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Autore: Lexa_Heda    08/09/2023    0 recensioni
[Gap: The Series]
Come si reagisce al dolore? Come è possibile respirare quando il proprio cuore è dilaniato dalla sofferenza? Cosa succede quando tutto si ferma e devi tornare a casa, da solo, nelle ombre?
Questa è solo una scena inventata, solo un'immagine di uno specchio infranto in cui spero nessuno debba mai specchiarsi.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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Silenzio.

Silenzio di ombre.

Silenzio insapore.

Silenzio che ti si attacca alla pelle, togliendoti aria.

Silenzio insormontabile e senza screzi.

Silenzio di vuoto.

Odiava il silenzio.

Lo odiava da solo poche ore.

Eppure odiava anche il rumore.

Da poche ore aveva scoperto di odiare riempirsi di suoni.

Odiò.

Odiò il suono della serratura scattare.

Odiò il fruscio della polvere che si scostava all'aprirsi della porta.

Odiò il tintinnio delle chiavi che tornavano obbedienti nella tasca del cappotto.

Odiò il fruscio delle scarpe che appoggiò vicino all’entrata con ordine maniacale duramente istintivo.

Odiò il suono del proprio stesso respiro.

Entrò in quello spazio privo di senso smettendo di respirare, con la paura di sentire un odore che non voleva, camminando nel buio così come lo erano i propri pensieri, dirigendosi come un sonnambulo verso quel salotto che avrebbe sempre voluto grigio ed elegante.

Appoggiò su una spalla del divano il cappotto nero, detestando il suono che ne provenne insieme a quello dei propri passi, sedendovisi rigida, i muscoli tesi insieme ai tendini sotto di essi.

Ombre.

Perfino la Luna non riusciva a penetrare quella cortina di silenziosa nebbia soffocante che si alzò nella stanza nell’attimo stesso in cui smise di muoversi.

L’immobilità porta pensieri.

I pensieri portano dolore.

Il respiro di Sam era ancora bloccato nei polmoni, come se cercasse di contrastare il peso del buio che premeva sul petto, colpendo impietoso la cassa toracica sotto di esso.

Aveva resistito fin’ora.

Doveva solo continuare a farlo.

Non poteva permettersi di crollare.

Non sarebbe mai potuta risalire se si fosse fermata a sentire.

Eppure il corpo non si mosse, nonostante la mente cominciasse a urlare di reagire, i muscoli rimasero tesi, la pelle ipersensibile, le unghia conficcate nel rosso tessuto morbido del divano.

Non pensare.

Non pensare al suo sorriso.

Alla morbidezza della sua pelle.

Alla dolcezza del suo sguardo.

Alla bellezza del suo profumo.

Al tono arrabbiato durante le sconfitte più insulse.

A quei piccoli regali che prendeva ogni volta che tornava dai negozi.

Al suo picchiettare furioso sulla tastiera fino a notte inoltrata.

Al disordine che lasciava per casa e che lei stessa doveva pulire ogni giorno.

Chiuse gli occhi, incapace di cancellare quei pensieri, quei ricordi che non doveva avere.

Avrebbe voluto toglierseli, sfilarli via come un vestito ormai vecchio e sgualcito.

Prenderli e buttarli via, senza rispetto e senza riguardo,bastava solo che sparissero.

Non voleva più sapere niente.

Non voleva più credere a niente.

Voleva strapparsi il cuore e rimanere senza, anestetizzarsi fino al midollo nella speranza di scomparire e passare inosservata davanti al resto della vita che scivolava avanti tra le luci spente di quella città senza nome in cui era finita.

Silenzio.

Odio.

Vuoto.

Un cuore di vuoto che si agitava nel petto, testardo nel far sentire la propria voce.

Una lacrima che superava lentamente tutti gli ostacoli della pelle, le insenature e le imperfezioni.

Basta.

Questo era l’unico ordine che il cervello stava cercando di porre in quella nave che affondava in cui era scoppiato il caos solo poche ore prima.

Fermati.

Fu impercettibile il contrarsi delle mani su quella superficie colorata che appariva così opposta e in piena discordia con i capelli corvini che ne adornavano il volto,come fu impercettibile il leggerissimo fiato che esalò dalle sue labbra,incapaci di pronunciare il suo nome.

Quel nome.

Quello che avrebbe voluto cancellare dal proprio cuore.

Quello che avrebbe dato alale fiamme.

Che avrebbe distrutto solo per zittire ogni altra cosa.

Tre lettere.

ZITTA.

Non lo vide neanche, sentì solo il rumore di vetri infranti, il suo ultimo bicchiere che era poggiato ancora sul tavolino che ora giaceva esploso in un angolo della stanza.

Un gesto inutile il proprio, ma sembrò zittire almeno per un secondo i ricordi.

Era il suo bicchiere.

Ora non esisteva più.

La seconda vittima fu quello stupido ninnolo che avevano preso in quel viaggio a Singapore qualche mese prima, che si schiantò con un terribile schiocco sulla parete di fianco a sé.

Un ricordo in meno.

Forse se li avrebbe tolti tutti avrebbe smesso di soffrire.

La furia trovò finalmente un obiettivo, così da farli crollare uno dopo l’altro sotto la sua lama impietosa, rossa come il sangue che si era irretito nulla pelle troppo tirata.

Foto.

Vasi.

Stereo.

Quadri.

I propri Libri.

La sua collezione di vinili.

La propria pianta ormai sfiorita.

La sua tazza.

Tutti quei cavalieri inesperti, rappresentati di ricordi troppo vividi, caddero sotto i colpi della rabbia di Sam, perfino il tavolo fu rivoltato, svuotato, il pavimento che si riempiva di cocci drammaticamente simili alle schegge del proprio cuore.

Quel maledetto cuore traditore, che aveva sperato.

Una sola volta nella vita aveva sperato.

E ora si sarebbe zittito, avrebbe trovato un modo.

Sarebbe tornato al silenzio.

Ma anche dopo che ebbe distrutto ogni cosa in quella stanza, anche dopo che crepitii e colpi avevano cercato di riempire quel silenzio assordate, Sam continuava a sentire la sua maledetta risata rimbombare nel ventre vuoto di quella casa che avevano scelto insieme.

Le lacrime la portarono ad afflosciarsi contro una di quelle pareti sconvolta di colori che non riusciva a cancellare, il petto che chiedeva solo la pietà del colpo di grazia, il respiro che tremava per le urla con cui aveva cercato stupidamente di distruggere la vita che le aveva donato.

Come se fosse possibile distruggere qualcosa di già dolorosamente infranto.

Nascose il viso sconvolto tra le mani, il fiume nero di quei ricordi maledetti che si ripeteva dietro alle palpebre, come se volesse prendersi gioco di lei.

Basta.

Fermati.

Zitta.

Tre ordini che non poteva mettere in pratica perché era morta.

Era morta con lei.

Era morta come lei.

   
 
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