il Signore Oscuro né la Lucertolina volevano. Fu come un pugno nello stomaco, ma si impose di resistere.
 
«Belle.» la richiamò Ewan, dopo averle concesso qualche istante per riprendersi dallo choc e pensarci.
 
La donna tornò ad alzare gli occhi su di lui e lo fissò, ritrovandosi in quello sguardo.
 
«Rumplestiltskin ha bisogno di te, ora.» la avvisò, e non c'era accusa o supplica in quel tono, solo tanta comprensione.
 
"So che sei arrabbiata, ma rimandalo a dopo. Se lo ami davvero, combatti per lui ancora una volta, poi deciderai se sarà l'ultima. Quando tutto sarà finito e saremo tornati, pienamente consapevole di noi stessi."
La vide trattenere il fiato, e seppe che aveva capito. Sospirò a sua volta.
 
«Cosa succederà?» gli chiese, preoccupata.
 
Aveva bisogno di saperlo. Doveva sapere a cosa stava andando incontro per prepararsi al peggio. Ewan inspirò più profondamente stavolta, e preparò con cura le parole consapevole che quella sarebbe stata la verità più dura di tutte.
 
«La Bestia, dovrai incontrarla ancora una volta. E prenderti cura di lui come hai fatto quando l'hai conosciuto.»
 
Un sospiro stanco. La bella annuì abbassando il capo come se se lo aspettasse. Non le erano sfuggite le avvisaglie, erano state anche quelle a spingerla a svegliarsi. Un piccolo cambiamento nella voce, nel modo di porsi, e poi quel sottile strato squamoso che riemergeva dalla pelle, rendendola spessa e di un verde sempre più scuro. Se ne era accorta subito, anche se lui aveva tentato di nasconderglielo con le lunghe maniche a sbuffo e il colletto sfarzoso delle camicie che indossava. E spaventata si era chiesta prima cosa gli stava accadendo, poi quanto tempo ci sarebbe voluto prima che la trasformazione raggiungesse il culmine.
Il Coccodrillo stava ritornando, e sebbene non le piacesse, alla fine aveva pensato che era abituata ad affrontarlo. Ma sua figlia?
 
«Ed Emilie? Accadrà qualcosa di simile anche a lei?»
 
Possibile che fossero già a questo punto? Aveva detto di aver conosciuto tante versioni di suo padre, di essere stata addestrata da loro. Che avesse imparato anche …?
 
«Ognuno di noi, dentro di sé, ha un lato oscuro.» la voce limpida di Ewan tornò a riscuoterla.
 
Vi si aggrappò e tornò ad ascoltarlo costringendosi a farlo con estrema attenzione.
 
«Tu lo hai conosciuto quando Regina ti ha trasformato in Lacey. Tremotino lotta con esso da tutta una vita e grazie a Uncino ha potuto dargli perfino un nome. Ma Emilie …» sospirò, e per la prima volta da che quella conversazione era iniziata lo vide in difficoltà.
 
Guardò le sue labbra, poi gli occhi e le mani, giunte sull'unico ginocchio alzato. Tremava.
L'amava fino a questo punto? Sorrise, e guardandolo non poté non provare empatia verso di lui.
 
«Lei … non ha mai avuto modo di farlo davvero. Lo ha sempre, soltanto immaginato, perché il suo cammino fino a noi è stato una lunga, frenetica corsa verso suo padre che non le ha dato un attimo di tempo per fermarsi e restare con sé stessa. Questo reame però, specie alcune parti di esso, hanno il potere di realizzare tutti i tipi di sogni e desideri, di materializzare le paure e amplificare ogni cosa.
Da quando è arrivata, gli incubi hanno un solo, unico protagonista: Il Tremotino del Regno del Desiderio, la versione più folle di lui, quella che l'ha rapita a suo padre e l'ha addestrata alla magia oscura …»
 
Belle trattenne il fiato. Rapita?
Non conosceva quella parte della storia, perché non aveva mai letto il libro che la raccontava e sua figlia non le aveva mai detto nulla in merito. Ma ascoltando quelle parole di colpo capì molte cose.
Sua figlia, la dolce Emilie, non aveva seguito soltanto le orme del padre, ma anche le sue.
Come con lei, gli eventi l'avevano portata al cospetto di una Bestia ed esattamente con la stessa forza e lo stesso amore era riuscita non solo a sopravvivere, ma anche a domarla, e forse sarebbe anche riuscita a farsi amare come figlia se il destino non avesse giocato d'anticipo uccidendo entrambi, il Tremotino che amava e quello che temeva.
Di nuovo, la donna rabbrividì, riuscendo quasi a sentire la moltitudine di sentimenti che affollavano il cuore e la mente della sua bambina.
Ma c'era ancora qualcosa che Ewan voleva dirle, la più importante di tutte.
 
«Emilie è stata molto tempo con lui prima di ritrovare suo padre.» spiegò «Si era abituata alla sua presenza ma lo temeva anche, perché non era come il Signore Oscuro che conosciamo noi. Lui…» si fermò a guardarla, scrutando con attenzione la sua espressione contrita.
 
Sospirò, quindi riprese, più lentamente, usando le parole che Emilie gli aveva suggerito.
 
«Il Regno del Desiderio è un Regno nato da un desiderio espresso al genio della lampada.» spiegò sommariamente «Una sorta... di realtà parallela. In quel Regno, Regina è stata sconfitta prima di poter lanciare il suo sortilegio e tu…»
 
Si fermò di nuovo, guardandola trattenere il fiato.
Aveva capito. Ricordava bene l'ultima volta che aveva visto Regina, prima di essere catturata da lei. Era stato il giorno in cui aveva deciso di tornare, di ritornare da lui e combattere per il loro amore.
Poi, Regina l'aveva rapita impedendoglielo e c'erano voluti più di vent'anni prima di poterlo rivedere, di poterlo riabbracciare e provare a ricominciare.
Cosa sarebbe successo invece, se lei non ci fosse più stata?
Se nella peggiore delle ipotesi la cella in cui fosse stata confinata avesse finito per diventare la sua tomba e Rumplestiltskin, una volta trovato il modo di scappare dalla sua prigione, lo avesse scoperto? Libero dopo mesi, forse anni di prigionia nelle miniere, accecato dalla rabbia e del dolore di averla persa per sempre.
Si portò una mano alla bocca reprimendo un singhiozzo. Ewan annuì, affranto.
 
«Ora capisci…» le disse.
 
Poi, si alzò, si avvicinò a lei e le prese le mani.
 
«Il suo cuore dipende da voi, madre» le disse «Emilie sa. Lo ha già visto, e teme profondamente ciò che potrebbe accadere se questo destino si ripetesse.»
 
"Perchè tu non sei immortale, e Tremotino è ancora un uomo alla ricerca di vendetta e potere."
 
«Non arrendetevi.» la supplicò «Questo mi ha chiesto di dirvi vostra figlia. È giusto che siate arrabbiata, che siate stanca. Lui non è una persona facile da amare, lo sapevate già quando avete deciso di farlo. Ma non lasciatelo andare, soprattutto non adesso. Siete la sua luce, l'unica cosa che gli impedisce di non impazzire. E in questo Regno fatto d'illusioni basta veramente poco per perdere la testa.»
 
Quelle parole chiare. Quel tono sincero. Era la verità che voleva sentire, e sapere che fosse stata proprio Emilie a chiedergli di trasmettergliela la rincuorò non poco. Allora non era ancora tutto perduto. Ma appurato questo, il cuore e la mente corsero al presente, a suo marito.
Stava davvero diventando di nuovo la bestia che aveva cercato di salvare? Avrebbe sul serio perso il controllo di sé? A cosa avrebbe dovuto assistere? Qual era il finale scritto per quella storia? Ed Emilie? Nel pensare a lei ebbe un sussulto.
 
«Emilie non può partire, allora! Non può affrontare tutto questo da sola! Ed Emma! È in pericolo se lei è destinata a diventare come quel Tremotino!»
 
O anche qualcosa di molto peggiore, perché il suo dolore, amplificato dalla magia di quel reame, non era dissimile da quello del Tremotino del desiderio.
Ewan sorrise appena, grato di essere riuscito a farla ragionare. Era lieto che la sua futura sposa avesse deciso di affidargliela. "Tu e mia madre siete più simili di quanto possiate immaginare." gli aveva detto durante il loro ultimo giorno a Storybrooke "Quando verrà il momento, se c'è qualcuno che potrà convincerla a stare al fianco di papa, quello sei tu."
Si era sentito lusingato. Ora era anche felice di essere riuscito ad aiutarla.
Annuì.
 
«Devi andare con lei. Devi restarle accanto! Sei il suo vero amore» lo incoraggiò Belle, alzandosi e guardandolo negli occhi, aggrappandosi alle sue mani come poco fa lui aveva fatto con lei.
 
L'uomo seguitò a sorridere, ma più tristemente, scuotendo il capo.
 
«Non posso.» le rivelò «Siamo alla fine della storia, e ciò che deve accadere sarà difficile per entrambi. Le ho promesso di restare, per prendermi cura dei suoi genitori.»
 
La bella sorrise commossa e affranta, poi però un pensiero le attraversò la mente e a giudicare dallo sguardo che li incatenò lo fece anche nella mente di lui. Restarono in silenzio a fissarsi per qualche istante, poi quasi contemporaneamente mormorato o l'unica soluzione possibile.
Non potevano lasciarla sola, non potevano permetterle di perdere il controllo e abbandonarsi al proprio lato oscuro. Qualcuno avrebbe dovuto seguirla, e c'era una sola persona in grado di farlo.
 
«Gideon.»
 
***
 
Solo di fronte allo specchio, Tremotino fissò la sua immagine e un ghigno iniziò ad emergere lentamente sulle labbra sottili.
Non aveva mai smesso di udire il richiamo dell'Oscurità, ma a Storybrooke tutto era stato diverso, più complicato, specie dal ritorno di Belle che lo aveva costretto a ricorrere a compromessi, estenuanti lotte e astute scappatoie per tenerla accanto a sé e al contempo continuare a bere alla coppa del potere.
L'arrivo di Emilie, se in un primo momento lo aveva reso felice, lentamente aveva iniziato a spaventarlo e preoccuparlo, anche se doveva ammettere che si era rivelata una pedina utile e più facile da gestire, molto più manipolabile di tutte le altre. "Lei ti ama, per quello che sei!" gli aveva suggerito la voce nella sua testa "Ama la tua oscurità, e vuole aiutarti. Appoggerà qualsiasi tuo piano, ti basta una parola e farà qualsiasi cosa tu voglia."
Tutto vero. Ora però, le cose iniziavano a prendere una pessima piega, proprio con Zelena, e lo spirito di sopravvivenza gli suggeriva di prendere le dovute precauzioni. "Devi sbarazzartene, perché non appena sarà riuscita a diventare più potente di te ti tradirà, proprio come tutti gli altri. È già successo, vuoi davvero ricascarci?"
Il ghigno si trasformò in una smorfia, le mani si chiusero a pugno.
 
«Nessuno è più potente di me …» mormorò, tra i denti «Né ora, né mai.»
 
"Non ancora." rispose l'oscurità "Ma presto lo sarà!"
Stava per cedere. Ancora un altro piccolo passo, e lo avrebbe fatto. Ma proprio allora, la porta del suo laboratorio si spalancò e Belle entrò nella stanza di corsa, chiamandolo disperata.
 
«Rumple!»
 
Non ebbe nemmeno il tempo di risponderle, sentì solo le sue mani dolci e calde sulla pelle ricoperta di squame e poi il sapore intenso di uno dei suoi dolci baci in cui lo coinvolse, senza dargli modo neanche di respirare. Fu come svegliarsi dopo un lungo sonno, come riemergere dalle profondità di un oceano dopo aver appena rischiato di annegare.
 
«Belle!» le disse, come riconoscendola per la prima volta, guardando quegli occhi azzurri e innamorati pieni di lacrime «Cosa …?»
«Non cedere, Tremotino!» lo implorò lei, prendendogli le mani e sorridendogli in quel modo che solo lei aveva, come un angelo venuto per redimere la sua anima nera «So che è difficile, ma non cedere adesso ti prego! Emilie! Nostra figlia ha bisogno di te!»
 
All'improvviso tutte le notti passate con la ragazza sotto quel salice, a raccontarsi e ricordare se stessi come non avevano mai fatto prima con nessun altro, riemersero prepotenti e le nuvole che avevano rischiato di inghiottirlo iniziarono a dissiparsi, fuggendo definitivamente quando la sua Belle, riconoscendo in quegli occhi sperduti quelli della sua amabile Bestia, riprese a baciarlo con più foga, riportandogli la luce e permettendo alla metà umana del suo cuore di tornare a battere.
La strinse, cedendo al richiamo delle sue labbra, e ogni cattivo proposito svanì, lasciando solo il ricordo di quell'attimo di esitazione. Belle. La sua dolce, meravigliosa, coraggiosa Belle.
Ancora una volta il bacio del vero amore aveva adempiuto il suo compito.
 
***
 
«Tua moglie è già morta. È stata la Principessa stessa a volerlo.»
 
Poche semplici parole, e il velo che separava la finzione dalla realtà si dissolse, stracciato in mille pezzi, e tutto il dolore provato nella sua vera vita prima di quella farsa gli piombò addosso, bruciante come lava incandescente, travolgendolo e cancellando ogni traccia della bontà e dei buoni propositi che si era ritrovato a provare.
La maschera cadde, e tutto gli divenne chiaro. Guardò Ariel, e la vide per quello che era: l'ennesima marionetta nel gioco del Coccodrillo e della sua fedele Lucertolina.
Irrigidì la mascella, gli occhi in fiamme.
 
«Demoni maledetti!» sibilò tra i denti, stringendo l'uncino e tornando a giurare vendetta «Vi strapperò la pelle fino all'ultima squama, lo farò anche se il cuore dovesse scoppiarmi in petto per il dolore.»
 
"Al diavolo il contratto! Questa farsa finisce ora!"
 
***
 
Tre giorni dopo …
 
Il mare era calmo, una tavola piatta e scura sulla quale la pesante e maestosa nave della flotta personale del Re avanzava rapida e silenziosa.
Si chiamava Dark Princess, e non era un caso che Emilie avesse scelto proprio quella tra le dodici a disposizione, anche se non era la sola a poter compiere in sicurezza un viaggio così lungo.
Dark One, Dark Crocodile, Dark Fairytales, King's Revenge, Black Heart, Mother's Prayer e Father's Hope erano i nomi delle principali fregate, ciascuna di esse era dotata di vele nere, ampi ponti, numerosi cannoni e di una polena che ne richiamava il nome.
Quella della Dark Princess era una sirena, le fauci spalancate a mostrare i denti aguzzi, le unghie come artigli e mostruosi serpenti marini al posto dei capelli. Era una versione Atlantidea di Medusa, e numerose erano le leggende sul suo conto.
I più sediziosi sostenevano che rappresentasse proprio la Principessa, nella sua vera forma, ma nel guardarla ora Emilie si lasciò sfuggire un ghigno divertito.
"Oh, poveri piccoli patetici omuncoli." pensò, assorta nel silenzio teso ch'era sceso dal momento in cui avevano iniziato la traversata di quelle acque pericolose "Non ne avete neanche la più pallida idea. Posso essere anche più spaventosa di così."
 
«Capitano!» chiamò, mentre tutto intorno le tenebre si facevano più fitte e la nebbia calava a coprire la visuale.
 
L'uomo, un insignificante omaccione di mezza età alto ma goffo, seppure abile nella lettura delle mappe e nella navigazione, aveva assunto quel titolo solo formalmente. Di fatto, a decidere ogni cosa era lei.
 
«Si, Vostra Altezza!»
 
Un altro brivido percorse la schiena della Lucertolina, ma stavolta non fu né il freddo né la soddisfazione.
Sospirò.
 
«Mantenete la rotta e avvisatemi immediatamente quando avremo superato la nebbia.»
«Si, signora!» le rispose ubbidiente quello, scattando sull'attenti per poi precipitarsi affannosamente a dettare gli ordini alla ciurma inquieta, ma che non osava emettere fiato per paura delle sirene e di una sua reazione.
 
Anche se non davano a vederlo, tutti avevano notato il suo cambio di atteggiamento. Erano in mare da tre giorni e la benevola Principessa era sparita, lasciando il posto a una spietata dittatrice con l'animo da pirata, la cui pelle del collo e delle mani era ricoperta da squame che non si sforzava neanche di nascondere.
Aveva indossato il suo completo nero e gli stivali di suo padre, e acconciato i suoi capelli in tante piccole trecce che andavano subendo una strana, inquietante trasformazione: da castani a grigi, con sfumature verdi sempre più presenti e vive, nel senso che le ciocche colpite da quel fenomeno, a ben guardare, sembravano davvero vivere di vita propria, strisciare anzi.
Alcuni tra i più pavidi avevano iniziato a pensare che quelle leggende avessero ragione, e ben presto la paura si era appropriata di almeno la metà dell'equipaggio.
A passo deciso e quasi marziale fece per avviarsi verso la cabina di comando, quando la voce della Salvatrice la fermò.
Non si erano ancora viste da che la nave era salpata, e il solo averla a bordo la innervosiva. A quanto pareva la cosa era reciproca visto che anche Emma aveva accuratamente evitato la sua compagnia.
Proprio per questo, non appena si sentì chiamare per nome sul suo volto apparve un sorriso perfido.
 
«Oh, ma guarda un po'. La mia adorata cognatina ha deciso di onorarmi della sua presenza» l'accolse voltandosi e lasciandosi ammirare.
 
Emma avanzò verso di lei senza timori.
 
«Smettila con questa farsa» le disse, ma non appena le fu di fronte cambiò idea e un'ombra inquieta attraversò il suo sguardo.
 
Emilie la osservò attentamente, beandosene.
 
«Cosa…» mormorò, ma non appena si accorse di averlo fatto ad alta voce si zittì, limitandosi a scrutarla.
 
Le squame, i canini sempre più evidenti, i capelli che sembravano essere fatti con la stessa pelle di serpe degli stivali. Che accidenti stava succedendo? Rivolse la sua attenzioni all'equipaggio che li circondava, e vide che tremava di paura.
 
«Stai bene?» si preoccupò.
 
Un guizzo famelico balenò in quegli occhi grigi dove ora l'oscurità si muoveva ben visibile, e inquieta.
 
«Mai stata meglio in vita mia…» la sentì sibilare, e le bastò quel cambio nel tono di voce per capire che qualcosa stava accadendo.
 
Si pose sull'attenti, portando una mano al pugnale che teneva in cintola.
"Quanta fretta!" ridacchiò la Lucertolina dentro di sé, ma finse di non aver visto e ritornò a sfidarla.
 
«Allora, risolto il tuo problema con il mal di mare?»
 
La Salvatrice si ritrovò a tremare. Quel tono, vibrante e acuto ma anche molto simile a quello del Tremotino di un tempo, non metteva solo i brividi. Era terrificante, e non seppe spiegarsi perché.
"Che ti succede, Emma?" si disse "Di che hai paura, è solo Emilie!"
Già. Solo Emilie. Ma chi era in realtà quella ragazza? Che voleva da loro? Da quando era arrivata, a Storybrooke, non aveva fatto che chiederselo.
Scosse il capo, concentrandosi sul presente.
 
«Basta, Gold!» sbottò «Basta fingere. Lo sai che sono sveglia, sputa il rospo e rispondimi! Perché siamo qui?»
 
La sentì sogghignare di nuovo, le mani si mossero ad imitazione dei gesti paterni.
 
«Te lo sei già dimenticato? Ti sto portando dai tuoi genitori, non volevi vederli?» replicò voltandosi a fissarla.
 
E stavolta non poté impedirsi di non notare l'incredibile somiglianza. "Si sta trasformando in ... lui?"
Angosciata, si guardò intorno e maledisse la sciagurata idea che aveva avuto di accettare quel viaggio insieme a lei. Era caduta dritta nella sua trappola, qualsiasi cosa fosse o stesse diventando.
Come se avesse avvertito i suoi pensieri la ragazza si voltò a guardarla e li rivolse un largo sorriso famelico mostrando i canini affilati
 
«Attenta Emma Swan. Quella che hai di fronte non è la stessa Emilie che hai conosciuto a Storybrooke. Non mi sottovalutare.» le disse.
 
La Salvatrice strinse le palpebre, facendo un passo indietro. Perché quelle parole? Era una richiesta di aiuto? O …
 
«È una minaccia?» le fece eco.
 
Una risatina gutturale la raggiunse.
 
«No.» le rispose Emilie, scuotendo le spalle e compiendo un ampio gesto plateale con le mani «Non ancora. Solo un amichevole consiglio dalla tua tenera e indifesa cognatina.» concluse, e stavolta sembrò davvero sibilare minacciosa.
 
Tirò fuori la lingua imitando un serpente, e di nuovo quello strano fenomeno che l'aveva colta quando era ancora solo la sposa del Principe Baelfire tornò a farle girare la testa.
Vide l'immagine di Emilie traballare, e la sua lingua trasformarsi davvero in quella biforcuta di un serpente. Vacillò, e per poco non cadde a terra come se un brusco scossone della nave l'avesse spinta a farlo, ma lo scafo era perfettamente saldo sulle acque calme.
Chiuse gli occhi, dandosi un attimo di tempo, e il cuore iniziò a battere all'impazzata. "Che diavolo mi sta succedendo?"
Emilie, una mano a sfiorare il mento e il dorso dell'altra sotto il gomito, rimase ad osservarla soddisfatta in silenzio. Avrebbe voluto infierire, ma ci sarebbe stato tutto il tempo per farlo.
"Prima il dovere, poi il piacere!" le ricordò il Coccodrillo nella sua testa.
Rimase semplicemente a osservare il cigno che arrostiva sul fuoco della sua rabbia e nel frattempo si lasciò trasportare dalla magia di quel luogo, tra i più "infestati" del Reame.
Detto La Baia delle Tentazioni, era un tratto di mare in cui L'Oscurità regnava sovrana, e come un veleno s'insinuava dentro ai cuori dei naviganti nutrendosi dei loro incubi. Ma lei non aveva bisogno dell'antidoto. Per il suo cuore non c'era già più niente da fare. "E tra poco, Emma Swan, sarai mia!"
 
«N-non … mi sembri tanto indifesa in questo momento.» in visibile difficoltà, ma ancora in piedi, la Salvatrice si rialzò, riacquistando una certa compostezza nella postura e sbattendo più volte le palpebre, tornando a guardarla.
 
La Lucertolina si fece seria, iniziando a far danzare ritmicamente le dita, in maniera quasi ipnotica.
 
«Oh, ecco che mi sottovaluti di nuovo.» soggiunse, compiendo qualche passo verso di lei.
 
Lentamente, sicura di sé, ciondolando il capo. Swan volle indietreggiare, ma non appena lo fece si accorse di non riuscire più a stare dritta sulle gambe, quindi ci rinunciò, allargando le braccia per non perdere l'equilibrio.
 
«Dovresti imparare a non giudicare un libro dalla copertina Miss Swan. I tuoi genitori hanno già fatto un simile errore, e non gli è andata affatto bene.»
 
Ora erano faccia a faccia. Emma la fissò sgranando gli occhi, terrorizzata a morte da quelle parole, e si accorse che le squame ora le coprivano quasi la metà del viso. No, quella non era decisamente la Emilie che ricordava. Ma in fondo … l'aveva mai conosciuta davvero?
Cedendo ai dubbi, permise all'Oscurità il primo passo verso di lei.
 
«Cosa gli hai fatto?» domandò, stringendo i pugni.
 
Ma la Lucertolina riprese a ridacchiare.
 
«Tempo al tempo, Emma.» la canzonò «Tempo al tempo. Un tic e un tac alla volta e tutto ti sarà chiaro.» poi le rivolse un lungo sguardo disgustato e la freddò, laconica «Goditi il viaggio e stammi fuori dai piedi, per ora! Ed è l'ultimo consiglio che avrai da me.»
 
***
 
Due giorni dopo …
 
«Terra! Terra! Proprio di fronte a noi!»
 
Quando la voce della vedetta si fece sentire, l'intero ponte si risvegliò dal torpore in cui era immerso e i marinai, eccitati e sollevati a dire il vero più del dovuto, accorsero ad ammassarsi sulla prua e intorno al parapetto di legno scuro, alcuni si arrampicarono perfino sugli alberi e sulle cime per riuscire a scorgere quello che, dopo giorni in mare immersi nella paura e nel silenzio quasi assoluto, sembrò quasi un miraggio.
Ma l'entusiasmo durò poco.
 
«Via! Levatevi di mezzo cani rognosi!» emergendo dalla cabina di comando, la Principessa avanzò decisa verso di loro, facendo schioccare le cime come fosse fruste e colpendo gli uomini più vicini.
 
Si diresse verso il timone, alcuni marinai vedendola arrivare corsero ai ripari, il più lontano possibile, ma la maggior parte furono spinti via dalla sua magia fatti rotolare verso prua e un paio di loro vennero afferrati per il collo da una mano invisibile e sollevati da terra per poi essere gettati tra i flutti. Ormai libera dai guanti e da ogni tipo di coscienza, la Lucertolina artigliò il parapetto con le sue lunghe unghie da coccodrillo e i suoi occhi grigi fissarono immobili l'orizzonte altrettanto mesto.
In mezzo a colossali e minacciose nubi, una terra brulla e silente se ne stava distesa come un cadavere trascinato dalle correnti.
Ghignò, poi tornò ad accendere il suo sguardo d'ira e voltò di scatto la testa verso la ciurma terrorizzata.
 
«Capitano!»
 
L'uomo accorse zoppicando, perché un paio di giorni prima, durante uno scatto d'ira, lei lo aveva appeso per la caviglia ad una fune e fatto ricadere violentemente a terra come un sacco vuoto.
Nonostante tutto, per non inquietarla ulteriormente, tentò di inginocchiarsi evitando il suo sguardo quando lei gli si rivolse.
 
«Si, Vostra Altezza!» rispose prontamente.
 
Ma proprio quando stava per aprire bocca Emma Swan riemerse da sottocoperta, attirata dal fracasso. Si guardò intorno, poi tornò a guardare lei e il cuore perse un colpo.
 
«Che sta succedendo?»
 
Un moto di rabbia, uno dei tanti sempre più incontenibili da quando era salita a bordo di quel vascello, esplose nel petto di Emilie. Strinse i pugni, desiderando di poter artigliare quel collo e stringere fino a sentirla perdere i sensi. Il Coccodrillo rise nella sua testa.
 
«Puoi farlo! Cosa te lo impedisce? Avanti, divertiti! Levati il pensiero! Sarebbe un peso morto in meno di cui occuparsi. Lei è la Salvatrice dopotutto, credi davvero che lascerà in pace tuo padre? La sua sola esistenza è una minaccia! E magari, se lo fai in questo reame, il tuo cuore sarà al sicuro, no?»
 
Non seppe dire cosa fu, se l'accenno a suo padre, quella nota stonata sul suo cuore o forse un briciolo di coscienza rimasta, ma per un attimo la sua mente offuscata dai dubbi e dalle paure tornò a respirare, e la mano corse a cercare l'anello. Non lo trovò. Lo aveva lasciato al Castello, nelle mani sicure di Ewan, perché per ciò che doveva affrontare non poteva avere dubbi o punti deboli.
Ebbe paura. Si guardò intorno e per un ultimo, singolo istante prima di tornare ad essere divorata dalle tenebre che ormai ricoprivano completamente il suo corpo e la sua mente capì fino a che punto si era spinta osservando i volti di Emma Swan e del suo equipaggio. "Cosa … che sto facendo? Ewan! Papa! Dove siete?!"
Poi una fitta dolorosa alle tempie e la risata del Tremotino folle del desiderio la costrinsero a chiudere gli occhi. Cadde in ginocchio, reggendosi la testa con le mani e gemendo. E nel mentre, un'altra voce si fece udire, ma stavolta non era quella del Coccodrillo ma di suo nonno, Peter Pan.
"Sei sola, esatto. Di nuovo. Era questo che volevo capissi. Ora, finalmente te ne rendi conto."
Spaventata da quel cambiamento improvviso ma ancor di più dal dolore che sua cognata, chiaramente vittima di un incantesimo, sembrava provare, Emma accorse in suo aiuto.
 
«Emilie!» la chiamò, inginocchiandosi al suo fianco e tentando di riscuoterla, stringendole le spalle.
 
Ma con rabbia, quasi scaraventandola lontano, Emilie la respinse, ferendola inavvertitamente con i lunghi artigli.
Istintivamente, Emma si protesse il braccio ferito mentre tra di loro calava un silenzio teso. La ferita era superficiale, ma bruciava comunque. Nel vederla, Emilie rabbrividì e guardandola per la prima volta da che si era risvegliata la Salvatrice capì: aveva paura. Il linguaggio da pirata, le zanne e gli artigli, le squame da coccodrillo. Era questo che le stava accadendo, si stava trasformando … in ciò che le faceva più paura. Peccato che sapesse così poco di lei! Avrebbe potuto prevedere quale genere di mostro fosse, anche se qualcosa le diceva che Tremotino faceva di sicuro parte del quadro.
 
«Emilie, va tutto bene …» mormorò, tentando di rassicurarla, ma l'Oscurità tornò a impossessarsi di lei.
«Gettate l'ancora!» ruggì fuori di sé la Lucertolina, poi tornò a minacciare l'equipaggio e lei sfoderando zanne e artigli «Muovetevi inutile ammasso di gentaglia! Io e la principessa scendiamo qui …» concluse cupa, mentre il mare iniziava a incresparsi e le nuvole minacciose si apprestavano a raggiungerli.
 
E ascoltandola, Emma si chiese per la prima volta chi stesse parlando e a chi si stesse riferendo, se a lei o ad Emilie stessa, la sua preda principale.

 
 
***
 
Le rovine del vecchio Castello giacevano inerti sul suolo riarso, come lo scheletro di un gigantesco mostro adagiato nel mezzo di una pianura desertica.
Ad ogni passo, una folata di polvere si alzava e il vento che soffiava a tratti contribuiva a spargerla nell'aria, facendo sì che i dintorni fossero immersi in una foschia sinistra e fastidiosa, che irritava gli occhi e rendeva riarsa la gola.
Dietro le rovine, gli scheletri degli alberi di quello che un tempo era stato un rigoglioso bosco di sempreverdi erano ammassati come un mucchio di scheletri, e ricoprivano l'intera montagna.
Per giungere a quel luogo erano state necessarie due ore di cammino, immerse nel silenzio e nella più totale oscurità. Dopo essere scese dalla nave, Emilie l'aveva condotta sulla spiaggia ciottolosa e si era rifiutata di rispondere a ogni sua domanda sul perché quel posto le sembrasse così famigliare.
 
«È casa tua del resto, no?» le aveva detto la prima volta con sarcasmo, ma quando lei aveva cercato di insistere aveva perso la pazienza.
«Oh, per l'amore del cielo, sta zitta e seguimi!» aveva sbottato con un ringhio «E tieni quella tua boccaccia chiusa fino a che non saremo arrivate, o potrei anche decidere di ucciderti lungo la strada!»
 
Nonostante la situazione richiedesse un'azione più diretta, la Salvatrice ricordò l'ultimo avvertimento che l ragazza le aveva dato prima di completare la sua trasformazione e decise di darle retta. "Potrei non essere la stessa Emilie che hai conosciuto a Storybrooke. Non sottovalutarmi."
Che fosse stata davvero un'ultima, disperata richiesta di aiuto? O un tentativo di avvertirla di ciò che le stava accadendo, di dirle che purtroppo lei non aveva alcun controllo su quella situazione e che avrebbe dovuto cavarsela da sola nel cercare di salvarsi e tirarla fuori da lì?
Mentre la seguiva in silenzio e ne notava il passo deciso e veloce, i pugni stretti e la schiena dritta, si ricordò del suo giubbotto rosso, la sua armatura, e all'improvviso tutto ebbe più senso. Decise di crederle, di aiutarla, ma mentre cercava un modo per farlo si dimenticò del pericolo che stava correndo, e non si rese neanche conto che, nel vederla così assorta e nell'intuire le sue intenzioni, la Lucertolina le aveva rivolto un ghigno famelico, gioendo.
Risalirono la collina, attraversando la distesa brulla fino a ritrovarsi al cospetto del vecchio maniero.
 
«Un momento … io questo posto lo conosco!» esordì attonita Emma Swan, fermandosi proprio a pochi metri del portone principale, divelto e crollato sulla breve scalinata sottostante.
 
Solo allora, finalmente, Emilie si voltò di nuovo a guardarla, allargò le braccia e con un ampio, inquietante sorriso da rettile le rispose, fiera.
 
«Benvenuta a casa, Emma Swan. O forse dovrei dire … bentornata.»
 
Uno sciame di ricordi la avvolse, ma non erano quelli della sua identità fittizia. No. Erano reali. E la spinsero a mormorare, guardandosi intorno con sgomento.
 
«La foresta incanta … questa è …»
«Dove potevano essere Biancaneve e il suo Principino Azzurrino se non nel loro castello? Esattamente come ti avevo detto.»
 
Di nuovo, un sibilo serpentino concluse la frase. Stavolta ben udibile e chiaro.
Emma tornò a guardarla con sospetto, compiendo un passo indietro mentre un terribile presentimento s'insinuava in lei
 
«Ma qui non c'è nessuno! Dove sono gli abitanti e le guardie? E perché sembra che sul castello sia esplosa una bomba?»
 
La Lucertolina ridacchiò divertita, appropriandosi di nuovo della gestualità e del tono di voce del suo amato paparino.
 
«Oh, bhe cara, è semplice … » si fece seria, sfregandosi le mani «Questo è il regno di Tremotino, dopotutto.»
 
Tremotino. Si, ma quale?
Fu come ricevere una coltellata in pieno petto a sorpresa. Lo smarrimento, il dolore e il panico la assalirono all'improvviso e prima ancora che riuscisse a riprendersi un rombo possente simile al ruggito di una creatura fece tremare la terra, costringendola a cadere in ginocchio per non farsi male.
Guardò Emilie, aspettandosi di vederla vacillare, invece lei continuò a restare in quella posizione trionfale e a guardarla impassibile. Nessuna paura. Nessuna esitazione. Nessuna … emozione. Non era lei, non più. Ora era solo il gran maestro degli incubi, Oscurità pura senza più nulla di umano che recitava la parte di una ragazza alla ricerca di suo padre.
Un'altra scossa, stavolta più forte, e mentre cadeva a terra la sentì di nuovo ridacchiare. Un'ombra nera alle sue spalle si levò dall'interno del cortile del castello e sfrecciò su verso il cielo, oscurando il sole per un istante prima di precipitare su di lei.
Giganteschi artigli la strinsero e una possente zanna ricoperti di squame nera la intrappolò, impedendogli ogni tipo di movimento. Un drago.
Il cuore prese a battere all'impazzata mentre la sua mente, ancora stordita, cercava di riprendere il controllo e trovare una soluzione.
Un'enorme occhio felino la fissò, la cornea scintillante d'una malevola luce dorata.
Lì per lì credette fosse Emilie ma poi la vide sghignazzare dietro la bestia, e fu allora che quell'essere parlò, restituendole la verità.
 
«Ciao, Emma. Ne è passato di tempo dal nostro ultimo incontro.»
 
Voce di donna, giovane e cupa, anche se deformata dal fuoco che gli bruciava in gola.
Sgranò gli occhi, tremando.
 
«Lily?»
 
La Lucertolina ghignò di nuovo, soddisfatta.
 
«Già, Lily.» le fece eco canzonatoria «Non te lo aspettavi, vero? La tua piccola amichetta. Oh, lo so, avrai mille domande ora nella tua testa, ma lascia che sia qualcun altro a risponderti. Qualcuno che di sicuro ne sa molto più di me.»
 
Quindi guardò il drago, e ordinò decisa.
 
«Portala da loro!»
 
***
 
Incurante delle sue proteste e delle sue urla, Lily la trascinò in volo fino ad una caverna poco distante dal castello, gettandola ai piedi di un piedistallo ai piedi dei quali giacevano mazzi di fiori ormai secchi o morti e alcuni scheletri di soldati in armatura.
Si rimise in piedi a fatica, provata dalla caduta e del turbolento viaggio. In realtà, si sentiva sfinita, e aveva voglia di urlare ma nessuna forza di farlo. Non capiva neanche cosa fosse stato a fiaccarla così.
 
«Oh, ma guarda! Cosa abbiamo qui?»
 
La voce della Lucertolina tornò a scuoterla. In piedi dietro il piedistallo, lo indicò con un gesto rapido della mano ciondolando il capo e prendendo a girare attorno a quello che sembrava in tutto e per tutto un guscio di cristallo.
Spinta da una curiosità irresistibile e da un sesto senso insindacabile, Emma si avvicinò e non appena riuscì a guardare oltre la parete di fragile vetro il suo cuore perse un colpo e gli occhi le si riempierono di lacrime.
I suoi genitori giacevano addormentati, mano nella mano e la restante sul cuore, vestiti dei loro abiti migliore e con le corone ancora in testa. Erano … come li aveva lasciati. Come li ricordava a Storybrooke.
 
«Mamma … Papà!» singhiozzò, e fece per aprire quella bara e tentare di svegliarli, ma una zampata di Lily la scaraventò contro la parete di roccia alle sue spalle.
 
Gemette, stringendo i pugni e i denti per resistere al dolore.
 
«Ah! Ah! Ah!» le disse Emilie «Non così in fretta, Salvatrice. Prima …» concluse rivolgendosi al drago «C'è un conto in sospeso da pagare.»
 
Un altro ghigno malefico le deformò la faccia.
La vista appannata, il fiato corto, la donna batté più volte le palpebre per tentare di mettere a fuoco le due creature, che ora erano una vicino all'altra e la fissavano.
 
«Di cosa state parlando?» mormorò in un soffio, cercando di rialzarsi.
 
Vide Emilie rivolgere un lungo sguardo al drago, poi fece un passo indietro e con una deferente riverenza le lasciò il posto, svanendo in una nuvola di fumo violaceo, lasciandole sole a fronteggiarsi.
Un ringhio sommesso, gli occhi del drago si accesero di un bagliore infuocato. Le rivolse uno sguardo carico di rabbia, quindi, una zampa alla volta, iniziò ad avvicinarsi a lei, coprendole la vista della bara in cui erano chiusi i suoi genitori.
Ora di nuovo cosciente e abbastanza in forze da riuscire a difendersi, la mano della Salvatrice corse istintivamente al fianco, cercando una spada che non possedeva e rimanendo sconvolta quando invece riuscì a stringerne l'elsa.
La fissò attonita, poi rivolse un sguardo al drago che continuava a fissarla come se lo sapesse già.
 
«Lily, non so cosa ti abbia promesso Emilie ma devi credermi: tutto questo non è necessario» tentò di dissuaderla.
 
Ma la creatura non sembrò neanche ascoltarla.
 
«Non voglio farti del male» ribadì, senza arrendersi.
«Me ne hai già fatto» le rispose però il drago, grave e rabbioso «Anche se non puoi ricordartelo.»
 
Con un cenno dell'enorme testa squamosa indicò sé stessa.
 
«È così che sarebbe dovuto essere. La mia vita sarebbe stata così se tu non fossi nata. Se i tuoi genitori non avessero deciso di usarmi per salvare te. Per colpa tua, tutto questo è ancora solo un sogno e io sono stata soltanto una povera orfana sfortunata.»
 
Di nuovo, paura e confusione s'impossessarono di lei. Guardò la bara, poi di nuovo la sua vecchia amica e infine scosse il capo.
 
«Cosa... cosa significa? Che ti hanno fatto, Lily? Spiegami, troveremo una soluzione.»
 
Un ultimo appello disperato, che tuttavia la draghessa non accolse.
 
«È questa la soluzione» le rispose invece «Vuoi la verità? Sveglia i tuoi genitori e chiedila a loro. Ma prima... prima sconfiggimi. Sconfiggi il tuo lato oscuro una volta per tutte» concluse, un altro, inquietante ringhio sommesso.
 
Quindi, senza darle ulteriore tempo per ribattere, ruggì e le si avventò contro, costringendola a sfoderare la spada e unirsi alla battaglia.
 
***
 
Con un urlo stridulo e agghiacciante, il drago trafitto dalla spada di Emma si accasciò a terra, e una luce esplose, costringendola a inginocchiarsi e chiudersi su sé stessa, nascondendo gli occhi chiusi dietro le braccia incrociate.
La sentì ruggire di dolore, resistette fino a che il silenzio non tornò a posarsi su di lei. Lentamente alzò la testa, e la vide.
Lily era lì, nella sua forma umana, vestita di nero e con indosso quella che sembrava un'armatura. L'elmo decorato di piume nere le copriva il cranio ma non la faccia, ch'era pallida e sudata. Semi distesa a terra, si copriva il fianco con le mani ma non sembrava in pericolo di vita.
Barcollante, Emma si alzò.
La lotta era stata dura, il drago era più forte di quanto si fosse aspettata e l'aveva messa a dura prova. Ferita ad un fianco e ad una gamba, ammaccata in più punti, bastava un movimento più brusco del normale per provocarle una fitta di dolore tale da mozzarle il fiato.
 
«Lily…» fece, con voce tremante «Come stai?»
 
Una voce sconosciuta di donna rispose per lei.
 
«Starà bene  disse, e guardando nella direzione da cui proveniva vide Malefica avanzare fuori dall'oscurità, maestosa e regale nel suo abito da regina dei draghi nero e viola, un diadema sul capo in mezzo alle robuste corna, stringendo il lungo scettro nero come un bastone da passeggio, nella mano destra.
 
Si avvicinò a sua figlia, le sorrise e si chinò su di lei, usando la magia per guarirla e aiutandola ad alzarsi porgendole premurosa una mano.
Lily le sorrise, annuendo e ringraziandola con un abbraccio per poi ritornare a rivolgersi ad Emma, sempre più confusa.
 
«Stai alla larga da noi da adesso in poi, Salvatrice. Altrimenti la tua oscurità ti si rivolterà contro, e stavolta sarà la fine.»
 
Poi guardò sua madre Malefica, e questa dopo aver rivolto un ultimo sguardo di sfida alla figlia di Biancaneve la prese per mano e batté lo scettro a terra, facendo sparire entrambe in una nuvola di fumo nero.
Rimasta sola, Emma si concesse il tempo per riprendere fiato, cadendo in ginocchio e appoggiandosi alla sua spada.
Si rese conto di non riuscire più a pensare con lucidità, ma non era colpa della magia.
Lily, figlia di Malefica. Il suo lato oscuro. Colpa sua? Perché avrebbe dovuto essere colpa sua?
Scosse il capo, si rialzò e si avvicinò alla bara di cristallo, che a un suo tocco si dissolse lasciandola libera di sfiorare il viso dei suoi genitori con una carezza.
Era stanca. Non aveva neanche la forza di piangere, voleva solo riabbracciarli al più presto e tornare a casa. La sua vera casa. Non ne poteva più di quel posto infernale, di non sapere neanche più cosa fosse vero e cosa falso.
Represse le lacrime, e si chinò a baciare la fronte di entrambi, attendendo paziente che riaprissero gli occhi. Non ci misero molto, in realtà, appena qualche istante in più di un battito di ciglia, e quando dopo averla guardata Biancaneve la chiamò per nome alzandosi per abbracciarla, sentì finalmente di poter piangere.
Li abbracciò, lasciandosi stringere, e cullata dalle loro carezze finalmente riuscì a ritrovarsi.
 
«Emma. Come sei arrivata qui?»
 
Quella domanda, posta da suo padre mentre ancora la accarezzava, la riportò bruscamente alla realtà.
Si guardò intorno, e il cuore ricominciò a battere all'impazzata.
 
«Emilie» mormorò, tornando a rivolgere loro uno sguardo deciso da eroe «Dobbiamo andarcene.»
 
***
 
Heroes and Villains
Epilogo
 
Era notte, e la luna sorgeva alta e piena in cielo facendo risaltare il profilo minaccioso del Castello e l'argento che ne ricopriva le guglie, quando Killian Jones giunse finalmente sotto le sue mura.
Non aveva incontrato ostacoli lungo il percorso, e dopo aver ottenuto da Robin Hood un lascia passare con una scusa, nascondendogli la verità su chi fosse e sul fatto che avesse già incontrato la Principessa in precedenza, si era affrettato nel suo viaggio, senza fermarsi neanche a riposare se non qualche giorno alla locanda dell'allegra brigata, per scoprire se le voci fossero vere e Robin Hood avesse davvero qualcosa a che fare con la Lucertolina.
Ovviamente ce l'aveva, ma ovviamente anche lui era una pedina del suo gioco e continuava a non ricordare il vero sé stesso. Fu proprio l'arciera a comunicargli che per questa volta sarebbe stato il Re stesso a riceverlo, notizia che gli fece un estremo piacere fino a che non lo sentì non aggiunse.
 
«La Principessa è dovuta partire per qualche giorno assieme a sua cognata, la principessa Emma. Sei fortunato però, il Re ha deciso di incontrarti comunque, la tua storia deve averlo colpito in qualche modo.»
 
La mascella si era irrigidita all'istante, e il cuore aveva tremato. Allora il Coccodrillo sapeva! Forse … lo stava aspettando? Solo in quell'istante aveva cominciato a sospettare di star cadendo dritto in un'altra trappola, ma ormai il lascia passare era nelle sue mani e pensò che se Tremotino lo attendeva, non aveva la benché minima intenzione di tradire le sue aspettative.
Una cosa però lo angosciava: Emma.
Continuava a pensare a lei nelle mani di Emilie Gold e l'angoscia lo divorava mentre cercava invano di capire con quale proposito l'avesse portata lontano. Continuava sognarla, a ripercorrere con la mente gli ultimi giorni a Storybrooke prima di quella maledetta festa, a vederla bella e sfavillante in quel vestito rosso fiamma che le accendeva il viso e risaltava le curve del suo corpo.
"Non ci cascare, Emma." ripeteva guardando le nuvole o le stelle "Qualsiasi sia il loro gioco, non cascarci. Sta attenta."
Lo pensò anche adesso, mentre osservava l'alto portone aperto e il ponte levatoio abbassato, segni inequivocabili che qualcosa di estremamente pericoloso lo attendeva. Non c'erano guardie, né arcieri o qualunque altro tipo di linea difensiva, non che il Signore Oscuro ne avesse bisogno.
Sfoderò la spada, lanciò un'ultima occhiata all'ingresso, poi iniziò ad avanzare, deciso ma cauto. Il silenzio era assoluto, rotto soltanto dai rumori della notte e da qualche altro suono macabro e incomprensibile. Ringhi sommessi, sibili malevoli, fruscii appena percepibili che si diffondevano nel buio attraversando le ombre sinistre.
Più volte, mentre percorreva il cortile prima e i corridoi poi, gli parve di vedere un ombra seguirlo o di percepire occhi maligni nascosti nell'ombra ad osservarlo, ma ben presto si rese conto che era solo tutta colpa di una strana magia, e che tutte le voci che aveva sentito su quel luogo erano vere: il Castello era un luogo maledetto come il suo vero padrone, impregnato di oscurità che si nascondeva colpita dai raggi del sole ma tornava a invaderlo libera durante la notte.
Salì senza far rumore un'altra rampa di scale, poi imboccò un corridoio illuminato dai raggi della luna seguendo un'idea appena nata: Il Coccodrillo aveva giocato con Emma, allora lui avrebbe giocato un po' con la sua Belle.
Ma proprio allora, come richiamato dai suoi peggiori ricordi, Rumplestiltskin apparve in fondo al corridoio in tutto il suo macabro splendore.
Elegante e bizzoso nel suo completo da Re, giallo e oro con pantaloni di pelle marroni e l'immancabile camicia con maniche e colletto a sbuffo, l'oscurità era tornata a ricoprirgli il volto e le mani e ora assomigliava decisamente molto di più a quello che per secoli lo aveva perseguitato nei suoi sogni.
Si fece serio, ogni traccia di esitazione scomparve dal suo volto. Impugnò più saldamente la spada e lo sentì ridacchiare divertito.
 
«Salve, Capitano.» lo accolse «È da tanto che non ci si vede. Sei venuto a prenderti la tua vendetta?»
 
Poi, lentamente e con sicurezza, iniziò ad avanzare verso di lui e il sogghigno si spense lasciando il posto ad un'espressione di puro, malefico livore.
 
«Coraggio allora … fatti avanti.»
 
Si fermò, proprio al centro del corridoio, a pochi metri da lui e lo attese beandosi della sua rabbia.
Killian Jones ghignò, mostrando finalmente il vero sé stesso.
 
«Sono venuto a prendermi la tua pelle, Coccodrillo.» gli rispose, e lo vide annuire con un mezzo sorriso divertito «E lo farò oggi una volta per tutte.»
 
Poi urlò e fece per attaccarlo ma proprio allora qualcuno alle sue spalle lo fermò, premendogli un fazzoletto umido e puzzolente sulla bocca. Si divincolò, mentre il Coccodrillo tornava a ridere, ma le forze scemarono rapidamente e l'ultima cosa che vide prima di scivolare nel buio e nel silenzio di un sonno appiccicoso fu il ghigno soddisfatto del Signore Oscuro mentre gli rispondeva con sufficienza.
 
«Beh, temo che dovrai aspettare ancora un po' per il tuo lieto fine, Uncino.»
 
***
 
«Uff! Quanto si agita! Che hai fatto per farlo abbaiare così? Hai affondato tutto il prezioso rum e la Jolly Roger in un colpo solo?»
 
Scuotendo le spalle e ricomponendosi, Cruella de Vil lanciò prima un'occhiata al pirata disteso ai suoi piedi, poi all'uomo che le stava davanti, sistemandosi i capelli e rivolgendogli un sogghigno divertito che questi ricambiò.
 
«E adesso? Che ne facciamo? Se hai finito di giocare con lui, posso tenerlo io?» gli chiese.
 
Di nuovo, Tremotino sorrise.
 
«Mi spiace, Cruella.» rispose «Ma temo di aver bisogno dei suoi preziosi servigi ancora per un po'.»
 
Poi, mentre la donna simulava un'espressione triste e poi tornava a sorridere divertita per quell'inaspettata ma piacevole distrazione, il Re agitò una mano e il pirata scomparve in una nuvola viola.
Sorrise soddisfatto, quindi tornò a guardare la sua complice.
 
«Ci vorrà un po' prima che si svegli.» le disse «Approfittiamone, e concediamoci il brindisi della vittoria. Ti va?»
 
Gli occhi di De Vil scintillarono.
 
«Oh, sì.» replicò entusiasta, aggiungendo quindi, mentre lo prendeva sottobraccio e lui glielo lasciava fare, sforzandosi di ignorare l'odore del gin «Devo ammetterlo, Signore Oscuro. Giocare con te è molto più divertente di quanto ricordassi.»
 
***
 
La piccola barca, unica via di uscita da quell'inferno, li attendeva sulla spiaggia esattamente lì dove l'aveva lasciata, e nel vederla in un primo momento la speranza si riaccese nei loro cuori, ma quando videro apparire, in una nuvola viola, la Lucertolina e il suo inconfondibile ghigno, essa lasciò il posto alla paura e allo sgomento.
Seduta all'interno dell'imbarcazione su uno dei due banchi, schiena dritta, gambe unite e mani sulle ginocchia, la cosa più terrificante fu scoprire che le sue treccine si erano trasformate in tanti piccoli serpenti verdi, neri e dorati, che percepita la loro presenza si ersero contro di loro sibilando.
Anche se erano lontani, d'istinto James si frappose tra lei e le sue due donne. Lui e sua moglie avevano già affrontato una creatura simile.
 
«I suoi occhi, David» mormorò Biancaneve «Non guardatela negli occhi.»
 
Emilie sogghignò
 
«Lo sai, Salvatrice?» esordì calma, una inquietante nota serpentina nella voce «Ho cercato di essere buona e paziente, con te. Davvero. Sono stata gentile, ti ho trattata bene, ti ho perfino offerto la mia amicizia» si fermò, sospirando nervosamente.
 
Un istante di silenzio, poi un ghigno tornò a piegare le sue labbra pallide e sottili e lei si alzò, di colpo, puntandole contro un dito.
 
«Ti avevo chiesto un solo, piccolo, insignificante favore!» ringhiò, le lunghe unghie che artigliavano l'aria «Puoi tenerti la città, la tua piccola famigliola e il tuo ridicolo entourage di fenomeni da circo, ma stai alla larga da me, non metterti in mezzo e soprattutto lascia in pace la mia famiglia.» socchiuse le palpebre, stringendo i pugni, con rapidità inquietante tornò a ghignare «Un favore semplicissimo, ma invece ops!» fece, roteando il polso e aprendo il palmo vuoto, mostrandoglielo «Ecco! Ti ho riportato il tuo naso, l'ho trovato nei miei affari!»
 
Occhi sgranati, pieni di livore.
 
«Non siamo noi ad averti attaccato!» provò a ribattere il Principe «Ti abbiamo accolta a Storybrooke, ma da quando sei arrivata non hai fatto altro che provocare guai. E adesso questo!»
 
La Lucertolina rise, quasi isterica.
 
«Oh, fa silenzio tu, principino!» lo freddò con determinazione, rivolgendogli poi un sogghigno perfido e aggiungendo cattiva «Non prendo lezioni da un qualunquista ipocrita che non ha esitato un attimo a sacrificare la vita di una neonata innocente solo per il timore che la propria figlia non ancora nata potesse un giorno trasformarsi in una cattiva.»
 
Il coraggio dagli occhi di David scomparve, lasciando il posto alla paura. Ancor più esagerata fu la reazione di Biancaneve, che udendo quelle parole perse completamente la testa e urlò, in preda al panico.
 
«No! Non puoi farlo! Noi avevamo un patto!»
 
Lacrime bollenti iniziarono a scorrere sul suo volto arrossato mentre le braccia lasciavano andare sua figlia e si protendevano verso di lei.
Emilie le rivolse una smorfia di disgusto, squadrandola dall'alto in basso con superiorità.
Emma, che fino a quel momento era rimasta in silenzio credendo di trovarsi di fronte a una ridicola pantomima, d'un tratto si rianimò e la fissò mentre con disinvoltura rispondeva alle accuse di Biancaneve.
 
«Il patto era che proteggessi vostra figlia dai piani di Malefica e da quelli di Ursula e Uncino» disse, poi si aprì in un largo sorriso perfido e soggiunse «Non dai miei. E neanche dalla verità.»
«Mamma, di cosa sta parlando?» si fece allora avanti Emma, stufa di tutto quel mistero, sentendo di dover pretendere una risposta.
«Non è vero niente, tesoro. Non ascoltarla, sta mentendo.» tentò di dissuaderla il principe mentre stringeva e consolava sua moglie per impedirle di perdere la testa.
«Tsh!» fece infastidita Emilie «Certo, Emma! Non credere alla figlia di Tremotino.» le disse altera imitando di nuovo la risata di suo padre e gesticolando come lui.
 
Poi tornò a guardarla negli occhi, e per un istante soltanto la Salvatrice riuscì a vederla davvero, di nuovo.
Era lei. Era Emilie. E le stava dicendo la verità.
I suoi genitori le avevano mentito. Perché? Come avevano potuto?
 
«Se non è vero niente, di che parlava Lily? Perché mi ha attaccato? E perché Malefica avrebbe dovuto farlo? Da cosa volevate proteggermi?»
«Dalla verità» le rispose Emilie, vedendo che né Biancaneve né suo marito avevano il coraggio di farlo «E la verità è che loro non sono diversi da me e da mio padre. Nessuno lo è. Non esistono persone totalmente buone o cattive, solo persone che hanno fatto una scelta e devono lottare ogni giorno per mantenerla.
E la sola idea che, una volta cresciuta, tu avresti potuto scegliere l'oscurità li ha fatti uscire fuori di testa. Hanno rapito una bambina, Lily, la figlia di Malefica, e con un incantesimo le hanno addossato tutta la tua oscurità estirpandola dal tuo cuore. Per questo hanno dovuto mandarla via, lontano dalla foresta incantata. Perché non facesse ulteriori danni. Una neonata. Ma tanto a chi importava? Era la figlia di una cattiva, sarebbe diventata comunque un mostro, come sua madre. No?»
«No!! Basta, smettila!!» tornò a urlare Biancaneve, poi si aggrappò alle braccia del suo principe e sprofondò il volto nel suo petto, inorridita al solo ricordo di quei giorni, dell'errore commesso.
«Emma, abbiamo rimpianto quella scelta per tutto il resto della nostra vita» mormorò David, concentrandosi solo su sua figlia.
 
Ma lei, raccapricciata da quel racconto e dalle implicazioni che portava con sé, d'improvviso si rese conto di non riuscire più ad ascoltarlo.
Guardò Emilie alle sue spalle, e d'un tratto le sembrò molto più umana di loro.
 
«Oh, ma davvero?» la sentì tornare a schernirlo, con un ghigno sardonico sulle labbra «Non mi siete sembrati molto afflitti in questi ultimi tempi.»
«Lo siamo stati!» sbottò il principe, fronteggiandola «Ma poi abbiamo capito che dovevamo concentrarci sul nostro futuro. Sul nostro Regno e su Emma, per non rischiare di impazzire.»
 
Emilie annuì con saccenza.
 
«Si» disse «Si, conosco quella sensazione. È la stessa che prova un assassino.»
«Noi non siamo assassini! Voi lo siete!» tornò a urlare Biancaneve, che strappata la spada dalle mani di suo marito le si avventò contro con l'intenzione di ucciderla.
«No! NEVE!» urlò il Principe, ma era troppo tardi per fermarla e non appena la lama sfiorò la sagoma di Emilie la ragazza rise, guardando negli occhi la sua avversaria e permettendo alla magia di fluire dalle sue pupille grigie.
 
L'ultima cosa che Biancaneve udì prima di tramutarsi in pietra fu Emma che gridava il suo nome.
 
«Mamma!» ripeté, il cuore a mille raggiungendola solo per capire che non c'era nulla da fare.
 
Biancaneve era diventata una statua di pietra, un monumento all'orrore della paura, la mente resa folle dalla magia del luogo e dai suoi stessi sensi di colpa.
Rabbrividì, e gli occhi le si riempirono di lacrime.
 
«Vedi, Swan?» le domandò Emilie «Questo è il destino di chi non affronta il proprio lato oscuro. Cedervi o imparare a controllarlo, non abbiamo altra scelta. Nessuno di noi ce l'ha.»
 
Poi si rivolse al Principe, sconvolto, addolorato, tremante.
 
«Non ho intenzione di punirti oltre, caro il mio Principino» gli disse «Lascerò che la tua coscienza diventi il tuo torturatore principale. Ma fino a che questa storia non sarà finita, fino a quando non saremo tornati a Storybrooke, desidero che tu rimanga a fissare la faccia pietrificata di tua moglie chiedendoti quale sia la reale differenza tra te e noi, cosa faccia di te un vero eroe.- quindi sorrise, quasi nostalgica -Confido che saprai darmi una risposta, quando saremo ritornati.»
«Emilie» la supplicò a quel punto Emma «Liberala, ti prego.»
 
Ma, tornando a sogghignare, la Lucertolina le negò quel favore.
 
«Mi spiace, non posso.» disse, prima di avvolgere entrambi in una nuvola di fumo violaceo.
 
Si ritrovarono nell'ampio cortile del vecchio castello in rovina. Una di fronte all'altra, pronte a combattere.
 
«C'è un solo modo per liberare tua madre e riportare tutti a casa, Salvatrice.» le disse, guardandola già intristirsi e scuotere il capo «Come in ogni favola che si rispetti, devi prima sconfiggere il cattivo.»
 
Poi sorrise, fece un passo indietro e spalancò le braccia, ascoltando la magia fluire potente e il proprio corpo cambiare.
Una lunga coda di serpente al posto delle gambe, zampe e artigli al posto delle mani, lingua biforcuta e pupille feline.
 
«E in questa storia…» concluse ghignando «La cattiva sono io. Perciò sbrigati e uccidimi prima che ti divori in un sol boccone!» ruggì, lanciandosi in una rapida sequenza di attacchi.
 
Prima le scagliò contro la sua coda e la vide riuscire ad evitarla per un pelo, poi tornò a graffiare l'aria coi suoi artigli e mentre lo faceva Emma notò che la stava evitando di proposito.
Era... una farsa anche quella?
 
«Smettila Emilie!» le urlò «Non voglio attaccarti, né tantomeno ucciderti! Tu non sei cattiva!»
 
Una verità che le sfuggì dalle labbra e che, non appena l'ebbe urlata, la travolse. La Lucertolina si fermò a guardarla, e sogghignò.
 
«Ne sei sicura, Emma Swan?» le chiese «Sei davvero convinta di quello che hai detto?»
 
La Salvatrice si fermò, ripensando alle parole di Gideon. Lo aveva incontrato sulla nave, poco dopo essere salpati. Si era fatto trovare nella sua stanza e le aveva chiesto aiuto.
 
«Mia sorella è complicata» le aveva detto «È rimasta sola per tanto tempo, ha lottato perché papa potesse essere felice e ha salvato Bae. Ma per farlo ha dovuto macchiare il suo cuore d'oscurità, e da quel momento credo che le cose per lei abbiano iniziato a cambiare.»
 
Sulle prime non aveva capito, ma poi Gideon l'aveva guardata negli occhi e l'aveva supplicata, con tutto il cuore.
 
«Lei non è cattiva, Emma. Solo triste e spaventata. L'oscurità potrebbe usarlo contro di lei, potrebbe spingerla a oltrepassare il limite» aggiungendo, con un sorriso commosso «Sei la Salvatrice, no? Salva mia sorella da sé stessa, Emma. Solo per stavolta, salvala. Quando questa storia sarà finita e saremo tutti tornati a Storybrooke, potrai chiederle tutte le spiegazioni che vorrai ma ora, per favore, aiutami a ricordarle chi è.»
 
Aveva avuto modo di pensarci, durante la lunga traversata, e la rapida trasformazione di Emilie in quella mostruosa creatura ora non fece che ricordarglielo. Sorrise, annuì guardandola e fece quello che nessuno si sarebbe mai aspettato da un eroe.
Lasciò cadere la spada a terra, alzando le mani in segno di resa mentre gli occhi della serpe la fissavano, attenti e vitrei, ma con una strana luce fiera.
 
«Ci credo, si.» disse addolcendosi in un sorriso «E detto fra noi, le favole in cui l'eroe uccide il drago mi hanno sempre messo una tristezza infinita» concluse, scoccandole un occhiolino.
 
La creatura sorrise, divertita, rilassando i muscoli e zittendo le serpi dentro e sulla sua testa. Stava per arrendersi, pensando che una favola che si concludeva con l'eroe che invece di uccidere il cattivo lo salvava era proprio quello che sperava, quando dal corridoio principale giunse il Principe Azzurro, spada sguainata e nel cuore un solo desiderio: finire quella storia nella maniera più classica possibile.
Emilie non si accorse di nulla, Emma fece appena in tempo a vederlo e gridargli di fermarsi, ma non venne udita e poté solo stare a guardare quando la lama trafisse il ventre della ragazza, sprigionando una luce cristallina mentre i suoi occhi, colmi di sorpresa e dolore, si sgranavano e la bocca si riempiva di sangue.
Il finale era scritto, la favola era conclusa.
In un battito di ciglia, esattamente com'era stata cambiata, la realtà tornò prepotente al suo posto.
 
***
 
Presente,
Storybrooke,
Villa Gold

 
Quando gli occhi del principe si aprirono sulla realtà, tutto divenne nero e drammatico all'improvviso.
Si ritrovò nel bel mezzo della festa organizzata da Emilie Gold, nelle mani il suo sangue e la spada con cui l'aveva trafitta.
La ragazza era ancora in piedi di fronte alla Salvatrice, gli occhi sgranati, le mani sul ventre, ogni segno di Medusa era scomparso e ora sembrava solo una vittima innocente, l'ennesima, una bambina caduta sotto i colpi dell'infallibile spada del Principe James.
Increduli e inorriditi, gli ospiti presenti trattennero il fiato guardando quella scena così surreale e tutta la tensione accumulata sfociò in un boato di preoccupazione quando la videro aprire la bocca per parlare ma invece riuscire soltanto a sputare un altro fiotto di sangue prima di crollare al suolo.
 
«Emilie! No!» urlò Gideon, in piedi tra la folla che immediatamente si aprì per farlo passare.
 
Confusa e spaventata, la mente sempre più annebbiata dal dolore e da una stanchezza pericolosa, Emilie afferrò le mani che si protesero a sorreggerla. Prima quelle di Ewan, poi quelle di Mr. Gold, che cercando di non tremare la strinse forte, il cuore che batteva all'impazzata e gli occhi già umidi quando vide che lo cercava, battendo le palpebre per tentare di schiarire la vista sempre più offuscata.
 
«P-papa…» mormorò, aggrappandosi alla sua mano.
«Sono qui, Principessa. Sono qui» le rispose.
 
Belle al suo fianco ritornò a stringerlo, soffocando un singhiozzo, il cuore in pena nel vederle quella bambina che li aveva cercati così tanto intensamente spegnersi a quella velocità, tra le braccia del suo vero amore.
Sorrise nell'assistere a quel momento di tenerezza, e lo fece anche Ewan stringendola forte a sé come se questo bastasse a strapparla agli artigli della morte, ma senza riuscire a reprimere una smorfia di dolore.
Mentre li osservava, David Nolan rabbrividì gettando a terra l'arma del delitto e fissando lo sguardo carico di delusione di sua figlia. Scosse il capo, aprendo la bocca per parlare ma non riuscendo a farlo. Non c'erano parole adatte a spiegare le circostanze e i motivi così assurdi che lo avevano spinto a una simile azione. Soprattutto, non riuscì a trovarne nessuna che non lo facesse assomigliare ad un cattivo.
Ora che la follia scatenata dalla magia corrotta del libro in cui erano rimasti intrappolati era svanita, restava solo quella inquietante domanda: Perché? Era davvero questa l'unica scelta possibile?
Gli sforzi di Emma per restarle vicino nonostante avesse giocato con lei e cercato di ucciderla gli diedero già una risposta.
 
«Emilie! Guardami! Riesci a sentirmi?» ripeté Gideon, cercando di mantenere il sangue freddo e di non sentire la disperazione crescente dentro di sè.
 
Aveva appena ritrovato sua sorella, e adesso rischiava di perderla per sempre.
La ragazza annuì, ma le palpebre iniziarono a socchiudersi.
 
«Guardami, Milly! Non chiudere gli occhi! Non devi, resisti!» la incoraggiò, un nodo in gola.
«Che accidenti è successo?» domandò allarmato William Scarlet emergendo dalla folla e raggiungendo Ruby Lucas al fianco di Emma.
 
Bastò un'occhiata al Principe e al suo sguardo colpevole per capire, e sentì il forte impulso di sferrargli un pugno su quel grugno da eroe che si ritrovava, ma poi si trattenne quando vide l'amica compiere un ultimo, enorme sforzo per richiamare l'attenzione di Tremotino.
 
«P-papa …» tornò a chiamarlo, riscuotendolo dal dolore e dalla paura.
 
l'uomo le strinse la mano, lei vi si aggrappò e gli fece segno di avvicinarsi, sussurrando quindi, con l'ultimo fiato rimasto.
 
«Io … mi serve la tua magia …»
 
Magia. Certo. L'unica cosa a cui dare la colpa per quell'irrimediabile imprevisto ma anche l'unica che avrebbe potuto aumentare le sue possibilità di salvarsi.  La magia del Signore Oscuro, la stessa che aveva curato tante volte le sue ferite e che avrebbe potuto farlo di nuovo, salvandole la vita.
 
«Mi serve la tua magia, papa …» ripeté, e l'uomo sembrò riscuotersi dal torpore «Per favore …»
 
Baelfire rabbrividì.
Sui volti di Ewan e Belle apparve prima stupore, poi preoccupazione e infine, specie su quello dell'arciere, un sorriso che raggiunse anche William Scarlett, contagiandolo. Rumplestiltskin guardò Gideon, in ginocchio di fronte a lui, e lo vide annuire.
Era … la cosa giusta. Forse non l'unica, ma non avrebbe permesso mai più ad uno dei suoi figli di andarsene.
Emilie aveva sacrificato sé stessa per permettere a Baelfire di vivere, di essergli accanto adesso. Ogni singolo istante insieme dopo il suo ritorno dall'oltretomba lo dovevano a lei, e adesso era giunto il momento di ricambiarle il favore.
Sorrise, ritrovando compostezza e annuendo.
 
«Va bene» mormorò, carezzandole dolcemente i morbidi capelli castani e lasciando andare la sua mano.
 
Pose il palmo aperto sulla ferita, lasciando che la magia fluisse libera cancellando la maggior parte dei danni e rendendo molto meno gravi quelli che restavano. Ma soprattutto, alleviando le sue sofferenze.
Ci volle qualche minuto, e in quel silenzio teso, mentre tutti gli occhi erano puntati su di loro, Belle guardò suo marito prendersi cura della loro bambina con la sua magia e una strana, confortante sensazione avvolse il suo cuore come un abbraccio.
Con un singhiozzo, la ragazza tornò a respirare avvertendo il dolore sparire e la presa sulla vita farsi più forte. Non abbastanza però, da permetterle di riaversi del tutto. Quando Tremotino finì il suo lavoro e la magia smise di fluire in lei, il peso di quel corpo tornò a schiacciarla. Ora che la vista era tornata limpida, lo guardò di nuovo e lo vide scuotere il capo, nervosamente.
Sorrise, tornando ad aggrapparsi alla sua mano e mormorando un sincero
 
«Grazie …» prima di abbandonarsi alla stanchezza crescente, che almeno però non aveva più l'odore della morte.
 
Non più, grazie a lui. Il Signore Oscuro. Suo padre. Il suo eroe.
Si abbandonò tra le braccia di Ewan e chiusi gli occhi reclinò il capo, scivolando in un buio e in un silenzio confortanti.
 
(Continua …)

 
   
 
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