Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: PerseoeAndromeda    27/08/2023    0 recensioni
"Ma io non posso odiare la parte più preziosa di me, ciò che ancora mi tiene legato a qualcosa di umano.
Allento la stretta, scuoto il capo, sbuffo e, come prima mi ero avvicinato, ora gli do le spalle e voglio allontanarmi, devo scappare da lui, per tornare a concentrarmi solo su me stesso, su quello che devo e voglio fare."
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Armin Arlart, Eren Jaeger
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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Fanfic scritta per il gruppo Facebook “Prompts are the way”.
 
 
Prompt: Tra A e B ormai ci sono solo incomprensioni
Fandom: Attack on titan
Titolo: Non riesco ad allontanarti da me
Ship: Eren/Armin
Genere: angst, introspettivo, drammatico
Rating: giallo
Note: Spoiler post time skip
 
 
 
NON RIESCO AD ALLONTANARTI DA ME
 

Lo aspetto all’uscita dei sotterranei e non so neanche perché io lo stia facendo.
Dovrei essere contento e lasciarlo stare, è quello che desidero in fondo, che lui si allontani da me e che cerchi altri legami.
Ringhio nel momento stesso in cui lo penso.
Non ci riesco, non sono felice quando si appiccica a Jean e cerca da lui la complicità che io non posso più dargli.
Ma che, addirittura, quello che non trova più da me, lo cerchi in un pezzo di pietra?
Sputo a terra con rabbia.
Annie…
La nostra nemica di sempre…
La traditrice, nella quale un tempo ho creduto…
Sputo ancora a terra, ma questa volta il gesto è rivolto a me stesso: che io parli ancora di traditori e traditi ha del ridicolo.
La verità è che, per quanto io sappia che è inevitabile, la piega che sta prendendo il percorso delle nostre esistenze non lo accetto: io ne sono la causa principale e sono il primo a non accettarlo, perché è troppo dura accettare di perdere loro…
Lui…
Spunta dalla cima delle scale e i nostri sguardi si incrociano.
Nei suoi occhi c’è curiosità, una domanda silenziosa: non si aspettava di trovarmi qui.
Evidentemente, non si aspetta più che io lo cerchi e anche lui mi cerca sempre meno.
Le sue guance pallide si accendono del fuoco dell’imbarazzo.
“Eren…”.
Sussurra il mio nome quasi incredulo e non riesco a capire se gli faccia piacere o meno trovarmi qui.
“Mi stavi aspettando?”.
“Secondo te?” gli chiedo e il mio tono esce sprezzante, più di quanto vorrei.
Il suo sguardo si abbassa e il rossore aumenta: so di ferirlo quando gli parlo in questo modo che tra noi, un tempo, era sconosciuto.
Faccio qualche passo verso di lui e il suo viso si rialza.
Quegli occhi…
Mi mandano fuori di testa, come è sempre stato, solo che, un tempo, la nostra complicità controllava la mia follia: non avevo bisogno di impazzire per quello sguardo, perché era tutt’uno con il mio, i suoi pensieri erano tutt’uno con i miei, i suoi sogni, le sue speranze…
Il suo cuore…
È ancora mio?
Il mio è ancora suo, così disperatamente suo che, se potessi, me lo strapperei dal petto e glielo offrirei con la mano tesa.
Un ghignetto si forma sul mio volto: potrei anche farlo, in realtà.
La mia mano si tende, ma non per offrirgli il cuore, bensì per afferrargli il mento e tenerlo fermo, in modo che quegli occhi non fuggano da me.
Sussulta, sorpreso per un gesto così brusco da parte mia, ormai mi succede spesso, ma lui non si abituerà mai, per troppi anni ha ricevuto solo gentilezza da queste mani.
Purtroppo, non ci riesco più, mio Armin: la gentilezza non mi appartiene più, dentro ho solo distruzione, verso me stesso e tutto il resto del mondo.
Come potrei essere gentile verso chi amo?
“Eren…?”.
“Ti dà fastidio, Armin?”.
I suoi occhi si fanno più grandi e sono così azzurri, sempre così azzurri che l’azzurro dell’oceano e del cielo sono niente a confronto: io, quell’oceano che un tempo sognavamo insieme lo conoscevo già fin troppo bene ed è sempre stato tutto mio.
“Co… cosa?”.
“Che io ti cerchi, che ti aspetti mentre sei impegnato nei tuoi appuntamenti con un pezzo di pietra”.
Stringe le labbra, lo stupore dello sguardo lascia il posto alla rabbia, mi afferra il polso e, nel tentativo di cacciare la mia mano, scuote il capo con violenza.
Sono più forte di lui, ma fingo di subire il gesto e gli libero il volto, eppure sento la rabbia che sale, come la sua.
“Perché mi parli così?!”.
“Ho detto qualcosa di sbagliato? O forse, ricevi qualche risposta dalla bella addormentata?”.
Ora la rabbia si mischia alla tristezza, i suoi occhi si fanno così lucidi che mi aspetto di veder scendere lacrime da un momento all’altro.
Adesso entrambi i miei polsi si trovano stretti tra le sue dita e le sento tremare, mi solleva le braccia e, senza volerlo, rimango ipnotizzato, mentre porta le mie mani sul suo viso e lo muove, come a procurarsi delle carezze, gli occhi chiusi.
“Che cos’hai, Eren?”.
La sua domanda è un soffio, sembra l’uggiolio di un cucciolo.
“Chi lo sa?” rispondo sprezzante. “Forse trovo disgustoso il modo in cui Berthold controlla pure i tuoi sentimenti”.
Spalanca di nuovo gli occhi, mi lascia le mani, ma io non le sposto dalla loro posizione, non rinuncio a toccare la sua pelle.
Stringo, finché vedo arrossarsi la sua carne bianca, lui fa una smorfia, gli sto facendo male e voglio fargli male, perché far male a lui, in questo momento, significa farlo a me stesso.
O, forse, voglio semplicemente che mi respinga, si difenda da me, mi urli contro…
E che mi odi.
Perché a questo dovremo arrivare.
Ad odiarci.
Ma io non posso odiare la parte più preziosa di me, ciò che ancora mi tiene legato a qualcosa di umano.
Allento la stretta, scuoto il capo, sbuffo e, come prima mi ero avvicinato, ora gli do le spalle e voglio allontanarmi, devo scappare da lui, per tornare a concentrarmi solo su me stesso, su quello che devo e voglio fare.
“Eren!”.
Lo sapevo. Non è in grado di lasciarmi andare.
Non lo sarà mai, anche se dovrà imparare a farlo.
Fingo di non sentirlo e continuo a camminare, apparentemente calmo, benché dentro io abbia l’inferno.
Solo pochi passi e la sua mano si chiude intorno al mio polso, mi strattona e io non posso fare a meno di celare un sorriso sotto le mie sopracciglia corrugate: certo che, se vuole, ne ha di forza in quelle manine minuscole.
Il colossale…
Il mio piccolo dio della distruzione…
Mi mordo le labbra, perché lo amo, lo amo troppo e non voglio, non devo dirglielo!
“Sono contento che tu sia venuto”.
La sua voce, che prova a mantenersi ferma, ha sfumature di pianto: non ce la farà mai ad essere tanto duro quanto desidererebbe.
Lo so.
So di essere ancora il centro del suo universo e che ha un tale bisogno di non essere solo da cercare altri rifugi.
Ha ancora bisogno di condividere con me il suo sogno e non accetta che io non possa più.
Non lo accetto neanche io, in fondo, ma la mia strada è già segnata.
Non posso trattenere un fremito mentre lui mi stringe il polso, non mi giro, in apparenza per mantenermi duro… in realtà perché non ne ho il coraggio.
I suoi occhi sono, da sempre, la mia coscienza e proprio per questo mi fanno paura, scavano in me, penetrano laddove nessun altro riesce e adesso io non posso permettere che mi leggano dentro.
“Eren…” insiste, con la sua voce che ora è del tutto morbida.
Non resisto, faccio un giro su me stesso e sono faccia a faccia con lui, di nuovo. Il mio movimento è improvviso e la sua mano si stacca, suo malgrado fa un passo indietro: gli faccio paura, come mai era accaduto e so benissimo perché.
Di riflesso faccio un passo verso di lui e i nostri corpi si sfiorano, il mio lo sovrasta, non importa quanto cresca, a mio confronto è sempre minuscolo…
Troppo…
Mi sembra sempre troppo indifeso e io voglio che diventi forte, abbastanza forte da contrastarmi…
Quando sarà il momento.
“E così sei contento…” sentenzio, freddo.
La mia mano si muove, non so bene cosa voglio fare, ma prima che possa raggiungere la meta, lui mi precede, fa un balzo verso di me, le sue braccia sono intorno al mio collo ed è talmente basso che i suoi piedi quasi non toccano terra.
Spalanco gli occhi, nonostante tutto mi sorprende sempre, la sua forza morale, la sua dolcezza.
Aggrappato a me, il volto che affonda nel mio petto, mi stringe con tutta la forza del suo amore, sento il suo naso che si strofina contro la mia divisa, in uno di quegli atteggiamenti che, lo sa, sono il mio punto debole.
“Succede così raramente ormai, che quando mi vieni a cercare io sono incredulo… per questo…”.
Lo fermo, cogliendolo di sorpresa e ricambiando il suo abbraccio, con tale foga e forza che, forse, gli faccio un po’ male.
Lui emette solo un piccolo gemito di stupore.
Il suo viso si muove, si solleva, guarda verso l’alto e cerca il mio, con la stessa espressione che avrebbe nei confronti di una divinità.
È questo che non posso sopportare, che non capisca quanto lui valga più di me.
Lo stringo ancora più forte, lo sollevo completamente da terra, fino a portare i nostri visi alla medesima altezza e mi appoggio al muro poco distante, perché il mio sostegno sia migliore e perché lui possa avere tutta la mia attenzione.
Le nostre labbra si incontrano, si abbandona con tutta la sua fiducia, io so quanto mal riposta.
Perdonami, mio Armin, se ancora non riesco ad allontanarti del tutto da me.
 
 
 
   
 
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