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Autore: notladydeath    10/08/2023    2 recensioni
Dopo l'ultima guerra, in una terra devastata dalle radiazioni, i Bad Omens, prima terroristi e ora resistenza, combattono contro GAIA, ultimo baluardo della civiltà che nasconde mille verita, a partire proprio dall'Ultima Guerra.
Chi è l'Omen, leader della resistenza? Cosa nasconde dietro la maschera da teschio?
Velvet, alla ricerca del fratello Duncan, riuscirà mai a trovarlo nel'immensità delle Terre Selvagge?
E nelle profondità di Althea, quartiere della scienza a Gaia Prime, cosa nascondono i vertici di GAIA? Soprattutto, chi nascondono?
Nella desolazione di un pianeta distrutto dall'avidità, non ci sono trionfatori. Solo sopravvissuti.
Perciò, che la vostra sopravvivenza sia lunga, che la vostra morte sia veloce.
Genere: Avventura, Science-fiction, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Un colpo in piena faccia.
Si ritrovò a terra senza nemmeno sapere cosa l’avesse colpito. Gli fischiavano le orecchie, la vista appannata, il respiro corto. E poi il peso dell’Infetto, i suoi versi ripugnanti mentre gli artigliava il petto.
Stava succedendo tutto troppo in fretta.
Tre colpi di fucile lo assordarono di nuovo, il sangue quasi grigio dell’Infetto che schizzava tutto intorno a loro. In fine, il cadavere maleodorante che si accasciava su di lui e lo soffocava.
Quella maschera. Era stata lei a salvarlo, di nuovo. Nella sua armatura coperta di sangue, l'Omen in persona sollevava la sua preda con un braccio solo, lanciandolo via. Gli porse la mano e tirò con una forza che non poteva appartenere ad un essere umano.
Due occhi azzurri e grigi come l’antico mare in tempesta, quello prima dell’Ultima Guerra, lo scrutavano dalla terribile maschera di teschio umano. Uno sguardo gelido, come la morte stessa, che lo fece rabbrividire.
Non disse una parola. Bad Omen si voltò, pronta a mietere altre vittime, altre creature che erano state umane molto tempo prima. Portavano tutte un collare di GAIA.
E lei le uccideva con una precisione e una violenza senza pari. Non avrebbe avuto bisogno di armi da fuoco, né di lame. Dai guanti tattici ormai usurati spuntavano lunghi artigli di metallo nero, luccicanti di sangue, l’unico spiraglio di corpo che quell’essere lasciava intravedere sotto l’armatura graffiata e sanguinante, oltre agli occhi e ai lunghi capelli neri, sempre raccolti in una treccia.
La morte in persona, con il suo volto coperto dalla metà di un teschio e da una bandana che nascondeva, a quanto sembrava, la bocca mostruosa di un’Infetta. Voci di corridoio, leggende, che però quella donna terrificante amava tenere in vita.
Leir la guardava esterrefatto. Ammirato. Quasi sedotto dallo spettacolo sanguinoso della violenza.
“Stai dormendo?!”
Lo schiaffo di un commilitone arrivò prontamente a riportarlo alla realtà. Erano ancora in mezzo alla battaglia, anche se gli Infetti, o meglio, i Makyr, erano rimasti in pochi e stavano tornando dai loro padroni, rintanati nelle loro tende poco lontano.
“Comandante. Erano davvero vicini questa volta. Dobbiamo stanarli ed eliminarli, prima che mandino rinforzi e prendano Prometheus.”
disse uno dei capitani all'Omen, leader del gruppo di ribellione che resisteva da ben prima dell’Ultima Guerra.
Il comandante, con i suoi spettrali occhi, guardò nella direzione in cui stavano scappando i Makyr, Infetti catturati, modificati e controllati da GAIA. Annuì gravemente, sapeva che il suo ufficiale aveva ragione.
“Tu e la tua squadra andate in perlustrazione. Niente azioni avventate. Assestate la situazione, mandate una sentinella con il rapporto e invieremo rinforzi. Che la tua sopravvivenza sia lunga.”
“Che la morte sia rapida, comandante.”
La battaglia era giunta alla fine, il campo venne perlustrato e razziato, messo in sicurezza con tutte le precauzioni necessarie e l’assoluto divieto di tornare prima che gli Incendiari lo ripulissero dai cadaveri dei Makyr.
Fu una discreta camminata ritornando a Prometheus, passando tra le macerie delle antiche città, in mezzo ai palazzi crollati divorati dalle piante di mille colori, rosse, gialle, verde brillante. Uno spettacolo tanto stupefacente quanto inquietante.
In quelle strade ormai deserte, in cui solo gli echi sembravano regnare, abitavano ancora degli Infetti, o avevano trovato rifugio i pazzoidi della Wild Rot, civili colpiti dalle radiazioni delle bombe o dalla Marcescenza che erano ricorsi ad ogni possibile soluzione pur di restare in vita.
Leir camminava con aria mesta, pensosa. Impolverato e insanguinato, sentiva la pesantezza di quella vita nelle Terre Selvagge, nella città fantasma di Prometheus, casa di coloro che ancora volevano distruggere quel briciolo di civiltà rimasto dopo l’Ultima Guerra.
Da lontano, Prometheus sembrava parte di quell’orribile cumulo di macerie putrescenti, ma una volta entrati sembrava un alveare. Centinaia di persone si muovevano per le viottole, decine di attività, dai fabbri agli allevatori, dai combattenti alle madri di famiglia. La vita brulicava e prosperava in quel luogo apparentemente dimenticato da Dio.
I Bad Omens erano una minaccia che, al contrario di ciò che pensava GAIA, diventava ogni giorno più grande, come un’onda anomala che si avvicinava alla costa, pronta a distruggere tutto in un unico devastante colpo.
Carri armati, artiglieria pesante, nulla mancava nei magazzini delle armerie di Prometheus. Tutto ovviamente razziato da GAIA e dai suoi blitz falliti nelle Terre Selvagge. Nelle fabbriche gli ingegneri, gli operai e l’armata lavoravano senza sosta per riprodurre al meglio ogni singolo armamento, ogni fucile, ogni proiettile. Le fabbriche non si fermavano mai. Erano il vero cuore di Prometheus, quello che li teneva in piedi insieme alle fattorie.
Con una bestia al comando come l’attuale Omen, organizzata, spietata, a conoscenza del modus operandi dei GAIA, la resistenza era impossibile da fermare.
Leir fermò i pensieri quando il plotone entrò nella città. Era troppo stanco per far lavorare oltre il cervello. Non parlò, non mangiò. Si chiuse nella sua piccola caverna e per prima cosa riempì la vasca da bagno. Doveva assolutamente togliersi il sudore, la polvere e il sangue di dosso.
Nel frammento di specchio appeso al muro vide l’enorme impronta della mano deforme del Makyr che l’aveva colpito, decorata dai graffi degli artigli. Non un bello spettacolo.
Tolse la tuta tattica già in pessime condizioni e s’immerse nell’acqua bollente, insaponandosi per bene, strofinando con veemenza la pelle e i capelli. Rimase a lungo nella vasca, anche se l’acqua era diventata di un marroncino poco invitante. Restò a riposo finchè non si fece fredda.
Si prese il suo tempo, asciugandosi i capelli ricci e di un rosso ramato molto vivace, anche troppo per i suoi gusti. Non erano rimaste molte persone con quel colore di capelli e lui odiava essere riconoscibile. Amava l’anonimato. Gli permetteva di fare meglio il suo lavoro.
Si esaminò nuovamente allo specchio. Doveva decisamente farsi la barba.
Prese un respiro profondo. Odiava quel posto. Odiava combattere ogni singolo giorno per sopravvivere. Sarebbe tornato molto volentieri a Ourania, ma quella non era più casa sua. Non aveva più né casa, né famiglia da molto tempo ormai. Avrebbe dovuto adattarsi alla sua nuova situazione e sperare che il prima possibile lo portasse dove desiderava.
I suoi pensieri furono interrotti da qualcuno che bussava alla sua porta.
Indossò frettolosamente dei pantaloni e aprì all’ospite non invitato.
Definirsi sorpreso sarebbe stato un eufemismo. Davanti a lui c’era il Presagio in persona, alta e fiera. Ma non le serviva certo l'altezza per incutere timore e rispetto. Irradiava terrore da ogni poro.
“Sei assolutamente incapace di tenere in mano un’arma. Come soldato sei inutile. Quante volte io e i miei ufficiali ti abbiamo salvato la pelle oggi? Dicevi di aver avuto un’educazione al tuo capitano?”
Leir fu preso alla sprovvista.
“Oh… Sì, sono andato alle scuole popolari di Ourania, comandante.”
Omen lo guardò dall’alto in basso, quasi con disgusto, e gli sembrò di sentire un ringhio.
“Da domani abbandonerai il campo di battaglia, diventerai un operaio. Riposa, comincerai presto e finirai molto tardi. E taglia quei capelli rossi, o qualcuno ne farà uno scalpo.”
Il comandante girò sui tacchi e andò per la sua strada.
Quando Leir si chiuse la porta alle spalle, non potè fare a meno di sorridere. Finalmente una buona notizia, un piccolo passo avanti.
   
 
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