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Autore: LorasWeasley    29/06/2023    2 recensioni
AU|Soulmate [Tecchou x Jouno]
"Era per questo motivo che non aveva amici.
O meglio, non ne aveva avuti fino all’iscrizione all’università e all’incontro con Suehiro Tecchou.
Tecchou era… un idiota."
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Saigiku Jouno, Tetcho Suehiro
Note: Soulmate!AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Soulmate'
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Soulmate - Suegiku

Se c’era una cosa in cui Saigiki Jouno poteva dire di essere stato fortunato nella sua vita, era quello di aver avuto dei genitori fantastici. Infatti, nonostante fosse cieco fin dalla nascita, non l’avevano mai trattato con pietà o in modo diverso da come avrebbero cresciuto un qualsiasi altro bambino sano. I suoi genitori gli avevano insegnato tutto quello che c’era da sapere, preparandolo con ogni mezzo ad affrontare un mondo che non l’avrebbe preso mai sul serio.
La sua adolescenza non era stata triste o solitaria, ma non era stata neanche piena di amici. Jouno non aveva mai creduto di averne avuto uno vero, per lui erano solo tutti conoscenti, quel genere di persone che finivano a parlare con lui poiché si trovavano nello stesso luogo. Ma scambiare diverse frasi in classe non era abbastanza per poterli considerare amici, non quando Jouno non poteva frequentare un club, non poteva andare a vedere insieme a loro una partita di un qualsiasi sport o non poteva fare una semplice uscita in centro per andare al bar o al cinema. O meglio, poteva ma non voleva, perché sarebbe solo stato un peso.
In tutto questo, era stato continuamente frenato da quello che sua madre gli aveva sempre detto per metterlo in guardia dalle persone: “Ricorda Jouno, nessuno aiuta nessuno per nulla, devi imparare a cavartela da solo e ad essere autosufficiente, le persone non sono mai gentili se non per tornaconti personali.”
E così Jouno aveva imparato a non fidarsi di nessuno, soprattutto quando ebbe delle prove concrete di quello per cui i suoi genitori l’avevano sempre messo in guardia. Aveva infatti imparato che esisteva “l’abilismo”, ovvero l’essere discriminato dalle persone abili senza che queste neanche se ne rendessero conto. Questo succedeva quando lo lodavano e si congratulavano con lui per qualcosa che riusciva a fare, come se non fosse normale che ci riuscisse da solo; altra cosa era quando invece lo trattavano come un bambino incapace. Le due cose capitavano più spesso di quanto Jouno avrebbe voluto ammettere ed era per questo motivo che non aveva amici.
O meglio, non ne aveva avuti fino all’iscrizione all’università e all’incontro con Suehiro Tecchou.
Tecchou era… un idiota.
Non c’era altro modo per definirlo, quella parola racchiudeva tutto il suo essere.
Jouno non era sicuro di come fosse entrato nella sua vita, sapeva solo che da un giorno all’altro questo aveva iniziato a seguirlo ovunque, a parlare con lui, a sedersi al suo fianco a mensa e a chiedergli consigli sulle lezioni che avevano in comune. Aveva questo tono di voce sempre impassibile e calmo, ascoltava tutto quello che gli veniva detto e aveva un senso della giustizia fin troppo radicato. Non stava con lui per pietà, perché neanche una volta si era proposto di aiutarlo a fare qualcosa, una volta aveva persino riso quando Jouno era inciampato su un gradino mancante e stava per finire a terra. Ma non sembrava stare con lui neanche per interesse personale, poiché in quei mesi non gli aveva mai chiesto nulla.
Jouno aveva svolto degli esperimenti su di lui e aveva constato che se gli avesse chiesto di smettere di respirare perché gli stava dando fastidio, Tecchou semplicemente l’avrebbe fatto.
Ecco perché era un idiota.
Ma la cosa che più lo infastidiva era il non capire perché aveva dato l’avvio a quell’amicizia. Qual era il suo obiettivo? Perché aveva deciso che sarebbe diventato suo amico? Cosa ci guadagnava? Non avere una risposta a queste domande era ciò che lo rendeva sempre più irritato.
Ed era a questa irritazione che associava il suo bisogno sempre più frequente di toccarlo, il suo battito cardiaco che accelerava in sua presenza e il suo viso che di tanto in tanto si riscaldava. Non c’era altra spiegazione plausibile.
Dopo il discorso “amici”, anche il discorso “anima gemella” era qualcos’altro che per tutto il resto delle persone era di vitale importanza, mentre Jouno l’aveva sempre ignorato. Perché in un mondo dove le bugie che la tua anima gemella pronunciava si scrivevano sulla tua pelle e restavano circa ventiquattr’ore, lui come avrebbe dovuto vederle? Come avrebbe dovuto capire chi fosse la persona destinata a lui? L’unico modo che aveva era che fosse questa a presentarsi e dirglielo, ma Jouno era sicuro che non avrebbe voluto avere niente a che fare con lui quando avrebbe visto il casino che era, era più facile fare finta di nulla e farsi un’altra vita, innamorarsi di qualcuno sano.
Jouno non pensava quasi mai alla sua anima gemella, quel giorno però non poté farne a meno perché per una qualche serie di eventi aveva sentito solo conversazioni di quel tipo.
Tutto era iniziato quella mattina in autobus quando, mentre aspettava che venisse annunciata la sua fermata, non poté fare a meno di ascoltare la conversazione dei due ragazzi seduti sul sedile dietro di lui, la quale si concluse con uno dei due che ringhiò all’altro -Senti un po’ ragazzo tigre, se dici un’altra parola su questo argomento giuro che ti uccido!
Jouno si chiese se quello fosse uno strano soprannome che usavano a letto, ma non volle indagare più di tanto, non mentre percepiva l’altro sussultare e affermare preoccupato -Questo non è spuntato sulla mia pelle. Perché non è spuntato? AKUTAGAWA, VUOI DAVVERO UCCIDERMI!?
La sua giornata continuò con l’incontro di Ranpo Edogawa (un genio che Jouno conosceva solo di fama nonostante non ci avesse mai parlato) che poco prima dell’inizio della lezione si stava lamentando che la sua anima gemella era troppo pura e non gli lasciava mai scritte sul corpo.
Infine, a pranzo, si era sistemato in cortile perché c’era un bel sole caldo di metà primavera e qui non poté non sentire le conversazione tra Chuuya Nakahara e Osamu Dazai, i due ragazzi più “popolari” del luogo.
-Non sono la tua anima gemella!- stava ringhiando uno dei due.
L’altro sospirò afflitto -Chibi, smettila di dirlo che poi me lo ritrovo scritto ovunque.
Jouno percepì qualcuno sedersi al suo fianco sulla panca e non ebbe bisogno di chiedere per capire che era Tecchou, il ragazzo inoltre non ebbe bisogno di annunciare la sua presenza e, complice anche lui del fatto che aveva appena ascoltato la conversazione dei due, commentò -La cosa divertente è che tutto quello che Dazai dice lo ritrovi scritto sul corpo di Nakahara, ha scritte anche in faccia, anche quando dice che lo odia o che non sopporta che faccia certe cose. Quel ragazzo passa la sua intera vita a mentire, non capisco come certe persone possano farlo.
A Jouno sinceramente non fregava nulla della morale e della giustizia, se doveva mentire per tornaconti personali o per non mettersi in imbarazzo, finché non faceva male a nessuno non si poneva alcun problema, al contrario del suo amico evidentemente.
Una certa curiosità lo spinse a chiedergli -E tu quante scritte hai sul corpo?
-Tante- rispose tranquillo come se stesse parlando del tempo e non della sua anima gemella che mentiva periodicamente.
Una fitta di fastidio strinse lo stomaco dell’albino, non seppe dire a cosa era dovuto e non volle neanche rifletterci.
-E io?- non gli era mai interessato saperlo, quindi perché aveva fatto quella domanda?
-Tu non ne hai.
La tranquillità con cui gli aveva risposto aumentò il suo fastidio, che lo portò a stringere gli occhi già chiusi e rispondere a tono -Non lo sai, magari sono sotto i vestiti e non lo vedi.
Sapeva che non avrebbe potuto avere un futuro con la sua anima gemella, ma sentirsi dire in modo così tranquillo e disinteressato che forse neanche ne aveva una, gli aveva dato fastidio.
-No, non ne hai e basta.
Quello fece esplodere del tutto la sua furia e si ritrovò a sbottare con fastidio -Ma che ne vuoi sapere tu?-, mentre chiudeva con forza il suo contenitore del pranzo e si alzava per andarsene infuriato, lasciando Tecchou al tavolo da solo e confuso su dove avesse sbagliato.
 
Erano passati tre giorni da quando Jouno aveva litigato con Tecchou e sentiva la sua mancanza. Si odiava per questo, soprattutto quando aveva promesso a se stesso che non avrebbe mai avuto bisogno di nessuno e che sarebbe stato autosufficiente. Quindi perché adesso si sentiva così? Perché voleva solo che l’altro lo cercasse? Perché era così orgoglioso da non riuscire neanche a concepire il fatto di cercarlo lui stesso a Tecchou e dirgli “scusa, ho esagerato, sono stato un idiota, ti prego torna ad essere mio amico, mi manchi”?
Rifletteva a tutto questo mentre se ne stava seduto sugli spalti in cemento del campo di atletica, a riascoltare con una cuffietta la lezione di quella mattina. Fu con l’orecchio libero che percepì i passi di qualcuno che lo raggiungeva, passi che conosceva fin troppo bene e che, involontariamente, gli fecero battere il cuore più veloce.
-Ciao… posso unirmi a te?
-É un luogo pubblico, puoi fare quello che vuoi- rispose in modo piccato con quella frase, perché dirgli di sì sarebbe stato come ammettere che gli era mancato e Jouno non poteva permetterselo, ma dirgli di no avrebbe portato Tecchou ad andarsene davvero perché ascoltava sempre i suoi desideri, ma Jouno non voleva che se ne andasse.
Sentì il fruscio dell’altro che si avvicinava e si accomodava al suo fianco. Abbastanza vicino da sentire la sua presenza ma non abbastanza da toccarlo.
-Ti ho portato una cosa- annunciò poi mentre, dal rumore, Jouno capì che stava iniziando a cercare nella sua borsa.
Dopo qualche secondo gli mise un sacchetto di plastica liscia in mano e spiegò -Sono biscotti, li ho fatti io. Sono neri per gli ingredienti che ho usato ma non sono bruciati. Sono un sacco brutti da vedere, ma almeno tu non ti preoccuperai di questo.
-Mi vuoi avvelenare?- chiese scettico e con un filo di ironia mentre scioglieva il nastro che teneva chiuso il sacchetto.
-No- rispose sincero l’altro -ne ho assaggiato uno prima di pensare di darteli, sono buoni.
-Il tuo senso del gusto è strano. Non mi fido.
-Non devi mangiarli per forza se non li vuoi, non è importante, voglio solo che tu stia bene, non costringerti a fare qualcosa che non…
-Va bene- lo interruppe Jouno mentre afferrava un biscotto dalla forma strana e che gli lasciò subito diverse briciole sulle dita -stavo solo scherzando.
Ne prese un morso con timore per poi scoprire con stupore che il ragazzo non aveva fatto abbinamenti strani, erano solo dei normali biscotti al cioccolato, morbidi e che si scioglievano in bocca.
Ovviamente Jouno non gli avrebbe dato la soddisfazione di dirgli che gli erano piaciuti, così si limitò a chiedere.
-Perché questi biscotti?
-Tachihara mi ha visto un po’ giù in questi giorni e mi ha chiesto perché non fossi con te, ho risposto che eri arrabbiato con me e non sapevo che fare per farmi perdonare, così lui mi ha consigliato di portarti dei cioccolatini o dei fiori perché è questo che si fa con il proprio ragazzo o ragazza. Quindi ho passato tutto lo scorso pomeriggio a fare prove con questi.
Se Jouno non avesse già ingoiato il morso del biscotto che aveva preso, probabilmente gli sarebbe andato di traverso a sentire quelle parole. L’unica conseguenza fu stringere un po’ troppo forte il resto del biscotto che teneva in mano, sbriciolandone una parte, mentre il resto ricadde dentro la busta aperta.
-Cosa hai detto?- sussurrò il non vedente mentre si toglieva la cuffietta e si concentrava sul rumore troppo forte del suo cuore che gli rimbombava nelle orecchie.
Tecchou sembrava tranquillo e impassibile come sempre mentre affermava nuovamente -Ho detto che Tachihara mi ha visto…
-Ho capito quella parte!- lo interruppe con agitazione -Ma perché hai detto la cosa del ragazzo? Noi non stiamo insieme.
-Hai ragione- concesse il corvino -ma ci stiamo frequentando, giusto? Voglio dire, l’ho dato per scontato visto che sei la mia anima gemella.
-Io sono cosa!?- troppe informazioni tutte insieme, Jouno pensava di essere finito in una qualche sorta di scherzo, probabilmente qualcuno aveva convinto Tecchou a dire quelle cose per prenderlo in giro, probabilmente lo stavano riprendendo proprio in quel momento per ridere alle sue spalle nei prossimi mesi. Non doveva fidarsi delle persone.
Ma la voce di Tecchou sembrava così sincera mentre affermava con sicurezza -Sei la mia anima gemella.
-Mi stai prendendo in giro? Perché giuro Tecchou che se lo stai facendo io…
-Non ti sto prendendo in giro. Non ho mai detto delle bugie, ecco perché tu non hai scritto nulla sul tuo corpo.
-Allora perché non me lo hai detto prima!?- la sua agitazione era in aumento, una piccola stilla del suo cervello lo mise in allerta su un possibile attacco di panico che avrebbe potuto avere.
-Pensavo lo sapessi.
-COME AVREI DOVUTO SAPERLO!? NON POSSO LEGGERE LE MIE BUGIE SULLA TUA PELLE, AL CONTRARIO TUO!
-Non è solo questione di bugie, dal primo momento che ti ho visto l’ho capito. Mi piace sentirti parlare, mi piace stare con te, penso sempre che vorrei farlo per tutta la vita. Tu no?
E lì Jouno si rese conto che tutto quello che provava in compagnia dell’altro non era irritazione o odio, era solo qualcosa che segretamente aveva sempre voluto ma che aveva ignorato per tutto quel tempo. Qualcosa che non pensava di meritare, o che sarebbe mai riuscito ad avere.
Rimase in silenzio, perché era troppo da capire tutto in una volta, aveva bisogno di tempo e…
-Se vuoi posso baciarti, dicono che il primo bacio sia una conferma definitiva.
Fanculo al tempo e all’aspettare, Jouno lo voleva subito.
-Sì- sussurrò alzando la testa nella direzione generale di dove si trovava l’altro.
Le mani di Tecchou erano dolci e fresche sulle sue guance bollenti, con quel semplice tocco poté sentire un leggero tremito e capì che, nonostante la voce calma e tranquilla, non era poi così tanto impassibile neanche lui a quello che stava succedendo.
Quando infine lo baciò piano e gentile, Jouno ebbe la certezza che non gli stava mentendo, che non gli aveva mai mentito. Tecchou era la sua anima gemella e l’aveva accettato nella sua vita.
  
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