Vienna, febbraio 1917
Il volto di Frederick si aprì in un sorriso di felicità al vedere la ragazzona bionda e prosperosa che riempiva i bicchieri.
«Finalmente un Cognac come si deve, proprio quello che ci vuole con questo tempaccio! Con questa maledetta guerra temevo non ce ne fosse rimasto più in giro.»
«Si vede che qui ne hanno conservato qualche bottiglia e la kellerina ha avuto compassione di due poveri soldati in licenza…»
«Altro che compassione, Hans. Non hai visto che ci ha fatto l’occhiolino? E hai visto come esibiva la scollatura mentre versava?! Amico, quella ci sta, te lo dico io! E sembra proprio ben messa… Ah, ah, mi sa che siamo riusciti a reperire un altro bene di prima necessità!»
«Frederick, Frederick… Certo che tu non cambi proprio mai, sempre a rincorrere le gonnelle, eh?», commentò Hans con un sorriso, sollevando lo sguardo al soffitto annerito dal fumo.
«Beh, siamo in licenza, no? Tra qualche giorno ci toccherà tornare al fronte e, se proprio devo schiattare, prima voglio almeno spassarmela un po’… Dai Hans, magari le chiediamo se ha un’amica…»
«Non sono scapolo come te, Frederick, e si dà il caso che ami mia moglie…»
«Già, dimenticavo: Hans, il marito modello… Eppure non me la racconti: ho visto la sbirciata che le hai dato…»
«Beh, anche quando si è a dieta, non è poi vietato dare un’occhiata al menù…», ridacchiò Hans, «Devo dire che hai buon gusto, Frederick, è davvero una bella ragazza. Mi ricorda un po’…».
«Chi?» chiese Frederick, incuriosito.
«Nulla, nulla, non ha importanza…»
“Ah, ah, andiamo amico, svuota il sacco!»
«Beh, mi ricorda un po’ una segretaria piuttosto carina che avevo tempo fa…»
«Ah, ah, vecchio filibustiere! E dimmi, te la sei…?», fece Frederick con un sorrisetto sornione.
«Ma no! Te l’ho detto che amo mia moglie! Non avrei mai potuto, tantopiù che in quel periodo Lotte era incinta.»
«Ma almeno un pensierino l’avrai pur fatto, no?»
«Beh, come ti dicevo, era una vera sventola coi fiocchi e, anche se amo mia moglie, ciò non significa che io sia fatto di pietra…»
«E come si chiamava la sventola?»
«Si chiamava… Ehm… Elsa.», biascicò Hans.
«Elsa? Vuoi dire che hai dato a tua figlia il nome della tua segretaria sexy?!»
«Beh, sai, con Lotte si stava parlando dei nomi e… non l’avevo mica programmato, non so neanch’io come mi sia venuto in mente… e poi non c’è nulla di male in fondo…»
«E Lotte lo sa?»
«Ovviamente no! Bada, Frederick, non devi farti sfuggire neppure una parola!»
«Ah, ah, non temere amico, sarò una tomba! Certo che questa storia sarebbe proprio pane per i denti di quello strizzacervelli della Berggasse: se andassi da lui, ti direbbe che, siccome la volevi e ti sentivi in colpa, hai dato il suo nome a tua figlia così da potertela sbaciucchiare impunemente…»
«Oh, ma che sciocchezze! Cosa vai a pensare…»
«Ah, ah, invece è proprio come dico io: dovresti leggere anche tu i libri di quel Freud.»
Hans stava per ribattere quando, all’improvviso, i due si accorsero di essere stati silenziosamente circondati da dei tizi in impermeabile scuro, che adesso incombevano tutt’attorno a loro. All’arrivo di quegli individui, facilmente riconoscibili per agenti della polizia segreta, l’atmosfera allegra del locale si era bruscamente incupita e gli altri avventori si stavano affrettando a pagare le loro consumazioni e ad andarsene al più presto.
«Il tenente Hans Schneider?», chiese una voce fredda ed inespressiva.
«Per servirvi. Con chi ho l’onore?»
«Ci segua, prego.», ordinò seccamente l’uomo in impermeabile.
Hans prese con calma il bicchiere del cognac e lo vuotò d’un sorso, alzandosi poi senza fretta e portando la mano alla tasca. Le mani degli agenti si diressero istintivamente verso le pesanti pistole che portavano sotto gli impermeabili; ma Hans finse di non accorgersene, mentre toglieva dal portafogli e sistemava sul tavolo il prezzo della consumazione a cui aveva aggiunto una generosa mancia per la kellerina.
Frederick, preso alla sprovvista, fece per alzarsi anche lui, cercando le parole per protestare; ma la mano pesante di un agente gli si posò sulla spalla costringendolo a sedersi di nuovo, mentre un cenno di Hans gli suggerì di lasciar perdere. Gli agenti erano sicuramente armati e decisamente troppo numerosi: in quel momento, qualsiasi tentativo di fuga o di reazione non sarebbe stato altro che uno stupido suicidio.
«Va tutto bene, Frederick. Io non ho nulla da rimproverarmi», disse calmo, «e queste provano la mia fedeltà all’Imperatore e alla Patria.», aggiunse Hans, sfiorando le medaglie appuntate sulla divisa.
«Sono sicuro che ci rivedremo presto così mi racconti com’è andata con la kellerina…», concluse con una strizzatina d’occhio, tentando di alleggerire la tensione. Poi uscì, seguito dagli agenti, lasciando il locale in un silenzio angosciato.
Senza dire un’altra parola, gli uomini in impermeabile lo condussero ad una limousine nera, parcheggiata poco distante, che aveva decisamente visto tempi migliori; ma che, un tempo, doveva essere stata una vettura lussuosa. Hans riuscì a sogghignare tra sé: chissà perché aveva sempre immaginato che gli agenti segreti girassero su macchine di gran lusso, evidentemente quelli erano tempi duri per tutti…
Fu fatto sedere sul cuoio logoro del sedile posteriore, poi lo sportello fu sbattuto con forza e la macchina partì rombando.
Hans tentò di sbirciare fuori per capire dove lo stessero conducendo; ma i finestrini ed il lunotto erano stati oscurati con vernice nera. Si chiese se quei tizi intendessero sottoporlo ad un interrogatorio o lo stessero semplicemente portando in qualche luogo appartato per eliminarlo e far sparire il corpo. Al fronte aveva visto la morte in faccia troppe volte per avere paura; ma, all’idea di non rivedere più Lotte e la piccola Elsa, sentì un nodo serrargli la gola e una lacrima gli inumidì le ciglia. Già, ma perché ce l’avevano proprio lui? Eppure lui aveva sempre fatto il suo dovere di soldato… All’improvviso, gli si ripresentò alla mente il viso repellente di von Büler.
Forse, per vendicarsi, quella dannata spia tedesca lo aveva denunciato come un traditore che aveva aiutato una nemica che faceva parte della resistenza belga. Possibile che i loro tentacoli arrivassero fino a Vienna?
Anche se tutti pensavano che amasse vivere un po’ fuori dalla realtà, Hans non era uno sprovveduto: sapeva che ormai anche in Austria le redini del potere erano sempre più saldamente in mano ai militari e che i militaristi più fanatici i quali, sempre pronti ad invocare il pugno di ferro, non avevano mai accettato di buon grado il governo civile e il sistema democratico, erano ferventi ammiratori del Secondo Reich che vedevano come un’invincibile macchina da guerra.
Sorrise amaramente, canticchiando mentalmente tra sé l’inno nazionale.
Serbi Dio l'Austriaco Regno,
Guardi il nostro Imperator…
Guardi il nostro Imperator…
Già, forse solo un Dio pietoso poteva adesso salvare quell’Impero, ultimo vestigio del glorioso Sacro Romano Impero di Carlomagno, per cui si erano battuti i paladini e si era sacrificato Orlando a Roncisvalle…
Un tempo, Hans aveva sperato davvero che quei tempi potessero miracolosamente risorgere, che gli Asburgo fossero destinati a far convivere pacificamente vari popoli d’Europa.
Bella gerant alii, tu felix Austria nube
Nam quae Mars aliis, dat tibi diva Venus[1]