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Autore: KH4    17/08/2023    1 recensioni
"Non esiste ingrediente che garantisca ricchezza e ingiurie come l'Orchidea Blu, così rata da impegnare chiunque, anche il Demone più abile in una caccia al limite dell'esasperazione.
La nomea semi-astratta di un artista squattrinato e la sequela di dipinti a suo carico, tutti raffiguranti il medesimo soggetto, conducono il Demone Belmeroth a perseguirne le tracce passate sino al luogo d'origine del primo quadro: una catena montuosa al limitare del Mondo degli Uomini."
Genere: Erotico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Orchidea Blu.

- Se quello che ti serve non lo trovi da nessuna parte prova a cercare dove gli uomini non oserebbero mai mettere piede! -
- Sono qui proprio per questo. -


La perla di saggezza rotolò biascicata sul tavolo scuro, addensandosi sulla presa rivolta al ligneo boccale colmo a metà di birra scura.

Una ben misera ricompensa per venti ore di sudato lavoro segregato nelle miniere, fra rocce e piccozze che Gabe sopportava per uno straccio di paga; non fosse stato per le deleterie abitudini che gli impedivano di tesaurizzare lo stipendio e il giornaliero bisogno di intingere la lingua nell’alcol, forse sarebbe stato in grado di maturare il pensiero di trasferirsi altrove, magari a fare il contadino nella vaste pianure, con una sua casetta e a fumare tabacco sotto un cielo trapuntato di adamantine stelle.

Invece la sua fedina penale e gli ancor più discutibili vizi lo avevano affossato lì: su una cuspide appuntita ai confini del globo, a estrarre minerali, vivendo in una baracca che quanto meno difendeva la sua privacy e imbruttito sia nei modi che nell’aspetto, perciò quando quell’elegantone dai bizzarri occhi viola e gli ancora più strampalati capelli argentati gli si era approcciato con l’offerta di ben cinque boccali della riserva di Dotty già pagati, una portata di carne arrosto con patate come non ne vedeva da mesi e una decina di monete d’oro a luccicare nei palmi sudici, Gabe si era sentito in dovere di provare a rispondere a tutte le sue domande, per quanto strane che fossero.

- Queste sono montagne dove nessuno sano di mente sceglierebbe di andare se non per il desiderio di una morte lenta. Chiunque abiti qui sa di doversi tenere alla larga dalla nebbia. C’è magia putrida lassù, oleosa, che ti si appiccia addosso e ti fa girare in tondo rosicchiandoti fino alla sanità mentale. -
- Però qualcuno ci si è addentrato, altrimenti quel paesaggio non si spiegherebbe. -


Gabe ingollò il terzo boccale, ripulendosi il dorso dalla schiuma della birra. 

L’elegantone - ingioiellato di ninnoli d'argento e malachite ripartiti fra collane, anelli e orecchini, tutto ingessato nel completo ricamato a mano di un grigio luminescente e bardato da un ampio mantello viola scuro - aveva ammiccato al quadro appeso alle spalle del bancone.

La rappresentazione rendeva omaggio a un lago dove la luce bluastra di una luna piena irradiava il solitario profilo di un isolotto. 
Al centro, un torre non troppo longilinea si mostrava attorniata da un anello azzurrognolo particolarmente dettagliato.


Attaccata alla cornice scura, una placca ferrugginosa recitava il titolo scelto: Plenilunio Blu.

- Per quello credo dovresti chiedere a Dotty, la proprietaria della locanda. Credo lo abbia realizzato un suo prozio o nonno… -

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Belmeroth non amava che gli si dettassero leggi avverse, sconosciute al suo modo di fare che prediligeva il non ingarbugliarsi in labirintiche elucubrazioni e tuttavia la ricerca degli ingredienti per la Pozione Proibita commissionatigli dall’ennesimo uomo rigonfio di boria – un Re degli Uomini, tanto per cambiare - era stata più volte in grado di fargli aggrottare la fronte liscia con una coroncina di rughe atta a testimoniare il fitto rimuginare.

Per uno Stregone attingere da informazioni raschiate dal fondo di un barile di dubbia provenienza - un paio di labbra sdrucite dalla troppa birra -  equivaleva a mettere in gioco la sua intera reputazione con il vivo rischio di vedersi calare addosso l’onta dell’umiliazione oltre a innumerevoli nomee denigratorie.

Per un Demone Ametista, poi - nonché Ex Secondo Principe Ereditario del Trono dei Demoni, in visita nel Mondo degli Uomini per ragioni unicamente ricollegabili al suo lavoro di Stregone -, ogni contemplare il flebile tremolare del vino racchiuso nel suo calice, quasi sperando che la soluzione gli pervenisse spontamentamente, si traduceva in una questione personale.

C’era pur sempre da asserire che la posta in gioco si era arrogata sin dall’inizio l’implicita pretesa di volerlo vedere capitolare dall’alto della sua supponenza e lungi da lui cadere vittima di un maroso umore per una semplice scucitura al lavorio della sua trama.

Poteva darsi che la sua natura non contemplasse l’essere soggiogato dai dettami del tempo, ma ugualmente non era in grado di scindersi del tutto dal suo influsso.
 
- Oh, si. Il bisnonno… -  

Dotty sollevò gli occhi marroni al cielo percependo il peso di quella storia risalirgli lungo la gola, guadagnandosi un sospiro rumoroso. 

Le labbra di famiglia diventavano incapaci di infondere pace quando si tiravano fuori i panni sporchi e lei non era esente da quell’usanza seppur non avesse mai conosciuto personalmente il parente, scappato per fare fortuna come pittore senza l’ombra di un quattrino lasciato agli eredi.

Parlarne faceva sì che il livore di una vita diversa fermentasse senza controllo, rischiando sempre di infrangersi contro un suolo spiacevole, perché, andiamo, quale donna sana di mente sceglierebbe di isolarsi in quello sputo di terra, prevaricandosi ogni altra possibilità se non per dovere nei confronti della famiglia?!?

Se ne sarebbe potuta lavare le mani della locanda che i suoi parenti si tramandavano di generazione in generazione assieme gli untuosi commensali, proprio come avevano fatto gli altri suoi due fratelli; invece si era lasciata rabbonire dalla sua stessa coscienza e fatto morire in pace i genitori solo per annichilirsi nella raccapricciante maturazione che sovente le gonfiava le vene sul collo.

Dopo quasi trent’anni di massacrante schiavismo era stufa marcia delle brutte facce dei minatori - gente apatica, di dubbia reputazione e maniere rozze che la inducevano a ritenere la cavalleria una bufala cartacea -, dei calli che affliggevano le sue mani e di tante altre cose che rendevano il quadro d’insieme una routine aspera di distrazioni.

Per quello che le riguardava poteva fare fagotto e andarsene il mattino seguente; una brava cuoca la si rifiutava soltanto per il cattivo cibo, non certo per la corporatura equivalente a una quercia tagliata a metà o i capelli color topo disciplinati da uno stretto chignon perché altrimenti qualche uccellaccio lo avrebbe scambiato per il proprio nido. 

 Quello era un pensiero che almeno due volte alla settimana Dotty ponderava concretizzare con la locanda chiusa e un bel cartello con su scritto “Arrangiatevi!”

Ma quello straniero così aitante e fascinoso nel sensuale taglio dei lineamenti era stato una tale ventata di novità che nel gettare la sua appariscente silhouette a mò di netto spartiacque con gli stagionati habitué la rese più che felice di mettere da parte i suoi propositi anche quando questi dirottò la loro conversazione sull’antenato squattrinato.

- Sì, lo ha dipinto lui. E’ l’originale -, confermò lei, schioccando di sguiscio un’occhiata al quadro mentre la mano porgeva sul bancone della tagliata di vitello marinata - So di alcuni suoi duplicati, ma questi non gli hanno valso la gloria che si era aspettato. Non verrete a dirmi che siete salito fin quassù per questa ragione? -
Affabile, lo straniero afferrò con le dita il calice di vino portogli, per poi deliziarsi il palato con il ricco piatto che la locandiera gli aveva preparato - Diciamo che sono interessato a capire se dietro la sua realizzazione ci sia un fondo di verità. -
- L’unico fondo di verità è che non ci ha ricavato un ragno dal buco, se non uscirsene con la testa ancora attaccata al collo -, sbuffò la donna.
- Quindi conoscete la sua storia. -
- Disgraziatamente. - Dotty non sorvolò neppure sul fatto di aver risposto troppo velocemente. Probabilmente le scelleratezze del parente erano la sola dote in suo possesso - Il bisnonno è sempre stato un tipo con la testa immersa costantemente nelle nuvole: in fissa con l’arte e il voler ritrarre qualcosa di unico. Mai una volta che abbia impugnato un piccone, a detta della famiglia. Un giorno è sceso giù in città e ha speso metà della sua eredità per acquistare una bussola magica. Una bussola magica! - Il suono con il quale calcò l’ultima parte vibrò spregievole, al che stritolò così forte lo strofinaccio impiegato per pulire i bicchieri che il dorso delle mani e le falangi sbiancarono paurosamente - Quel gingillo non valeva un soldo bucato e le assicuro che la mia bisnonna lo ha accompagnato a pedate ben volentieri fin dentro quella nebbia maledetta. Le lascio immaginare la portata dell’infarto che le prese quando se lo vide tornare a casa tutto vispo e con quel dipinto sotto braccio, blaterando su una Luna Blu e su dei fiori tintisi del suo colore. Non fece altro fino a quando non si mise in testa di girare il mondo con le sue tele e i suoi pennelli. -
- E la torre? - Si incuriosì il giovane - Non lasciò detto nulla al riguardo? -
- No. Da quello che so se ne è tenuto lontano -, gli rispose la locandiera  - Sa come si dice, no? Le voci di oggi sono le voci di allora. Questa nebbia è nata con le montagne e per quel che posso immaginare anche quella torre. Di certo se è opera di qualcuno non voleva farla scovare tanto facilmente. Il minimo che quelli come noi possono fare è avere a cuore la propria vita visto che chi ha avuto il coraggio di ficcare il naso dove non doveva ci ha rimesso la pelle. -

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Il lago ricalcava tutto fuorchè gli arabescati connotati di un luogo paradisiaco, abbracciando la desolazione attribuitale dal dipinto: una lacrima solitaria in mezzo a un dedalo di montagne avvolto dalla bruma, al confine estremo del Mondo degli Uomini, intinta nell’assoluto grigiore.

Al centro, un minuscolo atollo, sua meta ultima da raggiungere, con la presenza di una torre a impercolarsi fra volute oramai prossime a divenire picee, in qualità di testimonianza atta a raggranellare una storia che se anche Belmeroth rievocasse non farebbe trasparire alcuna emozione segreta, restando muta e ritta nel suo immoto degrado.

Dopotutto, non si era spinto tanto a fondo in tale realtà per lasciarsi assorbire da un singolo istante la cui effimera temporaneità faceva della polvere il proprio peso, nè aveva atteso con il rischio che questa si tramutasse in un’agonia inarrestabile.

Appena giunto ai piedi della spiaggia frugò nella tasca interna della giacca, sfilando una clessidra dorata che, libera dalla presa delle falangi, prese a fluttuargli di fronte al viso.

La panciuta parte inferiore era ormai piena dei chicchi scintillanti che proseguivano a scivolare dalla gemella soprastante, segno che da un momento all’altro le strisce cupe della notte avrebbero orlato l’orizzonte fondendosi in un'unico manto.

Non dovette fare altro che sollevare il mento diafano e non appena la sferica circonferenza della Luna Blu diramò le nubi illuminando il silenzioso profilo della terra in mezzo al lago, lo sguardo violaceo di Belmeroth si acuì, riempiendosi di un candido biancore tendente all’azzurro che circondò la torre come fosse un anello; ciò bastò affinchè il compiacimento tracciasse il primo e autentico sorriso dacchè era giunto nel Mondo degli Uomini.

Riprese la camminata, macinando sotto i suoi piedi l’acqua del lago anziché il letto di sassi, sino ad annullare la distanza che lo separava dall’isolotto.

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Osservare da vicino un’Orchidea Blu - non in polvere o essiccata, bensì con le radici conficcate nel terreno - si era sempre autenticato come un’onore conferito alle generazioni che erano state benedette dalla loro presenza nel Mondo dei Demoni.

Belmeroth non si sprecò nel supporre che l’aver trovato un’intero giardino di quei chimerici esemplari avesse appena aggiunto ai suoi innumerevoli titoli il potere di assoggettare qualunque altro concorrente. 

Non che ne avesse realmente bisogno, non con la sua natura derivata dall’Ossatura del Creato, ma umettandosi le labbra nel carezzare una di quelle corolle non potè fare a meno di pensare alla faccia accartocciata di quell’arpia di Velvet mentre le sventolava sotto il naso un mazzolino fiorito.
 
E, certo, si parlava di esemplari ancora acerbi, molto probabilmente alla loro prima Luna Blu, una piega veritiera in quel suo immaginare che gli avrebbe recato dolenti conseguenze agli affari se si considerava che gliene occorreva una gravida di colore e polline.

Il delicato frusciare degli steli sussurrava alla notte una melodia a lei dedicata e ce ne erano tante come mai in quasi ottomila anni di vita gli era capitato di vedere, che per un istante si dimenticò che forse l’altra persona presente su quell’atollo poteva detenere la soluzione ai suoi problemi.
 
- Buonasera. - Il Demone Ametista fece gli onori di casa ancor prima di far calare gli occhi sulla creatura egra di solitudine scivolatagli alle spalle.

Sembianze frammiste, incapaci di svelenire legittime elucubrazioni, motivarono riflessioni che Belmeroth stroncò sul nascere senza per questo negarsi una sincera nota di curiosità, perché sì, pur sondandola direttamente, non era ancora giunto a comprendere la ragione per cui i suoi sensi gli avevano restituito il suono di un’anima non del tutto vibrante come l’eco flautato di un cristallo.

Il Golem appariva scolpito nell’avorio finemente cesellato, modellato a immagine e somiglianza di una figura femminea umana, ma per nulla candida nell'emaciata carnagione; fu il netto contrasto con la metà destra del corpo, contaminata da affilate fattezze draconiche, che ritoccò la sua canonica conoscenza delle creature per aggiungere un nuovo paragrafo.

La turchese tonalità di un cielo incantato a raggiare di aghiforme luminosità addolciva la macabra severità delle dimensioni slabbrate, ardue nell’impedire la portata della contaminazione ramificata al braccio, vincolato ad abnormi misure che ponevano le falangi in condizioni di sfiorare con le unghie trasparenti l’erba imperlata di rugiada; quanto meno, la gamba conservava un’umana misura nel brillio delle scaglie.

Qualora avesse accondisceso all'interesse di tastare l’epidermide risparmiata dall’aberrazione era sicuro oltre ogni dire che l’illusione della carne non gli sarebbe stata restituita; forse un cenno, una morbidezza atta a facciata.

Il profumo dell’argilla magica mescolata alle ceneri di feti morti e le erbe medicamentose non smentivano le sue asserzioni mentali, ossia che quella fanciulla, malgrado gli arti ammantati da scaglie e l’oncia d’anima presagita avvoltolarsi sotto di esse, era un Golem.

Maledetto, perlopiù.

- Buonasera a voi. - La voce di lei flesse una personalità inattesa, pulsante, una cortesia di rimando che Belmeroth processò catalogandola sotto la voce di “sorpresa”.

Le parole non si insignivano fra le scarne qualità dei Golem, se non quelle trascritte nella tavoletta  che essi accoglievano nel vuoto rettangolare del loro torace, ramificandosi alla totalità del corpo affinchè l’ordine venisse compiuto prima che un altro trovasse posto. 

- E’ davvero un magnifico giardino -, si congratulò il Demone Ametista - Ne siete la padrona? -
- La sua giardiniera. Non per mia volontà, ma se non altro il prendermene cura mitiga il passare del tempo. -
- Stiamo parlando di mesi, anni o secoli? -
- Sinceramente non saprei dirvelo. So solo di trovarmi qua da fin troppo. -

Belmeroth si limitò ad annuire, proseguendo a soppesare ogni oncia di straordinarietà utile a rafforzare l’idea di quella singolarità alquanto inusuale nell’essersi scinta da un percorso ben definito.

Mettendone meglio a fuoco il profilo nel mentre ella accorciava le distanze, si avvide dello spessore delle triplici corna d’avorio che si protendevano verso la volta notturna, in una corona appuntita fattasi largo nella setosa cortina di capelli marroni, tonalità abbracciata anche dagli occhi orlati da lunghe ciglia.

La coda rettile, uno strascico di cielo strappato a un orizzonte privo di nuvole, che avrebbe sbriciolato la torre con mero schiocco di frusta, spolverò per ultima le punte dei fili d’erba.

- Se la vostra strada vi ha condotto sino a qui devo supporre che la ragione ruoti attorno questi fiori -, ne dedusse lei una volta inginocchiatasi di fianco ai fiori.
- Ne ho bisogno, non lo nego. -
- Lo scopo? -
- Una pozione -, asserì il Demone Ametista con piglio deciso - E magari una scorta per le future commissioni. -
- Capisco. - Stavolta fu il turno della ragazza di annuire - Ma temo che questi esemplari non abbiano assorbito abbastanza luce. E’ la loro prima fioritura e non vi sarebbero utili nemmeno per un decotto. -
- Allora forse voi potreste aiutarmi. Ne avete di maturi? -
- Dipende. - Il Golem volse il collo al solo fine di scrutarlo attentamente - Voi sareste disposto ad aiutare me? -

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Belmeroth si prese il suo tempo nel dividere lo sguardo fra i modici suppellettili di legno che mitigavano la miseria dell'abitacolo e la compassata fanciulla disadorna di sorpresa nei suoi confronti che udiva trafficare oltre una porticina di legno dove una fioca fiammella si contorceva vivacemente.

Una veloce perlustrazione gli fece quantificare almeno due piani: quello di terra, dove si trovavano loro, e un secondo raggiungibile tramite una spirale di scalini attaccata alla circolarità delle mura.

L'essenza del Golem permeava ogni superficie in maniera univoca, dal crepitare delle fiamme nel modesto focolare agli oggetti disposti con un ordine stabilito in base alle esigenze; ogni molecola polverosa che velava il colore delle ampolle presenti si districava in un filo di vita a lei ricondotto, dedito a un’infinito reiterarsi scaturito dalla vena d’amarezza ispirata dagli arti corrotti che doveva aver per parecchio tempo colmato l’aria, rendendola satura e opprimente di malinconia.

Ciò nonostante il Demone Ametista si disse che c’era altro oltre la parvenza distorta che dettava la sua figura - qualcosa che i pochi giunti sino a lì o chi l’aveva condannata a quell’atollo non avevano reputato immaginabile, men che meno reale. 

Non si era lasciata nemmeno avvinghiare dallo stupore di essere onorata dalla presenza di una creatura del suo calibro, il che gli aveva reso più facile supporre che lo avesse percepito dacchè aveva messo piede sull’atollo esattamente come lui aveva percepito lei, senza perciò macerarsi nello sconcerto di quella novità benchè fosse evidente l’abisso che intercorreva fra entrambi.

- Possono esservi sufficienti? -

Le pupille ferine di Belmeroth calarono sulle Orchidee Blu dimentiche del legame con la terra umida.

Quattro mazzi ricolmi di esemplari tagliati, ripuliti e avvoltolati dentro degli involucri di carta sottile giacevano adagiati sul tavolo da lavoro seguendo una linea retta immaginaria, pronti a trovare nuova dimora nel suo laboratorio.

- Sono più di quanti ne sperassi di trovare. – Al che gli sarebbe bastato tracciare nell’aria le rune per evocare il corridoio magico atto a condurlo nel suo laboratorio, dove il calderone borbottava in un placido ribollire attendendo che qualcuno tornasse a rivolgergli le dovute attenzioni e dunque portare a compimento l’impresa.

Invece prese il tempo e la sua tirannia volgendogli le spalle con portamento saturo di fascino non ricollegabile - non del tutto - a un’eredità insita nel sangue, molto più ispirato dal desio del Golem, che, intrinseco nella sua stessa natura, era rimasto a languire nell’oblio marrone fuoriuscente dai suoi occhi.

-Allora... - E si premurò di arricciare le labbra, mostrando una così perfetta chiostra di denti da far sfigurare qualsiasi filo di perle - Come posso ricambiare la vostra generosità? -

La giovane disgiunse le mani dal bancone, squadrandolo per un lungo e silenzioso istante, al che, cominciando a tracciare con il proprio passo un’invisibile arcata parallela alla circonferenza della stanza, gli domandò: 

- Le interesserebbe avere a sua disposizione tutto il giardino? -
- Mi farebbe molto comodo, sì. -

La ragazza annuì, proseguendo il suo percorso lentamente.  A piedi nudi, il suono della sua pelle contro la pietra fredda si riverberava con un che di soffice e leggero.

-Il mio aspetto la infastidisce? -
Belmeroth inclinò provocatorio il mento - Dovrebbe? -
- Quindi se vi toccassi non vi ritrarreste? -

Un nuovo sorriso, un’espressione di umanità sul viso del Demone Ametista si scolpì con concupiscente esteriorità soprassedendo al presente.

Lungi da lui prendersi gioco di una creatura e del suo sodalizio con un luogo minimale nella sciatta essenza; era solo che non aveva annoverato nei pro e nei contro di quella spedizione iniziata con il perseguire la scia artistica di un pittore semi sconosciuto la possibilità di rimediare una scorta a vita del fantomatico ingrediente e po’ di sano svago fisico.

Percepì le falangi umane del Golem fondersi in una carezza non appena gli fu di fronte, la disparità delle altezze a obbligarlo sulla punta dei piedi per delineare le linee armoniche delle mascelle.

Le circondavano, salendo e scendendo, in una silenziosa reverenza che non lasciava tradire incertezza nelle labbra socchiuse.

Il baciò che ne seguì scorrette lento senza spingersi laddove il sapore sarebbe stato indubbiamente più denso. 

Un assaggio, una prova a testimonianza della sua spavalderia, una piccola delizia che vide il Golem umettarsi le labbra.

- Non sono sempre stata così -, gli confessò, giungendo a inanellare alcune sue ciocche argentee - La mia creazione aveva lo scopo di liberare la mia padrona dalla maledizione che l'affliggeva. Di darle rifugio in un corpo puro e incontaminato. Altri sono venuti prima di me, ma tutti recavano lo stesso male da cui lei tentava disperatamente di fuggire. In me il cambiamento è stato solo più tardivo. Quando ha compreso di non potersi disfare di me come gli altri, ho tentato di andarmente via e per ripicca lei mi ha confinata qui. -
- Una donna rancorosa. Conosco il tipo -, soffiò roco Belmeroth.

Gli bastò cingere con un solo braccio la vita della ragazza, avvicinandola cosicchè le punte dei reciproci nasi potessero sfiorarsi.

- Mi ha legata a questo luogo con un sortilegio vincolato alla natura del mio aspetto. Affinchè rimanessi assoggettata alla sua volontà anche dopo la sua dipartita  -, proseguì lei, stuzzicando con i polpastrelli la succosa consistenza delle labbra del visitatore - All'apice del suo decadimento decretò che semmai ci fosse stato qualcuno disposto anche solo ad amare la mia carne me ne sarei potuta andare. Purtroppo il mio accettarmi come sono non è sufficiente, per questo...Ho bisogno di qualcun altro che lo faccia insieme a me. -

Un cliche di indefinibile età, si disse il Demone Ametista, percependo un vibrato genuino scaturire dall'inguine ed elevarsi in una frizzante esplosione all’altezza del cavallo dei pantaloni.

Conti di quel genere non potevano che condurre a un risultato altrettanto scontato, ma in fondo nel Mondo degli Uomini maledire qualcuno per il suo aspetto e lasciarlo sperare di venire amato per ciò che era definiva l’ennesima dimostrazione di come i suoi abitanti solessero cedere a incontrollabili sensibilità e quasi sempre riconducibili a ragioni che del senso non concepivano nemmeno il significato di quella parola.

Anche se in quel caso particolare il concetto di amore si orientava verso un più turpe torpore, ugualmente valido e altrettanto appagamente poiché egli non vedeva poi tutta quella blasfemia che altri avevano aborrito.

Nell’annullare la risicata distanza che si frapponeva ai loro corpi, inclinando il capo in avanti per il solo piacere gutturale di solleticarle la linea del collo con la punta della lingua, Belmeroth la cinse anche con l’altro braccio sussurrandole:

- Quindi a voi basterebbe solo questo...E in cambio mi fareste dono del vostro giardino? -
- Di ogni bulbo, radice gonfia di linfa e corolla impollinata -  gli promise in un soffio che andò a scaldargli la pelle dell’orecchio.

Tanto bastò al Demone Ametista per issarsela sui fianchi e divorarle le labbra in un bacio molto più impudico, capace di suggerle quella scintilla d’anima insidiata nelle membra artificiali.

Il letto di lei li accolse con la scia dei vestiti disseminati lungo le scale.

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Il terreno tempestato di sassolini sotto la pianta dei suoi piedi nudi fu una piacevole riscoperta, perfino quando l’epidermide sfrisava rischiando di creparsi, lasciando scie grevi al suo passaggio.

Amara procedeva da quelle che la generale percezione dell’ambiente circostante le avrebbe suggerito essere ore, superando le soglie incolori delle montagne ingobbite e delle vite inerpicatesi lassù per brulicare sottovoce.

Aveva trascorso troppe ere incatenata all’immoto vivere della torre per non apprendere che nessun’altro al dì fuori di una creatura estranea al Mondo degli Uomini avrebbe preso in considerazione l’idea di giacere con lei.

Tutti gli altri, quei pochi giunti al suo cospetto per una ragione o un’altra, nel vomitarle addosso il loro ribrezzo, li aveva tranciati con le scaglie a rilucere il seccarsi del sangue per giorni e giorni.

Non era occorso insistere con quel individuo dai capelli argentati, gli occhi ametista e gli abiti eleganti coordinati a quelle due tonalità, nè sedurlo con deboli sussurri o promesse latenti sicchè gli aveva ceduto ben volentieri il suo giardino; il fatale connubbio incarnato dalle sue viscere, accordato con le linee astratte del sortilegio, non aveva mai reclamato di essere seguitato da un coinvolgimento se non quello carnale e tanto era bastato a tracciare per lei un confine crudele a speranze ora concretizzatesi.

Fremette, quasi danzando, l’anomala morsa che tradì un tremolio nei passi che, uno dopo l’altro, andavano a rafforzare una libertà che fissava nell’orizzonte un dove da decidere, ma per il momento le bastava scendere da quelle montagne prima che la solennità del sole turbasse il suo anonimato.

- Non è salutare partire per un viaggio senza aver fatto colazione. - 

Belmeroth palesò la sua presenza prima ancora che i sensi di Amara giungessero a realizzare che molto probabilmente i suoi poteri gli consentivano di divenire un tutt’uno con il nulla.

Non aveva motivo di trovarsi lì, non più, non davanti a lei, in quel luogo arido a discapito delle vesti eleganti e sfarzose che indossava – le stesse scivolate lungo la breve strada per il letto, mentre le lingue di entrambi intorpidivano i reciproci sensi, delicate nello scivolare senza lasciar pervenuta alcuna impronta -.

- Vero, ma non sono sicura che gli abitanti del villaggio mi avrebbero invitata a sedere a una delle loro tavole.  E poi non necessito di rifocillarmi così tanto come gli esseri umani. -
- Oh, lo so bene come funzionate voi Golem, ma la fine di una simile reclusione va festeggiata con qualcosa di pantagruelico. Almeno è così che io la vedo. -
- Mi accontenterò di ciò che potrò trovare. -
- Oppure... -, avanzò Belmeroth - Potreste venire con me. -

Per un misto di istinto e stupore, Amara corruciò la fronte guardinga e, prima che potesse chiedere delucidazioni, il Demone Ametista mise le mani davanti: 

- Senti...Ah, non ti secca se ci diamo del tu, vero? - Si premurò di chiederle -  Dunque, stavo dicendo che non è mia intenzione romperti le uova nel paniere. Avrai i tuoi piani, ma ho in mente questa proposta che ritengo potrebbe essere vantaggiosa per entrambi. -

Per tutta risposta il Golem perseverò con il suo silenzio, fino a dirsi che un paio di secondi alla creatura che gli aveva appena regalato l’agognata libertà non le sarebbero costati sulla tabella di marcia, perciò con un cenno di capo lo invitò a proseguire.

- Le Orchidee Blu non sono per niente facili da reperire. Se sono giunto fra queste montagne è perché ho dovuto scavare nella vita di un artista semisconosciuto e ripercornene gli anonimi passi. Sono fiori molto peculiari, impestati da rimediare, quale che sia la dimensione dove le si vada a cercare, ma ancor più rinomate per la loro estrema facilità a marcire se non curate a dovere. Confido che tu ne sia consapevole più di chiunque altro. -
- Me ne sono fatta un’idea da tutta una vita. -
-Però! - Trillò Belmeroth, facendo svettare l’indice guantato - Se tu venissi con me, potrei ovviare questo problema. -

Amara si ritrovò ad affilare ancor di più lo sguardo, in un insidioso lanciare lampi che il Demone Ametista sostenne con la fervente intenzione ad arrivare in fondo al suo discorso.

-La questione è molto semplice -, arrivò al punto egli - Il giardino di cui mi hai fatto dono è una miniera a cielo aperto, nonché una fornitura a vita che tuttavia richiede una totale abnegazione. Sfortunatamente il mio è un tempo intercalato in molti impegni: le commissioni, l’emporio... -
- Dunque ti occorre qualcuno che si occupi per conto tuo dei fiori-, tirò le somme Amara - Sono certa che saprai trovare qualcuno di valido per quell’incarico perché non penso ci sia bisogno che ti spieghi quanto poco desideri essere nuovamente legata a quello sputo di terra. -
- La reclusione non rientra nei benefict che ho in mente per la nostra futura collaborazione, se è questo che ti preoccupa -, volle rassicurarla.
- E quali sarebbero questi benefict, se è lecito chiedere? - Indagò il Golem.
- Bè...Un posto da poter chiamare casa, tanto per cominciare. Saresti sorpresa di scoprime come il tuo aspetto dalle mie parti rasenti la normalità -, cominciò ad elencarle il Demone Ametista - Un lavoro retribuito, perchè i soldi fanno sempre un gran comodo e la merce di valore attira sempre i giusti clienti. E la mia amicizia, che non è cosa da poco, te lo posso garantire. -

Mentirebbe a se stessa, Amara, se si aggrappasse alla certezza che a frapporsi alla sua neo libertà fosse stato qualcuno di abietto nel volerla cingere a sé con un futuro di vane promesse.

In nessuna sua parte era rimasta intoccata la puerile convinzione che alle persone buone venissero risparmiate le nefandezze della vita, assioma peraltro stupido per come i reali equilibri recitassero versi contrari.

Nemmeno era così desueta da lasciarsi lusingare dalla glabra parlantina della creatura che probabilmente - anzi, sicuramente - teneva in pugno quella verità intenta a turbinarle a livelli insani nelle viscere artificiali – ammesso e concesso che le possedesse -.

Oltre la bruma il Mondo degli Uomini era condannato a ravvoltolarsi su se stesso, pensosamente chino sul come tramutare il dolore in miele e per quanto le lontane reminiscenze l’avessero già preparata non era del tutto intenzionata viverci come un animale in procinto di uscire dalla sua tana: guardandosi in ogni dove prima di essere sicura di poter abolire ogni attesa e camminare sotto la luce del sole.

Che ciò fosse stato chiaro o meno non aveva impedito alla glabra sfrontatezza di Belmeroth di accantonare i filosofeggiamenti a favore delle terrene necessità. 

Quel Golem lo intrigava in maniera tale da volergli far terminare l’impresa con l’estatica soddisfazione di aver cavato fuori da un sasso una pietra assai più preziosa, ma pur essendo un Demone - e di quelli più che in grado di imporsi sulle volontà altrui – pregò di venir ricompensato per il buon cuore che altri avrebbero reputato inesistente. 

- Suppungo tu abbia un nome -, disse lei.
Di rimando, l'individuo si esibì in un inchino di ampollosa riverenza - . Mi chiamo Belmeroth, Demone Ametista. -
- Amara -, si presentò a sua volta il Golem - Sono benefict interessanti, quelli che proponi. -  Al cospetto del primo baluginare dell’alba, gli arti marchiati aspersero sul nudo letto di sassi pulviscoli arcobaleno - Ma se è una collaborazione quella che cerchi, sarà opportuno definire i dettagli di questo accordo. Magari davanti a una di quelle colazioni pantagrueliche di cui mi hai parlato. -

Note di fine capitolo:
Avete presente quando i personaggi nati dalla vostra fantasia cominciano a intasarvi i pensieri al punto che dovete scrivere per forza su di loro e non importa come? E' da inizio luglio che la mia mente, gira che rigira, mi fa sognare questi due personaggi, in questa situazione, e giungere a queste note di fine capitolo mi toglie un macigno indicibile perchè, come sempre, quando penso di fare una cosa semplice finisce che mi inerpico in complessità inedite.  E mi fa veramente strano tornare a pubblicare qui dopo anni di inattività, come se incosciamente avessi risposto a un qualche richiamo. Come scrittura è diversa da ciò che ho creato in questi ultimi tempi, ma devo dire anche che si approccia molto bene a Belmeroth e Amara, per come li ho concepiti. Non mi dispiacerebbe scrivere ancora di loro, frammenti di vita quotidiana, senza troppi fronzoli o pretese - se sapessi pure mettere su carta come me li immagino andrei davvero a cavallo, ma mi accontenterò... -, ma per ora posso reputarmi soddisfatta. 

Alla prossima!
  
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