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Autore: Jordan Hemingway    27/08/2023    3 recensioni
Quando ero bambina e ancora infetta dal Morbo, mia madre ci portava all’aperto nelle notti limpide per guardare le stelle. Se quelli della vigilanza ci avessero scoperto a salire in superficie senza autorizzazione saremmo stati nei guai, mia madre però tendeva a non pensare alle conseguenze fino a quando non era troppo tardi.
Storia partecipante al contest Emozioni Incrociate indetto da mystery_koopa su EFP Forum
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologo
Quando ero bambina e ancora infetta dal Morbo, mia madre ci portava all’aperto nelle notti limpide per guardare le stelle. Se quelli della vigilanza ci avessero scoperto a salire in superficie senza autorizzazione saremmo stati nei guai, mia madre però tendeva a non pensare alle conseguenze fino a quando non era troppo tardi.
Tra lo sciame di punti luminosi ce ne indicava alcuni più grandi, di vari colori: “Quelle sono le Fortezze,” spiegava. “Un giorno abiteremo tutti lassù e non dovremo preoccuparci di nulla.”
Mia madre morì senza sapere quanto si era sbagliata.



Aldan
Il cargo planò lentamente sul ponte di attracco. Roda, il capo macchine del quinto livello, ci fece cenno di preparare i cavi a bordo pista, senza nemmeno attendere che il motore fosse spento. Un chiaro segnale del suo stato d’animo.
Sopra di noi, oltre le finestre pressurizzate della sala di controllo, si erano radunati tutti i pezzi grossi: anche se non potevo distogliere gli occhi da quel che stavo facendo – i cavi di attracco sono tra le cose più sfuggenti in assoluto – sapevo che il Governatore era lì, così come il capo della sicurezza, tutti i membri della Gilda degli Ingegneri e di quella dei Piloti, persone che in altre occasioni non sarebbero potute rimanere nella stessa stanza per meno di un minuto prima di venire alle mani.
L’arrivo di un Ispettrice Imperiale aveva il potere di dirimere tutti i conflitti di una Fortezza.
Gettammo i cavi e aspettammo che venissero agganciati ai loro equivalenti magnetici che spuntavano dalle paratie del cargo. Una volta fissati, segnalammo di procedere lentamente basandosi sul progressivo raffreddarsi dei motori, fino a quando le porte d’accesso non furono all’altezza del ponte di sbarco, un livello più in basso rispetto a quello di attracco. Visto da qui, il cargo sembrava un’enorme mosca presa in trappola da una ragnatela di cavi all’interno di un tronco cavo.
Le porte si aprirono: i membri dell’equipaggio, indistinguibili tra loro se non per i colori sulle loro tute, marciarono uno dopo l’altro verso l’entrata dell’ambiente di decontaminazione. Alzai la testa: il Governatore e i suoi erano già spariti dal loro punto di osservazione.
“Certo non erano venuti per guardarci lavorare,” borbottai, verificando i parametri del cargo.
“Pensi di essere più interessante di un’Ispettrice Imperiale in visita?” Roda era alle mie spalle. “Controlla che tutti i cavi siano fissati bene: lo scorso mese una delle navette è finita contro la parete perché qualche idiota ha tralasciato di lanciare la scansione problemi all’attracco.”
Mi precipitai all’interno della sala macchine: era stata solo una piccola dimenticanza, nessuno lanciava quella scansione se non in casi veramente difficili, chi avrebbe potuto immaginare che uno dei cavi di quella navetta fosse difettoso?
Ad ogni modo, dai monitor della sala potevo vedere che la decontaminazione era terminata con successo e che ora il Governatore si stava preparando ad accogliere i nuovi venuti nella stanza adiacente.
Dato che la scansione completa mi avrebbe portato via almeno un’ora, decisi che non avrebbe fatto differenza sintonizzare l’audio su quel che stavo vedendo: zoomai sulle figure dell’equipaggio dell’Ispettrice, occupati a togliersi le tute da esterno.
“Siamo onorati, Eccellenza…” Un gesto secco dell’Ispettrice bloccò il Governatore a metà del suo inchino.
“Risparmi il suo discorso, Governatore. Sono certa che avrà occasioni migliori per sfoggiare la sua retorica.”
Ora che aveva tolto il casco potevo osservarla meglio: il suo viso sembrava fuori asse, con un sopracciglio più alto dell’altro e il naso ricurvo che sembrava essere stato rotto e aggiustato più volte. Non era l’aspetto che avrei pensato potesse avere un’inviata dell’Impero. Non che ne avessi visti molti, di Ispettrici o Ispettori, ma avevo immaginato un aspetto imponente, quasi regale. La donna inquadrata dalle telecamere interne della Fortezza era bassa, pesante, dava l’idea di essere più a suo agio in una sala macchine che al cospetto di ufficiali governativi.
Pensandoci meglio, forse era esattamente l’aspetto che doveva avere, dato il suo compito.
“Abbiamo saputo dei recenti avvenimenti nel Quadrante C con la Fortezza Delta Gamma,” il Governatore aveva saggiamente archiviato il suo discorso di benvenuto. “Abbiamo anche ricevuto notizie molto preoccupanti anche dai Quadranti F e G.”
“Se cerca delle rassicurazioni, non le avrà da me.” L’Ispettrice scosse la testa. “Devo confermare che anche le Fortezze Theta Phi del Quadrante F e Rho Alfa del Quadrante G sono in fase di dismissione.”
A queste parole seguì il silenzio.
La dismissione di una Fortezza significava il suo smantellamento e il trasferimento di tutti i suoi occupanti sul pianeta in modo definitivo.
Lo stesso pianeta sovrappopolato e flagellato dal Morbo, da dove ero riuscito ad andarmene venti anni prima.
Il Governatore aprì più volte la bocca: “Com’è stato possibile?” Riuscì infine a sussurrare.
“Queste sono informazioni riservate.”
“Non se da queste informazioni dipende anche la salvezza della nostra Fortezza.”
“La salvezza di questa Fortezza dipende innanzitutto da me,” fu la risposta gelida dell’Ispettrice. “Nei prossimi giorni il mio equipaggio e io verificheremo tutti i vostri sistemi, a cominciare da quello di decontaminazione. Se troveremo qualcosa di irregolare, verrete multati. Se le irregolarità saranno tali da compromettere la sicurezza della struttura, agiremo di conseguenza.”
Premette un pulsante sulla tuta e davanti a lei apparve l’immagine del sigillo imperiale: “Ho pieni poteri, per ordine dell’Imperatrice, di procedere nel modo più opportuno a salvaguardare l’Impero.”
Spensi l’audio e tornai a occuparmi della scansione.
Ricordavo bene il viaggio verso la Fortezza: eravamo partiti in seicento, senza bagagli e senza comunicatori. Se avessimo passato l’esame non avremmo avuto bisogno di nulla, avremmo ricevuto nuovi vestiti assieme alla nuova vita.
Alcuni dei passeggeri della navetta sembravano di mezza età ma la maggior parte era giovane, molti erano adolescenti come me: l’età ideale, secondo i canoni dei reclutatori delle Fortezze, perché era meno probabile che fossimo stati infetti. Mio padre sembrava convinto che avremmo potuto farcela entrambi, grazie alla sua qualifica minore in campo medico e alla sicurezza di anni passati a evitare ogni minima possibilità di contagio. Mia madre e mia sorella erano rimaste sul pianeta: se avessimo avuto successo, sarebbe stato facile farle imbarcare dopo qualche mese, saltando le file di chi non aveva parenti sulla Fortezza.
Eravamo quindi seduti vicini, io intento a ricordare gli ultimi sguardi di mia madre e mia sorella, lui a parlare con chiunque, a stringere relazioni che avrebbero potuto tornare utili.
Dopo qualche ora la navetta aveva attraccato e il silenzio aveva preso il posto delle chiacchere: veniva il momento dell’esame medico dal quale dipendeva il successo del viaggio.
Personale in tuta anti-contaminazione ci scortò in una stanza ampia e divisa in due da un pannello di materiale trasparente. Al di là di quel pannello potevamo vedere gli ingressi alla Fortezza, nella parte dove ci trovavamo c’era invece una macchina complessa, una sorta di sfera composta da due anelli metallici che ruotavano lentamente su se stessi e attorno a un piedistallo sospeso nel vuoto.
“Mettetevi in fila e preparatevi a entrare nella sfera, uno alla volta,” fu il comando che ci fu dato.
Ero preparato, davvero, avevo letto un sacco di articoli sulle attrezzature che permettevano di verificare la presenza del Morbo nel proprio patrimonio genetico, ma quando fu il mio turno di entrare nella sfera tremavo comunque. In equilibrio sul piedistallo, che si era abbassato per farmi salire, salii fino a restare sospeso a qualche metro dal pavimento, mentre attorno a me i due cerchi metallici ruotavano con un ronzio: dopo qualche minuto, venni quasi accecato da un fascio di luce verde, tanto che quasi non sentii le parole che avevo tanto desiderato ascoltare: “Non infetto.”
La parete trasparente si aprì: dal mio piedistallo scesi su una scalinata che appariva a ogni mio passo, mentre dietro di me la sala tornava a essere divisa in due.
Fu dall’altro lato della sala che osservai l’esame diagnostico di mio padre, mentre un membro del personale medico annotava i miei dati biometrici: salì sul piedistallo senza esitazioni, a testa alta e con un sorriso indirizzato a me. Riuscì anche a sillabare alcune parole: “Aspettami, ti raggiungo subito.”
Quando i due anelli metallici iniziarono a ruotare pulsando di luce rossa, mio padre non voleva crederci. “Non è possibile, non è possibile!” Cercò di sfuggire alla rotazione senza successo. “Riprovate, deve essere un errore. Non sono mai stato in contatto con nessuno che avesse il Morbo.”
I membri del personale scossero la testa. “Il sistema diagnostico non permette alcun margine di errore. Lei deve tornare indietro.”
“Mio figlio,” mi indicò con veemenza, “mio figlio è già passato, il segnale era verde, è mai possibile?” Tipico di mio padre: se non poteva passare lui, non dovevo passare nemmeno io.
“Il sistema non permette margini di errore: suo figlio è sano.”
“Allora sono sano anche io, anche io…” Le sue urla svanirono nel corridoio dove due ufficiali di sicurezza lo trascinarono, in attesa della partenza della navetta di ritorno. Fu l’ultima volta che lo vidi.
Qualche anno dopo, una lettera di mia sorella mi informò che sia lui che mia madre erano morti in un centro per adulti infetti dal Morbo.
 
 
Reisa

Un sistema diagnostico è come un essere vivente: se qualcosa non funziona bene, prima o poi ci saranno conseguenze su tutto il resto dell’apparecchio, conseguenze che possono essere letali.
Avevo studiato quel sistema, ci avevo lavorato per metà della mia vita: conoscevo a memoria ogni circuito, ogni piastra e ogni vite magnetica. Per questo ero sicura che non ci fosse nulla di irregolare, se ci fosse stato lo avrei saputo.
Ero quindi tranquilla quando la nostra squadra si portò in riga di fronte all’Ispettrice. Sapevo che il nostro lavoro era impeccabile.
L’Ispettrice aveva il modo di fare di chi è abituato a comandare. “Il mio equipaggio è già al lavoro sulle apparecchiature del sistema medico: non vi è permesso intervenire se non vi viene espressamente richiesto.” Significava rimanere seduti in un angolo per ore, nell’attesa che il controllo terminasse, a disposizione per ogni domanda di carattere tecnico – interrogatori per verificare le nostre conoscenze.
“Ci è possibile continuare a monitorare le sub-routine di mantenimento del sistema?” Gli occhi dell’Ispettrice si fermarono su di me: mi sentivo come una ragazzina nelle aule di apprendimento, colta a parlare senza avere alzato la mano.
“Solo monitoraggio, nessun intervento attivo e solo utilizzando le nostre interfacce.”
Era già più di quel che speravo: se ci fossero state anomalie – anche un sistema ottimale ne ha su base giornaliera – avremmo potuto segnalarle o tracciarle per risolverle successivamente al controllo imperiale, invece di dover lanciare un programma di verifica e attendere due giorni per la risoluzione.
Le ore successive furono quindi quasi piacevoli – per quanto possa essere gradita un’intrusione in casa propria. I tecnici esaminavano ogni parte del sistema con la stessa cura con cui lo avevo fatto io la prima volta in cui avevo avuto l’accesso a quella sala, la mia ragione di vita.
Alcuni di loro avevano connesso le loro interfacce ai monitor e superavano una firewall dopo l’altra utilizzando i loro codici di ispezione, facendo scorrere file di dati sugli schermi. Era un po’ come assistere alla dissezione di un corpo, se un corpo fosse composto da dati e byte invece che da carne e sangue.
Gli anelli diagnostici erano di responsabilità dell’Ispettrice in persona: assieme a due tecnici di alto grado aveva smontato e portato a terra le strutture in titanio modificato e ora, connessi ad un visore, ne stavano esaminando i dati di programmazione.
Consideravo quegli anelli il mio più grande successo: ero riuscita a implementarne i modi di funzionare senza alterarne le diagnostiche, grazie a una serie di codici che avevo elaborato ancora in Accademia e terminato sul campo, non appena uno dei miei professori si era reso conto della portata del mio progetto. In nessuna Fortezza potevano vantare un’opera di ingegneria più sofisticata di quella che stava ora ai piedi dell’Ispettrice.
Era la mia eredità per i futuri abitanti della Fortezza.
Proprio mentre pensavo a questo, il visore dell’Ispettrice cominciò a lampeggiare.
“Rilevata irregolarità: possibile danneggiamento delle unità diagnostiche di base.”
Non era possibile.
L’Ispettrice alzò un braccio: “Portatemi un’altra interfaccia avanzata.”
“Che cosa sta succedendo?” Non avevo potuto trattenermi e ora ero alle spalle dell’Ispettrice, tallonata da due dei suoi ufficiali di sicurezza.
“Resti al suo posto, tenente.”
“Voglio sapere che cosa significa tutto questo!”
“Mi sembra abbastanza intelligente da capirlo da sola.” I due ufficiali di sicurezza mi riportarono alla mia postazione. Per i successivi venti minuti l’Ispettrice si dedicò interamente agli anelli diagnostici, inserendo codici su codici.
“Il sistema è compromesso,” dichiarò infine.
“Non può essere possibile,” insistetti. “Vi prego di verificare ancora una volta.”
“Sarebbe inutile. L’esame diagnostico è chiaramente compromesso: il risultato del controllo informatico è evidente.”
“Evidente per lei forse, ma non per me,” scostai con rabbia uno dei tecnici dell’equipaggio dell’Ispettrice e occupai il suo posto davanti ai monitor. “Sono certa che il sistema funzioni: controllo giornalmente tutte le sub-routine, ogni settimana lanciamo un controllo incrociato e verifichiamo l’integrità di software e hardware.” Le mie dita si muovevano da sole sulla tastiera, cercando i file che avrebbero dimostrato l’errore dell’Ispettrice e, di conseguenza, la mia competenza.
“Che cosa avete fatto?” Sussurrai. Tutti i file di monitoraggio che fino a quel mattino erano perfetti, ora segnalavano piccole irregolarità che, unite, davano il quadro di un sistema compromesso e di una manutenzione alla buona.
Tutti quei file puntavano il dito su di me.
“La Fortezza è compromessa.” L’Ispettrice aveva già spostato la sua attenzione al Governatore, livido come una lastra di acciaio. “In base al mandato imperiale, ordino la dismissione. Tutti gli abitanti dovranno essere riportati sul pianeta.”
“Non possiamo… Non…” Il Governatore non riusciva a completare la frase.
“Intende opporsi a un ordine imperiale?”
“Ci sono più di centomila persone su questa Fortezza, lei non può… Non può…”
“Si accorgerà presto, Governatore, che una dismissione viene portata sempre a termine, a prescindere dal numero di persone coinvolte.”
“C’è il Morbo laggiù!” Sbottò lui. “Ci state mandando a morire.”
“Potenzialmente, potreste già essere tutti infetti. Si tratta solo di affrettare il processo.”
Avevo seguito la conversazione senza ascoltare davvero: la mia mente era occupata a eseguire calcoli, a verificare tutte le casistiche in cui avrei potuto accorgermi di quello che covava all’interno del mio sistema diagnostico.
Non era possibile che io avessi sbagliato in modo così madornale.
Il Governatore, ora rosso in viso, si rivolse a me: “Tenente Reisa, lei è direttamente responsabile di tutto questo. Vada nella sua cabina, è agli arresti. Sarà processata una volta che… Una volta che avremo raggiunto il pianeta,” crollò sull’ultima parola e si portò le mani sugli occhi.
Mentre venivo scortata via dalla sala che era stata il centro del mio mondo, continuavo a pensare a una cosa sola: l’Ispettrice aveva mentito.



Faranne

La sala per il controllo diagnostico era di nuovo deserta. A breve il suo equipaggio avrebbe cominciato a togliere gli accessi alle zone critiche della Fortezza e a radunare tutti gli abitanti per organizzare la dismissione.
I due anelli di diagnosi non ruotavano più a mezz’aria, erano stati disattivati e posati a terra, come giocattoli rotti. Faranne si avvicinò e ne sfiorò uno con un piede, sospirando, mentre chiudeva le palpebre per scacciare un ricordo improvviso.
Luce rossa, le grida disperate di due bambine.
“Qualcosa non va, Ispettrice?” Si voltò e vide la capo reparto del settore Diagnosi avanzare dal fondo della sala, chiaramente evasa dall’isolamento imposto. Annotò in un angolo della mente di inserire una nota di demerito al suo capo della sicurezza per questo.
“Si sente forse in colpa per avere dismesso delle attrezzature perfettamente funzionanti?”
“Le era stato ordinato di rimanere nella sua cabina fino all’attivazione delle procedure di dismissione, tenente Reisa.”
L’altra ignorò il commento: “Lo sa benissimo, come lo so anche io, che non c’è nessun problema nel sistema diagnostico. Le misurazioni sono sempre state accurate al massimo grado, senza possibilità di sbaglio nell’effettuare la diagnosi del Morbo. Non è possibile che lei abbia trovato qualcosa di irregolare.”
Faranne avrebbe dovuto sentirsi irritata ma provava solo un grande senso di stanchezza. “Non c’è stato alcuno sbaglio: il sistema è compromesso così come emerso dal controllo. La prego di lasciare questa sala e tornare nella sua cabina.”
“Crede di potersela cavare così?” Quella donna sembrava decisa a rischiare un’imputazione di grado superiore. “Lei viene, con il suo equipaggio di esperti, decide che qualcosa non va bene e con uno schiocco di dita dismette una Fortezza in orbita da secoli, con centinaia di migliaia di abitanti.”
Ne aveva abbastanza: Faranne premette le dita sulla piastra pettorale per attivare l’interfono: “Ispettrice a Sicurezza: mandate qualcuno a prelevare la tenente Reisa dalla Sala Diagnosi e a riportarla nella sua cabina immediatamente. Confido che la vigilanza sia più stretta in futuro.”
“Non intendo andarmene senza avere delle risposte: perché avete dichiarato il falso e come avete fatto a manomettere il mio sistema diagnostico?” Sembrava quasi sull’orlo delle lacrime.
“La sua incompetenza non è un mio problema, tenente. Se intende scaricare su qualcun altro la responsabilità della dismissione della sua Fortezza ha scelto la persona sbagliata.
Finalmente sentì il suono delle porte metalliche che si aprivano alle sue spalle: “Sicurezza, assicuratevi che la tenente non si allontani più dalla sua cabina.”
“Sono spiacente ma credo di non poterlo proprio fare.”
Prima ancora di voltarsi udì il click della sicura di un fucile ionico che veniva rimossa.
“Sollevi lentamente le mani, Ispettrice. Così, brava, come se volesse afferrare un oggetto molto in alto.”
Un uomo di mezza età, uno dei tecnici del Settore Sbarco a giudicare dalla divisa. Tra le mani aveva il fucile ionico che, ne era certa, apparteneva al capo della sicurezza del proprio equipaggio.
“Che ne è stato del mio ufficiale?”
“Davvero si preoccupa per lui? Lei che non ha esitato a distruggere le vite di tutti gli abitanti di questa Fortezza?”
L’altra donna cercò di avvicinarsi. “Aldan, che stai facendo?”
“Quello che dovresti fare anche tu. Sto cercando di salvare la Fortezza, tenente.”
“Uccidermi non cambierà il risultato finale.”
“Lei crede?” L’uomo si voltò verso Reisa. “Morta lei, potremo dire che è stato tutto uno sbaglio: l’irregolarità tecnica era confermata solo da lei, potremmo mettere a tacere gli altri membri del suo equipaggio, sono solo una decina, non sarebbe difficile.” Le parole si accavallavano le une sulle altre, i suoi occhi brillavano.
“Verrebbe mandato un nuovo Ispettore,” la tenente scosse la testa, incerta, ma si spostò di più verso Aldan. “La morte di un’Ispettrice non verrebbe ignorata. ”
“Ma avremmo un controllo equo!” Sbottò l’uomo. “Lo hai detto anche tu, il sistema diagnostico è perfettamente funzionante!”
“In questo vi sbagliate entrambi.” Perché aveva deciso di parlare? Se lo sarebbe chiesta nei giorni successivi. “Il sistema è integro, è vero,” vide gli occhi della tenente incupirsi di rabbia, “ ed è per questo che non funziona.”
“Non capisco.” Reisa la fissò con durezza. “Ho lavorato su queste attrezzature, le ho smontate, rimontate, analizzate per anni. Non hanno mai sbagliato nel diagnosticare il Morbo.”
“Il sistema diagnostico,” Faranne tornò a osservare i due anelli posati a terra, “non è mai stato progettato per distinguere tra portatori di Morbo e individui non infetti: del resto, il Morbo può essere curato facilmente.”
Sapeva l’impatto che le sue affermazioni avevano sui suoi opponenti. Sentì Aldan emettere un rumore sordo di rabbia: “Sta cercando di ingannarci.”
“Tenente, apra il monitor e verifichi i tabulati di coerenza infettiva. Alla base di tutto c’è l’analisi della sintesi nucleica del DNA, su cui il Morbo dovrebbe attecchire. Provi a confrontare i valori di un infetto e di un non infetto e vedrà che il grado di sintesi, in apparenza, è più alto negli infetti. Se però entra nella programmazione di sistema con i codici di controllo di Ispezione, potrà vedere che la programmazione è tarata per alzare i valori di sintesi in base a determinati genotipi.”
“Non avvicinarti ai monitor, Reisa! Sta cercando di guadagnare tempo, non capisci? Ti saresti già accorta se ci fossero state irregolarità del genere!” La voce di Aldan, alle sue spalle, si affievolì. “Te ne saresti accorta e l’avresti detto, vero?”
Dei passi, il ticchettio di dita su una tastiera. Un lungo silenzio.
“L’alterazione dei valori in base ai genotipi è funzionale al tracciamento del Morbo in individui diversi.”
“Ci sono modi migliori per farlo, e lei li conosce. L’alterazione assicura che solo determinati genotipi entrino nelle Fortezze: le Ispezioni permettono di variare la decisione in base alle necessità del governo centrale.”
“Ma il Morbo…”
“Il Morbo viene curato con una delle iniezioni che vengono fatte subito dopo il controllo medico, quando viene iniettato il chip di controllo.”
“Se fosse davvero così facile da curare,” Aldan strinse le nocche attorno al fucile, “perché non distribuire l’antidoto ai pianeti? Perché limitarsi alle Fortezze?”
“Le Fortezze non potrebbero esistere senza i pianeti che le sostengono: in questo modo, si assicurano il controllo su di essi.”
“Sta mentendo!”
“Provengo anche io da un pianeta, quadrante Iota.” I ricordi riaffioravano senza sforzo. “Eravamo due sorelle, entrambe decise a entrare nella Fortezza più vicina. Io ero la maggiore: affrontai per prima il viaggio dopo la specializzazione in ingegneria biogenetica e passai l’esame diagnostico. Anni dopo riuscii a far salire mia sorella su una navetta per raggiungermi.” Sospirò. “Ero certa che anche lei ce l’avrebbe fatta: quando gli anelli iniziarono a pulsare rossi come il sangue che avevo sputato in tutti quegli anni per portarla fin lì, fu come se dentro di me fosse esplosa una nova.”
“Questo cosa dovrebbe significare?”
“Nulla, se non che da quel momento iniziai a indagare sul modo in cui l’esame era stato programmato. Abbandonai il settore a cui ero stata inizialmente assegnata e chiesi di studiare per diventare Ispettrice. Anni dopo, seguendo una conversazione criptata tra le forze di governo, scoprii la verità.”
Aldan e Reisa si guardarono: le prove di quel che stava dicendo erano contenute nelle analisi sul monitor.
“Se così fosse, è necessario che tutti lo sappiano: perché non ha detto nulla? Perché continua a fare Ispezioni come se niente fosse?”
“Chi ha detto che non sto facendo nulla?” Faranne li guardò entrambi, ingenui e privi di visione.
Poi premette il bracciale che portava al polso: caddero a terra colpiti dal campo di forza che aveva generato, morendo prima di rendersene conto.
Oltrepassò i cadaveri e raggiunse il sistema informatico della sala: con metodicità cancellò tutti i file che Reisa aveva recuperato. Le telecamere non erano un problema, aveva provveduto a disattivarle già all’arrivo della tenente nella sala.
Infine, si collegò all’interfono: “Sicurezza, c’è stato un tentativo di sabotaggio: ho già provveduto personalmente. Avvisate il Governatore.”
Il Governo centrale non avrebbe mai ceduto l’antidoto al Morbo, non quando con esso poteva alimentare il controllo dato dalle Fortezze sui pianeti.
Tuttavia, se le Fortezze fossero cadute, se sempre più abitanti fossero stati costretti a scendere sui pianeti a morire, compresi gli appartenenti alle classi alte, qualcosa si sarebbe smosso.
E, anche se non fosse cambiato nulla, quei ricchi maiali che governavano su una popolazione allo stremo avrebbero dovuto scendere e affrontare il loro destino sulla superficie infetta dei pianeti, e sua sorella sarebbe stata vendicata.
Chiuse gli occhi, immergendosi nella rabbia fredda che non l’aveva mai abbandonata da quando aveva ricevuto la notizia della morte di Jaranne, anni e anni prima.
Era un lavoro delicato: ogni Fortezza doveva essere dismessa per un motivo diverso, le prove dovevano essere insabbiate.
Faranne si ricompose e uscì dalla sala, senza guardarsi indietro.
 
  
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