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Autore: Orso Scrive    13/09/2023    1 recensioni
Dopo secoli di lotte, gli eserciti di Atlantide e di Iperborea si sono schierati uno di fronte all'altro nella Piana di Vigrior. Tutti hanno risposto all'appello e sono corsi all'ultima battaglia. La battaglia che cambierà per sempre le sorti del mondo.
Ma Dana, sacerdotessa del dio Beli, è intenzionata a sfuggire al fato racchiuso nei libri sacri e a portare in salvo il suo popolo...
Genere: Fantasy, Guerra, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologo

 

 

 

 

Al di sopra delle sale di Thule, l’isola sacra, brillava sempre il Sole. La Luce del Nord, così veniva chiamato quello sfolgorante e imperituro chiarore. Mai nebbia, o pioggia o altri turbamenti gravavano su quel luogo che era stato consacrato alla luce del grande astro del giorno.

Un giorno che lì non aveva mai termine.

Le stelle – incarnazioni visibili di altre divinità, quelle stesse stelle in mezzo alle quali viveva fuori dal tempo Vrillon, Signore del Tutto – non comparivano mai in quel cielo sacro allo sfolgorante uccello dalle ali di fuoco, la cui comparsa all’orizzonte significava vita e fecondità.

Una dolce brezza spirava dall’oceano calmo, le cui acque lambivano le spiagge dell’isola sacra. Un vento leggero e profumato di salsedine, che scompigliava le chiome delicate degli alberi e faceva frusciare le foglie dei glicini in fiore. Vento e Sole vivificavano quei fiori che non appassivano mai e infondevano vigore nelle vigne dai cui rami, in ogni momento dell’anno, pendevano graspi carichi di acini abbondanti di succo e di nettare. Il tempo, che regolava lo scorrere dell’esistenza in ogni altro luogo, non aveva nessun significato lì sull’isola sacra di Thule, dove il Sole non cessava mai di risplendere.

Era la magia del Vril a permettere tutto questo. La forza misteriosa che era scaturita dallo studio dei nove segreti alchemici, rivelati da Vrillon in persona agli Eletti. Grandi uomini dalla mente capace di solcare gli spazi insondabili dell’esistenza avevano dato origine a tutto questo. Essi si erano spinti laddove nessun altro aveva mai osato.

Ma anche il Vril che dava vigore conosceva i suoi limiti. L’immortalità fisica non era contemplata dalle regole della natura e nessuno avrebbe potuto sovvertire a questo fato. In passato qualcuno ci aveva provato, e le conseguenze erano state niente altro che devastazioni e lunghissimi conflitti.

Beli era diventato vecchio.

Molto vecchio.

Il sommo sacerdote del Sole, il figlio del grande sovrano Crono, aveva regnato in pace e armonia sulla Terra d’Iperborea per oltre mille anni. Il suo era stato un regno pacifico, seppure funestato dalle guerra che tormentavano il resto del mondo: i conflitti interni al regno di Atlantide, l’avanzata sulle terre del sud-est dei dodici figli di Crono, i suoi fratelli che il padre aveva esiliato in obbedienza a un’antica profezia pronunciata dal saggio Egipan, il profeta dei tempi remoti. E poi la morte della sua amata Etusa, anch’ella figlia di Crono ma di madre atlantidea, destinata a diventare regina della grande isola. Un dolore che aveva faticato a interiorizzare, che lo aveva minato nel fisico e nella mente, fino a costringerlo a prendere la decisione di associare al trono il fratello più giovane, Saturno, sino a lasciargli di fatto il controllo di Iperborea.

Al vecchio re non era rimasto altro che ritirarsi qui, nelle sacre sale dell’isola di Thule, a contemplare il Sole imperituro e a dedicarsi allo studio delle scienze e della filosofia, in attesa che anche per lui venisse il tempo di abbandonare il corpo mortale per permettere all’anima immortale di ricongiungersi agli antenati.

Beli, come sommo sacerdote del Sole, era il solo a essere in grado di fissarlo dritto in volto senza esserne accecato. Egli soltanto poteva scorgerne i segreti, contemplarne il mistero luminoso. Nemmeno Saturno avrebbe potuto osare tanto. Lui stesso, ormai, era considerato una incarnazione in forma umana del Sole.

All’inizio, il vecchio si era domandato se fosse stata una scelta saggia quella di elevare l’ultimo nato tra i figli di Crono a una simile carica. Aveva ponderato a lungo, prima di giungere a quella conclusione. L’antico re, nei suoi quasi quattromila anni di esistenza terrena, aveva generato un numero impressionante di eredi. Beli non era nemmeno certo di aver conosciuto per intero tutta l’innumerevole schiatta dei suoi fratelli e sorelle, tra cui spiccavano i dodici costretti all’esilio. Dopo un’attenta riflessione, si era deciso a scegliere come proprio successore il più giovane tra tutti loro, che non aveva fatto in tempo a conoscere il proprio padre: quando la madre di Saturno aveva partorito, il vecchio Crono era già spirato da alcuni mesi. Di fatto, Saturno era diventato figlio di Beli che, al contrario del padre, non aveva avuto eredi di sangue.

Ma, ormai, erano quasi due secoli che Saturno governava da sovrano. Se anche avesse avuto dei ripensamenti, Beli sarebbe stato costretto a scatenare una guerra per riprendersi il trono a cui aveva rinunciato in modo volontario. Ed egli era abbastanza addentro alle memorie del passato da sapere che una guerra non avrebbe causato altro che devastazioni e morti inutili.

Inoltre, c’era qualcosa che aveva rischiarato le giornate del vecchio molto più del Sole che non tramontava mai.

Qualcosa o, meglio, qualcuno.

Appoggiato alla balaustra affacciata sul mare, con il profumo dei glicini nelle narici e la brezza a scompigliargli i lunghi capelli incanutiti, Beli distolse lo sguardo dall’oceano e lo rivolse all’interno della sala costruita in marmo verde, con i pavimenti che riflettevano la luce e le alte colonne che sostenevano il soffitto a cupola.

Per un momento la sua mente volò indietro a secoli e secoli prima, quando – in quella stessa stanza – lui ed Etusa avevano celebrato il loro sacro matrimonio. Un’unione sacrale, in onore delle divinità e per proclamare una nuova alleanza tra Iperborea e Atlantide. Ma non per questo un’unione priva di passione e di reciproco piacere. L’unica unione, prima che lei, veleggiando verso Atlantide, fosse imprigionata e uccisa dai suoi fratelli traditori, che si erano impadroniti del regno.

Beli sospirò. Ricacciò i ricordi del passato nel fondo del pozzo senza fine del suo cuore e fissò la sua nuova luce.

Sorrise.

E Dana, la giovanissima sacerdotessa a cui era stato affidato l’incarico di badare al sommo sacerdote del Sole Invincibile, ricambiò con delicata umiltà il suo sorriso.

 

* * *

 

Dana gemette forte quando Beli la penetrò.

In lui scorrevano il vigore del Vril e la forza indistruttibile del Sole. Ma non c’erano soltanto questi. C’era anche la passione, c’erano anche l’esaltazione e il trasporto di un’anima che, seppure giunta ormai vicinissima al momento di abbandonare l’esistenza terrena, aveva riscoperto quanto fosse bello e profondo amare ed essere riamati.

Dana era una creatura delicata come un bocciolo di rosa e insieme robusta come una roccia di granito. Aveva acceso il vecchio Beli e lei si era accesa di lui. E ora, nudi e stretti l’una all’altro, accarezzati dal tepore del Sole e dalla leggiadra mano dell’oceano, si erano abbandonati a una passione gigantesca che nessuno dei due aveva voluto reprimere.

Dana affondò le labbra nel collo di Beli. Le sue lunghe dita gli graffiarono la schiena e le natiche. La mano del sacerdote si insinuò tra i loro corpi e strinse un seno della giovane, lasciandovi impressi segni rossi e profondi. Lei si mosse veloce, premendo l’inguine contro quello di lui, e lui spinse con tutto il vigore del suo bacino, scendendo sempre più in profondità.

Esplosero entrambi nel fuoco dell’ardore più intenso.

Per alcuni momenti, restarono in silenzio, ansanti.

Poi, tenendo la bocca vicino all’orecchio della giovane, Beli sussurrò: «Dana, mia sposa adorata, c’è una cosa che devi sapere.»

Dana era giovane, ma non per questo priva di saggezza. Gli insegnamenti che aveva ricevuto avevano già fatto di lei una donna sapiente. Comprese subito che, nella voce dell’uomo che amava, c’era qualcosa di importante, a cui avrebbe dovuto prestare la massima attenzione.

Non rispose.

Non ce ne fu bisogno.

Beli seppe di avere la sua completa attenzione.

«Io sono molto vecchio, e presto sarò chiamato a lasciare questa terra», rivelò Beli. «Già adesso sono onorato come un dio dal nostro popolo, e quando me ne andrò da questa forma fisica, il mio ricordo sarà imperituro. Salirò presso le Sedi di Vrillon dove, un giorno lontanissimo, io e te ci incontreremo ancora una volta. Ma dovrai sopportare mille tribolazioni, prima che questo avvenga. Il tuo cammino in questo mondo sarà estremamente lungo e complesso. Avrai un compito delicatissimo…»

Dana provò un moto di spavento.

«Ti prego…» cercò di dire.

Beli la interruppe ponendole le dita sulle labbra.

«Ascoltami. Ho ancora a mia disposizione tempo a sufficienza per poterti far accedere ai segreti del Vril, l’essenza alchemica. Grazie a questo, potrai vivere più a lungo di un comune essere umano, anche se non posso donarti l’immortalità fisica. Ma sarai immortale in un altro modo. Tu, come me, sarai una dea… la più grande dea mai onorata, te lo assicuro. Sarai onorata in eterno.»

Beli si concesse una pausa per affondare il viso contro il seno di Dana e assaporarlo per alcuni istanti. Inebriato, riprese a parlare.

«Ma il tuo cammino, te lo ripeto, sarà complesso. Ho ricevuto il dono della profezia, e questo mi ha permesso di vedere che cosa accadrà, anche se non ho il potere di mutare gli eventi futuri, che sono già in moto. Ci sarà una grandissima guerra. Una guerra più devastante di tutte quelle a cui abbiamo assistito dal giorno della creazione. Il mondo intero cambierà volto. Tu dovrai porti alla testa del tuo popolo, dei più saggi tra gli abitanti di Iperborea, e condurli in salvo. Su quest’isola, voi troverete rifugio. Ma non sarà finita: verranno i ghiacci, un giorno lontano, e ancora una volta tu dovrai condurre il tuo popolo verso una nuova patria.»

Dana singhiozzò. Il vecchio la stava incaricando di oneri per cui non si sentiva pronta.

«Io sarò con te, Dana», la rassicurò. «Condurrai con te un ramo della Sacra Betulla che cresce nelle Sale di Thule, e questo sarà la salvezza del tuo popolo, da qui all’eternità.»

«Ma come farò a…?»

«Troverai la forza, te lo assicuro», ripeté il vecchio. «E io sarò con te.»

Ancora una volta, Beli baciò Dana.

Di nuovo, i loro corpi si allacciarono nella passione.

 

* * *

 

Gli anni si trascinarono, lunghissimi e lenti.

Beli insegnò a Dana tutto ciò che sapeva. L’antico sapere di Iperborea passò da lui a lei, anche grazie all’aiuto dei druidi, i sacerdoti di Beli, che al cospetto del loro signore giurarono di difendere, anche a costo della vita, l’incolumità di Dana. Perché ormai anche lei era divenuta una dea, e come tale sarebbe stata servita e onorata.

«Mi affido soprattutto a te, Morfesa», disse Beli, rivolto a un giovane druido dai capelli rossi.

Quello era un giorno strano.

Per una volta, il Sole non brillava su Thule. Un’inspiegabile nebbia lo aveva celato, nascondendo lo splendore della Luce del Nord. I druidi osservavano dalle finestre, spaventati. Soltanto Beli, seduto sul suo trono, non parve turbato da quel fenomeno misterioso.

Ormai, era divenuto vecchissimo. Ovunque, il suo nome era considerato quello di una divinità. Gli uomini e le donne alzavano gli occhi al cielo e, indicando il Sole, dicevano che quello era Beli. Eppure, colui che aveva rinunciato al trono di Iperborea, viveva ancora sull’Isola di Thule. La morte sembrava rifiutarsi di chiamarlo a sé.

L’animo di Beli era carico di preoccupazioni. Il tempo trascorso non aveva portato pace, ma solamente nuovi dolori.

Saturno, re di Iperborea, non era riuscito in nessun modo a comporre i dissidi che, da troppo tempo, lo avevano contrapposto a Oannes, signore di Atlantide. Nonostante i due re si fossero più volte incontrati, non erano riusciti a scendere a patti o a compromessi. La guerra incombeva, sempre più terrificante, come il manto nero di una lunghissima notte senza stelle. Ormai non passava più giorno senza che un messaggero recasse notizia di uno scontro armato avvenuto in mare o in terra. L’imperialismo atlantideo, che in un primo momento era stato rivolto solo alle regioni costiere, sembrava pronto a dirigersi verso Iperborea. E il re Saturno, giorno dopo giorno, sembrava cercare il più minuto pretesto per poter agire e fare la prima mossa contro l’odiato nemico.

«Questo è un segno», sussurrò Beli, interpretando lo sguardo spaventato di Morfesa. «La guerra incombe su tutti noi. Verrà un giorno in cui dovremo combattere. A quel punto, la luce del Sole ci sarà nemica, perché ci esporrà alla vista del nemico crudele. Soltanto la nebbia potrà aiutarci a metterci in salvo.»

Morfesa ebbe un sussulto di sconcerto.

«Mio signore Beli, il Sole non può esserci nemico, perché tu sei il Sole», gli rammentò.

Beli fece un sorriso stanco.

«Il mio compito terreno è concluso, Morfesa», mormorò. «È tempo che io mi ricongiunga a Vrillon, Signore del Tutto. Soltanto in questo modo potrò accedere a una conoscenza superiore e continuare a esistere all’infuori del tempo e dello spazio. Eppure, questo mio vecchio corpo non vuole rassegnarsi all’ineluttabile destino di tutte le cose fisiche. La natura, su di me, non vuole fare il suo corso. E, se la natura si rifiuta di agire, bisogna forzarla.»

Morfesa e gli altri druidi dimenticarono immediatamente la nebbia. Scambiarono uno sguardo spaventato, mentre la paura si faceva largo a ondate dentro di loro.

«Che vuoi dire, signore?» chiese il giovane dai capelli rossi.

Beli fece un vago cenno.

«Mi avete compreso, anche se fingete di non farlo. È tempo di mettere in pratica l’antica legge, quella che fu stabilita all’epoca in cui Iperborea era un mondo giovane. Il re deve morire per garantire nuovo vigore e nuova forza al suo popolo.»

Dana, che fino a quel momento era rimasta in disparte, celata nell’ombra di una colonna, venne avanti. Aveva gli occhi pieni di lacrime.

«Non puoi dire questo, mio sposo…» sussurrò. «Non puoi…»

Beli fece per dire qualcosa. Morfesa, venendo meno alla sua posizione, lo anticipò.

«Se c’è un sovrano malvagio che merita la morte, quello è Saturno! Lui, oppure quel maledetto Oannes, con le sue vanagloriose brame di conquista del mondo intero!» ruggì. «Mandaci a uccidere uno di loro!»

Beli non si scompose. Continuò a sorridere.

«I destini di re Saturno e del suo luogotenente Soranus, né tantomeno quello di re Oannes, non saranno decisi in queste sale», comandò. Il suo tono restò pacato, ma vi risuonò qualcosa di fermo e risoluto. «Essi avranno un ruolo importante non solo nella fine, ma anche nell’inizio. Non possiamo intrometterci nei piani del fato. Non può farlo Vrillon, che pure veglia su di noi, e non potremo allora farlo noi.»

Morfesa parve intenzionato a ribellarsi.

«Il destino non può essere già scritto!» disse.

Gli altri druidi, intimoriti da quell’atto di insubordinazione, mormorarono parole inintelligibili e abbassarono lo sguardo. Ma il giovane dai capelli rossi non parve intenzionato a fermarsi.

«Se il destino fosse già scritto, noi non saremmo esseri umani, ma soltanto pupazzi nelle mani di qualcosa che non comprendiamo!» esclamò.

Beli lo fissò con aria serena.

«Tu sei giovane, Morfesa, e il tuo modo di vedere il mondo appartiene all’avvenire. E non è detto che sia sbagliato. Forse sono io che commetto un errore, credendo che quello che fu scritto nei testi sacri debba essere considerato legge divina. Ma, finché io sarò in vita, voi tutti mi dovete obbedienza, e ciò che dico non può essere contraddetto!»

Morfesa arrossì.

«Ti chiedo perdono, mio signore Beli», mormorò, con voce vergognosa.

«Non è necessario», replicò Beli, secco.

Prese un profondo respiro, prima di ricominciare a parlare.

«Non ho il potere di cambiare le sorti di Atlantide e di Iperborea. Esse furono scritte molto tempo fa nel libro di Egipan, e mai parola che quel libro contiene risultò sbagliata. Non ho la capacità di mutare queste cose.»

Fece scivolare lo sguardo su tutti i presenti e lo concentrò su Dana.

«Ma posso garantire la salvezza a voi tutti… morendo.»

Nella sala discese un silenzio lugubre, pesante. Nessuno osò parlare. Soltanto Dana emise alcuni singhiozzi di dolore.

Beli restò in attesa che accadesse qualcosa.

Qualcosa che non accadde.

«I vostri falcetti», mormorò. «Sono il vostro simbolo, ma anche il vostro fardello. Divenendo druidi, sapevate che avreste avuto onori, ma anche oneri. È il tempo di assolvere a questi ultimi. Fatelo. Io sono pronto, siate pronti anche voi.»

Gli sguardi dei druidi, spaventati, cercarono quello di Dana. Ma la sacerdotessa guardava in terra, versando lacrime silenziose.

Beli si rizzò in piedi. Con un unico movimento, slacciò la lunga veste, restando completamente nudo nel centro della sala. Il suo fisico era ancora imponente. Allargò le braccia, offrendosi alle lame dei falcetti dei suoi druidi.

«Forza! Vrillon mi attende!» ordinò.

I druidi trasalirono. Alcuni di loro sfiorarono i falcetti, ma non osarono satccarli dalle cinture a cui li portavano appesi.

Dana alzò la testa. Con una specie di balzo, si lanciò tra le braccia di Beli. Lo strinse con forza, piangendo contro il suo petto robusto.

«Non lasciarmi», implorò. «Non lasciarmi!»

Beli le accarezzò i capelli.

«Non ti lascerò…» mormorò.

Per un momento, le sue intenzioni parvero vacillare. Ma poi si riscosse.

Con una spinta, la allontanò da sé. La donna incespicò sulle gambe e cadde sul pavimento di marmo, restandovi distesa, ansante.

«Non ti lascerò!» ripeté, stavolta quasi ruggendo. «Non lascerò nessuno di voi! Io sarò con voi, sempre, ovunque andrete! Ma, perché questo avvenga, dovete obbedirmi! Altrimenti, che la maledizione cada sulle teste di voi tutti!»

I druidi alzarono la testa. Le loro dita strinsero le impugnature dei falcetti. Beli allargò le braccia.

«Fatelo!» urlò ancora una volta.

Morfesa prese un profondo sospiro. Sollevò la piccola e tagliente falce dalla lama ricurva.

«Noooo!» gridò Dana, impotente.

La lama calò addosso a Beli, recidendogli di netto la gola. Uno schizzo di sangue sfuggì ovunque, imbrattando le vesti del druido. Gli altri attorniarono il vecchio re e, a loro volta, lo colpirono a colpi di falcetto, facendo strazio del suo corpo.

Così morì Beli l’uomo, divenendo per sempre Beli, il dio-sole.

 
   
 
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