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Autore: Yanez76    17/08/2023    0 recensioni
Storia ambientata durante la prima guerra mondiale, con protagonista il giovane Indiana Jones.
Genere: Avventura, Guerra, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Elsa Schneider, Henry Walton Jones Jr.
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Vienna, febbraio 1917
 
Il volto di Frederick si aprì in un sorriso di felicità al vedere la ragazzona bionda e prosperosa che riempiva i bicchieri.
«Finalmente un Cognac come si deve, proprio quello che ci vuole con questo tempaccio! Con questa maledetta guerra temevo non ce ne fosse rimasto più in giro.»
«Si vede che qui ne hanno conservato qualche bottiglia e la kellerina ha avuto compassione di due poveri soldati in licenza…»
«Altro che compassione, Hans. Non hai visto che ci ha fatto l’occhiolino? E hai visto come esibiva la scollatura mentre versava?! Amico, quella ci sta, te lo dico io! E sembra proprio ben messa… Ah, ah, mi sa che siamo riusciti a reperire un altro bene di prima necessità!»
«Frederick, Frederick… Certo che tu non cambi proprio mai, sempre a rincorrere le gonnelle, eh?», commentò Hans con un sorriso, sollevando lo sguardo al soffitto annerito dal fumo.
«Beh, siamo in licenza, no? Tra qualche giorno ci toccherà tornare al fronte e, se proprio devo schiattare, prima voglio almeno spassarmela un po’… Dai Hans, magari le chiediamo se ha un’amica…»
«Non sono scapolo come te, Frederick, e si dà il caso che ami mia moglie…»
«Già, dimenticavo: Hans, il marito modello… Eppure non me la racconti: ho visto la sbirciata che le hai dato…»
«Beh, anche quando si è a dieta, non è poi vietato dare un’occhiata al menù…», ridacchiò Hans, «Devo dire che hai buon gusto, Frederick, è davvero una bella ragazza. Mi ricorda un po’…».
«Chi?» chiese Frederick, incuriosito.
«Nulla, nulla, non ha importanza…»
“Ah, ah, andiamo amico, svuota il sacco!»
«Beh, mi ricorda un po’ una segretaria piuttosto carina che avevo tempo fa…»
«Ah, ah, vecchio filibustiere! E dimmi, te la sei…?», fece Frederick con un sorrisetto sornione.
«Ma no! Te l’ho detto che amo mia moglie! Non avrei mai potuto, tantopiù che in quel periodo Lotte era incinta.»
«Ma almeno un pensierino l’avrai pur fatto, no?»
«Beh, come ti dicevo, era una vera sventola coi fiocchi e, anche se amo mia moglie, ciò non significa che io sia fatto di pietra…»
«E come si chiamava la sventola?»
«Si chiamava… Ehm… Elsa.», biascicò Hans.
«Elsa? Vuoi dire che hai dato a tua figlia il nome della tua segretaria sexy?!»
«Beh, sai, con Lotte si stava parlando dei nomi e… non l’avevo mica programmato, non so neanch’io come mi sia venuto in mente… e poi non c’è nulla di male in fondo…»
«E Lotte lo sa?»
«Ovviamente no! Bada, Frederick, non devi farti sfuggire neppure una parola!»
«Ah, ah, non temere amico, sarò una tomba! Certo che questa storia sarebbe proprio pane per i denti di quello strizzacervelli della Berggasse: se andassi da lui, ti direbbe che, siccome la volevi e ti sentivi in colpa, hai dato il suo nome a tua figlia così da potertela sbaciucchiare impunemente…»
«Oh, ma che sciocchezze! Cosa vai a pensare…»
«Ah, ah, invece è proprio come dico io: dovresti leggere anche tu i libri di quel Freud.»
Hans stava per ribattere quando, all’improvviso, i due si accorsero di essere stati silenziosamente circondati da dei tizi in impermeabile scuro, che adesso incombevano tutt’attorno a loro. All’arrivo di quegli individui, facilmente riconoscibili per agenti della polizia segreta, l’atmosfera allegra del locale si era bruscamente incupita e gli altri avventori si stavano affrettando a pagare le loro consumazioni e ad andarsene al più presto.
«Il tenente Hans Schneider?», chiese una voce fredda ed inespressiva.
«Per servirvi. Con chi ho l’onore?»
«Ci segua, prego.», ordinò seccamente l’uomo in impermeabile.
Hans prese con calma il bicchiere del cognac e lo vuotò d’un sorso, alzandosi poi senza fretta e portando la mano alla tasca. Le mani degli agenti si diressero istintivamente verso le pesanti pistole che portavano sotto gli impermeabili; ma Hans finse di non accorgersene, mentre toglieva dal portafogli e sistemava sul tavolo il prezzo della consumazione a cui aveva aggiunto una generosa mancia per la kellerina.
Frederick, preso alla sprovvista, fece per alzarsi anche lui, cercando le parole per protestare; ma la mano pesante di un agente gli si posò sulla spalla costringendolo a sedersi di nuovo, mentre un cenno di Hans gli suggerì di lasciar perdere. Gli agenti erano sicuramente armati e decisamente troppo numerosi: in quel momento, qualsiasi tentativo di fuga o di reazione non sarebbe stato altro che uno stupido suicidio.
«Va tutto bene, Frederick. Io non ho nulla da rimproverarmi», disse calmo, «e queste provano la mia fedeltà all’Imperatore e alla Patria.», aggiunse Hans, sfiorando le medaglie appuntate sulla divisa.
«Sono sicuro che ci rivedremo presto così mi racconti com’è andata con la kellerina…», concluse con una strizzatina d’occhio, tentando di alleggerire la tensione. Poi uscì, seguito dagli agenti, lasciando il locale in un silenzio angosciato.
Senza dire un’altra parola, gli uomini in impermeabile lo condussero ad una limousine nera, parcheggiata poco distante, che aveva decisamente visto tempi migliori; ma che, un tempo, doveva essere stata una vettura lussuosa. Hans riuscì a sogghignare tra sé: chissà perché aveva sempre immaginato che gli agenti segreti girassero su macchine di gran lusso, evidentemente quelli erano tempi duri per tutti…
Fu fatto sedere sul cuoio logoro del sedile posteriore, poi lo sportello fu sbattuto con forza e la macchina partì rombando.
Hans tentò di sbirciare fuori per capire dove lo stessero conducendo; ma i finestrini ed il lunotto erano stati oscurati con vernice nera. Si chiese se quei tizi intendessero sottoporlo ad un interrogatorio o lo stessero semplicemente portando in qualche luogo appartato per eliminarlo e far sparire il corpo. Al fronte aveva visto la morte in faccia troppe volte per avere paura; ma, all’idea di non rivedere più Lotte e la piccola Elsa, sentì un nodo serrargli la gola e una lacrima gli inumidì le ciglia. Già, ma perché ce l’avevano proprio lui? Eppure lui aveva sempre fatto il suo dovere di soldato… All’improvviso, gli si ripresentò alla mente il viso repellente di von Büler.
Forse, per vendicarsi, quella dannata spia tedesca lo aveva denunciato come un traditore che aveva aiutato una nemica che faceva parte della resistenza belga. Possibile che i loro tentacoli arrivassero fino a Vienna?
Anche se tutti pensavano che amasse vivere un po’ fuori dalla realtà, Hans non era uno sprovveduto: sapeva che ormai anche in Austria le redini del potere erano sempre più saldamente in mano ai militari e che i militaristi più fanatici i quali, sempre pronti ad invocare il pugno di ferro, non avevano mai accettato di buon grado il governo civile e il sistema democratico, erano ferventi ammiratori del Secondo Reich che vedevano come un’invincibile macchina da guerra.
Sorrise amaramente, canticchiando mentalmente tra sé l’inno nazionale.
Serbi Dio l'Austriaco Regno,
Guardi il nostro Imperator…

Già, forse solo un Dio pietoso poteva adesso salvare quell’Impero, ultimo vestigio del glorioso Sacro Romano Impero di Carlomagno, per cui si erano battuti i paladini e si era sacrificato Orlando a Roncisvalle…
Un tempo, Hans aveva sperato davvero che quei tempi potessero miracolosamente risorgere, che gli Asburgo fossero destinati a far convivere pacificamente vari popoli d’Europa.

Bella gerant alii, tu felix Austria nube
Nam quae Mars aliis, dat tibi diva Venus[1]
Se l’Austria avesse veramente preso questa strada, se fosse divenuta una sorta di grande Svizzera, avrebbe potuto fungere da modello per gli altri paesi, spingendoli ad unirsi in una pacifica confederazione che avrebbe messo per sempre al bando la guerra.
Ma, se tanto dolce era stato il sogno, tanto più duro era stato il risveglio per il tenente Schneider. Dopo tre anni passati nell’orrore delle trincee, ormai vedeva chiaramente come di tutta quella secolare gloria non rimanesse ormai che un pallido rimasuglio cadente, ostaggio di generali senza scrupoli e mercanti di cannoni…
Ma, in fondo, perché si stupiva? Non avrebbe già dovuto dirgli tutto Sir Thomas Mallory? Quello è il destino ultimo di tutti regni, anche dei migliori. Persino il più saggio e valoroso dei re, Artù, si era lasciato sedurre dalla sorellastra Morgause, generando il malvagio Mordred e determinando così la rovina del suo regno.
Aveva decisamente ragione Frederick: se tutto era destinato a perire, tanto valeva non pensarci più e scordare allegramente i propri guai tra il cognac e le grazie di una bella kellerina…
Le dita del tenente, ormai preda dello sconforto, sfiorarono il medaglione che portava al collo e, come per incanto, gli parve di vedere il visino biondo di sua figlia che, con la serietà e compunzione che solo i bambini sanno mostrare in certe occasioni, alzava il ditino e gli diceva che non bisognava scoraggiarsi ma andare avanti perché solo così si sarebbe potuto, alla fine, trovare il Graal.
Già il Graal… l’emblema per eccellenza della speranza nella possibilità di salvezza della razza umana, della ricerca spirituale, dell’anelito verso tutto ciò che è bello, vero e giusto. Un qualcosa di metafisico eppure reale, che un cavaliere non può smettere di cercare pur sapendo che nessuno lo possiederà mai. Gli tornò alla mente l’ultimo libro che aveva letto, un bellissimo saggio sulle tradizioni arturiane scritto dal massimo specialista in materia: un grande studioso americano di nome Jones. Quell’uomo era decisamente un genio, gli sarebbe piaciuto incontrarlo un giorno ed era sicuro che anche Elsa ne sarebbe stata entusiasta…
L’auto si fermò, richiamandolo bruscamente alla realtà. Guardando attraverso il pannello di vetro che lo separava dal conducente, vide un possente portone metallico che si aprì rumorosamente su di un oscuro cortile di pietra, circondato da alte mura.
«Ci siamo…», mugugnò tra sé, preparandosi ad ogni evenienza.
Lo sportello venne aperto e Hans scese nel cortile spoglio, trovandosi circondato da una minacciosa fila di guardie con i fucili puntati, vestite di lunghi mantelli scuri ed elmetti metallici, lucidi come argento.
«Bah, non si va così eleganti ad una fucilazione», si disse, cercando di farsi coraggio e abbozzando un sorriso all’indirizzo del tizio in impermeabile, il quale però non modificò la sua maschera dura ed impassibile. L’agente gli indicò una piccola porta in legno massiccio, rinforzato da sbarre di ferro che si apriva nel cortile e conduceva ad un angusto budello dal soffitto basso e dalle pareti muscose e trasudanti di umidità.
Nonostante il suo coraggio, Hans non poté impedire ad una grossa goccia di sudore di solcargli il viso al sentire il rimbombo dei suoi passi mentre scendeva nelle viscere della fortezza attraverso quell’oscuro passaggio. Dopo un tempo che al tenente parve infinito, giunsero finalmente ad un punto dove lo stretto corridoio si allegrava un poco terminando poi bruscamente con un pesante portone di rovere con infissi due grossi anelli di ferro.
Gli uomini della scorta, sbatterono i tacchi irrigidendosi nel saluto militare davanti ad un uomo alto, vestito anche lui con un impermeabile piuttosto logoro, che sembrava aspettarli.
«Il tenente Hans Schneider, immagino.».
«In carne ed ossa. Posso sapere con chi ho il piacere di parlare?»
«Potete chiamarmi Max», fece l’uomo porgendogli la mano che, con un cauto sollievo, Hans si affrettò a stringere.
«Bene, herr Max adesso potrebbe cortesemente dirmi a cosa devo l’ospitalità dell’Evidenzbureau[2]
«Vede, sembra che il suo “scambio di vedute” con un alto ufficiale tedesco in Belgio non sia passato inosservato…»
«Quell’uomo è un criminale!», sbottò Hans, «Lei non ha idea di cosa i nostri alleati stiano facendo alla popolazione belga: è orribile, qualcosa di contrario a tutte le leggi di guerra, al senso di umanità, all’onore di un soldato…»
«Uhm, davvero ammirevole… Non pensavo che dopo tre anni di questa guerra ci fosse ancora qualcuno disposto a credere che cose come legge, umanità od onore abbiano qualche senso… Crede che i nostri si siano comportati tanto meglio in Galizia nel ’14?», fece Max, con un ghigno disilluso e sarcastico.
«Certo…la guerra è una cosa orribile; ma… anche tra avversari esistono delle regole: in fondo anche se combattiamo per paesi nemici, siamo tutti esseri umani non potrò mai abituarmi a tanta barbarie…», biascicò Hans.
«Oh, ma sono certo che non sapete ancora il meglio: sembra che i nostri amici tedeschi abbiano messo in piedi un “ministero per la sovversione”, un ufficio creato per fomentare disordini con l‘intendimento di indebolire il fronte interno del nemico e abbiamo appreso da fonte sicura che il Barone von Wangenheim, l’ex ambasciatore tedesco a Costantinopoli, oltre ad aver dato il via libera ai Turchi per sterminare gli Armeni e aver indotto il Sultano a proclamare la jihad contro le potenze dell’intesa, ha preso contatto con un certo Parvus[3], un marxista estremista. Così adesso l’Alto Comando tedesco sta trattando con un certo Ulianov, un capo bolscevico russo attualmente in esilio a Zurigo, per fargli prendere il potere in cambio dell’uscita della Russia dall’Intesa.»
«Certo, il governo dello Zar è dispotico: un sovrano dovrebbe essere un padre che guida con saggezza, non un padrone che si fa obbedire con la frusta. Ma il Kaiser che porta al potere i comunisti?!! Questo mi sembra troppo anche per loro: non posso credere che l’antica nobiltà tedesca…», ribatté incredulo il tenente Schneider.
«Bah, il vecchio Guglielmone ormai conta solo in apparenza: il vero potere è in mano ai militari e ai fabbricanti d’armi… Il trono dei Romanov sta franando; ma se lo zar venisse sostituito da una monarchia costituzionale o da una repubblica democratica, il nuovo governo terrebbe fede all’alleanza con le democrazie occidentali. I comunisti invece hanno promesso di portare la Russia fuori dal conflitto e i generali tedeschi credono che, chiudendo il fronte orientale e riversando tutte le loro truppe a occidente, schiacceranno facilmente Francesi, Inglesi, Belgi e Italiani prima che gli Americani si decidano ad intervenire…»
«Ma è una follia! I comunisti stermineranno senza pietà i borghesi e gli aristocratici, instaureranno una dittatura, un regno del terrore da far impallidire quello di Robespierre…»
«Conoscete la favola dell’apprendista stregone? I Tedeschi pensano che, una volta vinta la guerra, saranno i padroni onnipotenti del mondo: perciò non temono più nulla…»
«Ma… sarebbe la fine della nostra Civiltà, del diritto, di tutti i nostri valori! Ci sarà pur rimasto a corte un uomo che…»
Max sorrise sornione: «Mah, forse qualcuno c’è, anche se non un uomo…»
«Non capisco…», fece Hans sempre più confuso.
Ad un cenno di Max, la pesante porta si aprì lentamente cigolando orribilmente, come non fosse stata usata da anni.
Hans distolse per un attimo lo sguardo, credendo di star per vedere una cella od una camera per gli interrogatori; ma, quando rialzò gli occhi, ormai assuefatti al buio, essi rimasero letteralmente abbacinati dal brillio proveniente da sfavillanti candelabri d’oro e da candelabri di cristallo. Il tenente mosse un passo esitante sullo splendido tappeto orientale che ricopriva il pavimento, mentre il suo sguardo si posava stupefatto sui meravigliosi e variopinti arazzi appesi alle pareti, sui mobili lignei dalle preziose essenze, finemente intarsiati e sui suntuosi broccati.
Ad un lugo tavolo, ricoperto da una finissima tovaglia ricamata di candido lino, stava seduta una giovane donna dai capelli neri, elegantemente raccolti dietro la nuca, che fissava su di lui uno sguardo fiero anche se venato da una sottile melanconia.
Il tenente Schneider si affrettò ad inchinarsi, riconoscendo in lei Zita di Borbone-Parma, l’Imperatrice d’Austria.
«Tenente Schneider, grazie al cielo siete arrivato, forse c’è ancora una speranza…», fece la donna, alzandosi ed avanzando verso di lui con portamento regale per porgergli il dorso della mano, perché lo sfiorasse con le labbra.
«Ma, dove ci troviamo, Maestà? Non mi sembra la reggia di Schönbrunn…»
«Siamo al Castello di Laxenburg. Vi prego di perdonarmi per il modo in cui vi ho fatto condurre qui; ma si tratta di una questione da cui dipende la sopravvivenza stessa del nostro paese ed era necessaria la massima segretezza: lo stesso palazzo imperiale ormai pullula di spie. Sono venuta a sapere di come avete difeso quella ragazza belga ed ho sentito di potermi fidare di voi.»
«Maestà, la mia vita è al vostro servizio…»
«Sapete, tenente, quando mio marito, l’Imperatore Carlo, ed io ci siamo sposati, pensavamo che avremmo trascorso una vita serena, tranquilla ed appartata alla corte imperiale; ma poi l’erede al trono, Francesco Ferdinando, è stato assassinato da quel terrorista serbo ed è iniziata tutta questa spaventosa follia… Mio Dio, quante giovani vite sono state schiacciate senza pietà, quante vedove, quanti orfani… e tutto per un colpo di pistola esploso da un pazzo estremista: sembra impossibile quanto facilmente tutto quello su cui fondiamo le nostre certezze e le nostre speranze possa essere spazzato via. Tutta questa situazione dimostra il totale fallimento della politica seguita finora quindi, se vogliamo avere qualche speranza di salvare la monarchia e tutto ciò in cui crediamo, dobbiamo seguire una politica liberale: dare l’autonomia ai nostri popoli, stipulare la pace con le potenze dell’Intesa e porre fine alla nostra alleanza con la Germania.»
Zita sedette ad uno scrittoio di radica, tirato perfettamente a lucido, traendo da un cassetto due fogli, due buste ed una penna. Con la sua grafia elegante, scrisse una lettera, ripiegandola poi accuratamente per chiuderla nella prima busta; poi scrisse la seconda e la chiuse, assieme alla prima busta, nella seconda busta che porse infine ad Hans.
Era indirizzata a Maria Antonia di Braganza, presso il Castello di Wartegg, in Svizzera.
«Questa busta è indirizzata a mia madre. Vi prego di consegnarla direttamente nelle sue mani. Ma badate, non dovrete consegnarla a nessun altro, per nessun motivo: all’interno vi è una seconda lettera indirizzata ai miei fratelli, Sixtus e Xavier, attualmente ufficiali dell’esercito belga. Desidero convocarli a Vienna perché possano mediare un trattato di pace; ma se dovesse cadere nelle mani sbagliate, o se i tedeschi dovessero aver sentore delle nostre intenzioni, io e mio marito verremmo accusati di alto tradimento. Il destino del nostro Impero è ora nelle vostre mani, tenente Schneider, assieme a quello di milioni di soldati. Andate e che Dio vi assista.»
«Compirò la missione affidatami da Vostra Maestà o morirò nel tentativo.» dichiarò Hans, inchinandosi profondamente per prendere congedo dalla sua sovrana.
Mentre lasciava il castello di Laxenburg, il tenente Schneider sentiva rinascere in sé un filo di speranza e sorrise tra sé, pensando che aveva proprio ragione sua moglie: era davvero il caso di dare il diritto di voto alle donne, visto che di politica ne capivano decisamente più degli uomini.
 

[1] Facciano gli altri le guerre, tu, Austria fortunata, sposati. Infatti, ciò che agli altri dà Marte, a te lo dà la dea Venere. Distico attribuito a Mattia Corvino, re d'Ungheria (1458-1490) che allude alla politica degli Asburgo di allargare i loro domini tramite matrimoni dinastici piuttosto che guerre.
 
[2] Servizio segreto militare austro-ungarico.
[3] Aleksandr Gelfand (1867-1924)
   
 
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