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Autore: Europa91    02/07/2023    2 recensioni
Il tempo dei giochi era finito.
Presto una guerra avrebbe sconvolto l’Europa intera così come le vite di tutti loro. La sua relazione con Baudelaire non era durata che il tempo di una stagione. Quel fiore non aveva nemmeno avuto modo di sbocciare che era stato reciso brutalmente dalla realtà che li circondava e che aveva finito per inghiottirli.

[Missing Moment di “Une Saison En Enfer”]
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Agatha Christie, Arthur Rimbaud, Chuuya Nakahara, Nuovo personaggio, Paul Verlaine
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'People Exist To Save Themselves'
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Note Autrice: Luglio sarà un mese abbastanza difficile quindi inizio con il lasciare questo cadeau. Avevo scritto questa one shot durante il Cowt ma non sono riuscita ad inserirla nella storia originale come avrei voluto. Molto in breve, iniziamo con uno spaccato sulla parentesi londinese di Rimbaud e del suo ultimo incontro con Baudelaire, fatti sempre accennati e mai descritti nella Saison XD In questa missing viene mostrato di più anche il personaggio di Victor Hugo e chiarito meglio il suo legame con Arthur. Sono tutti dettagli che vanno semplicemente ad arricchire la storia principale, per cui consiglierei la lettura di entrambe giusto per avere un’idea del contesto in cui sono ambientate. Non so ancora quando ma presto arriveranno anche gli aggiornamenti alla Saison e In Order. Vi ringrazio per l’attenzione e vi auguro buona lettura!!!

 



 



 

“Un soir fait de rose et de bleu mystique,

Nous échangerons un éclair unique,

Comme un long sanglot, tout chargé d’adieux;”*

La Mort des Amants - C.Baudelaire





 

-Inghilterra-

 

Le stagioni hanno una loro ciclicità, dall’alba dei tempi si susseguono una dopo l’altra in un circolo infinito. Nessuna però è mai uguale alla precedente. Ogni primavera porta con sé qualcosa che la differenzia da quella passata, lo stesso avviene per ogni estate, autunno o inverno. Questo discorso può essere esteso anche per le stagioni della vita.

Il ragazzo dai lunghi capelli corvini, raccolti elegantemente in una coda bassa, osservava annoiato il paesaggio sfrecciare davanti ai propri occhi cullato dal lento ondeggiare del treno sopra il quale stava viaggiando. In grembo teneva aperto il quotidiano locale, acquistato più per abitudine che per reale interesse. A lettere cubitali sulla prima pagina svettavano solo titoli altisonanti che facevano riferimento alla “Grande Guerra” che si ipotizzava sarebbe scoppiata di lì a breve nel continente. Un articolo in particolare però aveva attirato l'attenzione del giovane. Si trattava di un piccolo trafiletto a bordo pagina nel quale l’intelligence inglese faceva riferimento ad un certo Red Prince. Le Prince Rouge tradusse mentalmente storcendo il naso verso quella lingua dal suono così diverso dalla propria e alla quale mai si sarebbe abituato.

“... Dei testimoni hanno indicato come il sospettato fosse in abiti eleganti e completamente avvolto da fasci di luce scarlatti di cui ancora si ignora l’origine. Il numero delle vittime dell’incidente invece, ammonta a…”

Ripiegò con cura il giornale trattenendo a stento una risata.

In quasi vent’anni era stato chiamato in molti modi, ma nessuno gli aveva mai dato del principe, rifletté tornando a prestare tutta la propria attenzione al paesaggio. In quel momento si ricordò di sua madre e di come un tempo si divertisse ad affibbiargli nomignoli infantili, ma anche dei bambini del paese, soliti ad apostrofarlo con varianti del proprio nome declinate al femminile per puro diletto. Paul non avrebbe mai immaginato un giorno, di diventare famoso proprio grazie ad un soprannome.

A essere sinceri, non si sarebbe aspettato molte cose il giovane Verlaine, come ad esempio di dover rinunciare al proprio nome per acquisirne uno nuovo. Quando Arthur Rimbaud aveva sostituito il suo vecchio io, divenendo la sua nuova identità, era solo un bambino, forse troppo giovane per comprendere le reali conseguenze delle proprie azioni, come anche il peso di determinate scelte. Il piccolo Paul aveva ricevuto un’offerta e l’aveva accettata. Da quel momento gli era sembrato di vivere in un sogno. Si era sentito per la prima volta forte, invincibile e in grado letteralmente di conquistare il mondo.

Con il passare del tempo, con la fine dell’infanzia e l’ingresso nell’età adulta, Arthur sarebbe arrivato a comprendere la portata dei propri errori. Quando era ormai impossibile tornare indietro.

Ogni stagione è bella quanto irripetibile.

Le proprie scelte lo avevano portato prima a perdere la sua famiglia, poi Charles. Al solo pensare quel nome, la giovane spia francese poteva avvertire il proprio stomaco contorcersi dal rimorso e da altri sentimenti contrastanti che tornavano a tormentarlo.

Senso di colpa. Era questo che lo stava divorando da quando aveva ricevuto quel telegramma.

Arthur Rimbaud e Charles Baudelaire si erano ritrovati a Parigi dopo dieci anni e in quell’occasione Arthur aveva scoperto come l’amico d’infanzia non lo avesse mai dimenticato. Nonostante tutto, Charles lo aveva aspettato e senza arrendersi, era riuscito a ritagliarsi uno spazio nella sua nuova vita, dimostrandogli tutto il proprio amore. Ed ora, per colpa della spia Rimbaud, Charles Baudelaire sarebbe morto.

Paul anzi Arthur non poteva avere dei legami, provare sentimenti, eppure come un normale ragazzo della sua età, si era innamorato. Aveva deciso deliberatamente di infrangere le regole nella convinzione di essere superiore ad esse. Anche quello, con il senno del poi, sarebbe stato l’ennesimo errore.

La sola differenza era la posta in gioco, in questo caso, la vita di Charles. 

Poco dopo essere partito per Dover, i suoi superiori gli avevano inviato un semplice telegramma. Grazie a quello, Rimbaud aveva appreso quale sorte sarebbe toccata all’amico.

Con la presente siamo ad informarla di aver preso in custodia Monsieur C. P. Baudelaire. Nonostante la delusione arrecata dal Vostro comportamento A. R. la esortiamo a continuare la sua missione per tutto il tempo che riterrà opportuno”

Arthur aveva stracciato quel foglio di carta nel momento esatto in cui aveva terminato di leggere l’ultima frase. Era furioso. Sia con se stesso che con il proprio Paese. Quello era stato un avvertimento. Il primo.

I Poètes avevano scoperto della sua relazione con Charles e ora lui avrebbe pagato per entrambi. Arthur era stato un ingenuo a sperare di passarla liscia. Lui ormai faceva parte del corpo d’élite dei Trascendentali.

Il tempo dei giochi era finito.

Presto una guerra avrebbe sconvolto l’Europa intera come le vite di tutti loro. La sua relazione con Baudelaire non era durata che il tempo di una stagione. Quel fiore non aveva nemmeno avuto modo di sbocciare che era stato reciso brutalmente dalla realtà che li circondava e che aveva finito per inghiottirli.

Quello era il vero volto dell’Intelligence. Era così che i Poètes erano sopravvissuti, così che operavano.

Arthur non aveva versato una lacrima per Charles. Aveva deciso che non lo avrebbe fatto.

Charles Baudelaire sarebbe rimasto il suo più grande rimpianto. La sua colpa. Il suo peccato. Una cicatrice che mai sarebbe scomparsa. Poteva ancora sentire il profumo del proprio amante, disteso sul letto accanto a lui, dopo aver consumato quell’unica notte di passione.

Non avrebbe più permesso a nessuno di entrare nella sua vita. Da bambino Arthur aveva fatto la propria scelta, adesso era una spia. Per gente come lui l’amore era un sentimento che non poteva esistere. Ormai aveva abbandonato l’idea di vivere un’esistenza normale.

Per il mondo, Paul Verlaine era morto a otto anni, Arthur Rimbaud era solo il ricordo sbiadito di un ambizioso ragazzino delle Ardenne che per il proprio egoismo aveva finito con il condannare la persona per lui più importante.

«Scusi è libero quel posto?»

Una voce sconosciuta, ma dall’inconfondibile accento inglese lo riportò alla realtà, strappandolo dalle paranoie che lo stavano consumando.

Fece un lieve cenno del capo, spostando il proprio cappotto dal sedile vuoto davanti a lui per permettere alla donna di accomodarsi. Lei gli sorrise grata.

Rimasero in silenzio per qualche minuto osservando entrambi fuori dal finestrino, mentre la campagna scorreva davanti ai loro occhi.

«Red Prince, certo che ne hanno di fantasia i giornalisti» esordì la donna all’improvviso.

Arthur ci mise qualche secondo per collegare quel nome all’articolo di giornale. Cercò di non sorridere troppo nel udire quel soprannome che la stampa gli aveva affibbiato.

«Non può negare Madam che si sia trattato di uno smacco notevole per la polizia» concluse in un perfetto inglese. La donna gli sorrise divertita.

«Vi esprimete in maniera impeccabile complimenti»

«Grazie ma devo ancora perfezionare il mio accento»

«No, siete stato notevole, ma come ogni francese dovete lavorare di più sul suono della R»

«Anni di studio, fatiche e vengo tradito da una consonante» sospirò fingendosi affranto. La donna non smise per un secondo di sorridere. Arthur la imitò, era da tempo che non si concedeva un po’ di leggerezza.

«Io comunque sono Mary, Mary Westmacott» gli tese la mano.

«Molto piacere Lady Westmacott. Arthur Rimbaud»

Passarono il resto del viaggio a chiacchierare e commentare le varie notizie riportate dai quotidiani. Mary era una donna decisamente colta e curiosa, forse troppo. Arthur però non trovò in alcun modo la sua presenza invadente anzi, avvertiva dentro di sé il bisogno di staccare la mente dai suoi stessi pensieri. Necessitava di prendersi una pausa dal proprio lavoro. Non gli capitava spesso di avere conversazioni con dei civili.

Come sempre si era illuso. Non aveva mai goduto del lusso di avere una scelta.

Arrivati alla stazione, un attimo prima di congedarsi Mary gli sorrise stringendogli la mano per poi sussurrargli all’orecchio:

«Devo ammettere che siete stato molto bravo little prince. La Torre dell’Orologio è estremamente soddisfatta del vostro operato. Spero che potremo chiacchierare ancora in futuro»

Arthur rimase interdetto per qualche secondo mentre osservava la bionda figura allontanarsi sempre più, finendo con il confondersi tra la folla.

Anche quella donna era una spia. Forse, anzi sicuramente, le era stato dato l’ordine di pedinarlo.

Non era un mistero che la Torre dell’Orologio non si fidasse dei Poètes Maudits. L’ipotesi di una guerra incombente li aveva solo costretti a sotterrare l’ascia di guerra e collaborare in vista di una minaccia più grande.

Secoli di attriti e rancore però non potevano essere cancellati con un colpo di spugna.

I rapporti tra le due nazioni erano sempre stati difficili, tesi. Ad Arthur era stato insegnato di temere la Torre dell’Orologio e di non fidarsi dei suoi agenti.

Era la più antica tra le Organizzazioni del vecchio continente e anche la più potente.

Quella non era certo la prima volta che Rimbaud si recava in territorio inglese. Arthur aveva bruciato le tappe, diventando in breve tempo uno degli utilizzatori di Abilità più potenti del proprio Paese. Per questo era stata richiesta espressamente la sua esperienza per quella missione. Sempre per questo aveva perso Charles. Si domandò per quanto ancora il suo fantasma lo avrebbe tormentato.

Rimbaud non era riuscito ad opporsi a quella vita. Poteva raccontarsi ciò che voleva ma Arthur amava il proprio lavoro. Aveva sacrificato ogni cosa per essere una brava spia.

Charles Baudelaire era stato un imprevisto. L’amore che aveva scoperto grazie a lui però non era stato sufficiente. Rimbaud non aveva avuto la forza necessaria per cambiare o forse non aveva mai desiderato farlo.

Grazie a Charles, Arthur aveva assaporato per una notte quel sentimento. L’aveva solo sfiorato, toccandolo con mano prima che si dissolvesse come neve al sole alle prime luci dell’alba. Quella mattina, Paul avrebbe desiderato rimanere con il proprio compagno ma Arthur aveva un compito da svolgere. Un incarico che aveva la precedenza su tutto.

Una brava spia non può avere legami, provare sentimenti.

Se prima quelle parole non erano altro che regole vuote, ora avevano acquisito un nuovo significato. Charles stava pagando per un crimine che avevano commesso entrambi. Arthur si era chiesto spesso cosa ci fosse di così sbagliato.

I legami rendono vulnerabili. Una spia non può permettersi di essere vulnerabile.

Di nuovo tornò a recitare quella litania.

Amando Charles lo avrebbe reso il proprio punto debole, oltre che messo costantemente in pericolo. Vista sotto quest’ottica quella sciocca regola acquistava di colpo un senso.

Per un breve istante, Rimbaud si era illuso di poter avere entrambi. Ma non si può amare ed essere una spia.

Era riuscito a spogliarsi della propria maschera per indossare la sua vecchia identità. Non sarebbe capitato di nuovo. Paul Verlaine era morto.

E per colpa sua, Baudelaire avrebbe pagato con la propria vita.

Dopo aver letto quel telegramma si era sentito impotente di fronte ad una realtà che non avrebbe potuto cambiare.

Aveva bisogno dei Poètes tanto quanto loro avevano bisogno di lui. Questa era la verità.

Era cresciuto all’interno dell’intelligence francese. Era stato allevato per essere una spia. Charles era solo un fantasma arrivato da un passato lontano che aveva saputo distoglierlo dal proprio compito.

Aveva commesso un errore. Giurò a se stesso che una cosa simile non si sarebbe ripetuta.

Una volta conclusa la propria missione in terra inglese avrebbe fatto ritorno in patria. Accartocciò il quotidiano ancora tra le proprie mani, prima di gettarlo nella spazzatura.

 

 *** 

 

-Francia -

 

Non avrebbe saputo dire quanto tempo fosse trascorso dal proprio arresto. Charles Baudelaire aveva ormai perso il conto delle giornate passate in quella gabbia. Lo avevano messo in una cella d’isolamento, anche se non poteva certo lamentarsi. Da quando aveva firmato la propria condanna, unendosi ai Poètes, nessuno lo aveva infastidito. Vi era una sola eccezione. Puntualmente, una volta al giorno, l’uomo che lo aveva arrestato tornava a tormentarlo, esibendo la solita aria truce e spargendo ovunque l’odore delle proprie sigarette. Henry Stendhal, così si chiamava, sembrava volere solo una cosa da lui.

«No. Non lo farò. Non puoi chiedermelo. Scordatelo» furono le prime parole che Charles gli rivolse quando vide la sua figura comparire oltre le sbarre. L’uomo sorrise prima di accendersi l’ennesima sigaretta e avanzare di un paio di passi.

«Rimbaud ha concluso con successo la propria missione. Presto tornerà in patria. È necessario che tu lo faccia» Baudelaire incrociò le braccia al petto. Assumendo l’aria di un bambino capriccioso.

«È un piano stupido di cui non riesco ancora a capire il senso»

«Abbiamo provveduto ad inviare un telegramma al tuo amante per informarlo del tuo arresto» Charles si passò una mano sul volto. Conosceva così bene Paul, tanto da poterne intuire i pensieri. Sicuramente si stava colpevolizzando per quanto successo quella mattina. Odiava quella situazione, come il fatto di non avere il potere di cambiare le cose. In gioco c’erano meccanismi più grandi di loro. Poteva essere una partita pericolosa, oltre che dall’esito incerto. Charles Baudelaire aveva accettato di unirsi a quel mondo solo per lui, per poter un giorno essere degno di camminare al suo fianco. 

«Quando tornerà vorrà sicuramente vedermi» concluse osservando l’uomo davanti a lui accennando ad un ghigno di sfida

«Per questo devi farlo» Baudelaire incurvò le labbra in una pallida imitazione di un sorriso. Il capo della sezione interrogatori odiò quella faccia da schiaffi.

«Non avrei mai pensato che sarei arrivato al punto di dover fingere la mia stessa morte» Stendhal fece una pausa, prendendo una lunga boccata, dopo aver giocato distrattamente con la propria sigaretta stretta nelle sue mani.

«È importante che Rimbaud ti creda morto. Credimi, ne va della sorte di entrambi. Dovresti ritenerti fortunato per l’occasione che ti è stata concessa, non fare il difficile. Charlie»

«Come sono fortunato» sospirò ironicamente appoggiando entrambe le mani sulle sbarre che lo separavano da Stendhal non risparmiandolo da un’occhiata truce al solo udire quel soprannome.

«Se non avessi mostrato la tua Abilità Speciale, probabilmente a quest’ora qualcuno starebbe recuperando il tuo cadavere dalla Senna» dal tono usato capì come non stesse affatto scherzando. Quello era il mondo oscuro dell’Intelligence, il mondo di Paul.

«Sentiamo, come pensi di fare?»

«Semplicemente utilizzeremo la tua Abilità. Hai un qualche tipo di controllo mentale, anche se non ho ancora ben capito come funzioni»

«Vuoi che la usi su Paul? Non potrei mai. E se perdessi di nuovo il controllo?» Stendhal gli sorrise, come si fa di fronte ad un bambino.

«Non lo farai. Non finché ci sarò io» Baudelaire si abbandonò all’ennesimo sospiro. Non aveva scelta. Non l’aveva mai avuta. In un modo o nell’altro Henry Stendhal avrebbe ottenuto ciò che voleva. Non avrebbe mai potuto vincere contro di lui.

«Anche la tua Abilità ha a che fare con il controllo della mente?» domandò non riuscendo a trattenere la propria curiosità.

«Non è ancora arrivato il momento di svelare tutte le mie carte»

«Sei un vero bastardo» l’uomo si avvicinò solo per buttargli del fumo in faccia.

«Se questo bastardo non avesse convinto i propri superiori a salvare il tuo bel faccino non saremmo qui»

«Dovrei ringraziarti allora?»

«Vorrei solo che la smettessi di pensare a Rimbaud. Devi accettare il fatto di averlo perso. Mi aspetto una recita convincente»

Baudelaire imprecò.

  

***

 

I ricordi delle giornate trascorse insieme gli tornarono alla mente come spezzoni di un vecchio film. Non appena chiudeva gli occhi, Arthur Rimbaud rivedeva le iridi blu di Charles fisse su di lui. Delle volte l’amico assumeva le fattezze del ragazzino che aveva lasciato in quel piccolo paesino delle Ardenne, altre invece il suo viso prendeva i contorni del giovane uomo con il quale aveva condiviso una notte di passione. In quel momento Rimbaud si trovava a bordo della nave che lo avrebbe riportato in patria eppure, non riusciva a smettere di pensare a lui. Ogni cosa gli ricordava gli ricordava il proprio, sfortunato, primo amore.

Si maledisse per la propria stupidità e per non aver impedito una situazione del genere.

Charles Baudelaire non aveva colpe e non poteva pagare per i suoi errori. Era Arthur che aveva trasgredito alle regole. Se qualcuno doveva essere punito quello doveva essere lui. La sua vita non valeva quanto quella di Charles. Cosa lo rendeva migliore? Erano interrogativi ai quali preferiva non trovare una risposta.

Non appena arrivato al porto di Calais, notò un viso familiare farsi largo tra la folla. Avrebbe riconosciuto quella chioma argentea fra mille come il sorriso affabile che gli rivolse non appena furono faccia a faccia.

«A cosa devo un tale onore?» domandò cercando di nascondere il proprio nervosismo affondando il viso dentro alla pesante sciarpa che portava al collo.

«Al tuo posto non farei tanto lo spiritoso ragazzino. Hai combinato un bel casino con il tuo piccolo amante. Sono settimane che non si parla di altro» ad Arthur non interessavano quei pettegolezzi.

«Dove lo hanno rinchiuso?» chiese con una certa urgenza, 

«È stato affidato alla squadra di Stendhal»

«Devo...» ma l’uomo non lo lasciò finire.

«Per questo mi trovo qui. Di persona, nonostante i miei numerosi impegni. Non puoi ancora andare da lui, abbiamo una riunione importante motivo per il quale mi sono offerto di venirti a prendere»

«Non dovevi disturbarti, Victor» l’altro gli sorrise,

«Quando abbiamo abbracciato questa vita sapevamo a quali sacrifici saremmo andati incontro»

«Non posso permettere che Charles paghi per i miei errori»

«Capisco che non sia facile ma dovresti fare tesoro di questa esperienza. La guerra è sempre più imminente, non abbiamo tempo di pensare a cose superficiali come l’amore. Sei così giovane Arthur»

Victor Hugo aveva quasi il doppio dei suoi anni e della sua esperienza. Era una vera leggenda tra l’élite dei Trascendentali, come nel mondo dell’Intelligence. Aveva reclutato lui il giovane Henry Stendhal oltre che insegnato allo stesso Arthur Rimbaud. Hugo però era più di questo, lo aveva cresciuto.

«Ho insistito per venire di persona a Calais, prevedevo che avresti disobbedito ad una missiva» concluse facendogli l’occhiolino,

«Esteriormente potrai avere diciotto anni ma io so che sei ancora lo stesso bambino capriccioso che non riusciva a schivare i miei attacchi»

«Perché non mi avete punito? Sono io ad aver sbagliato. Charles non ha nessuna colpa in questa storia»

«Vuoi la verità? Non possiamo permetterci di perdere un agente del tuo calibro. Sei prezioso Arthur. Sei stato addestrato per questo, abbiamo bisogno del tuo aiuto per vincere questa guerra» fece una piccola pausa prima di aggiungere «Dame Agatha Christie si è detta entusiasta del tuo operato. Ritieniti fortunato, non è facile fare colpo su quella donna, la conosco fin troppo bene»

«Abbiamo solo scambiato due parole in treno»

«Questa missione era tutta una farsa. Te ne sei accorto reso conto anche tu, vero?»

«La Torre dell’Orologio voleva sapere se fidarsi o meno di noi. Ci hanno usati per eliminare dei soggetti mediamente pericolosi. Anche un bambino si sarebbe accorto dell’inganno»

«Eppure sei stato al gioco»

«Ero curioso di vedere fin dove si sarebbero spinti» il sorriso sul volto di Hugo si assottigliò. Al più giovane ricordò tanto quello di una volpe.

«È questo quello di cui sto parlando Arthur. Sei nato per questo lavoro. Hai un vero talento, non possiamo permettere che vada sprecato»

«Chi ha deciso queste regole?» Hugo sospirò incrociando le braccia al petto. L’unico difetto di Arthur Rimbaud risiedeva nell’imprevedibilità del suo carattere. Dal primo momento in cui aveva posato lo sguardo su quel bambino il Trascendentale aveva intravisto una scintilla di ribellione nelle profondità di quelle iridi ambrate. Forse la colpa era in parte sua, osservando il talento di quel ragazzino lo aveva viziato, lasciandogli delle libertà che ad altri aveva negato.

Non appena aveva assistito alla manifestazione dell’Abilità del giovane Rimbaud, Victor Hugo aveva previsto il suo futuro. Lo aveva preso sotto la propria ala, insegnandogli tutto ciò che sapeva. Era stato una sorta di fratello minore da crescere e plasmare per i propri scopi.

Era stato anche il primo a scoprire dell’esistenza di Charles Baudelaire. Hugo era rimasto per mesi ad osservare nell’ombra quei due, in attesa che commettessero un passo falso.

Rimbaud lo aveva sorpreso. Non aveva ceduto subito ai propri impulsi, gli ci era voluto un anno per comprendere il sentimento che lo legava a quel giovane dai profondi occhi blu. Non se lo aspettava.

Victor lo aveva protetto fino a quando aveva potuto. Poi aveva avvisato Stendhal. Nessuno di loro si immaginava che l’amante di Rimbaud possedesse un’Abilità Speciale, né tanto meno una di controllo mentale. Era stata una fortuna inaspettata. Da lì la decisione di reclutarlo e tenerlo nascosto a Rimbaud.

Non avrebbe permesso che qualcosa potesse offuscare di nuovo il loro diamante. La guerra sembrava di ora in ora sempre più una certezza, mancava veramente un nulla per trasformare il Vecchio continente in una polveriera. Aveva bisogno di ogni dotato possibile o la nazione francese ne sarebbe uscita piegata e in ginocchio. Aveva giurato a se stesso che non avrebbe mai più permesso a uno scenario simile di verificarsi.

Senza la Francia il mondo sarebbe solo.

Erano state le ultime parole di suo padre, quando lo aveva visto per l’ultima volta sul campo di battaglia. Chissà per quale motivo gli erano tornate alla mente.

Tornò a prestare attenzione al ragazzo infreddolito accanto a lui. Anche quel particolare non era cambiato in tanti anni, Arthur aveva sempre, costantemente, freddo. Quando gli aveva chiesto delucidazioni al riguardo l’allora bambino si era limitato ad alzare le spalle per poi affondare il naso dentro una sciarpa senza rispondere.

«Non fare quella faccia, Henry avrà cura di lui. Malgrado lo sguardo truce non gli torcerà un capello»

«Fino al giorno dell’esecuzione» mormorò stringendosi nel proprio cappotto

«A volte sai essere così melodrammatico»

 

***

 

Hugo gli aveva concesso del tempo e Stendhal non intendeva certo sprecarlo. Avrebbe fatto tesoro di ogni minuto a propria disposizione. Il ragazzo steso per terra a qualche metro da lui non sembrava però essere dello stesso avviso.

Charles Baudelaire lo fissava con odio mentre si tamponava una leggera ferita al labbro superiore con il polsino della propria camicia.

«È tutto qui quello che sai fare?» lo sfidò la spia accendendosi l’ennesima sigaretta di quel pomeriggio.

«Non so come evocare quei petali. Te l’avrò ripetuto almeno un milione di volte»

«La tua Abilità si è attivata inconsciamente quando ti sei trovato in una situazione di pericolo. Per cui seguendo questa logica, mi basterà ripetere quanto successo quel giorno»

«A scuola non dovevi certo brillare per la tua intelligenza» Stendhal sorrise, quel ragazzino non sapeva davvero quando fosse il momento di tacere. In un certo senso lo divertiva, erano anni che non provava un’emozione simile. Baudelaire era così diverso da Rimbaud. Si era domandato più volte di come due personalità tanto diverse potessero andare d’accordo. Per un istante un paio di occhi blu si sovrapposero a quelli del giovane davanti a lui. Lo aveva pensato sin dal primo momento, avevano delle sfumature simili a quel ricordo del proprio passato. Una stagione della propria vita che mai avrebbe completamente dimenticato.

«Ti vedo distratto» mormorò il più giovane preparandosi ad attaccarlo con un pugno destinato però ad andare a vuoto.

«Sei davvero scarso in combattimento» fu la pronta risposta della spia, mentre si preparava a colpirlo in pieno petto. Fu in quel momento che una pioggia di petali iniziò a cadere sopra le loro teste.

 

***

 

Nulla sveglia un ricordo quanto un odore.

Era una delle solite frasi senza senso che Hugo era solito ripetergli, fino a quel momento Stendhal non ne aveva compreso il senso. Quando uno di quei fiori si posò sopra il suo capo per un secondo la sua mente si oscurò.

Quando riprese i sensi si trovava a terra. Baudelaire era inginocchiato accanto a lui.

«Meno male che ti sei svegliato. Sarebbe stata una scocciatura spiegare quanto successo»

«La tua Abilità si è attivata?» il più giovane annuì

«Almeno hai capito come funziona?»

«All’incirca»

«Spiegati meglio in questo momento non ho così tanta pazienza. Ho bisogno di una sigaretta» mormorò tastandosi le tasche. «Allora, dove le hai messe?»

«Sono finite»

«Impossibile ero certo di averne ancora un paio»

«Sono stato io. Ti ho ordinato di fumarle cinque minuti fa. Quando ho preso controllo della tua mente» e indicò i mozziconi a terra.

«Non sapevo cosa comandarti così ho iniziato con il farti fare qualcosa di semplice» Stendhal lo fissò stupito;

«Come fai a..?»

«All’incirca posso controllare ogni cosa che entra in contatto con la superficie di questi fiori» aprì la propria mano per mostrargliene uno, che si dissolse dopo poco.

«Funziona solo con gli esseri viventi. L’ho testato sempre con le tue sigarette»

«Non potevi usare dell’altro?» mormorò scocciato. Quella mattina non si era portato con sé scorte di riserva. Sarebbe rimasto per delle ore senza la propria amata nicotina.

«Siamo in una stanza vuota e insonorizzata, che altro potevo fare? Dovresti lodarmi invece, ho fatto un sacco di progressi»

«Spiegami come funziona il tuo potere e poi vedremo se è il caso di lodarti o meno»

«Perché devi sempre essere così stronzo? Scommetto che con Paul non sei così»

«Rimbaud ha avuto il mio stesso insegnante, entrambi abbiamo imparato dal migliore. Non ho dovuto insegnare nulla al tuo amico»

«Ora hai tutta la mia attenzione»

«Prima finisci di spiegare cosa è successo poi potrai fare delle domande» Charles si imbronciò

«Appena i miei fiori ti hanno toccato ho preso il controllo del tuo corpo, visto attraverso i tuoi occhi, i tuoi ricordi»

«Cosa hai visto?» non riuscì a tradire un velo di preoccupazione, quel moccioso aveva una capacità insidiosa,

«Era tutto molto confuso, suoni, colori, troppe immagini sfuocate, così mi sono limitato a farti fumare delle sigarette» concluse divertito.

Stendhal non poté evitare di sentirsi sollevato. Lui stesso possedeva un’Abilità di controllo mentale ma quella era la prima volta in cui qualcun altro entrava nella sua di mente. Si era sentito vulnerabile ed era una sensazione che credeva di aver dimenticato.

Il potere di Baudelaire forse non sarebbe servito ad ingannare Rimbaud ma aveva già pronto un piano di riserva. Quel moccioso dall’aria impertinente aveva le carte in regola per diventare un Trascendentale.

Ne avrebbe dovuto discutere con Hugo e i piani alti.

 

***

 

Andò peggio di quanto si sarebbe mai aspettato.

«Ed è per questo abbiamo pensato di affidarlo alla sezione interrogatori della squadra speciale antiterrorismo » concluse Victor Hugo sorridendogli mefistofelico. Si trovavano nel suo ufficio, Stendhal gli aveva appena consegnato un verbale in cui aveva annotato quanto scoperto riguardo l’Abilità Speciale di Baudelaire.

«Ma...» tentò di replicare,

«Sei l’unico che può controllare il suo potere ed evitare che faccia danni» non poteva negarlo, era la verità

«In più il nostro giovane Charles ti conosce, si fida di te» continuò il Trascendentale,

«Quel moccioso mi odia»

«Esagerato»

«L’ho arrestato, obbligato ad unirsi a noi, pensa che l’idea di fingere la sua morte sia mia»

«Henry rilassati. Dagli solo del tempo per ambientarsi, non tutti hanno abbracciato questa vita con la nostra stessa consapevolezza» Hugo aveva ragione, lui era diventato un Poète a sedici anni, ma lo aveva in qualche modo voluto.

«Non abbandonarti ai ricordi del passato» lo ammonì il superiore,

«Ho già due ragazzini di cui occuparmi» concluse poi, invitandolo a sedere sul divano al centro della stanza.

«Come sta Rimbaud?» Stendhal sapeva solo che era tornato dalla missione in territorio inglese ma avendo passato tutto il pomeriggio in compagnia di Baudelaire non aveva avuto modo d’incontrarlo.

«Come sempre» rispose facendo un rapido cenno con la mano,

«Abbiamo arrestato il suo amante» gli fece notare Stendhal.

«In tutta sincerità Henry, sono due ragazzini di nemmeno vent’anni che hanno trascorso solo una notte insieme.»

«Victor»

«Se Baudelaire non avesse mostrato la propria Abilità avrei lasciato correre. Era una scappatella innocente» Stendhal non avrebbe saputo definire il grado di falsità nascosto in quelle parole o tono di voce,

«Hai sempre viziato troppo quel ragazzino» si limitò a sottolineare

«Arthur? Probabile, è che mi ricorda molto me stesso» o almeno la persona che ero prima della scomparsa di Alexandre.

«Chi è ora che sta pensando al proprio passato?»

Capitava di rado, Victor Hugo era un essere umano, per quanto formidabile anche lui possedeva degli scheletri nel proprio armadio.

«Scusami, è sempre una forte tentazione. Allora dimmi come ti sembra il nostro Charles? Dalle voci che ho sentito deve avere un bel caratterino» Stendhal si passò una mano sulla fronte, massaggiandosi le tempie.

«Ha un pessimo carattere e non ho idea di come Rimbaud potesse sopportarlo. Non sembra ascoltare i consigli di nessuno e ha sempre una risposta pronta»

«Per questo so che sarai un ottimo superiore. L’ho affidato direttamente alla tua supervisione»

«Mi stai forse punendo?» Hugo gli sorrise,

«Può darsi. Se non ricordo male due settimane fa abbiamo perso i contatti con il nostro infiltrato nella regione del Reno» ed eccolo, il vero Victor Hugo, un abile manipolatore e ottimo stratega, era lui che de facto controllava l’intelligence francese. Stendhal non dubitava che quell’uomo sarebbe stato in grado di scatenare una guerra esibendo un sorriso innocente sul volto

In tanti anni Hugo non era cambiato. Era stato il mentore dello stesso Stendhal sebbene avessero pochi anni di differenza. Solo una volta aveva intravisto la vera personalità di quell’uomo, il più potente tra i Trascendentali.

 

***

 

-qualche stagione prima-

 

 

«Ecco ora crea un subspazio e controlla il manichino. Bravissimo, sei un vero talento»

Arthur aveva circa dieci anni ed era l’orgoglio dei Poètes Maudits. Aveva imparato in meno di un anno a controllare la propria Abilità, oltre che possedere una spiccata intelligenza e talento.

Stendhal non aveva mai visto Victor tanto felice. Rimbaud era come il figlio che non aveva mai avuto.

«Lex vieni a vedere cosa riesce a fare»

Henry Stendhal non conservava molti ricordi su Alexandre Dumas. Sapeva solo di come quell’uomo fosse un caro amico di Hugo. Avevano lavorato come partner per molte missioni prima che Victor ricevesse una promozione e diventasse un Trascendentale. Capitava di rado di vederli insieme, Dumas era solito lavorare come infiltrato ma tra una missione e l’altra non era insolito incontrarlo al fianco di Hugo.

«Arthur ha molto talento» concesse scompigliando i capelli del piccolo,

«Se Charlie e gli altri bambini del villaggio mi vedessero ora» si lasciò scappare. Tra i presenti calò il gelo. Fu Victor il primo a parlare.

«Arthur ascolta, devi dimenticarti dei tuoi amici. Fanno parte di una stagione ormai passata della tua vita. Per loro ormai non esisti più. Abbiamo già affrontato questo discorso» il bambino annuì con un cenno del capo,

«Andiamo Victor non essere così severo. Arthur capisce che tutto questo è solo per il suo bene» Quello era Alexandre Dumas. L’unico che fosse mai riuscito a zittire Hugo e al tempo stesso far sorridere Rimbaud.

«Quando potrò partecipare ad una missione?» Victor non aveva smesso un secondo di gioie,

«Prima di quanto immagini, sei davvero eccezionale»

 

***

 

Ufficialmente Alexandre Dumas morì in missione. Il suo corpo non venne mai trovato. Hugo non si lasciò consumare da quella tragedia. Non versò una lacrima per il compagno e il giorno successivo alla notizia era già seduto dietro la propria scrivania a dare ordini e disposizioni.

Stendhal era senza parole ma quello era il mondo dell’Intelligence. Non c’era tempo per piangere i propri compagni caduti.

Victor Hugo aveva dimostrato ancora una volta la propria dedizione al lavoro e del perché avesse raggiunto quella posizione.

Il piccolo Arthur gli corse incontro, era la prima volta che qualcuno vicino a lui perdeva la vita.

«Cosa deve fare una brava spia in questi momenti?» aveva ingenuamente domandato al proprio superiore,

«Ricorda, la malinconia è la felicità di essere triste. Non bisogna piangere. Lex sapeva bene che questi sono i rischi del mestiere. Viviamo ogni giorno a contatto con la morte. Uccidere o essere uccisi. Questo è il nostro destino» il bambino aveva annuito con fare solenne.

«Domani potresti essere qui a fare i conti con la mia scomparsa, o io con la tua. Non vi sono certezze, men che meno nella nostra professione»

«Ma Lex era un tuo amico. Se dovesse accadere qualcosa a Charles...»

«Non devi più nominarlo» era la prima volta che Victor alzava la voce.

«Devi dimenticarti di Charles Baudelaire, non vi rivedrete mai più»

 

***

 

-presente-

 

Devi dimenticarti di Charles Baudelaire, non vi rivedrete mai più

Arthur si ricordò all’improvviso di quelle parole. Appartenevano ad un passato lontano, ad una stagione della sua vita che quasi non si ricordava di avere vissuto.

Da lì a poche ore avrebbe rivisto Charles. L’amico che aveva scoperto di amare e che per questo era stato arrestato e condannato alla pena capitale.

Non era pronto a quel confronto. Come avrebbe potuto sostenere lo sguardo di Baudelaire quando era lui il responsabile della sua incarcerazione. Incontrò Victor nei corridoi, salutandolo con un cenno del capo.

«Dovresti smetterla di colpevolizzarti» furono le prime parole che il superiore gli rivolse,

«Se al posto di Charles ora ci fosse Lex, dimmi cosa faresti al mio posto?» l’uomo dai capelli argentei sorrise,

«Avrei già raso al suolo questo edificio e ucciso tutti i suoi occupanti. Per questo sono tranquillo Arthur. Charles Baudelaire non è altro che un amore adolescenziale, una cotta passeggera. Quando incontrerai il vero amore, solo allora capirai la differenza, sarai disposto anche a scendere all’inferno per lui»

«Alexandre Dumas era questo per te?» Da bambino non si era mai interrogato molto sulla natura del rapporto che legava i due superiori, solo di recente Arthur aveva compreso quel legame, fatto di parole non dette, sguardi rubati, leggere carezze, sfiorarsi di mani, sussurri.

«Era semplicemente tutto e ora non mi rimane niente. Nel cimitero di Père Lachaise a Parigi c’è la sua tomba ma è vuota. Io so che Lex non si trova lì»

«Una spia non deve avere legami o provare sentimenti eh?»

«Ti ho insegnato quella regola per evitare alla storia di ripetersi, anche se ho omesso il fatto di essere stato io il primo ad infrangerla»

«Cosa successe a Dumas?»

«Probabilmente non lo sapremo mai. È meglio così Arthur, altrimenti la guerra in Europa sarebbe l’ultimo dei nostri problemi»

Rimbaud non aveva mai assistito al rilascio completo dell’Abilità di Hugo. Non ne conosceva nemmeno il nome. Era uno dei segreti meglio custoditi dell’intelligence francese. Un brivido di freddo lo raggiunse.

«Voglio vedere Charles, un’ultima volta. Concedimi almeno di potergli dire addio» Victor sorrise,

«Perché dovrei darti ciò che io non ho avuto?»

«Sei stato come un padre, un fratello maggiore, inoltre, l tuo posto Lex me lo avrebbe concesso»

«Sei diventato davvero abile ragazzino»

«Ho imparato dal migliore»

 

***

 

«Non fare cazzate. Ti tengo d’occhio» Baudelaire gli rispose con una linguaccia.

«Lo so benissimo. Non sono un bambino, come so che è anche nel mio interesse. È per il bene di Paul. Lo faccio solo per questo»

«Ora si chiama Arthur» lo corresse Stendhal accendendosi una sigaretta

«Per me lui sarà sempre Paul Verlaine»

«Sei veramente cocciuto»

«Senti da che pulpito»

«Scherza pure quanto ti pare ma da domani sarai alle mie dirette dipendenze»

«Se è uno scherzo non fa ridere»

«Benvenuto nella sezione interrogatori della squadra speciale antiterrorismo dei Poètes Maudits»

 

***

 

Aveva lasciato Charles a letto, in un groviglio disordinato di lenzuola e sudore. Ricordava chiaramente l’odore del suo corpo mischiato al proprio, mentre l’alba sorgeva sulla città di Parigi. Aveva dovuto abbandonare quel piccolo angolo di Paradiso per il proprio dovere di spia, e non era passato un giorno senza che quel rimpianto lo consumasse.

Londra era sempre più fredda e il clima inospitale, ogni cosa gli ricordava Baudelaire e la promessa che si erano scambiati quella mattina,

Aspettami, perché tornerò da te

Contava i minuti che lo separavano da quel incontro.

«Ti avevo promesso che sarei tornato»

«Paul»

Era come se il tempo non si fosse fermato. Dopo quella che pareva un’eternità erano di nuovo insieme.

Finalmente.

«Perdonami» fu tutto ciò che riuscì a pronunciare, mentre Charles scoppiava semplicemente a piangere.

«Paul» non riusciva a dire altro, scosso dai singhiozzi. Rimbaud era lì, davanti a lui. Doveva recitare la propria parte, come Stendhal gli aveva ordinato. Era il suo primo vero incarico nell’intelligence, avrebbe dovuto mentire al proprio migliore amico. All’uomo che amava e per il quale aveva deciso di cambiare vita.

«Mi dispiace» Arthur non sapeva che altro dire. Si sentiva colpevole e impotente. Aveva condannato Charles per un capriccio. Aveva infranto le regole credendo di essere superiore anche ad esse e quello era il risultato.

«Quel che c'è di fastidioso nell’amore è che è un delitto in cui non si può fare a meno di un complice» sussurrò Baudelaire al suo orecchio accennando ad un sorriso.

«Non è il momento di scherzare»

«Paul ti prego, voglio lasciarti un buon ricordo. Un giorno, quando ripenserai a me, voglio che un sorriso compaia sul tuo volto, non l’ombra del dispiacere o peggio del rimpianto»

«Ciò che avrebbe potuto essere. Se non avessi attraversato quella linea, se mi fossi limitato ad amarti come amico…»

«Ti sarebbe bastato?» si guardarono negli occhi;

«No, probabilmente no» arrivò con lo ammettere

«Ti conosco come le mie tasche Paul. Sono stato il primo a vedere l’ambizione nel tuo sguardo. Sei diventato ciò che da sempre sognavi di essere. Hai conquistato Parigi, la Francia intera ha bisogno di te. Sei uno dei Trascendentali. Questa gente riconosce il tuo valore»

«Nonostante tutto però, non posso salvarti»

«Forse era semplicemente il mio destino»

«Non ho mai creduto a queste cose e lo sai»

«Quei giuramenti, quei profumi, quei baci infiniti, rinasceranno»

«Charles ti prego»

«Fammi un’altra promessa, diventerai l’agente segreto migliore del mondo»

«Perché mi fai questo?»

«Forse perché ti amo dal primo momento in cui ti ho visto e non ho mai smesso di farlo. Neppure durante i dieci anni in cui ti ho creduto morto. Ti ho sempre amato Paul Verlaine e lo farò fino al giorno in cui esalerò il mio ultimo respiro»

«Charles» Rimbaud non riuscì a trattenere le lacrime. Aveva cercato di essere forte ma la confessione inaspettata di Baudelaire aveva cancellato ogni traccia di autocontrollo che gli era rimasta.

 

***

 

Victor Hugo e Henry Stendhal osservavano la scena da dietro uno specchio.

«Il ragazzino ci sa fare, non avevo mai visto Arthur piangere» commentò il leader dei Trascendentali. Il capo della sezione interrogatori della squadra speciale antiterrorismo sorrise;

«Ha ottime doti recitative glielo concedo»

«La dichiarazione d’amore è stata molto toccante»

«Ora non mi dirai che ti sei commosso perché non ci credo»

«Henry, dovresti imparare ad essere un po’ meno rude e prendere la vita con un po’ più di leggerezza» Stendhal decise di ignorarlo. A volte era meglio così. Victor Hugo poteva essere pericoloso se provocato.

«Pensi che Rimbaud ci cascherà?» fu il suo unico commento al riguardo

«Ho praticamente cresciuto quel ragazzo e penso di conoscerlo. Il più grande difetto di Arthur e il suo essere ligio al dovere. Sa che Baudelaire deve morire per il bene di tutti noi ed è per questo che finirà con l’accettare qualsiasi verità gli metteremo davanti agli occhi»

«Hai cresciuto il soldato perfetto per questa guerra che hai contribuito a scatenare» Victor sorrise, con il suo solito ghigno affabile. Era il suo marchio di fabbrica.

«Oh andiamo Henry non darmi meriti che non mi appartengono»

«Non giocare con me. So che sei stato tu a mandare Rimbaud a Londra come sei stato tu ad organizzare il suo incontro con quella donna»

«Mary mi deve parecchi favori»

«Posso immaginare»

«Ascoltami Henry, sto facendo solo quanto è in mio potere per salvarci. Ora come ora la Francia non può sopravvivere da sola.»

«Tu hai qualcosa in mente» era la sola conclusione alla quale era giunto. Come qualsiasi stratega Victor Hugo era già pronto alla mossa successiva.

«Hai mai sentito parlare di un certo Fauno

 

***

 

«Quante volte dovremmo dirci addio?»

Charles Baudelaire preferì non rispondere. Ci sarebbero state così tante cose da dire ma sapeva di non poterlo fare. Quello non sarebbe stato un addio ma semplicemente un arrivederci. Avrebbe affinato la propria Abilità Speciale, imparato il suo utilizzo e si sarebbe ripreso Paul.

Aveva un nuovo scopo. Doveva pazientare.

«Devo ammetterlo Charlie sei stato in gamba» lo sguardo che in quel momento rivolse a Stendhal valeva più di mille parole.

Baudelaire giurò a se stesso che si sarebbe vendicato contro quei Poètes che gli avevano rubato un futuro.

 

***

 

-Qualche anno dopo-

 

«Come sarebbe a dire deceduto?» Charles si dovette appoggiare ad una parete per evitare di svenire. Lo sguardo di Stendhal però era serio. Non era uno scherzo né tanto meno un sogno. Era la realtà.

«Nell’ultimo rapporto avevi detto che lavorava per un’Organizzazione giapponese. Sembrava aver perso la memoria ma era vivo. Al sicuro» l’uomo davanti a lui annuì. Baudelaire invece si sentì mancare.

«Non conosciamo ancora tutti i dettagli. I responsabili, secondo questo rapporto, sono un certo Demone Prodigio e Arahabaki» l’attenzione di Charles si focalizzò sul secondo nome.

«Arahabaki?» Stendhal annuì.

«Prenota subito un volo per il Giappone» il superiore lo afferrò per un braccio.

«Non ci pensare nemmeno. Non ti permetterò di scatenare una guerra solo perché dopo dieci anni non sei stato in grado di dimenticare il tuo primo amore» la sua voce uscì più dura del previsto. Era un ordine.

«Paul è morto. Nulla ha importanza. Pure voi Poètes non mi fate più paura»

Improvvisamente tutto era finito. Non vi era più alcuna ragione per combattere, lottare.

Paul Verlaine era morto, questa volta per davvero. Baudelaire non poteva accettarlo. Non lo avrebbe mai fatto. Fissò con astio il proprio superiore che con il tempo aveva imparato in qualche modo a stimare;

«Conosco quello sguardo Charles, per favore cerca di calmarti» il ragazzo si lasciò cadere su una delle sedie prendendosi il volto con entrambe le mani.

 

 ***

 

-Molte stagioni dopo-

 

«Così tu sei il famoso Arahabaki» il ragazzo dai capelli rossi davanti a lui sorrise. Baudelaire lo odiò, perché trovò quella particolare espressione identica a quella di un individuo che non aveva mai smesso di odiare.

«E tu sei l’altrettanto famoso Charles Baudelaire»

Per anni si era immaginato quell’incontro, dalla prima volta in cui aveva visto quel ragazzino nella mente di Black, di quel mostro che lo aveva per sempre allontanato dal suo Paul.

«È incredibile quanto gli somigli» si lasciò scappare,

«Di solito di dicono che somiglio a qualcun altro»

«Vedo che nemmeno tu ami pronunciare quel nome»

«Senza offesa ma non sai nulla di me. Puoi aver letto tutti i cavolo di documenti che vuoi ma…»

«Si, sei decisamente simile al mio Paul.» il ragazzo conosciuto come Arahabaki incrociò le braccia al petto

«Non sono venuto fino a qui per parlare di Rimbaud o di quell’altro»

«Lo immaginavo»

«Uno stronzo mi ha fatto il tuo nome e mi ha detto che puoi condurmi da Victor Hugo»

«Sono anni che è sparito dalla circolazione»

«Ma tu sai dove trovarlo»

«Non ho motivo di aiutarti»

«In un’altra vita condividevamo lo stesso nome. Questo vorrà pur dire qualcosa» Era stato Dazai a suggerirgli quella frase di cui Chuuya non era certo di voler conoscere il significato. Tuttavia quella strategia sembrò funzionare.

«Cosa vuoi da Hugo?» domandò con un sussurro.

«Non sono cazzi tuoi»

«Victor Hugo era il leader dei Poètes Maudits»

«Dimmi qualcosa che già non so»

«È pericoloso»

«Ho affrontato cose ben peggiori» Baudelaire sorrise. Chuuya aveva la stessa caparbietà di Rimbaud, la stessa arroganza. Paradossalmente anche il modo di arricciare il naso era simile.

«In un’altra realtà sarebbe stato fiero di te»

La vita di Charles Baudelaire era piena di rimpianti e occasioni mancate. Aiutare quel ragazzino era tutto ciò che avrebbe potuto fare per onorare la memoria del proprio amico. Ormai non riusciva più a pensarlo come amante. Gli era servito raggiungere la maturità e trovare un nuovo inaspettato amore per arrivare a comprendere una verità tanto semplice. Abbandonare quel passato che lo stava portando alla rovina non era stato facile ma necessario.

Consegnò a Nakahara Chuuya le informazioni di cui aveva bisogno.

«Cosa voleva dire quella storia del nome?» domandò il possessore di Arahabaki una volta raggiunto il ciglio della porta. Baudelaire gli sorrise;

«Questo dovresti domandarlo a tuo padre»

Chuuya non rispose ma arrossì fino alla punta delle orecchie. Quel ragazzino era tutto ciò che rimaneva del suo Paul. I dettagli ereditati da quel mostro erano quelli che maggiormente catturavano l’attenzione ma quel temperamento ribelle era sicuramente di Arthur.

Ripensò al passato e a stagioni dimenticate. Rivide il sorriso di Rimbaud mentre cullava quello stesso bambino. Baudelaire non era riuscito a cambiare le cose ma avrebbe impedito alla storia di ripetersi.

Chiuse gli occhi ritornando con la mente a quella mattina parigina di tanti anni prima.

«Ti ho sempre amato Paul» non era mai riuscito a confessarglielo come avrebbe voluto,

«Per questo proteggerò tuo figlio»

Charles Baudelaire aveva trovato una nuova missione.

 

 

 

 

*“In una sera di rosa e blu mistico

un unico raggio ci vedrà vicini

come un lungo singulto pieno d’addio,”

 
  
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