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Autore: TaliaAckerman    16/08/2023    3 recensioni
Mal Ennon è un promettente stregone in procinto di prendere un'importante decisione sul suo futuro. Ma il casuale e inaspettato incontro con una bambina di strada che sembra possedere un potenziale magico inaudito rischia di cambiare per sempre la sua vita. Dal primo capitolo:
Per un attimo Mal credette di star fissando un corpo morto, tanto era sottile ed emaciato; poi si rese conto che, seppur debolmente, il petto della creatura si alzava e si abbassava ancora.
Era alquanto curioso che si fosse sbagliato. Un mago del suo calibro doveva essere particolarmente attento nel rilevare fonti inaspettate di Magia, e quello che aveva percepito nell'istante di pochi secondi prima non era stato un potere qualunque.
Mosse un paio di passi verso quel mucchietto di ossa e stracci. Sotto due dita di sporcizia e polvere si intravedeva una chioma fulva e indomabile.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'II ciclo di Fheriea'
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Dolceamaro



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Raisa non dormiva mai nella brandina che Mal aveva predisposto per lei.
Al contrario, la ragazzina preferiva raggomitolarsi sul tappeto del salotto, davanti al camino, per prendere sonno. Un cuscino e una coperta di lana erano tutto ciò che le serviva per poter trovare il proprio giaciglio soddisfacente.
All'inizio Mal aveva tentato di "addomesticarla" in quel particolare frangente, ma poi aveva dovuto arrendersi: non capiva in quale modo la bambina potesse essere stata traumatizzata dai letti tanto da non riuscire a prendervi sonno e, probabilmente, non avrebbe mai ottenuto risposta, ma non era una questione prioritaria. Forse, dopotutto, si trattava solamente di abitudine: Raisa doveva aver dormito così a lungo su superfici dure da trovare innaturale la morbidezza di un materasso imbottito di piume.
I grattacapi che lo affliggevano al momento erano ben altri.
Era trascorsa quasi una settimana dal loro arrivo ad Amaria e dal colloquio con Theor, ma non si erano registrati progressi dal punto di vista dell'addestramento della bambina. Mal non era ancora riuscito a trovare un modo per penetrare lo scudo che la sua giovane apprendista sembrava erigere in modo istintivo ogni volta che provava ad avvicinarsi, anche per vie traverse, all'argomento "magia".
Tutto ciò che per il momento era riuscito ad ottenere era stato contattare un precettore che le insegnasse a leggere e a scrivere. Janus Ortiz era un uomo gentile, più vicino ai sessant'anni che ai cinquanta; Mal era risalito al suo nome attraverso una coppia di vecchi amici di famiglia che lo avevano assunto per impartire un'educazione ai propri figli una decina di anni prima. Ortiz era il tipico uomo del ceto medio, un precettore sufficientemente abile ma anche economico, non particolarmente acculturato, ma efficace nel trasmettere ai propri allievi le poche cose in cui eccelleva: imparare a recitare e scrivere l'alfabeto, a leggere frasi prima elementari, poi sempre più complesse, a tirare di conto.
Anche aldilà della promessa fatta a Theor e della sfida che nel profondo Mal aveva lanciato a a se stesso – riuscire a trasformare quella creatura selvatica in una giovane donna versata nelle arti magiche – , l'uomo desiderava che Raisa apprendesse almeno le nozioni fondamentali per riuscire a condurre una vita dignitosa anche senza eccellere nella magia.
Questo senza contare che, una volta che la ragazzina avesse acquisito una capacità di scrittura ampia a sufficienza, la comunicazione tra loro avrebbe fatto un deciso passo in avanti.
Tutto sommato, la prima lezione non era stata il disastro che Mal si era aspettato. Raisa si era mostrata inizialmente ritrosa con lo sconosciuto maestro, rifiutandosi di sedere al tavolo di fronte a lui e, quando finalmente Mal era riuscito a convincerla, aveva dimostrato di non sapere nemmeno come si reggesse in mano una penna d'oca; certo che la bambina non avrebbe permesso a nessuno che non fosse lui di toccarla, Mal le aveva preso la mano e aveva guidato le sue dita fino al momento in cui si erano chiuse nella presa giusta. Ortiz, informato quanto bastava sui problemi della ragazzina, si era limitato ad osservare la scena in silenzio. In seguito, iniziata la lezione vera e propria, era stato necessario che Mal desse il suo consenso dopo pressoché qualunque istruzione elargita dal precettore; ogni volta Raisa si voltava nella sua direzione con sguardo sperso, come se necessitasse del suo permesso per fare quanto Ortiz le stava insegnando.
Inutile a dirsi, Mal era dovuto rimanere presente lungo l'intera lezione e questo rappresentava un problema. Era stata una fortuna che quel giorno non fossero previste riunioni a palazzo, ma non era solo quello il tipo di impegni cui l'uomo si sarebbe dovuto prestare: incarichi che presupponevano viaggi entro e fuori dai confini delle Terre del Nord, relazioni da stendere, missive da spedire...
Finché Raisa avesse avuto bisogno della sua presenza per svolgere qualunque ordine o qualunque mansione, sarebbe stato alquanto difficile vestire entrambi i propri ruoli in modo soddisfacente, quello di consigliere e quello di mentore. Eppure, nonostante tutto, Mal nutriva buone speranze: Raisa aveva dimostrato di saper imparare in fretta e, dopo sole tre lezioni, aveva imparato tutti i caratteri dell'alfabeto e cominciava a leggere qualcosa di più rispetto a semplici parole isolate, iniziando a confrontarsi con periodi più o meno lunghi.
Dal secondo giorno Mal aveva tentato la strategia di fare la spola tra il salotto e la sua camera per appurare come avrebbe reagito Raisa; e se la prima volta il tentativo si era rivelato fallimentare – ogni volta in cui la ragazzina si era voltata per cercare lo sguardo di Mal senza trovarlo, aveva dato segno di agitarsi perdendo la concentrazione – la seconda il tempo che aveva impiegato per riprendersi era diminuito man mano.
Alla quarta lezione, poi – e questa fu la conquista più grande per Mal – cominciò a non avere più bisogno della sua presenza per ascoltare ed eseguire le istruzioni di Ortiz. La bambina sembrava andare d'accordo con i modi pacati ma rigorosi del maestro, a modo suo.
Mal era fiducioso, tanto che alla quinta lezione chiese a Ortiz di recarsi a casa sua in concomitanza con una riunione indetta da Theor. Non che fosse l'idea di lasciare Raisa a casa da sola qualche ora a preoccuparlo, lo aveva già fatto un paio di volte; il problema era lasciarla in compagnia di qualcun altro senza che lui, Mal, fosse presente.
Ma gli uccellini dovevano spiccare il volto, si disse il mago mentre usciva di casa per recarsi a palazzo, anche se, in quel caso, Raisa avrebbe dovuto imparare a volare in soli cinque giorni. Il pensiero gli strappò una lieve, nervosa risata mentre si accingeva a percorrere la via lastricata che lo avrebbe condotto alla reggia di Amaria.

 

***
 

Appena un filo di luce filtrava attraverso le tende tirate.
Il silenzio nell'angusta camera era rotto solo dai gemiti sommessi di Derya, stesa sul materasso fra i cuscini di piume, le gambe avvinghiate attorno all'addome dell'uomo che la sfiniva dolcemente.
Si conoscevano da troppo tempo perché la giovane donna avesse bisogno di fingere durante i loro incontri. Nella casa di piacere spesso si levavano languidi lamenti e, talvolta, vere e proprie grida di finto piacere, nient'altro che prove attoriali più o meno mediocri da parte delle ragazze che vi lavoravano come prostitute.
Anche Derya aveva fatto altrettanto con lui e, le prime volte, Mal era stato così ingenuo da credere di essere lui stesso il motivo di tanta enfasi. Dopotutto, era il compito di ogni buona puttana che si rispettasse, si era detto in seguito il mago con il senno di poi: far pensare, almeno per il tempo trascorso con il proprio cliente, che questi fosse il più attraente, il più desiderabile e, soprattutto, il più virile tra gli uomini.
Ma dopo tanti anni trascorsi a fare l'amore insieme, Mal aveva imparato a riconoscere quando Derya fingeva, quando aveva la testa altrove e quando invece i suoi gemiti acuti erano davvero espressione di un piacere intenso.
Benché quel giorno non facesse più caldo del solito, la schiena dell'uomo era imperlata di piccole gocce di sudore e ogni suo affondo nel corpo della donna era accompagnato da un lieve ansito da parte di entrambi. Quando infine l'uomo cominciò ad avvertire di essere vicino al culmine, accelerò i movimenti e avvertì la stretta di Derya intorno ai suoi fianchi farsi più forte, mentre il suo corpo era scosso da fremiti di piacere.
Quando ebbe finito, Mal si abbandonò su di lei.
La stretta delle gambe della ragazza su di lui si allentò in pochi secondi e in un attimo si ritrovarono semplicemente stesi l'uno sull'altra. Mal, con il volto affondato nel cuscino, sentì le sue mani correre sulla sua schiena, accarezzandolo fino alla nuca per poi perdersi fra i suoi folti capelli castani.
L'uomo si concesse quel tanto di tempo che bastasse a riprendere fiato, poi si puntellò con i gomiti sul materasso e si sollevò, ricadendo di fianco a lei. Derya aveva gli occhi chiusi, le gote arrossate, ma sul suo volto si leggeva una strana espressione, quasi di disappunto.
Mal non aveva alcuna intenzione di indagare, anzi, ora che si era sfogato rimpiangeva di averle chiesto di incontrarsi e desiderava solo tornare a casa al più presto. Buttò le gambe giù dal letto e agguantò i calzoni che aveva appoggiato sullo schienale di una sedia.
«Mi sei sembrato assente» commentò Derya di lì a poco, raggomitolata fra le lenzuola, con un lembo di stoffa che le copriva parte del seno sinistro.«Da quando sei tornato da Città dei Re sembri un'altra persona».
«Dici?» chiese Mal, seduto sul bordo del letto, mentre si accingeva a rinfilarsi anche la camicia. «Non mi sembra di averti trascurata in nessun modo».
«Non parlo di questo» la donna si mise a sedere e una cascata di capelli biondo chiaro le scivolò sulle spalle, cosparse di lentiggini come il suo viso. «Ci vediamo con la frequenza di sempre, ma non mi scopi più come prima. È come se ti mancasse la passione, come se la tua mente fosse occupata da qualcos'altro».
«Sai che non sono il tipo da avere più di un'amante» affermò l'uomo schiettamente. «E ti assicuro che sei l'unica donna con cui vado a letto».
In effetti, Derya era l'unica prostituta con cui Mal avesse mai avuto rapporti sessuali o, meglio, l'unica prostituta con cui avesse avuto rapporti in generale. L'aveva conosciuta appena sedicenne, durante uno dei periodi di licenza che Camosh gli concedeva semestralmente. Come sempre quando si trattava di qualcosa di quel genere, andare a cacciarsi in un bordello era stata un'idea di Ferlon: per festeggiare il suo ritorno ad Amaria dopo tanto tempo, il diciottenne allievo di Wesh aveva letteralmente spinto un Mal ubriaco e totalmente privo di freni inibitori fra le braccia della giovane. Derya aveva cinque anni più di lui ed era stata venduta a una delle case di piacere di Amaria da i suoi genitori, sommersi dai debiti, quando ne aveva quattordici.
Mal non ricordava granché della sua prima volta se non che, la mattina dopo, si era svegliato con una guancia della ragazza adagiata sul suo petto e un mal di testa martellante.
«Sai che cosa penso?» disse la donna con un sorriso malizioso rivolto nella sua direzione.
Anche se temeva di aver intuito dove Derya volesse andare a parare, Mal fece spallucce.
«Dimmi pure».
La donna si liberò delle lenzuola e, ancora completamente nuda, gli si accostò da dietro, mordicchiandogli il lobo dell'orecchio destro.
«Ho saputo della ragazzina che ti porti appresso da un po' di tempo a questa parte» cinguettò. «La piccola mezzosangue con gli occhi rossi. In giro dicono che te la sei portata fin dentro casa. Ma, sinceramente, non pensavo che avessi gusti di quel tipo...»
Per la prima volta nella sua vita, Mal provò il forte istinto di schiaffeggiare una donna.
«Tu sei più che sufficiente per soddisfare i miei desideri» rispose invece, imponendosi di rimanere calmo. «Non so quali voci tu abbia sentito in giro, ma ti confesso che mi delude appurare che tu mi creda capace di simili bassezze».
L'altra fece per replicare, ma il mago la anticipò: «Tuttavia, non ti nasconderò che la bambina che ho trovato a Città dei Re rappresenta un problema, per me».
Si voltò completamente verso Derya, che ora lo squadrava dal basso verso l'alto, appoggiata con i gomiti sul materasso.
«Theor nutre forti dubbi verso di lei e il suo valore. Non mi ha vietato di prenderla come mia allieva, ma terrà d'occhio ogni mio progresso. Se non otterrò risultati soddisfacenti con lei in breve tempo perderò molta della credibilità che ho ai suoi occhi».
«Questi politici...» Derya alzò gli occhi al cielo. «Che cosa deve fare una donna per avere le piene attenzioni del suo amante?»
Per tutta risposta, Mal la attirò a sé e la baciò con foga, costringendola a socchiudere le labbra per intrecciare la lingua con la sua.
Quando si separarono, la giovane sembrava soddisfatta.
«Avrai sempre piene attenzioni da me».
Mal si allacciò la cintura e, completamente rivestito, si alzò.
Sperava che il suo ultimo gesto e le sue parole bastassero a chiudere quella conversazione.
Ma la verità era che non era più il ragazzo che aveva perso la verginità proprio in quella stanza, fra quelle coperte, disteso sul corpo flessuoso della donna cui ora stava dando le spalle. Non era più nemmeno il giovane uomo che, periodicamente, si presentava da lei avido di sfogare pulsioni, frustrazioni e angosce a furia di baci e amplessi.
Non che fosse mai stato realmente innamorato di lei, e di questo anche Derya doveva essere ben consapevole. Ma, per anni, la giovane aveva goduto del suo favore, della sua preferenza: tra tante puttane qualunque era da lei che Mal tornava ogni volta, era lei la sola con cui l'altero, devoto Mal Ennon si concedeva il vizio del sesso.
Raggiunse la porta della stanza con passo lento, appoggiò la mano sulla maniglia ma poi si bloccò. Anche se era da anni ormai che la giovane non gli chiedeva di pagarla dopo un appuntamento, quella volta estrasse dalla tasca uno york d'oro e lo appoggiò sulla credenza a ridosso della parete.
Derya sgranò gli occhi ambrati nel vedere il suo gesto e Mal ebbe la certezza che avesse compreso.
Aprì la porta e sparì all'esterno.
Addio, Derya.

 

***
 

Un urlo squarciò la silenziosa oscurità notturna della casa.
Mal si tirò a sedere di scatto, il cuore in gola; senza che se ne rendesse conto, si era messo in posizione di guardia, i sensi vigili, la mente perfettamente lucida. La magia percorreva già le sue membra, generandogli un lieve formicolio, pronta a scaturire nel caso ce ne fosse stato bisogno. Era un'abilità che aveva acquisito durante l'addestramento con il maestro Camosh.
Ci vollero solo pochi istanti perché l'uomo si rendesse conto della situazione e si rilassasse. Dal salotto provenivano singhiozzi inframmentati.
Un'altro incubo, si disse mentre scivolava giù dal letto a baldacchino e si avvolgeva nella vestaglia. Non era la prima volta che Raisa lo svegliava in piena notte e, come sempre, Mal si chiese quali immagini tormentassero il sonno della piccola.
Trovò Raisa rannicchiata contro il muro adiacente a quello dove torreggiava il camino, le ginocchia avvolte fra le braccia. Si dondolava avanti e indietro. Con uno schiocco di dita, il mago generò una piccola fiamma e la indirizzò verso la candela più vicina. La bambina non reagì all'improvviso rischiararsi dell'ambiente. Mal le si avvicinò. I suoi occhi erano spalancati, fissi su qualcosa che lui non poteva vedere, ma nel suo sguardo si leggeva il terrore più puro. Grandi lacrime rigavano i suo volto, ma i singhiozzi si erano già esauriti.
«Raisa» la chiamò con dolcezza, inginocchiandosi accanto a lei. «Raisa, sei al sicuro. Non c'è niente qui che ti possa fare del male. Siamo solo io e te».
La ragazzina si stava mordendo il labbro inferiore con tanta forza che per un attimo Mal temette che se lo squarciasse. Con circospezione, appoggiò una mano sulla sua spalla sinistra: Raisa aveva sempre reagito positivamente al contatto fisico con lui, come se il suo tocco avesse avuto il potere istantaneo di calmarla.
Anche quella volta, dopo il sobbalzo iniziale, il suo respiro si fece via via più regolare.
«Era solo un incubo» proseguì Mal in tono calmo. «Non so cosa tu abbia visto, ma ora è finita. Era solo un incubo».
Raisa si lasciò scivolare lungo la parete, fino a ricadere di schiena sul pavimento.
Le altre volte le reazioni ai brutti sogni erano state meno violente. Guardandola in quello stato, Mal si chiese che cosa diavolo sperasse ancora di ottenere da lei: Theor aveva ragione, quella creatura era spezzata nella mente e nello spirito, non c'era speranza di...
Allontanò con rabbia quei pensieri. Non era il momento di pensare a quel genere di cose.
Fu tentato di agire come le altre volte in cui Raisa aveva avuto problemi a dormire: premerle una mano sulla fronte e farla ricadere in un sonno artificiale senza sogni, così che il suo corpo si rilassasse automaticamente riportando battiti e respiro a un livello normale; eppure, qualcosa gli fece cambiare idea. Forse non era quello l'approccio giusto, e nemmeno il più proficuo. Quelle lunghe dormite rese possibili dalla magia non avrebbero giovato alla sua psiche. No, doveva provare ad aiutarla come avrebbe fatto un comune essere umano, rassicurarla, parlarle, proprio come un... un...
«Genitore» mormorò Mal fra i denti.
Solo una decina di giorni prima era stato a un passo dall'iniziare una nuova, eccitante fase della sua vita. Aveva affrontato il suo vecchio maestro e aveva vinto, avrebbe potuto servire le Terre del Nord a tempo pieno, guadagnarsi il rispetto di Theor e apprendere da lui qualunque cosa potesse essere utile per diventare il miglior mago e politico possibile. Era bastata una manciata di minuti perché tutto cambiasse, e l'aspetto più ironico era che era stato proprio lui, Mal, a fare in modo che ciò accadesse. Quella bambina gli era capitata fra capo e collo e, se in un primo momento aveva pensato che sarebbe stata una sicura chiave per il successo, ora non ne era più affatto sicuro. Anzi, era probabile che sarebbe stata la sua rovina, proprio come aveva detto Theor.
Porse la mano a Raisa invitandola a rialzarsi.
«Vuoi dormire nel mio letto, stanotte? Posso mettermi io sul tappeto».
Lei scosse la testa con forza, al che Mal sospirò e la trascinò con delicatezza verso il suo solito giaciglio.
Due forze si scontravano furiose nel suo animo. Da una parte la seccatura, il fastidio, l'umiliazione di sentirsi ridotto da delfino del più grande mago di Fheriea a tutore di una bambina pazza; dall'altra l'irrefrenabile desiderio di aiutarla, di farle del bene, aldilà di qualunque profitto e carriera politica. Raisa aveva messo a nudo in lui una contraddizione che lo stava facendo impazzire.
La bambina si distese sul tappeto ancora tremando come una foglia. Mal le sistemò la coperta.
«Io sono nella stanza qui accanto. Se hai bisogno di qualcosa, di qualunque cosa...»
Si rese conto in ritardo della stupidità di quelle parole. Avrebbe voluto terminare la frase dicendo "chiamami". Aggiustò il tiro.
«... batti un colpo sul pavimento, o vieni anche di persona a svegliarmi. Ci sono io qui, non può accaderti nulla di male».
Raisa non annuì, né dette segno di aver ascoltato le sue ultime parole.
Mal si passò una mano sul viso: non c'era molto altro che potesse fare. Si era già avviato nuovamente verso la sua stanza, gli occhi gonfi di sonno, quando accadde.
«Non lasciarmi sola».
Mal fu così sorpreso da non riuscire a manifestare alcuna reazione. Si limitò a immobilizzarsi, dandole la schiena, l'animo percorso da emozioni contrastanti. Aveva aspettato talmente tanto tempo di udire per la prima volta la sua voce che ormai aveva quasi perso le speranze; non si era mai interrogato su come potesse suonare, ma di sicuro si sarebbe aspettato un suono flebile e infantile.
Le parole che la ragazzina aveva pronunciato in quel momento, invece, sembravano appartenere a una persona molto più grande. Il tono era sì rotto, ma anche velato da una sorta di amarezza stranamente matura.
Si voltò verso Raisa e, per la prima volta dopo molto tempo, sentì le lacrime pungergli gli occhi ed ebbe l'impressione di non riuscire a trattenerle.
Gli aveva parlato.
Aveva infranto il muro di silenzio che li separava.
Senza nemmeno pensare a ciò che faceva, tornò dalla ragazzina e la abbracciò. La strinse a sé, tenendo le labbra premute su quella testolina dalla chioma fulva, e sentì le braccia della piccola circondare il suo torace a loro volta.
E, finalmente, lacrime che dovevano aver atteso anni per sgorgare come una cascata dai suoi occhi cominciarono a inondarle il viso, bagnando le sue guance e il petto nudo di Mal sotto la vestaglia. Raisa piangeva con una tale foga che l'uomo ebbe l'impressione che in quello sfogo stesse riversando il dolore di tutta una vita, quasi quell'esternazione potesse avere il potere di prosciugarla, svuotarla da tutto il male che si portava dentro, distruggere con violenza le barriere che aveva eretto tra sé e il mondo esterno.
Pianse fino a non avere più lacrime, fino a non avere più forze.
Pianse fino a che, sempre stretta dalle braccia forti di Mal, non si accasciò sfinita contro di lui, cadendo nuovamente nell'incoscienza.
Eppure, questa volta, Mal era sicuro che non ci sarebbero stati incubi a infestare il suo sonno.
La depose delicatamente con la testa sul cuscino e si coricò di fianco a lei, cingendole la vita con un braccio.
Non lasciarmi sola, l'aveva supplicato la bambina.
«Non sarai mai più sola» mormorò Mal, anche sapendo che in quel momento lei non poteva sentirlo.





 

 

 

  
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