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Autore: EuphemiaMorrigan    01/09/2023    1 recensioni
GinTaka | Canonverse | Post!Finale
(Terza OS della serie ambientata dopo il film finale, per capirla meglio andrebbero lette prima le altre)
Essere in grado di abbattere quel muro era da sempre motivo di frustrazione per Shinsuke e, per qualche secondo, ebbe quasi voglia di puntargli la katana alla gola come succedeva anni prima; perché l'unico modo conosciuto per farsi ascoltare da Gintoki era quello: parlare attraverso i loro pugni, ferirlo, ancora, sempre, e più lo faceva sanguinare più riusciva a scalfire l'apatia che s'era costruito attorno, allora a Gintoki finalmente arrivavano le urla, gli insulti, i desideri, le paure che altrimenti rifiutava di ascoltare e comprendere.
Genere: Commedia, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Gintoki Sakata, Kotaro Katsura, Takasugi Shinsuke
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Quando non ti piace il canon, cambialo '
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Anche negli shonen c'è la classica puntata in cui piove.


Il rumore bagnato dei geta che rapidi pestavano l'asfalto umido si mischiava a quello costante e ovattato delle goccioline di pioggia; le strette strade di Kabuki-cho deserte, locande e bar invece stracolmi di persone e ubriaconi in cerca di riparo dall'improvviso nubifragio che aveva colpito Edo.
All'udire l'ennesimo rombo di tuono, molto più vicino dei precedenti, Shinsuke si domandò ancora per quale motivo fosse uscito di casa durante un temporale, malgrado in realtà conoscesse bene la risposta. Mentre camminava senza meta gli era persino parso di intravedere Madao nella sua scatola di cartone, in un'altra giornata forse gli avrebbe prestato un ombrello – o finto di farlo –, peccato lui stesso ne fosse sprovvisto.
La giornata era iniziata in maniera pacifica, una delle solite alla Yorozuya.
Shinsuke si stava preparando un tè, dopo aver ignorato un messaggio di soccorso da parte di Sakamoto e bloccato il contatto di Katsura come faceva ogni mattina, Kotarou cambiava fin troppo spesso numero di cellulare e a lui davvero non interessavano i selfie suoi e di Elizabeth. Doveva rendere a Takechi quello stupido arnese, ai samurai non servivano certe cianfrusaglie. In barba al “fallo per Kagura, lo sai che le piace scambiare messaggini con Shinsuke okaachan”.
Ricordò Shinpachi quella mattina aveva cominciato presto a sbraitare contro Gintoki, mentre lo costringeva ad aiutarlo a spolverare mobili che, non ci fosse stato il giovane maestro di kendo, sarebbero rimasti sporchi e pieni di polvere per i successi anni.
L'aliena fastidiosa invece nel frattempo stava schiacciando un pisolino sul divano assieme a Sadaharu, la pancia piena dopo aver saccheggiato la dispensa.
Di clienti nemmeno l'ombra, come al solito. Era una routine a cui ormai s'era abituato, almeno così credeva.
Fu quindi bizzarro per Shinsuke sentirsi improvvisamente a disagio; un attimo prima stava per investire Gintoki con una delle sue battutine sadiche, quello dopo invece, soffermandosi sul viso del compagno, le parole gli erano morte in gola quando aveva notato l'espressione di pura adorazione rivolta alla cornice comprata a due soldi in qualche mercatino dell'usato. Stava attento a non farla cadere, mentre controvoglia passava il piumino sulla scrivania in disordine, e continuava a lanciare ogni tanto qualche occhiata alla stupida foto che li ritraeva davanti al tempio, scattata il precedente Matsuri.
Un ricordo banale, convinto ad essere immortalato da Kagura, e quell'idiota lo conservava come il più prezioso dei suoi tesori.
In quel momento la faccia di Gintoki gli diede ai nervi, e senza dare alcuna spiegazione era uscito di casa. Voleva scappare per un po' da quell'apnea, incapace ancora di sostenere quegli occhi illuminati di una gioia che non riusciva ad accettare e che aveva inconsciamente timore potesse contagiarlo.
I dubbi taciuti per anni erano quindi tornati a galla.
Non comprendeva per quale motivo Gintoki sembrasse così felice di averlo attorno, come se avesse dimenticato quello che gli aveva fatto passare per dieci anni. I loro combattimenti, le cicatrici, i pugni, gli insulti, aveva cancellato tutto senza pretendere neanche delle scuse.
Gintoki aveva smesso di odiarlo facilmente, da un momento all'altro, e la vocina che sussurrava a Shinsuke che in realtà non lo aveva mai odiato nemmeno per un secondo avrebbe tanto voluto sopprimerla assieme a quel deficiente con gli occhi da pesce lesso. Perché era assurdo, illogico e da masochisti voler passare l'intera vita accanto ad un inutile criminale che non era riuscito in nessuno dei suoi scopi: né a vendicarsi, né a salvare il loro maestro, neppure a morire.
Ma ancora peggio mai era stato in grado di alleggerirlo dal peso che continuava a portare sulle spalle, anzi, Shinsuke s'era aggiunto come un macigno sopra la schiena curva e lo aveva schiacciato maggiormente al suolo.
L'irritante suono di una squallida canzoncina di Otsu gli trafisse i timpani e riportò alla realtà, di nuovo si domandò perché permettesse a quei maledetti mocciosi di armeggiare con le sue cose. E poi non era mica sordo, Shinpachi non aveva davvero motivo di impostare la suoneria così alta e chiassosa!
Furioso estrasse il cellulare dalla manica del kimono, ben intenzionato a gettarlo nel primo cassonetto disponibile; soltanto per pura coincidenza – almeno così si disse – notò la notifica del messaggio col nome di Kagura.
“Okaachan abbiamo finito il riso e le uova! Kagura morirà di fame! Comprali prima di tornare a casa :) attento a non bagnarli :)”.
Il tic all'occhio che lo colpiva ogni qual volta veniva apostrofato in quel modo rischiava di farlo diventare cieco anche dall'ultimo rimasto sano.
“Non sono tua madre, valli a comprare da sola o muori”.
Neanche cinque secondi dopo giunse la risposta, sintomo Kagura neanche s'era sprecata a leggere il suo messaggio: “Grazie mammina <3”.
Passò una mano sul viso, era proprio uguale a Gintoki.
“P.s: Ginchan è venuto a cercarti :)”.
Ovviamente...
Alzò il viso ai nuvoloni grigi, ormai era più di mezz'ora che stava camminando ed effettivamente la pioggia aveva cominciato ad infastidirlo; sollevò il braccio per cercare di coprirsi quando il cielo venne oscurato dal blu di un ombrello conosciuto fin troppo bene.
Non ci aveva messo molto a trovarlo. Non che si stesse nascondendo.
《Ohi, ti prenderai il raffreddore》.
Takasugi si voltò per prestargli attenzione, quell'idiota scansafatiche era uscito mentre veniva giù persino il cielo fra lampi e tuoni solo per dirgli una banale e diabetica frase allo shojo manga, intanto che gli sorrideva tristemente e con, forse, un pizzico di sollievo per averlo raggiunto.
Poteva immaginare gli ingranaggi del suo piccolo cervello cercare di capire cosa volesse fare, per quale motivo era scappato come un fuggitivo, e ovviamente tutti erano giunti alla conclusione sbagliata.
In quel momento aveva proprio voglia di tirargli un pungo in faccia.
《Mi sono dimenticato l'ombrello》. E il portafoglio... rifletté, sarebbero dovuti uscire di nuovo per la spesa più tardi, o avrebbero scroccato qualcosa alla vecchia Otose, come al solito.
《Ho notato》 mormorò Gintoki, coprendolo meglio.
Scese di nuovo un profondo silenzio, quell'espressione addolorata non sembrava voler scomparire dal viso dell'altro, lo guardava come se stesse per scomparire da un momento all'altro.
《Non era necessario mi raggiungessi, un po' d'acqua non mi ucciderà》.
《Sì, lo so》.
Takasugi arcuò un sopracciglio, quell'improvviso scambio di ruoli lo stava irritando. Non faceva in tempo a proferire una frase di senso compiuto che Gintoki gli rispondeva a monosillabi, con lo stesso tono gelido e distante.
Lo rendeva esausto, continuava a fargli del male, e la cosa peggiore era il non capire come smetterla, o meglio aver timore di farlo e spogliarsi di qualsiasi armatura. La vulnerabilità era una parte che lui e Gintoki s'erano sempre tenuti nascosti.
《Ti detesto》 sbottò frustato.
Si pentì di quelle parole quando notò gli occhi rossicci attraversati da un lampo di dolore, abilmente nascosto dietro un finto sorriso. 《Lo dici tutti i giorni, dovresti trovare dei sinonimi, possiamo comprare un dizionario prima di tornare a casa》.
Shinsuke avanzò di un passo, spinse un poco il manico dell'ombrello in modo riparasse anche quella testa cotonata e poi disse fra i denti: 《Falla finita, Gintoki》.
《Non vuoi un dizionario? Possiamo scaricare un'app》.
Era così difficile non farsi coinvolgere dalle solite stupidaggini.
《Per favore, smettila di nascondere i problemi dietro i litigi infantili》.
Lo vide serrare la mascella, 《Non abbiamo alcun problema.》 tornò ad assumere un tono allegro e menefreghista un attimo dopo, 《Dai, torniamo a casa, fra poco inizia la mia soap preferita》.
Andare a casa. Continuava a ripetere quelle parole come se, fossero rimasti ancora a lungo là fuori, Shinsuke gli sarebbe scivolato dalle dita. Per quanto bravo e abituato a nasconderlo, il terrore provato da Gintoki impregnava persino l'aria satura di umidità e pioggia.
Essere in grado di abbattere quel muro era da sempre motivo di frustrazione per Shinsuke e, per qualche secondo, ebbe quasi voglia di puntargli la katana alla gola come succedeva anni prima; perché l'unico modo conosciuto per farsi ascoltare da Gintoki era quello: parlare attraverso i loro pugni, ferirlo, ancora, sempre, e più lo faceva sanguinare più riusciva a scalfire l'apatia che s'era costruito attorno, allora a Gintoki finalmente arrivavano le urla, gli insulti, i desideri, le paure che altrimenti rifiutava di ascoltare e comprendere.
Shinsuke lo aveva capito anni fa, ad un passo dalla morte, quanto Gintoki fingesse di non vedere poiché affrontarlo a viso aperto significava rischiare di perderlo in tutti i modi possibili. E forse all'epoca aveva ragione, forse Shinsuke non era pronto, ma adesso... quasi si sentiva insultato da quel modo di fare.
La mano ferma sull'elsa tremò, ma invece di estrarre la spada inalò una boccata d'aria fresca e strinse il pugno lungo il fianco. Era davvero stanco di combattere.
《Voglio ricostruire la Kiheitai》.
Fu solo grazie al fatto di essere preparato ad una reazione del genere che impedì al gemito dolorante di scappargli dalle labbra quando l'altro gli strinse il polso.
《Una rimpatriata fra criminali! Che bella idea, Shinsuke, non so se Gorilla ce lo permetterà ma possiamo distrarlo con delle banane!》.
Takasugi abbassò la palpebra, 《Non me ne sto andando, Gintoki》.
《Ovvio, vuoi ricontattarli per la grigliata di ferragosto?》.
《Hanno aiutato anche loro durante l'invasione Amanto, lo sai, permettere a Matako e Takechi di tornare al mio fianco è il minimo che posso fare per ringraziarli》.
《Che cuore tenero che hai》 disse con una smorfia.
《Ti sembrerà strano,》 sorrise leggermente, 《ma non sei l'unico ad esserti costruito una famiglia dopo la morte di Shoyo, la vendetta nei tuoi confronti non era l'unico motivo che mi spingeva a circondarmi di persone, anch'io detestavo l'idea di rimanere solo》.
Gintoki allentò gradualmente la stretta, colpito da quella confessione, 《Io... non ne avevo idea》.
《I miei modi di fare sono sempre stati contorti, non fartene una colpa》 lo rassicurò con inusuale tenerezza.
Gintoki inclinò il viso, per un momento pensieroso, 《Immagino... la Shinsengumi potrebbe metterci una buona parola, almeno per loro due》.
Shinsuke gli diede un colpetto sulla spalla per attirare di nuovo la sua attenzione, ora che le difese s'erano un po' abbassate forse potevano affrontare un altro discorso e fare qualcosa che l'orgoglio gli aveva impedito da tempo.
《In più, c'è qualcos'altro...》.
《Cosa?》 lo guardò, curioso.
Deglutì con gola riarsa, era più difficile di quel che pensava, 《Scusarmi per il male che ti ho fatto》.
Gintoki sgranò gli occhi, mostrandosi sinceramente sorpreso.
《Non... non mi hai fatto alcun male, Shin》 mormorò con voce rotta, sincero. Era facile leggerlo, scorgere con chiarezza quella sua convinzione di aver meritato ogni sofferenza.
Malgrado tutto Gintoki non s'era ancora perdonato.
《Non ti odio》.
《Lo so》 disse con un soffio di fiato.
《Non ti odio per aver ucciso Shoyo, non ti ho mai odiato》.
Il pomo d'Adamo di Gintoki tremò, 《C-certo, lo so》.
Shinsuke accennò una breve risata, era ovvio non lo sapesse. Allungò il braccio verso di lui per sfiorargli i ricci umidi dalla pioggia con la punta delle dita e disse: 《Alle volte è stancante vederti sorridere in quel modo a delle stupide foto e non a me, viviamo nella stessa casa Gintoki》.
《Ti ho portato via...》 sembrava faticare a parlare.
《Non mi hai portato via nulla, ha fatto male ad entrambi, anzi, ha fatto più male a te》.
Dirlo fu come liberarsi da un peso enorme.
Gintoki schiuse la bocca, sbalordito, per qualche attimo non parve in grado di parlare, poi con un gesto stizzito del braccio cancellò l'impressione di lacrime che si stavano formando ai lati delle ciglia e le labbra si piegarono dolcemente, in quel sorriso ricolmo di gioia e amore che mai aveva direttamente rivolto prima a Takasugi.
《Posso baciarti in pubblico?》 domandò, invadendo il suo spazio personale.
Shinsuke scrollò le spalle, 《Quale pubblico? Gli unici due cretini in giro con un temporale siamo noi》 lo bloccò però prima potesse sporgersi e gli mise una mano sulla bocca 《Ma la risposta è no, ci sono già stati troppi orribili cliché》.
Comunque gli avvolse i fianchi, sostenendo ancora l'ombrello per cercare di ripararli; probabilmente stava per lagnarsi di quella coccola negata e provare a baciarlo lo stesso, ma venne interrotto da un urlo talmente fastidioso – e conosciuto – da far sospirare entrambi nello stesso momento.
《Takasugi! Che bello! Finalmente ti ho trovato!》.
Katsura stava correndo in loro direzione, affannato e bagnato fradicio; sventolava con la mano il suo cellulare, Elizabeth alle calcagna con uno strano dispositivo attaccato al collo, tutti e due un po' sprimacciati e con i vestiti bruciati ai bordi.
《Il governo continua a bloccare i miei numeri di telefono, ma dovrei aver risolto adesso, così posso mandarti le foto delle nostre vacanze, siamo stati a sciare!》.
Shinsuke si lasciò andare contro la spalla di Gintoki, quella era una maledizione peggiore di passare il resto della sua vita all'Inferno.
《Devo assolutamente liberarmi di quell'orribile aggeggio》.
Gintoki ridacchiò e gli baciò la tempia, 《Ecco perché Ginsan non ha un cellulare》.

   
 
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