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Autore: Charlotte McGonagall    17/08/2023    1 recensioni
“ La vita di Dazai era letteralmente nelle sue mani e Oda era senza alcuna guida. Sapeva solo che doveva salvarlo, che lasciar morire un uomo — un amico — che aveva usato le sue ultime forze per chiamarlo sarebbe stato come ucciderlo.”
Dazai tenta di togliersi la vita, ma viene soccorso da Oda. Ovviamente ambientata nella Dark era.
E ovviamente TRIGGER WARNING grosso come una casa per il tentativo di suicidio e relative discussioni.
Genere: Drammatico, Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Osamu Dazai, Ougai Mori, Ougai Mori, Sakunosuke Oda
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Note: Questa fanfiction è stata scritta per l’evento A Summer of Secrets del gruppo facebook Hurt/comfort Italia. Il prompt che ho usato era “in uno di quei momenti in cui il vuoto che sente è troppo da sopportare, Dazai tenta di togliersi la vita, venendo salvato all'ultimo da Oda”.
Come già detto la storia tratta esplicitamente di un tentativo di suicidio. Se anche solo sospettate che questo potrebbe essere un vostro trigger, per favore, non leggetela. Del resto se state cercando storie su Dazai spero ve lo aspettiate. In ogni caso, se avete pensieri suicidi, potete contattare il numero 06 77208977 (me lo ha detto google, che si è molto preoccupato per me mentre facevo ricerche per questa storia).
Spero di essere riuscita a rimanere IC, avendo guardato l’anime solo una volta ed essendo questo il mio primo lavoro nel fandom. Non mi considero un’esperta e questi personaggi sono difficili da muovere, ma spero di aver reso giustizia al prompt. Se non altro, almemo mi sono divertita molto a scrivere questa storia.

Destrometorfano: un principio attivo comunemente usato come sedativo per la tosse, facile da trovare senza che nessuno facesse domande e, di conseguenza, facile da assumere in quantità eccessive.
Dazai si rigirò tra le mani il flacone con aria quasi annoiata. Uno spacciatore che collaborava con la Mafia del Porto una volta gli aveva raccontato che, per la sua azione rilassante e per gli effetti dissociativi ad alto dosaggio, poteva essere usato per scopi ricreativi e, come molte droghe, un’overdose poteva essere letale.
Tutto sommato un buon modo di andarsene — pensò Dazai — sballarsi un po’ e poi addormentarsi: semplice, pulito, indolore, scarsissima preparazione necessaria.
Non provò nulla, se non forse un vago sollievo, mentre trangugiava le pillole. Forse almeno gli avrebbero fatto provare qualcosa per riempire il vuoto che si portava dentro da quando aveva memoria.

***

Oda estrasse il telefono dalla tasca del cappotto prima ancora che vibrasse: a volte, nelle piccole cose, non distingueva nemmeno più le premonizioni della sua abilità dalla realtà.
Fissando lo schermo aggrottò la fronte: il messaggio che Dazai gli aveva inviato era completamente incomprensibile. Lo aveva inviato per errore? Era ubriaco? Era un codice? Dazai era il tipo da fare quel genere di giochetti dopotutto. Eppure…

Provò a chiamarlo e, prima ancora che l’ultimo squillo suonasse a vuoto, stava correndo a prendere l’auto.
Stava reagendo in modo esagerato per così poco? Forse, ma aveva una brutta sensazione, qualcosa di diverso dalle sue abituali premonizioni, più vaga ma più viscerale e profonda, una morsa alla bocca dello stomaco che gli diceva che Dazai aveva bisogno di aiuto.

L'appartamento di Dazai non era lontano e Oda guidò il più rapidamente possibile per raggiungerlo. Bussò alla porta mentre tentava un’ultima telefonata all’amico. Non ricevette risposta ma potè udire il suono distante del telefono che squillava nell’appartamento. Dazai era in casa.
A quel punto ogni esitazione scomparve e Oda sfondò la porta con un gesto sicuro.

Trovò Dazai riverso sul pavimento della camera da letto. Il telefono era a terra, poco distante, appena fuori dalla sua portata.
La scena era raccapricciante: il giovane si teneva lo stomaco e tremava violentemente, il respiro ridotto ad un rantolo, gambe e piedi scossi da spasmi involontari. Oda si precipitò al suo fianco e gli prese il viso tra le mani, trovandolo sudato e innaturalmente caldo. Dazai lo fissava quasi senza guardarlo, con pupille dilatate che si muovevano spasmodicamente in tutte le direzioni.

“Dazai?! Dazai, che cos’hai?!”
Oda si guardò attorno, cercando un indizio che lo aiutasse a dare un senso a quella visione angosciosa. Notò rapidamente il flacone vuoto di pillole abbandonato sulla scrivania e sentì una fitta al cuore. “Dazai, cosa hai fatto?!”
Oda aveva sentito spesso Dazai parlare di suicidio, era noto a tutta l’organizzazione o quasi che Dazai ne era ossessionato. Un secondo prima stavi camminando accanto a Dazai e un attimo dopo quello se ne usciva di colpo con frasi raggelanti come “Quella scogliera sarebbe perfetta per gettarsi in mare” o “Secondo te è meglio l’avvelenamento da monossido di carbonio o l’impiccagione?”. Aveva anche sentito voci che Dazai avesse già tentato di togliersi la vita più volte in passato, ma una parte di lui aveva sempre faticato a prendere sul serio tutta la faccenda, tanto era paradossale, dato che nessuno, tanto meno Dazai, sembrava prenderla con la dovuta serietà.

Eppure, ora che aveva preso tra le braccia il corpo febbricitante di Dazai, si sentiva un idiota per non aver mai pensato che fosse tutto vero, che quel ragazzo — che ora appariva ancora più giovane e fragile — desiderasse davvero morire.
E mentre moriva Dazai aveva pensato a lui e aveva cercato di scrivergli. Una richiesta d’aiuto forse? Un addio? Forse solo un gesto senza senso dettato dalla sua mente annebbiata dai farmaci?

Dazai, come spaventato da qualcosa che solo lui poteva vedere, si strinse a Oda. “Mandali via,” mormorò, le labbra che iniziavano a tingersi appena di una sfumatura bluastra, “mandali via! Fallo smettere! Non… non doveva andare così! No! No! Fa male…”

Oda era abituato a vivere proiettato nel futuro, immerso in un mondo nel quale la sua abilità era ormai diventata un sesto senso, un mondo nel quale intuire il fluire del tempo era naturale come toccare un oggetto davanti a sé o percepire l’aria sul viso. In quel momento, benché sapesse che la sua abilità era di durata troppo breve per essergli di aiuto, esserne privato per la prima volta, a causa del tocco di Dazai, non fece che accentuare il panico e l’orrore che provava. La vita di Dazai era letteralmente nelle sue mani e Oda era senza alcuna guida. Sapeva solo che doveva salvarlo, che lasciar morire un uomo — un amico — che aveva usato le sue ultime forze per chiamarlo sarebbe stato come ucciderlo.

“Andrà tutto bene,” disse Oda, più a se stesso che a Dazai, “ora chiamo un’ambulanz-“.
“No!” lo interruppe Dazai, con la voce strascicata ma con l’espressione improvvisamente seria. “Mori… chiama Mori…”

Oda sospirò. Il solo nome di Mori gli provocava un lieve senso di fastidio, ma almeno Mori era un medico e decise di assecondare Dazai.

***

“Pronto?”
Il tono del dottor Mori era languido e annoiato come sempre, perennemente ad un passo dal divenire irritato e minaccioso. “Spero sia importante, Oda”. “Si tratta di Dazai, signore”.
“Cosa ha fatto?”
“Ha tentato di togliersi la vita, signore, ha… ha preso delle pillole…”
“Di nuovo?”. Mori sospirò e Oda poté immaginare con chiarezza l’alzata d’occhi che accompagnava quella esclamazione. Non vi era preoccupazione nella voce del capo della Mafia del Porto, solo una blanda frustrazione.
“Non vuole che lo porti in ospedale…”
“E ha ragione,” ribatté Mori seccamente, “se dovessimo farlo ricoverare ogni volta che tenta il suicidio, passerebbe la vita in psichiatria. Come farei poi a farlo lavorare?”
Oda non ebbe il tempo di protestare perché Mori continuò, con la stessa flemma inattaccabile. “Cosa ha ingerito, da quanto tempo e in che quantità?”
“C’è un flacone vuoto di pillole per la tosse. Il principio attivo è Destrometorfano. Non so da quanto le abbia prese, ma sta molto male.”
“È ancora cosciente?”
“È decisamente alterato, ma è ancora sveglio”.
“Ha avuto convulsioni?”
“Non che io sappia, ma credo abbia degli spasmi involontari”.
“Potrebbe averne in futuro,” osservò Mori, come se parlasse del clima. “Tienilo sdraiato su un fianco mentre lo porti da me”.
“Cos’altro posso fare?” chiese Oda.
“Guidare velocemente?” propose Mori come unica risposta. “E portami anche il flacone vuoto”.

***

La telefonata con Mori ebbe l’involontario merito di sostituire il panico di Oda con un profondo senso di rabbia e indignazione.
Poiché era impensabile far camminare Dazai in quelle condizioni, Oda se lo caricò tra le braccia e lo portò di peso fino all’auto, nonostante i tentativi del giovane — tornato in preda a qualche allucinazione — di divincolarsi dalla sua stretta.
Lo fece sdraiare sul sedile posteriore, su un fianco, come aveva suggerito Mori, e partì come un fulmine, incurante delle multe per eccesso di velocità che avrebbe rischiato.

Di tanto in tanto sentiva Dazai lamentarsi o mormorare frasi senza senso. Verso la fine del tragitto, aveva anche vomitato ai piedi del sedile. Oda sperò fosse una buona cosa, ma in ogni caso erano tutti segnali che lo rassicuravano sul fatto che il suo amico fosse ancora vivo.
“Resisti, maledetto idiota, resta vivo…”

***

Mori aiutò Oda a mettere Dazai sul letto. Il medico si avvicinò con la torcia per esaminargli le pupille, ma Dazai, sempre più agitato, la spinse via con un rapido colpo del braccio, con più forza di quanto Oda si sarebbe aspettato da un uomo nelle sue condizioni. Mori sospirò con aria esasperata. “Aiutami a tenerlo fermo. Elise, portami il sedativo.”
“È il caso di… ?”
“Chi dei due è il medico qui? Avrò bisogno di intubarlo e fargli una lavanda gastrica. Per quanto si meriterebbe che gliela facessi da sveglio, sarà molto più facile per me e più sicuro per lui se non si agita. Inoltre la sedazione aiuterà ad abbassare la temperatura e ridurre gli spasmi muscolari. Se non mi vuole dare una mano, signor Oda, le suggerisco di andarsene".
Oda si limitò ad annuire. Doveva fidarsi di Mori, non aveva altra scelta, e non aveva alcuna intenzione di lasciare Dazai finché non si fosse svegliato.
Senza una parola, afferrò le braccia del giovane e le tenne saldamente poggiate al materasso mentre Dazai emetteva un grido strozzato e tentava di combattere. Mori gli infilò l’ago in vena con gesto sicuro e presto Dazai smise di ribellarsi.

***

La testa gli stava esplodendo, aveva la nausea e ogni singolo muscolo del suo corpo era dolorante.
“Perché non sono morto?” chiese Dazai senza nemmeno sapere a chi. La gola gli bruciava e la sua voce ne uscì fioca e rauca. Almeno se fosse morto davvero ora non si sarebbe sentito così male.

Sentì una mano stringere la sua e aprì a fatica gli occhi. Fuori era buio e l’ambulatorio medico era illuminato da una fredda luce al neon. Oda era seduto accanto al letto, con un’espressione grave e stanca. Dazai si sentì quasi in colpa, sotto quello sguardo, mentre ricostruiva ciò che riusciva a ricordare degli eventi di quel giorno, come un bambino colto nell’atto di una marachella.

“Come ti senti?” chiese Oda.
“Uno schifo,” biascicò Dazai. "Dov'è Mori?"
“È andato a dormire dopo averti salvato la vita,” disse Oda, “ma se hai bisogno di lui possiamo richiamarlo.”
Dazai scosse il capo. “No, sono più che felice che sia fuori dai piedi. Vorrei solo un bicchiere d’acqua”.
Oda si allontanò per pochi istanti e tornò con un bicchiere di acqua fresca. Fece sedere lentamente l’amico e lo aiutò a bere.

“Perché l’hai fatto?” chiese infine Oda, dopo lunghi istanti di silenzio, più preoccupato che accusatorio.
Dazai avvertì un senso di nausea e vertigine che aveva a che fare solo in parte col malessere fisico. Era evidente che a Oda importava di lui e in qualche modo questo importava anche a Dazai, per un motivo che nemmeno lui stesso sapeva spiegarsi.
“È semplice, volevo morire. In quel momento sembrava il modo giusto. Anche se, col senno di poi, è stata un’esperienza orribile, per niente piacevole come pensavo.”
Lo disse col tono più indifferente possibile, ma non guardò Oda negli occhi mentre parlava.
“Intendo perché vuoi morire, Dazai?” La voce di Oda si ruppe quasi impercettibilmente, pronunciando il suo nome. Dazai se ne accorse.
“Non è che io abbia una ragione vera e propria per voler morire,” rispose. “È che non ho nessun motivo per voler vivere”.
“Deve essercene uno?” chiese Oda, tornando a stringere la mano di Dazai.
“Tu non ne hai?” chiese l’altro, quasi canzonatorio. Oda si fece improvvisamente pensieroso, un velo amaro che gli attraversava lo sguardo. “Sì, immagino di sì. Ma non è sempre stato così, forse non hai ancora trovato la tua strada? Dopotutto, sei giovane”.
Dazai rifletté per qualche istante. “Se ti sentissi vuoto quanto mi sento io, dubiteresti anche tu di poter trovare una strada tua,” disse, stringendosi nelle spalle. “Io non so dove andare.”
Era abituato a raccontare a chiunque che voleva morire, ma non aveva mai detto a nessuno il perché in modo così chiaro, forse perché Oda sembrava il tipo di persona che avrebbe capito, e la criminalità organizzata non abbondava esattamente di quel tipo di persone.
Oda gli scostò il ciuffo di capelli dalla fronte ancora lievemente umida di sudore. Fu un gesto dolce, protettivo, con il valore di una dichiarazione di intenti.
“Allora segui me,” disse. “Se quello che ti serve per vivere è una direzione qualsiasi, segui me”.

   
 
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