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Autore: ester_potter    03/10/2023    1 recensioni
[Kaneda/Tetsuo] [14k words] [Alternate Universe - Black Mirror Episode: s04e04 Hang the DJ]
La Black Mirror!AU che nessuno ha chiesto ma che io volevo con tutta me stessa, a quanto pare.
!Spoiler per chi non ha mai visto l'episodio!
Genere: Erotico, Introspettivo, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Kei, Shotaro Kaneda, Tetsuo Shima
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Kaneda tamburella le dita sul tavolo senza interruzioni da cinque minuti, lanciando occhiate all’ingresso del ristorante di tanto in tanto. Il dispostivo circolare nella sua tasca vibra per la terza volta, e per la terza volta ripete, con una voce femminile meccanica ma cordiale:

Il tuo match è in avvicinamento.

“Ho capito, accidenti” ringhia Kaneda.

Non è mai arrivato in anticipo in venticinque anni di vita e, col senno di poi, avrebbe preferito continuare così, ma si dà il caso che questo sia il suo primo match con il Sistema e si sta. Cagando. Sotto.

Guarda l’orologio appeso alla parete. Manca un minuto esatto. A un tratto gli viene un dubbio. Estrae il dispositivo dalla tasca:

“Come faccio a riconoscerla? O riconoscerlo”

Il tuo match è appena entrato.

Ma Kaneda l’ha già riconosciuto nella frazione di secondo prima di ottenere una risposta: lo vede entrare con il suo Coach in mano e l’aria sperduta e imbarazzata di un bambino che perde la mamma al centro commerciale, e in un attimo decide che gli piace. Deve avere più o meno la sua età e indossa un completo che, per quanto gli stia bene – e gli sta da Dio – stona un po’. Si vede che non è tipo da mettersi cose così eleganti. Kaneda ci scommette tutto ciò che ha che è la prima volta anche per lui.

Il ragazzo si guarda intorno, passandosi le dita fra i capelli all’indietro, e finalmente i loro sguardi si incrociano. È in quel momento che una valanga di dubbi non richiesti piove addosso a Kaneda, spazzando via quel briciolo di fiducia in sé stesso a cui è riuscito ad aggrapparsi fino a questo momento. Dannazione. Chissà che impressione dà da fuori. Probabilmente ha dei capelli di merda. Avrebbe dovuto vestirsi meglio. E come cazzo gli è venuto in mente di scegliere proprio quella cravatta? Nel frattempo, il suo match sembra esitare per momento, per poi avviarsi verso di lui con un sorriso appena accennato. Kaneda si alza in piedi, ma ci mette troppa foga e rovescia il bicchiere, inondando il tavolo d’acqua e attirando le occhiate di qualche sconosciuto qua e là.

“Merdaaaa⁓” canticchia sotto voce, cercando di assumere un’aria casuale mentre risolleva il bicchiere. Non c’è verso che il suo match non abbia visto tutto, perciò si mette il cuore in pace e gli rivolge un sorriso tirato.

“Ciao” dice. E suona esagitato. Troppo esagitato, cazzo. Le sta sbagliando tutte, una dopo l’altra.

Il ragazzo sgrana gli occhi per lo sconcerto, per poi aprirsi in un sorriso divertito.

“Uhm, ciao. Io sono... Tetsuo. Tetsuo Shima”

“Shotaro Kaneda— Solo Kaneda. Piacere di conoscerti”

Adesso che sono vicini, Kaneda nota che è giusto un paio di centimetri più basso di lui e perfino più carino di quanto gli era sembrato. No, non è carino: ha una bellezza particolare che sembra rivelarsi man mano che lo osserva e scopre nuovi particolari della sua faccia: dalle guance tonde e i lineamenti morbidi e per niente squadrati, al naso un po’ all’insù. Per non parlare del marrone chiaro dei suoi occhi.

C’è qualcosa di tenero nel suo starsene dritto in quello smoking con la stessa espressione di un cerbiatto sperduto e il viso viola per la vergogna. È timido. Gli piacciono i timidi.

‘Sono fregato’ pensa, mentre realizza di non riuscire a staccargli gli occhi di dosso.

Si siedono e per un po’ si scambiano solo occhiate casuali e sorrisi nascosti. Poi Tetsuo indica con un cenno del capo una delle guardie affianco alla porta, in divisa nera, che getta occhiate circolari per tutta la sala.

“Credi che se ne starà lì tutto il tempo?” domanda. “È da quando ci siamo seduti che non fa altro che fissarci”

Ora che gliel’ha fatto notare, anche Kaneda inizia a farci caso. La guardia sembra concentrarsi più sul loro tavolo che su tutti gli altri. Malgrado il fastidio – e il disagio –, liquida la faccenda con un’alzata di spalle.

“Beh,” osserva con un sorrisetto altezzoso, “in un certo senso, lo capisco. Siamo l’unica coppia interessante qua dentro”

Tetsuo aggrotta la fronte e piega la testadi lato. “Sei sempre così rilassato?” chiede.

“Sei sempre così teso?”

Proprio mentre Kaneda sta iniziando a temere di aver esagerato, Tetsuo ridacchia. “In realtà, è cosi” risponde. “Scusa se ti sono sembrato… Ugh. Faccio schifo in queste cose. È solo che è la prima volta che accedo al Sistema”

‘Come pensavo’ pensa Kaneda.

“E tu?” domanda Tetsuo.

“Io? Nah. L’ho già fatto un sacco di volte. Pensa che prima di te ho avuto settantadue match”

Gli occhi di Tetsuo sembrano assumere le dimensioni di quelli di un cartone animato, e Kaneda non riesce a non scoppiare a ridere.

“Ti prendevo in giro” dice. “È la prima volta anche per me”

Tetsuo gli scocca un’occhiata truce, ma tradisce un sorriso che si allarga sempre di più sul suo viso, e Kaneda decide che può ritenersi soddisfatto.

“In realtà non volevo neanche partecipare a questa roba” spiega Tetsuo. “È la mia famiglia che ha insistito”

“Fammi indovinare: la vedono come l’ultima occasione che hai per portare a casa qualcuno e non essere più il figlio single sfigato?”

“Ci hai preso in pieno” ridacchia Tetsuo, come se la cosa non lo toccasse affatto, e forse è proprio così. Forse è talmente abituato ad essere quello diverso che si è messo il cuore in pace.

“E dimmi, se ti vedessero ora avrebbero un conato?”

“Per il fatto che sono al tavolo con un ragazzo? Nah, ci hanno rinunciato. Niente conati... Forse giusto un brivido”

Kaneda sogghigna.

“Beh, ti è andata comunque meglio di me” ammette.

“Davvero?”

Tetsuo sembra scettico, quindi Kaneda si sporge in avanti sul tavolo e Tetsuo lo imita dopo essersi guardato alle spalle, in direzione della guardia che li osserva con cipiglio. Poi si concentra di nuovo su Kaneda, fissandolo con attenzione.

“Se ti dico una cosa,” sussurra Kaneda, “prometti di non dirlo ad anima viva?”

“Sì, certo” risponde subito Tetsuo.

Kaneda prende fiato.

“Discendo da uno dei principali clan della yakuza”

“Ooh, ma non mi dire”

“Proprio così. E quando mio padre morirà per mano della polizia o della pena capitale o di un proiettile di un clan rivale, toccherà a me ereditare il suo impero. È mia responsabilità avere degli eredi a cui passare il testimone quando verrà il mio momento e avanti così, di generazione in generazione. Per questo sono qui”

“Capisco. Quindi ti sto facendo perdere tempo”

“A meno che non mi nasconda qualcosa, non credo che tu abbia ciò che fa per me”

“Accidenti, questo è un gran peccato, sai? Mi sarebbe piaciuto divertirmi un po’ con te, stanotte”

È solo una stupida schermaglia scherzosa, uno sfottò reciproco che rivela loro quanto siano sulla stessa lunghezza d’onda, ma con un’attrazione di fondo che gli dilata le pupille e li tiene lì, separati da pochi centimetri di distanza mentre si sfidano e.. flirtano?

E poi arriva quella sensazione inspiegabile e atavica, che prende Kaneda dritto allo stomaco e lo fa arrossire; decide di mascherare il tutto scoppiando a ridere e mettendo così fine a quella recita.

Tetsuo rotea gli occhi ma cede anche lui alle risate, lasciandosi cadere con la schiena all’indietro sulla sedia.

“Idiota” borbotta Tetsuo con un ghigno. “Come ti escono queste stronzate— Di’, quanto hai bevuto?”

“Non ho bevuto proprio niente, aspettavo che arrivassi tu” replica Kaneda tra una risata e l’altra.

“Allora non bere affatto, per favore. Altrimenti a casa ci arriviamo domani”

“Cercavo solo di farti sciogliere un po’. Iniziavi a farmi pena con quell’aria da condannato a morte”

Tetsuo scuote la testa con rassegnazione, ma finché continua a sorridere così, a Kaneda va più che bene.

“Quindi posso stare tranquillo?” lo stuzzica Tetsuo. “Nessuna famiglia di assassini alle spalle e nessun impero criminale da ereditare?”

“Ma va’” risponde Kaneda, asciugandosi gli occhi. “Le uniche cose che forse erediterò da mio padre saranno il diabete e una vecchia Toyota Supra scassata”

Tetsuo ride più forte di quanto abbia fatto da quando è entrato al ristorante, ma stavolta Kaneda non gli va dietro: catalizza tutta la sua attenzione su quel suono. È roco e squillante al tempo stesso, in un certo senso, e così fottutamente adorabile che si ritrova ad appuntarsi nella testa di fare in modo di sentirlo il più possibile.

“Ehi, a proposito, come facciamo ad ordinare?” domanda Tetsuo, una volta finito l’accesso di risa.

“Credo con questi...” azzarda Kaneda, tirando fuori il Coach dalla tasca.

Un cameriere li anticipa, servendo loro piatti di sashimi e verdure in una disposizione che dovrebbe avere un’aria sofisticata, ma che a Kaneda fa solo ridere e, a giudicare da come Tetsuo li sta guardando, deve pensare la stessa cosa.

“Wow. Menù già stabilito” osserva.

“Che cavolo” si lamenta Kaneda. “Così ci hanno tolto tutto il divertimento”

“Parla per te,” ribatte Tetsuo, “io sto morendo di fame... Oh, ehm. Prima di iniziare vogliamo vedere quanto tempo abbiamo?”

“Hai ragione”

È tutta la sera che Kaneda attende con ansia quel momento, ma da quando è arrivato Tetsuo non ci ha più pensato. Ora, però, la curiosità morbosa fa ritorno più forte di prima. Trafficano un po’ con i loro Coach finché non trovano la schermata giusta.

“Okay, trovato” dice Kaneda. “Dobbiamo cliccare tutti e due nello stesso momento, giusto?”

“Mi sembra di sì. Allora al tre. Uno, due...”

12 ore.

“Dodici ore” legge Tetsuo, con una lieve inflessione di delusione nella voce.

“Già. Dodici ore...” mormora Kaneda, altrettanto scontento.

Solo dodici ore’ pensa. Cavolo. Credeva che avrebbero avuto più tempo. Sa che spetta al Sistema stabilire la durata di ogni match, e all’inizio non gli era neanche sembrato un problema, ma adesso vorrebbe aver avuto voce in capitolo. Cosa cazzo gli rappresentano dodici ore?

“È un po’...” osserva, sforzandosi di mantenere un tono distaccato.

“Poco” conclude Tetsuo allo stesso modo.

“Un po’ poco”

“Vero? Lo credo anch’io. Oh, e c’è anche il conto alla rovescia...”

Anche Kaneda lo vede comparire al centro dello schermo.

“Hanno pensato proprio a tutto” commenta.

Fanculo. Non si farà rovinare l’appuntamento da quel coso. Se lo rimette in tasca seduta stante.

“Non lo guarderò più per il resto della serata” annuncia allegramente.

“Io neanche” concorda Tetsuo, liberandosi del proprio. “Meglio mangiare in fretta, allora”

L’occhiata provocatoria che Tetsuo gli rivolge gli scatena qualcosa dentro, qualcosa che lo fa sorridere in modo storto e risveglia in lui un brivido antico e familiare. C’è un’intimità che non credeva fosse possibile avere con uno sconosciuto, come se si conoscessero da una vita.

“Non ho bisogno di un conto alla rovescia per quello” ribatte quindi, in tono pungente. “E tu?”

“Pff. Figurati. Finirò prima di te”

“Muoviti”

“Muoviti tu”

Finiscono nello stesso momento, dieci minuti dopo, quando il sonoro rutto di Kaneda sancisce la fine del pasto. Spalanca gli occhi, scioccato da sé stesso, e fissa Tetsuo con sguardo quasi spaventato. Vuole morire.

Ma prima che abbia il tempo di scusarsi – o di raccogliere il suo Coach e la sua dignità e squagliarsela il più in fretta possibile –, Tetsuo, che finora si è limitato a fissarlo con aria del tutto disinteressata e anche un po’ incuriosita, abbassa il mento, prende lo slancio e rutta a sua volta.

Per un paio di secondi nessuno dei due dice niente. Poi iniziano a ridere come bambini.

Altri cinque minuti dopo sono fuori, in attesa delle auto messe a disposizione dal Sistema, che dovrebbero portarli all’appartamento indicato per loro. Suddette auto si rivelano essere golf cart che proseguono da soli, sprovvisti di autisti. Kaneda e Tetsuo saltano su, alticci ed emozionati.

Nel corso della cena – per quanto sia paradossale –, mentre Tetsuo si metteva sempre più a suo agio, Kaneda si è ritrovato con un’ansia da prestazione crescente addosso. Non che non si sia divertito, anzi. Il fatto è che ha un bisogno smisurato di piacergli. Non gli è mai capitato di sentirsi così prima. Non si è mai dovuto sforzare di far colpo sulle persone; sono loro che cercano di fare colpo su di lui. Quello che sta succedendo adesso è del tutto nuovo e inaspettato, e gli dà una scarica di adrenalina che lo anima come non mai.

Si sono sfiorati le mani per sbaglio un paio di volte per passarsi la salsa di soia o il vino, ed entrambe le volte gli è sembrato che l’intera sala si riempisse di elettricità. Non hanno mai rotto il contatto visivo e non avrebbero potuto neanche volendo; c’è un magnetismo che li fa gravitare l’uno attorno all’altro senza sosta, mentre si squadrano a distanza di sicurezza e si annusano, tastano il terreno.

Tempo di arrivare alla dimora scelta per loro e sono già praticamente diventati migliori amici.

È un casolare moderno in legno, situato in cima a una collina a cui si arriva tramite una stradina illuminata in mezzo al bosco, e la prima cosa che Kaneda pensa è che sia decisamente troppo grande per loro due – non che se ne lamenti: è la casa più bella in cui abbia mai messo piede.

Una volta entrati e presa confidenza con gli spazi, si dirigono in cucina. Kaneda si avventura dietro l’isolotto e apre una dispensa in vetro nero scorrevole, rivelando un’intera parete di superalcolici. Ecco, questa vista gli piace parecchio.

“Okay, è decisamente la migliore di tutta la casa”

Inizia a selezionare un po’ di bottiglie e le appoggia sull’isola. “Sto già amando questo posto. Peccato che potremo restarci solo per poche ore”

“Undici ore e ventisei minuti, per l’esattezza” specifica Tetsuo, appoggiandosi al bancone con i gomiti mentre squadra le bottiglie scelte da Kaneda con un ghigno.“Ci vai giù pesante, eh? Sai già cosa vuoi?”

“Tsk. Non è forse questa la domanda del secolo?”1

Segue un breve momento in cui, mentre Tetsuo ridacchia abbassando gli occhi e le sue guance si tongono di rosso, Kaneda sente un peso nel petto solo a guardarlo. Sente che potrebbe schiacciarlo, se non gira attorno all’isola all’istante e lo bacia.

‘Quanto cazzo è carino. Dio, voglio... Voglio...’

Lo reprime, e appoggia i palmi sugli spigoli nel bancone, guardandolo con aspettativa.

“Comunque sono un cazzo di fenomeno a fare i drink” lo informa. “Giusto perché tu lo sappia”

“Certo che lo sei” ridacchia Tetsuo, piantando gli occhi nei suoi. A Kaneda manca un po’ l’aria, ma fa finta di niente.

“Te ne preparo uno se vuoi. Che prendi?”

“Perché no? Sorprendimi. Non metterci il kiwi, però!”

Il cambio di tono radicale fa aggrottare la fronte a Kaneda.

“Perché? Sei allergico?” chiede.

“Non vuoi sapere cos’è successo l’ultima volta che l’ho mangiato”

“No, ti prego, dimmi”

“No”

“Perché?”

“È troppo imbarazzante”

“Tetsuo. Ne avrò a bizzeffe di aneddoti imbarazzanti. Se vuoi, più tardi te ne racconterò uno su di me, così saremo pari. Dai, tanto non ci rivedremo mai più!” conclude in tono leggero, come se la cosa non gli dispiacesse.

Tetsuo si ostina a restare nella sua posizione per un po’, prima di sospirare scocciato.

“E va bene: l’ho sempre mangiato a quintali, finché un giorno, a quindici anni, non mi ha disturbato. Avevo la pancia piena d’aria e ho iniziato a...”

“Scoreggiare, Tets. Hai iniziato a scoreggiare”

“... Finché non ho sentito qualcosa di strano e sono dovuto correre in bagno. Ti lascio immaginare lo stato delle mie mutande”

“Ti sei—”

“Con tanto di semini del kiwi nel mezzo”

Kaneda ci mette un po’ a reagire, ma quando lo fa è un macello: scoppia a ridere così forte che si ritrova a ringraziare il Cielo che non ci siano case nelle immediate vicinanze, appoggia la testa sul bancone e lascia uscire le lacrime.

“Oh, smettila, stronzo!” ribatte Tetsuo in tono lamentoso, nascondendosi la faccia con i palmi e rabbrividendo al ricordo.

“Sei uno spasso, cazzo” biascica Kaneda, prima di essere colto da un altro accesso di risa.

Tetsuo lo fulmina con lo sguardo.

“Mi fa piacere che ti faccia così ridere. Chiunque altro sarebbe scappato di fronte a uno che racconta una cosa simile al primo appuntamento”

“E perché mai?”

“Perché non è esattamente una cosa sexy, Kaneda!”

“Mica dobbiamo scopare per forza!”

Gli esce così, senza che se ne renda conto. Tetsuo si volta di scatto verso di lui, gli occhi sgranati e la bocca semi-aperta. Kaneda perde la voglia di ridere seduta stante. È la prima volta che ne parlano.

“Cioè, se non vogliamo” specifica, poi.

“No, certo” concorda Tetsuo, per poi voltarsi verso il salone, dove li attende una TV a schermo piatto con casse laterali. “Ehm... Metto un po’ di musica, ti va?”

“Oh, sì!” esclama Kaneda, lieto di cambiare argomento. “C’è Spotify?”

Tetsuo si avvia verso la TV e traffica con il telecomando.

“Uh-uh” risponde. “‘Le playlist pensate su misura per voi’, c’è scritto. Addirittura le playlist in anticipo...”

“Questo lo decidiamo noi” ribatte Kaneda, al lavoro con i suoi intrugli di frutti tropicali e alcol. A un tratto, le note di Girl, You’ll Be a Woman Soon riempiono la stanza.

“Uuuh... Gli Urge Overkill” geme Kaneda nel pieno dell’estasi.

“Dove cazzo siamo, in Pulp Fiction?” ridacchia Tetsuo, alzando il volume.

“Tu chi vuoi essere, Vincent o Mia? A me vanno entrambi, anche se mi eviterei volentieri l’overdose...”

“Tranquillo, io mi porto sempre dietro un’iniezione di adrenalina. Non si sa mai”2

Kaneda scoppia a ridere.

Più tardi sono seduti a terra sul tappeto, a bere i daiquiri preparati da Kaneda e a parlare senza sosta, urlando sopra la musica, prendendosi ogni tanto qualche minuto per cantare le loro canzoni preferite e fregandosene dei movimenti bruschi che compiono con i bicchieri e formano macchie sul tappeto.

Quando parte Police On My Back, Tetsuo ha un sussulto di entusiasmo e gli occhi che brillano. “Sì!” urla, balzando in piedi – e provocando l’ennesima macchia sul tappeto.

Kaneda ha l’impressione che domani si vergogneranno a morte per lo stato in cui lasceranno la casa, ma al momento non gliene frega proprio niente. È ubriaco, felice e...

“Beh, non vieni?” sta dicendo Tetsuo, saltellando da una parte all’altra a ritmo di musica.

“Non sono sicuro che sia la musica giusta per ballare” ribatte Kaneda mentre si scompiscia dalle risate.

“Sta’ zitto e balla”

Kaneda obbedisce giusto in tempo per urlare il ritornello assieme a lui, stonato e sguaiato mentre si dimena come un ossesso a un concerto.

Quando la stanchezza data da tutto quel cantare e saltellare e ridere inizia ad avere la meglio su di loro, decidono di appropinquarsi alla camera da letto. Kaneda si ferma a dare una sciacquata ai bicchieri, per poi raggiungere Tetsuo, in piedi davanti alla porta che dà sulla loro stanza. A quel punto, capisce da solo.

“Fammi indovinare. C’è solo un letto”

“Già”

Kaneda si affaccia. È un letto a baldacchino di quelli occidentali antichi, su cui Kaneda, fra l’altro, odia dormire. È spazioso, ma...

“C’è un divano” gli fa notare. “Posso dormire lì, se vuoi”

Tetsuo corruga la fronte.

“Mica sono una ragazza” ribatte. “Perché non... ci sdraiamo e basta?”

“Okay”

Prima di coricarsi vanno in bagno a turno.

“Ehi, Coach” chiama Kaneda, una volta chiusosi in bagno e afferrato il Coach.

Ciao, Kaneda.

“Ehm... Noi dovremmo... Insomma, dovremmo farlo?”

Definisci ‘farlo’.

“Oh, mio–” Kaneda trattiene gli insulti e respira a fondo. “Dovremmo... fare sesso?”

I partecipanti non sono obbligati a compiere nessuna azione specifica.

“Quindi dipende da noi?”

Dipende da voi.

Una volta lunghi a letto con gli sguardi rivolti al soffitto, Kaneda scopre con immenso stupore quanto, in realtà, non gliene freghi niente di farci sesso.

O meglio, è ovvio che vorrebbe farci sesso... Ma non è una priorità. È semplicemente felice di stare con lui. Erano anni che non gli capitava una connessione così veloce con qualcuno, senza limiti imposti dagli standard sociali, senza compostezza costruita e diffidenza. È tutto spontaneo, immediato e automatico.

Come se l’avessero già fatto centinaia di volte.

“Certo che doveva essere una follia, prima del Sistema” mormora Tetsuo, mentre il livello di alcol si abbassa in entrambi.

“In che senso?”

“Beh, le persone dovevano fare tutto da sole, prima. Passare ogni singola fase di una relazione alla cieca, senza aiuti esterni e senza sapere se ne sarebbe valsa la pena o no. E ricominciare da capo tutte le volte. Scegliersi un partner, investire tempo e impegno e sentimenti... e se le cose andavano male? Chi ti ridava il tempo che avevi perso? Doveva essere sfiancante”

In effetti, anche Kaneda ci ha riflettuto spesso.

“Io continuo a domandarmi come facessero a non farsi venire un blocco” risponde. “Con milioni di persone tra cui scegliere... Io non so come avrei fatto. Cioè, a me sono sempre piaciuti sia gli uomini che le donne, e... penso che fra tutte quelle opzioni mi sarebbe esploso il cervello”

Tetsuo scoppia a ridere. “Tu non ne saresti uscito vivo” concorda.

“Per fortuna adesso è tutto pianificato”

“Dio, no, è tutto molto più semplice”

“Però è strano, cazzo”

“Strano forte”

Finiscono a ridacchiare, ma ormai l’aria è pregna di nostalgia per un tempo a cui non appartengono – strano, dato che hanno appena finito di infangare quello stesso tempo.

“Mi sarebbe piaciuto avere più tempo con te” mormora Kaneda, senza nemmeno rendersene conto, mentre il sonno cala su di lui come una coperta. Forse dovrebbe smettere di parlare.

Non si aspetta che Tetsuo risponda, e invece lo fa. “Anche a me”

Poi le loro mani si cercano nel buio e si stringono e, davvero, non ha bisogno di altro. Non ha bisogno di farci sesso o baciarlo o altre cazzate. C’è comprensione e c’è serenità. Non si era mai sentito così.

Scivola in un sonno profondo con la mano ancora nella sua.

 

La mattina dopo escono insieme, arrestandosi subito davanti alla porta. Due golf cart sono parcheggiati ad attenderli.

“Non ci credo” mugugna Kaneda, seccato. “Sono già qui”

Tetsuo sbuffa. “Li odio”

È stata una mattina lenta scandita dal rumore delle stoviglie mentre facevano colazione in pigiama, dai loro gomiti che si sfioravano mentre se ne stavano seduti vicini sull’isola, dagli sguardi profondi e i sorrisi morbidi che si scambiavano. Ma per quanto abbiano cercato di ritardare quel momento, l’ora era arrivata.

Il conto alla rovescia continua imperterrito nelle loro tasche.

“Allora... ci siamo” dice Kaneda, senza sapere come salutarlo in modo disinvolto. È assurdo, ma crede seriamente di essersi innamorato di lui in dodici ore. Si sente come se una parte di sé gli venisse strappata via.

Tetsuo sorride, ma anche lui fallisce nel celare il suo dispiacere.

“Grazie di... essere stato la mia prima volta” butta lì.

Kaneda sta al gioco e sogghigna.

“Uh, grazie a te... per non esserti approfittato di me”

Se non altro, Tetsuo ride, perciò Kaneda cerca di imprimersi quel suono nel cervello, e con esso l’immagine di Tetsuo al mattino, spettinato e con le occhiaie, che ride mostrando i denti e strizzando gli occhi. Così potrà riprodurre quel ricordo nella sua testa tutte le volte che vorrà.

“Beh...” cantilena Tetsuo, in tono vago. “Ancora un po’ e forse l’avrei fatto”

Kaneda si sente arrossire all’improvviso. Ha appena detto che sarebbe venuto a letto con lui. Accidenti. Non sa se esserne lusingato – più che lusingato, si sente una ragazzina delle medie a cui viene fatto un complimento dalla sua cotta – o frustrato per non averci scopato davvero. Quindi decide di buttarla sull’ironia.

“Tu... Brutto... Maiale schifoso” ribatte in tono oltraggiato. Tetsuo ridacchia.

Poi gli prende la mano, o forse è Tetsuo che prende la sua, in un impeto di disperazione mascherata da spensieratezza.

Il bip che segna i secondi a loro disposizione aumenta di volume, come a voler ricordare loro quanto gli resta. Li separano solo pochi centimetri, e se questa fosse una mattina dopo una scopata casuale con un tizio conosciuto in un locale, Kaneda annullerebbe quella distanza ridicola per salutarlo con un bacio e se ne andrebbe allegramente per i fatti suoi, senza più guardarsi indietro.

Ma non è niente di tutto questo e, sebbene stia affogando nei pozzi marroni di Tetsuo e sappia con certezza che anche lui vuole la stessa cosa... Non lo fa. Si guardano fino all’ultimo, finché i Coach di entrambi non iniziano a vibrare.

Il tempo a vostra disposizione è scaduto.

Azzardano un ultimo mezzo sorriso mentre si voltano, le mani che non vogliono saperne di lasciarsi. Mantengono quel contatto il più a lungo che possono, ma dopo il primo passo in direzioni opposte si lasciano scivolare via.

 

 

Nei giorni seguenti, mentre attende che il Coach gli proponga un altro match, Kaneda non fa altro che sfogare la sua rabbia facendo sport. Un giorno, mentre si prepara per andare a correre, si rivolge al dispositivo in tono scoraggiato.

“Ehi, Coach”

Ciao, Kaneda.

“Perché è stato così breve? Con Tetsuo, intendo”

Anche la tua reazione a un incontro breve fornisce informazioni utili al Sistema.

“Ma come faccio a sapere se non era quello giusto per me?”

Il partner perfettamente compatibile non è stato ancora selezionato.

“Voi ne siete sicuri, eh? Insomma, so che formate coppie perfette al 99.8% dei casi... Ma se io rientrassi in quello 0.2%?”

È normale sentirsi demoralizzati dopo un match. Capita alla maggior parte dei partecipanti.

“Sì, eh?”

Ti chiediamo di avere fiducia nel Sistema. Tutto accade per un motivo.

“Se lo dici tu, Coach”

 

 

Due giorni dopo l’appuntamento con Tetsuo, un altro match viene selezionato per lui.

Stavolta gli capita una ragazza, si chiama Kei e la loro durata prestabilita è di dodici mesi.

Kaneda rimane subito ammaliato dalla sua bellezza, ma il loro primo appuntamento è un disastro: arriva in ritardo e Kei è seccata a morte, perciò passa tutta la sera a cercare di farsi perdonare con battute idiote e gentilezze d’altri tempi, finendo solo per peggiorare la situazione. Come se non bastasse, Kei non fa il minimo sforzo per mascherare il fatto che, proprio come Kaneda, anche lei è in lutto per una precedente relazione che secondo il Sistema non era quella giusta, e vorrebbe essere da tuttaltra parte fuorché lì con lui.

Così Kaneda passa le prime settimane a crogiolarsi nell’autocommiserazione, evitando anche solo di respirare troppo forte per non infastidirla mentre legge – arriva perfino a chiedere al Coach se sia possibile abbandonare il match prima del tempo, ma ottiene una risposta negativa –; giace a letto la notte chiedendosi se non ci sia un modo per andarsene da quel match e come cazzo possano aspettarsi che sopravviva un anno senza impazzire…

Finché col tempo, a furia di farsi odiare, Kaneda riesce ad ottenere dei piccoli risultati che poi diventano vere e proprie vittorie, e molta della tensione che aveva caratterizzato il loro rapporto si scioglie.

Kei inizia a ridere di più, ad aprirsi di più con lui e a non disdegnare il tempo passato insieme. Smette di evitarlo e trattarlo con pregiudizio. Entrano in intimità e iniziano ad attrarsi, finché non ingranano e si decidono a scaricare un po’ dello stress in quella situazione li ha messi scopando su ogni superficie della casa che il Sistema ha assegnato loro. A Kaneda piace perché è seria e responsabile, con quell’aria da bacchettona che però tradisce un’infantilità innocente e spontanea che salta fuori quando abbandona ogni serietà e si mette al livello di Kaneda, quando risponde a una delle sue smorfie con una linguaccia, quando ride sguaiatamente senza preoccuparsi di contenersi o sembrare elegante, quando sbotta perché Kaneda ha masticato di proposito dell’aglio prima di baciarla, sapendo che lo odia. Sono quelli i momenti in cui lei gli piace di più. È tutto uno scherzo, un gioco.

Peccato che un giorno, sei mesi prima della fine del loro match, l’incantesimo si spezzi: sono lunghi a letto a scherzare e a farsi il solletico – lui lo sta facendo a lei, quando all’improvviso Kaneda interrompe il gioco con un rutto.

Da Kei non si aspetta certo un applauso, ma neanche quello che arriva:

“Dio, Kaneda” borbotta, allontanandolo con una smorfia schifata e voltandosi dall’altra parte. “Non a letto!”

È una sciocchezza, e Kei non l’ha certo detto con l’intenzione di offenderlo né di arrabbiarsi sul serio – quando si arrabbia sul serio, Kaneda se ne accorge, perché fa paura –, ma per lui ha un impatto enorme. Un fulmine a ciel sereno che fa crollare tutto per sempre.

Gli manca Tetsuo.

Non riesce a non fantasticare su come sarebbe passare con lui ogni secondo che passa con Kei; si chiede come sia svegliarsi con lui al mattino e addormentarsi la sera insieme, guardare la TV fino a tardi con le gambe intrecciate sul divano, scoparselo sul tavolo o contro il muro o nella doccia. Si chiede come se la stia passando e se pensi ancora a lui. Ricorda gli sguardi che si erano scambiati durante la cena e il modo idiota in cui si erano scatenati a ballare con la musica rock, la loro vicinanza a letto e la sensazione della sua mano nella propria. Non sa come definire tutto ciò che è successo nell’arco di quelle dodici ore, se non giusto. Era tutto giusto.

Ovviamente non ne parla con Kei. Fa del suo meglio, ma col passare delle settimane, proprio come temeva, tutto diventa noioso. Il sesso si fa meccanico e ripetitivo, una specie di rito della buonanotte da portare a termine ogni sera per sentirsi meno soli, senza passione né intimità.

Finiscono gli argomenti di cui parlare e tornano a passare intere giornate in un silenzio insopportabilmente pesante – e Kaneda detesta il silenzio. Smettono di fare cose insieme. Una parte di Kaneda l’ha sempre saputo, ma solo ora lo vede con certezza: la ammira, la stima e la rispetta… Ma non hanno niente in comune. Niente di niente.

E quando discutono, litigano. Sempre di più e per stupidaggini. Hanno due caratteri troppo forti e troppa poca intesa per riuscire a trovare un punto d’incontro nello scontro. Alle volte gli sembra che Kei si aspetti da lui cose che non può darle, che sia qualcuno che non è. Ma Kneda non si è iscritto al Sistema per trovare l’amore di per sé – non gliene è mai fregato un cazzo di avere qualcuno da tenere per mano quando vai in giro, di avere un ‘più uno’ fisso per i matrimoni e le feste dei suoi amici, o di avere un buco in cui svuotarsi le palle quando ne ha voglia. Vuole solo qualcuno con cui possa essere ciò che è, e soprattutto qualcuno che lo capisca, che gli sia simile.

Non gli interessa la normalità e il rigore delle regole, la routine responsabile e la monotonia della sicurezza. Vuole il rischio e il brivido, l’imprevedibilità e l’adrenalina. È di questo che ha bisogno.

Alla fine, dopo un mese d’inferno passato a litigare, arrivano alla conclusione di non essere fatti l’uno per l’altra e che, non essendo possibile andarsene da un match prima della fine, non dovranno far altro che stringere i denti per i restanti cinque mesi e rimanere amici. Questo sembra risanare tutte le ferite, e Kaneda si ritrova più a suo agio di quanto non sia mai stato con lei, molto più di quanto non lo fosse mentre cercavano con tutte le loro forze di incastrarsi nel modo giusto.

Tutto sommato, se la cavano.

 

 

Vengono invitati al giorno della formazione delle coppie, una cerimonia che si tiene per festeggiare l’unione dei match formati dal Sistema – o meglio, per metterli in mostra. Kaneda non può fare a meno di notare che la coppia in questione abbia un che di comico: uno è alto come una sedia, l’altro sembra il doppio di lui. Non si lasciano mai la mano per tutta la sera e, malgrado gli sguardi schifati che Kaneda gli rifila, un po’ li invidia. Sembrano amarsi davvero. Forse il Sistema non è tutta una farsa com’è arrivato a pensare negli ultimi mesi. Chissà quando toccherà a lui.

“Se vi sentite soli o senza speranza, tenete duro e sappiate che il sistema funziona” dice il ragazzo più basso della coppia al momento del brindisi.

“Abbiate fede nel sistema, perché un giorno troverete la persona perfetta, l’anima gemella” aggiunge l’altro.3

C’è un ricevimento all’aperto con tanto di buffet e champagne, e Kaneda ci si fionda come un disperato per affogare l’apatia in cui sta annegando da giorni. Kei beve come una spugna tanto quanto lui, e insieme commentano i vestiti degli altri partecipanti, lanciando occhiate annoiate a destra e a manca.

“Perché cazzo sembrano tutti così bene assortiti tranne noi?” sibila lei a un certo punto.

“Saremo anche male assortiti,” ribatte Kaneda, “ma almeno abbiamo un po’ di buon gusto. No, dico, hai visto che scarpe ha quello?”

“Vogliamo parlare degli orecchini dal suo match? Dove crede di essere, a un’incoronazione?”

Vanno avanti a steccate velenose per qualche minuto, prima che Kaneda la senta sbuffare:

“Io vado a sedermi da qualche parte, questi tacchi mi stanno uccidendo...”

Ma Kaneda la conosce fin troppo bene, e sa che le sta venendo il voltastomaco, di fronte a tutto quell’amore.

“Vuoi che andiamo via?” le chiede.

“Ma no, per una volta che usciamo. Ancora dieci minuti e ti raggiungo”

Kaneda annuisce e recupera il sesto bicchiere di vino dal vassoio del primo cameriere che gli capita davanti. A un tratto si sente picchiettare sulla spalla da dietro. Si volta e si sente cedere le ginocchia.

“Ehi!”

Sono passati otto mesi, ma l’effetto di quella voce su di lui è rimasto esattamente uguale. È tutto ciò in cui ha sempre sperato e adesso è lì, davanti a lui: Tetsuo Shima che gli sorride raggiante, come se anche lui avesse sperato di rivederlo per tutto questo tempo.

“Ehi” risponde Kaneda, una volta superato lo shock, mentre la sua bocca si distende in un sorriso.

Si abbracciano d’istinto, mentre Kaneda si rende conto che sarebbe stato meglio non vedersi affatto perché, paradossalmente, adesso che ce l’ha davanti sente la sua mancanza più di prima. Si separano presto, troppo presto per i suoi gusti.

“Beh,” annuncia, “se non è Shima Tetsuo quello che vedo”

“Se non è Solo-Kaneda”

Ridono insieme ed è come se non fosse passato neanche un giorno.

“Che ci fai qui?” domanda senza pensarci troppo, in preda a un’emozione che non può controllare.

Tetsuo lo guarda stranito, ma divertito, il che gli ricorda che tutti i partecipanti sono tenuti ad assistere alla cerimonia. A saperlo, vi si sarebbe recato con molto più entusiasmo e lo avrebbe cercato fra la folla subito appena arrivato.

“Sì, scusa, domanda idiota...” ammette, passandosi una mano sul viso.

“Quanto hai bevuto?” ridacchia Tetsuo.

“Non quanto vorrei, credimi”

“Ehi, quella era il tuo match? È carina”

“Lo è, vero?”

“La mia ragazza è più bella, però”

Kaneda segue il suo sguardo verso una ragazza intenta a congratularsi con i due festeggiati: è un po’ bassa, ma in effetti ha il viso di un angelo.

“Da quanto state insieme?” gli chiede.

“Da subito dopo di noi due. Si chiama Kaori”

“E quanto tempo avete ancora?”

“Solo un mese, purtroppo”’

“‘Purtroppo’, eh?” lo sfotte Kaneda, ignorando la punta di gelosia che arriva a punzecchiarlo. “Quindi sta andando alla grande?”

Tetsuo prende fiato, e il suo entusiasmo sembra smorzarsi. “… Sta andando... bene” conclude.

“Oh. Come mai?”

Tetsuo si stringe nelle spalle.

“Non lo so. Cioè… È normale che non riesca a vederla come mia anima gemella?”

“Beh, non è detto che lo sia. Insomma, chissà quanti altri match avremo prima di trovarla. Hai sentito cos’hanno detto il gigante e il nano, prima...”

Tetsuo scoppia a ridere. “Smettila” sussurra, mollandogli un cazzotto sulla spalla. “Beh, e a te come va?”

Kaneda fa per rispondere qualcosa di disinvolto e felice, ma ogni tentativo gli si spegne in gola. Non ce la fa a mentirgli. Perché dovrebbe, poi?

“Non un granché bene” confessa.

Tetsuo solleva le sopracciglia – Kaneda ce la mette tutta per non illudersi, ma gli sembra di scorgere nei suoi occhi più curiosità che dispiacere, e forse anche un po’ di sollievo.

“Perché?” domanda. “Sembravate molto affiatati. E anche… Insomma… Una bella coppia da vedere”

Kaneda deglutisce.

“Non è che ci manchi l’attrazione o il saperci prendere. È una cosa più profonda. Ultimamente sembra che non riusciamo a… Non lo so. È come se mancasse…”

“Il brivido”

“Sì, esatto. Quella roba lì”

Abbassa gli occhi:

“Dicono tutti che quando incontri il match perfetto dovresti sentire qualcosa” osserva.

“Già. L’ho sentito dire anchio”

Il silenzio in cui sprofondano sembra pieno di parole che in qualche modo riescono a sentire. Ma quello che Kaneda muore davvero dalla voglia di tirare fuori – e lo farebbe, se fosse giusto un po’ più ubriaco –, è una cosa come:

“Io l’ho provato, Tets. Ho sentito quella cosa quando ho conosciuto te. Non può essere una coincidenza, vero? C’è stata una connessione più forte in dodici ore con te che in otto mesi con lei. E non voglio perderti, cazzo, non di nuovo. Divento matto se ti perdo. Anche solo parlare con te adesso mi sembra la prima boccata d’aria dopo così tanto... Perché non ce ne andiamo e basta? Scappiamo. Facciamolo. Solo noi due. Incontriamoci al lago stasera e mandiamo tutto a fanculo. Che spreco sarebbe, non stare insieme”

Non dice niente di tutto questo. Lo seppellisce dentro di sé sotto lo sguardo di Tetsuo che lo attraversa e sembra leggergli l’anima, e scrolla le spalle con una risatina.

“Bah. Che vuoi che ti dica,” dice in tono allegro, “non ci capisco niente di questo Sistema di merda”

Tetsuo ride, ma il suo sguardo è così triste che Kaneda inizia a sentire un nodo alla gola. C’è un secondo in cui si guardano senza dire niente e Kaneda si concede di credere che Tetsuo non solo sappia cosa provi, ma lo ricambi anche. Che stia pensando alla stessa cosa a cui sta pensando lui.

La festa intanto è giunta al termine, e le coppie si stanno salutando. Kaneda stringe i pugni. Non può abbandonare il Sistema. Non funziona così. E nonostante non voglia separarsi da Tetsuo un’altra volta, ha bisogno di mettere più distanza possibile tra loro prima di fare qualcosa di cui si pentirà. Merda, non avrebbe dovuto bere così tanto.

“Allora...” tenta.

“Te ne vai?”

“Magari ci vediamo alla prossima cerimonia” butta lì Kaneda. “Io sarò quello ubriaco, non puoi sbagliare”

“E io sarò quello che se ne sta solo in disparte desiderando di essere altrove”

Questo sembra risollevare leggermente il loro umore, ma solo per poco.

“Allora, ehm... Spero di vederti presto” mormora Tetsuo con un sorriso appena accennato.

“Perché, ti sono mancato?” lo punzecchia Kaneda.

Non si aspetta di vedere Tetsuo arrossire, abbassare gli occhi e sogghignare tra sé borbottando:

“Certo che mi sei mancato. Ma non montarti la testa”

Poi compie qualche passo all’indietro.

“Buona fortuna col tuo match”

“Anche a te”

Mentre torna a casa subentra il post-sbornia con la consueta malinconia, e si sente così triste e solo, accanto ad una persona che guarda fuori dal finestrino opposto al suo, seduti vicini ma divisi da una distanza insormontabile, che a malapena riesce a trattenere le lacrime mentre si appiglia a quella singola frase che si ripete in testa ancora e ancora:

Certo che mi sei mancato’

 

 

“Ti ho visto, ieri sera” dice Kei il giorno dopo, mentre se ne sta distesa su una coperta in riva al lago a leggere. Kaneda, che sonnecchia accanto a lei, non dà segno di averla sentita.

“Era lui, vero?” continua lei. “Il tuo primo match”

Kaneda sbadiglia. Può fare il distaccato quanto gli pare, ma Kei non ci casca. “Cristo” borbotta, guardandolo. “Si capiva, sai? Sembrava che stessi per scoppiare a piangere”

Kaneda apre gli occhi e fissa il cielo.

“Ti piace tanto, eh?” Ancora nessuna risposta. “Ti capisco, Kaneda” dice alla fine, voltando pagina. “È successo anche a me”

“Ah, sì?”

“Era troppo più grande di me, però. Con un divorzio alle spalle e un botto di altri casini”

Kaneda ridacchia.

“Ti piacciono complicati, eh? Per questo non ti piaccio io. Sono la persona più facile di questo mondo”

Kei gli dà una gomitata ma sorride fra sé.

“Quant’è durata?” domanda Kaneda.

“Tre anni”

“Wow. È tantissimo”

Lui avrebbe ucciso pur di avere un lasso di tempo simile con Tetsuo.

Kei fissa la pagina senza leggerla. “I tre anni migliori della mia vita, se vuoi saperlo. L’ho amato. Dio, quanto l’ho amato. Credevo fosse fatta, sai? A quanto pare non era così”

Ammutolisce rivangando il dolore, stringe le pagine fra le dita fino ad accartocciarle. Kaneda se ne accorge e si tira su col busto.

“Ho letto che a volte il Sistema può riselezionare match del passato. Fa una specie di ricalcolo e se li trova compatibili—”

“Non succederà a noi. Lui ha già trovato il suo match permanente. Ha lasciato questo posto anni fa”

Un dubbio si insinua nella mente di Kaneda, e gli dà i brividi.

“Da quanto tempo sei qui?” le chiede.

Kei si rabbuia. No, si spegne. “Non lo so, anni. Ho perso il conto”

Il cuore di Kaneda sprofonda. Non ne avevano mai parlato. Non gliel’aveva neanche mai chiesto. Che razza di persona è? Le sposta i capelli dietro un orecchio. Kei gli sorride e chiude il libro con uno scatto.

“Ho pensato spesso che tutto il Sistema fosse un’enorme fregatura” ammette poi, incrociando le braccia dietro la testa. Le sue parole attivano un campanello nel retro del cervello di Kaneda, ma lo mette a tacere subito. “E non ti nego che a volte lo penso ancora”.

Kaneda ingoia il groppo alla gola e la fissa.

“Come si fa a capirlo?”

“Cosa?”

“Se è la persona giusta”

Kei scuote la testa, come se fosse qualcosa di inesplicabile a parole:

“Quando lo sai, lo sai”

Kaneda si stende e guarda le nuvole assieme a lei. Sì, crede di aver capito cosa intende.

 

 

Quattro mesi dopo si salutano, di fronte alla casa che hanno condiviso per un anno.

“Mi sono divertita” dice Kei con un sorriso. Sembra più serena di quanto Kaneda l’abbia mai vista, all’idea di andarsene, e se in altre circostanze l’avrebbe presa come un’offesa personale, al momento non può che essere contento a sua volta. È finita. Ce l’hanno fatta. Sono arrivati alla fine senza scannarsi. Anzi, hanno fatto squadra. E se anche il Sistema dovesse effettivamente rivelarsi una fregatura e non dovesse mai incontrare la sua anima gemella, quantomeno ci avrà guadagnato un’amica.

“Anch’io” risponde.

Si sorridono complici e si abbracciano a lungo. Kei gli dà un bacio sulla guancia e, dopo un po’, Kaneda sposta le labbra vicino al suo orecchio:

“E grazie per tutte le volte che ti sei seduta sulla mia faccia, è stato pazze—”

Kei emette un verso a metà fra una risata e un soffio e si allontana con uno scatto, mollandogli un pugno in pieno petto. “Dio— Ti odio”

Kaneda scoppia a ridere. “Spero che trovi quello che cerchi” le dice alla fine.

Kei si stringe nelle spalle.

“Siamo tutti qui apposta, no?” risponde. Poi gli stringe una mano. “Anche tu”

Due ore più tardi, Kaneda sfoga la sua frustrazione facendo vasche su vasche nella palestra vicino casa sua.

“Coach” chiama, mentre finisce di asciugarsi nello spogliatoio.

Ciao, Kaneda.

“È possibile sapere... quanto manchi al mio match definitivo?”

Il Sistema non è in grado di anticipare questo tipo di informazioni.

“Immaginavo che lavresti detto. Beh, ora so com’è vivere con qualcuno che non amo. Questo è utile al Sistema? Voglio dire, qual è stato il senso?”

Tutto accade per un motivo.

“... È la tua risposta di riserva per quando non sai cosa dire?”

Non ho capito.

“Lascia stare”

 

 

Tre giorni dopo, mentre si accinge a prepararsi una tempura di gamberi, il Coach inizia a vibrare.

Hai un altro appuntamento.

“Sì, no grazie”

Non ci vuole più parlare, con quel coso. Non vuole più starlo a sentire . ‘Abbiate fiducia nel Sistema’, hanno detto alla cerimonia. Come no. Tutte stronzate. Forse Kei aveva ragione. Forse c’è davvero un bug o una disfunzione. Ci ha pensato abbastanza, da quando glielo ha detto la prima volta. Si ferma con i palmi appoggiati sul tavolo, chiude gli occhi e prende fiato. Poi si volta a guardare aldilà della spalla. Il Coach sembra quasi fissarlo da sopra il bracciolo del divano dove lo ha lasciato. Vibra di nuovo.

Hai un altro appuntamento.

“E va bene. Cristo”

 

 

Quando lancia l’ennesima occhiata annoiata all’ingresso del ristorante e vede entrare Tetsuo, per poco non gli viene un infarto.

“Oh, mio Dio” mormora. Afferra il Coach dal tavolo. “Coach, è lui?”

Esatto.

Proprio in quel momento Tetsuo incrocia il suo sguardo. I sorrisi spontanei che si dipingono sui loro visi attirano qualche sguardo qua e là, ma a loro non importa. Non vedono niente in questo momento, eccetto l’un l’altro.

“Kaneda!”

“Tetsuo!”

“Ma che cazzo...”

Si fermano ad un passo di distanza, come se toccarsi significasse in qualche modo far scoppiare la bolla in cui galleggiano.

“Non sapevo che potessimo essere riaccoppiati” esclama Tetsuo.

“Forse il Sistema si è arreso” taglia corto Kaneda, senza pensarci troppo. Avrà pensato di liberarsi di due cause perse in una volta

Tetsuo ride e Dio, quanto gli è mancata quella risata. Poi ha un sussulto e la sua mano corre subito al Coach nella sua tasca.

“Ehi, vediamo quanto—”

La mano di Tetsuo ferma la sua all’istante.

“Possiamo non controllare, stavolta?” chiede, con una punta di panico nella voce.

Kaneda rimane interdetto per un paio di secondi, la bocca semi-aperta da cui però non esce niente – sia perché non si aspettava una simile richiesta, sia perché la mano di Tetsuo non si è più spostata. È ancora lì a tenere la sua.

“Ah” riesce a dire, finalmente. “Perché?”

“Mi ha stancato” replica Tetsuo assumendo un’espressione affaticata. “Dopo Kaori ho avuto solo match di trentasei ore o giù di lì ed è stato orribile. Mi hanno rimbalzato da una scopata all’altra e... non sopporterò un altro risultato del genere”

Lo guarda in modo così supplichevole che Kaneda dubita riuscirà mai a negargli qualcosa. “E poi” aggiunge Tetsuo, mentre il suo viso prende colore, “forse, se non controlliamo, non si attiverà nessun conto alla rovescia”

‘E possiamo stare insieme quanto ci pare’

Non lo dice ad alta voce, ma Kaneda in qualche modo lo sente. Stare con lui per sempre. Merda. Cazzo. Cazzo, .

Tetsuo lo guarda speranzoso e rafforza appena la presa sulla sua mano. I battiti di Kaneda accelerano.

“Ma sì, hai ragione” risponde alla fine. “E poi, se sapessi quanto tempo abbiamo riuscirei a pensare solo a quello e non me la godrei. E non... Non voglio che succeda questo con te”

Non si spostano da quell’angolo del ristorante, mentre si prendono tutto il tempo del mondo per accarezzarsi con gli occhi e sorridersi come due ubriachi. Per quanto riguarda Kaneda, è talmente felice che gli andrebbe anche bene passare il resto della notte così. Tetsuo però sembra avere altri piani. L’innocenza e la morbidezza nel suo sguardo vengono rimpiazzati da un sorrisetto scaltro:

“Andiamocene da questo cazzo di posto”

“Mi hai tolto le parole di bocca”

C’è così tanto da recuperare, così tanto da chiedere, così tanto da confessare, così tante notti da passare a parlare a letto e a ballare sulla musica rock.

Mentre il golf cart li conduce verso la casa che andranno ad occupare – nessuno dei due si decide a lasciare la mano dell’altro durante il tragitto –, Kaneda non riesce a staccargli gli occhi di dosso. Tetsuo se ne accorge.

“Che c’è?”

“Niente. Ti ricordavo un po’ diverso. Di’ un po’, hai sempre avuto la fronte così grande?”

“Hai sempre avuto un senso dell’umorismo così di merda?”

“Uhm, sì, più o meno. Però ti faceva ridere”

Tetsuo rotea gli occhi. “Dio,” mugugna, senza riuscire a trattenere un sorriso, “mi sto già pentendo”

 

 

È incredibile. È la stessa casa dell’altra volta. È come se il Sistema volesse farsi perdonare, lasciandoli liberi di riprendere esattamente da dove si erano interrotti, da dove erano stati costretti ad interrompersi.

Si prenderebbero qualche momento per riderci sopra, se non fossero troppo impegnati a baciarsi e a tirarsi via i vestiti di dosso. Tetsuo gli è saltato addosso nel momento stesso in cui hanno messo piede in casa e non si sono più separati, sebbene abbiano rischiato di inciampare sulla scia di indumenti che lasciavano al loro passaggio. Arrivano al letto con indosso solo le mutande e vi si lasciano cadere sopra, le mani che vagano ovunque sui loro corpi e i respiri che si mescolano. Kaneda si prende giusto un momento per ammirare la lunga, meravigliosa distesa di pelle davanti a lui, prima di lasciarsi andare come sogna di fare da un anno a questa parte, strofinando la sua erezione contro la coscia di Tetsuo che sta premendo tra le sue cosce, gemendo mentre lecca i contorni della sua bocca. Tetsuo piega il viso di lato per spingere la sua lingua in profondità nella sua bocca, mentre si gode la sensazione del cazzo duro di Kaneda contro la sua gamba.

Lo bacia con un impeto e una disperazione tali che Kaneda deve prendergli il viso tra le mani e costringerlo a rallentare, trasformando i loro baci da famelici a casti, un accarezzarsi di labbra appassionato e affannoso. Ci mettono un minuto a trovare la voglia di smettere di smettere, e le loro bocche rimangono abbastanza vicine da sfiorarsi mentre parlano.

“Vuoi aspettare?” mormora Kaneda.

“No” soffia Tetsuo. “No, per favore”

Ricomincia a baciarlo come se non ne avesse abbastanza e Kaneda non può e non vuole fermarlo. Non vuole più perdersi neanche un momento. Scambia le loro posizioni e intima Tetsuo di alzare i fianchi in modo da potergli sfilare le mutande. Gli viene l’acquolina in bocca di fronte alla sua durezza, alla consapevolezza dell’effetto che gli fa. Si abbassa lentamente incatenando lo sguardo a quello di Tetsuo.

“Hai detto di essere stato rimbalzato da un match all’altro dopo Kaori” dice.

Tetsuo sembra capire ciò che vuole sapere prima ancora che lo espliciti, quindi arrossisce.

“L’ho già fatto” risponde. “Sia con uomini che con donne. È solo che—”

Si interrompe con un sibilo mentre Kaneda vaga con la lingua per tutta la sua lunghezza e poi giù fino sopra i testicoli fino a raggiungere il perineo. L’immagine di Tetuso a letto con qualcun altro ha acceso una scintilla dentro di lui, risvegliando una competitività sepolta.

“— Continuavo a pensare a come sarebbe stato farlo con te” conclude Tetuso con un filo di voce.

Kaneda manda al diavolo quel briciolo di autocontrollo che gli era rimasto e affonda la bocca sul suo cazzo, beandosi della sensazione della pelle lungo le guance e del sapore intenso, suo. È la prima volta che fa un pompino, ed è abbastanza sicuro di non essere per niente bravo, ma ci pensano i gemiti e i sussulti di Tetsuo a smentirlo. Inumidisce ogni centrimetro di lui mentre massaggia con la mano la parte che non riesce a mettersi in bocca; geme alle prime gocce che scivolano lungo la sua lingua fino alla gola, affonda le unghie nel suo sedere e gli massaggia le cosce. Dio, potrebbe implodere se non lo fa venire subito.

Aaaah... Kaneda”

Le mani di Tetsuo, che fino a quel momento hanno vagato libere per i suoi capelli, di colpo glieli stringono e lo portano a separarsi da lui. “Kaneda, sto per venire”

“È quello che voglio che tu faccia” puntualizza Kaneda con una risata, nonostante il dolore alla mascella.

“E io voglio che mi scopi” ribatte Tetsuo. “Come la mettiamo?”

“Più tardi”

Tetsuo apre la bocca per protestare oltre, ma Kaneda lo anticipa.

“Tetsuo. Abbiamo tempo” dice, in tono calmo ma perentorio. Tetsuo lo fissa, tutt’altro che convinto, ma ammorbidisce il suo sguardo. “Abbiamo tempo, piccolo”

In realtà non lo sa. Nessuno dei due lo sa. Ma scelgono di credere che, almeno per stavolta, nessun conto alla rovescia arriverà ad interromperli. Spinge di nuovo Tetsuo in giù con una mano e inizia a succhiarlo con più foga, fin dove riesce ad arrivare, mentre con la mano rotea i testicoli e li tasta delicatamente. Tetsuo piagnucola contro il suo pugno, si lascia andare ad ansiti strozzati e a suppliche raccolte tutte nel suo nome, ed è troppo tenero e adorabile per non farsi venire in bocca da lui:

“Ah... Ah... AH— Kaneda... Aaaah...”

Kaneda ingoia tutto, rischiando un soffocamento, e non se ne pente neanche un po’. È la cosa più pazzesca che abbia mai fatto.

Tetsuo giace col dorso della mano a coprirsi gli occhi mentre riprende fiato, per poi tirarsi su. Kaneda lo guarda dal basso con un sorriso da drogato e l’aria di chi si è classificato primo nella gara della vita.

“Comè stato?” gli chiede Tetsuo, gli occhi strizzati in un’espressione dubbiosa.

Kaneda inarca un sopracciglio. “Secondo te?” ridacchia.

“So che a volte può essere...”

“Tets. È stato stupendo. E poi, non è che avessi molto materiale con cui fare paragoni. A differenza tua, a quanto pare” precisa poi, ancora piccato per non essere stato la prima volta di Tetsuo.

Il minore sbuffa e passa un braccio intorno al collo di Kaneda, mentre con l'altra mano inizia a strizzare e massaggiare l’erezione pulsante di Kaneda; con la lingua traccia dei cerchi intorno ai suoi capezzoli e poi sulla colonna della gola. I denti lasciano segni al loro passaggio, marchiando la pelle di Kaneda e facendolo tremare dalla testa ai piedi mentre artiglia i capelli sulla nuca di Tetsuo. Chissà quanto sarebbe ancora più bello con i capelli lunghi, si ritrova a pensare, in preda al delirio e al desiderio.

“Passami il lubrificante” soffia a un tratto Tetsuo.

Kaneda reprime un brivido a quelle parole e ingoia la saliva. Poi aggrotta la fronte.

“Dov'è che lo tengono?” domanda. “È passato un po’ di tempo dall’ultima volta. Sai, io e Kei non—”

“Kaneda, ti prego. Se mi fai pensare a te e Kei che scopate adesso potrei vomitare su queste lenzuola. È nel cassetto del comodino, lo mettono sempre lì”

Kaneda ridacchia e recupera il lubrificante dal cassetto.

“Quanto cazzo sono previdenti”

“Per una volta non me ne lamenterei”

“E chi si lamenta?”

Tetsuo ricopre il membro di Kaneda di lubrificante e ricomincia a manovrarlo e masturbarlo come fosse un’estensione della sua mano piuttosto che una parte del corpo di Kaneda. Lo bacia sul viso ovunque, dopodiché prende la mano che Kaneda tiene poggiata sopra la sua guancia e se la porta alla bocca. Deposita un bacio sul polso e uno al centro del palmo, poi risale con le labbra fino ai polpastrelli. Quando avverte la leggera pressione esercitata contro le sue labbra, le schiude d’istinto e accoglie le falangi di Kaneda come un assetato che riceve l’acqua tanto agognata, e le succhia con la stessa brama di chi ha bisogno di estirpare la secchezza dopo una traversata nel deserto.

Kaneda spinge le dita più a fondo dentro la bocca di Tetsuo e preme il pollice contro la sua guancia. La scarica di eccitazione da cui viene percorso solo guardandolo è pura elettricità, una scossa che lo attraversa da parte a parte e che lo fa ansimare ancora di più. Beve l’immagine che gli si staglia davanti con la stessa avidità con cui Tetsuo consuma le sue dita. Dalle sue labbra escono piccoli respiri trafelati che Tetsuo raccoglie come tesori e, dentro ai suoi occhi, il nero ha divorato quasi interamente l’iride che borda le pupille.

Dal suo cazzo iniziano a fuoriuscire i primi rivoli bianchi che sporcano il pugno di Tetsuo – pugno nel quale Kaneda si spinge con qualcosa a metà tra la libertà e la disperazione, la fronte schiacciata contro la spalla di Tetsuo e una mano avvinghiata al suo collo, a stringere, a graffiare, a tenercisi tenacemente attaccato. Ogni sua percezione è ridotta all’istinto che guida i suoi affondi e alla solidità del corpo contro cui si ritrova premuto a ogni scatto che compie in avanti. È chimica, è alchimia, è qualsiasi cosa possa spiegare come i loro corpi comunichino tra loro in modo perfetto.

Tetsuo lascia andare le dita di Kaneda.

“Vieni” lo intima con voce rauca. “Andiamo. Fallo. Vieni per me, Kaneda. Vienimi addosso”

“Tetsuo” ansima, perché è l’unica parola che sia in grado di pronunciare, e perché è Tetsuo la sola cosa a conservare forma e consistenza quando l’orgasmo rende la realtà lontana e rarefatta. “Tetsuo

Viene in cinque secondi netti, sopra allo stomaco di Tetsuo e con i denti conficcati nella sua carne.

 

 

“E se non ci fosse un criterio?” sta dicendo Tetsuo mentre cammina mano nella mano con Kaneda per il parco. “Se ci accoppiasse a caso e noi ci credessimo solo perché tutti dicono che è infallibile? Io e Kaori ce lo chiedevamo spesso. Insomma, a te non sembra strano?”

“Mentirei se ti dicessi che non ci ho pensato anch’io” ammette Kaneda, rimembrando le ipotesi da lui stesso formulate negli ultimi mesi. “Però forma delle coppie perfette, no? Ha un tasso di successo del 99.8%”

“Ma chi ci dice che sia davvero l’anima gemella?” insiste Tetsuo. “E se invece ci prendesse per sfinimento?  E se l’intero Sistema si basasse sul farci intraprendere continue relazioni con persone a caso e con durate diverse, finché alla fine non ci arrendiamo e ci adattiamo all’offerta finale?”

Kaneda ci pensa un po’ su. “Beh, sarebbe un bel problema” commenta. Poi lo guarda con gli occhi strizzati. “È una delle cose più tristi che io abbia mai sentito”

“Qualcosa mi dice che stai pensando a qualcosa di peggio, invece”

Kaneda smette di camminare, voltandosi verso Tetsuo.

“Okay” dice. “In effetti, una teoria ce lho anch’io: supponiamo che il Sistema non sia casuale, ma accurato come dicono, e che quando lo usiamo valuti ogni nostra relazione ed elabori un profilo complesso. Se può fare tutto questo... fin dove può arrivare? Insomma... Questi siamo noi o siamo solo delle copie?”

Tetsuo scoppia a ridere. “Addirittura una simulazione?”

“Non possiamo escluderlo, no?”

Si fanno più vicini. Kaneda avvolge le braccia intorno alla vita di Tetsuo, che intanto fa scivolare le mani sul suo sedere con un sopracciglio inarcato e le labbra strette.

“Gran bella simulazione, però” commenta.

“Vero, eh?” ridacchia Kaneda. “E dovresti vedere la mia versione in carne e ossa”

Due versioni di te?” ribatte Tetsuo, avviandosi senza di lui. “Non credo che potrei reggere”

“Ehi!” protesta Kaneda, seguendolo.

 

 

I giorni diventano settimane, le settimane diventano mesi, e nessuno dei loro Coach inizia a suonare. Non arriva nessuna guardia a bussare alla loro porta. Passano la vita rintanati nel loro nido a coltivare le loro passioni insieme, uscendo solo per andare a correre o nuotare, a sfidarsi a biliardino o a tennis con le altre coppie del Sistema.

Ma le cose che Kaneda preferisce sono quelle quotidiane e, all’apparenza, piccole. Le cose da nulla: essere svegliato da Tetsuo che gli lascia un scia di baci lungo la colonna vertebrale, stare per ore nella vasca con lui disteso con la schiena sul suo petto, cucinare per lui; ama litigarci per stronzate e fare pace cinque minuti dopo con un bacio e uno ‘scusa’, ama ballare con lui lentamente a piedi nudi sul tappeto del salotto, ama le conversazioni senza fine sul divano o a letto. E poi ama lui, ama che abbocchi a qualunque stronzata gli dica per poi imbronciarsi quando realizza che stava scherzando, ama la concentrazione nel suo viso quando legge, ama sfidarsi con lui a far rimbalzare i sassi sul lago – e innervosirsi insieme a lui perché non riescono mai a fare più di quattro rimbalzi e quindi, alla fine, non vince nessuno dei due –, ama il contatto fisico che riempie le loro giornate. È giocoso, osceno, innocente e appassionato tutto allo stesso tempo. Dai baci sulla fronte alle seghe improvvisate mentre sono seduti davanti alla tv, dalle strizzate di guance – Kaneda gliele strizza almeno una volta al giorno da quando ha scoperto quanto siano antistress – alle limonate pigre post-orgasmo.

I giorni si susseguono, tutti identici e al contempo diversi, perché non c’è giorno che non imparino qualcosa di nuovo l’uno dell’altro. E va tutto bene. Arrivano perfino a perdere il conto dei giorni che passano insieme. Nemmeno il sesso subisce la routine: Kaneda non lo credeva possibile, ma l’effetto che il corpo di Tetsuo sortisce su di lui non diminuisce mai, anzi, più ne scopre gli angoli nascosti e le peculiarità della pelle, più sembra eccitarlo. Ha una libido quasi da malato mentale nei suoi confronti, e non solo per le sue parti più sexy – che sono senza dubbio alcuno le cosce e il culo – ma anche per le braccia e a schiena, le ascelle e il viso, il collo e la pancia. Tutto del suo corpo lo manda fuori di testa.

Non parlano più del Sistema. Si comportano come una qualunque coppia che si è conosciuta per caso in un locale o in fila alla cassa di un supermercato. Ogni volta che il minimo dubbio fa capolino nella testa di Kaneda, lui se lo scrolla di dosso. Anzi, lo fa Tetsuo per lui.

Glielo scrolla di dosso con un solo gesto della mano quando gli accarezza i capelli. Quando gli arriva alle spalle e gli avvolge le braccia intorno, nascondendo il viso nel suo collo e baciandolo, per poi trascinarlo verso il divano o il letto. Glielo scrolla di dosso quando lo prende come se fosse nato per farlo e accoglie ogni spinta con frenesia e avidità. Ogni ritrosia, ogni campanello d’allarme, ogni ansia sopita esplode su sé stessa in quei momenti.

Per questo, adesso che se lo sta scopando come se non ci fosse un domani, mentre rivoli di sudore gli scivolano lungo la nuca e le tempie, e tiene sollevata una gamba di Tetsuo con la mano, gli viene naturale rallentare le spinte e fermarsi, incantato dallo spettacolo dell’altro sotto di lui, docile e altrettanto sudato. Tetsuo ricambia il suo sguardo con la stessa devozione e alza una mano per accarezzargli il viso. Kaneda chiude gli occhi e strofina il naso contro il suo palmo. Li riapre. Dio, glielo deve dire. Lo deve dire adesso. Ma non sa come potrebbe prenderla Tetsuo.

“Devo dirti una cosa”

“Ti amo”

È Tetsuo a batterlo sul tempo, con l’espressione trasparente di chi si è liberato dell’ultimo segreto e ormai non nasconde altro. È spontaneo, naturale. Automatico. Kaneda potrebbe librarsi in aria, per quant’è felice in questo momento.

“Accidenti a te” borbotta. “Potevi aspettare due secondi”

Lo bacia fino a consumarsi le labbra e riprende a colpirlo in profondità, dove il piacere si è amplifica facendo arricciare le dita dei piedi di Tetsuo, che si stacca da lui con un lungo gemito e rovescia gli occhi all’indietro.

“Anch’io ti amo” mormora Kaneda mentre si lascia scivolare avanti e indietro, fluido e deciso, beandosi nella sensazione delle sue pareti strette tutt’intorno che lo massaggiano e risucchiano.

Vengono uno poco dopo l’altro e si prendono il loro tempo per respirarsi e accarezzarsi. Kaneda solleva la testa dal petto di Tetsuo e vi appoggia il mento. Tetsuo gli passa le dita fra i capelli che gli ricadono sulla fronte.

“Dicevo sul serio, Kaneda” dice. “Il tempo... non ha nessun valore per me”

È più di quanto Kaneda abbia mai sognato di avere con chiunque.

Peccato solo che per lui, invece, il tempo un valore ce l’abbia. Ce l’ha eccome. Più passano i giorni, più aumenta la consapevolezza che prima o poi dovrà finire per forza. L’ignoto lo tormenta, non riesce a levarselo dalla testa. Non ci dorme la notte. Ad ogni risveglio si chiede se sarà la loro ultima giornata insieme. Quello che ha con Tetsuo è troppo bello per essere vero, e di sicuro troppo bello per essere perso. Sopporta finché può, e alla fine cede.

Recupera il Coach dal comodino accanto al letto ed esce in punta di piedi dalla camera a notte fonda, mentre Tetsuo russa lievemente. Deve sapere. Ha bisogno di sapere.

“Coach”

Ciao, Kaneda.

“Voglio sapere quanto tempo abbiamo”

Premi qui per conoscere la data.

Kaneda indugia a lungo. Hanno deciso insieme di non guardare, e farlo da solo gli sembra sbagliato. Ma non vuole costringere Tetsuo. È contento così, e Kaneda vuole che lo sia. Se necessario, porterà quel peso da solo. Ma almeno si sarà messo il cuore in pace. Chiude gli occhi, prende un profondo respiro e clicca.

7 anni.

Sulle prime, non prova niente. Poi prova tutto in una volta: euforia, sollievo, angoscia, rabbia. Può permettersi di respirare per un po’ – per un bel po’ –, ma prima o poi anche quei sette anni finiranno e allora sarà tutto finito e lo perderà e non può vivere senza di lui cazzo—

Rielaborazione in corso.

3 anni.

“Cosa?” Kaneda aggrotta la fronte e tiene il Coach stretto con entrambe le mani. “Ehi, perché è sceso? Coach!”

Rielaborazione in corso.

“Coach, che succede?”

18 mesi.

Il controllo unilaterale ha destabilizzato la tempistica.

Kaneda sgrana gli occhi, mentre ogni singola goccia di sangue si gela nelle sue vene. Allora c’era una ragione per cui dovevano controllare la data nello stesso momento. Era una regola. E lui l’ha appena infranta per uno stupido capriccio.

“Allora annullalo!” sibila, gettandosi un’occhiata alle spalle per controllare che Tetsuo non si sia svegliato.

Non è possibile. Rielaborazione in corso.

9 mesi.

“E se anche lui lo guardasse?” insiste Kaneda in preda al panico, stringendo il Coach così forte da sbiancarsi le dita. “Se Tetsuo guardasse potremmo...?”

Una volta ristabilita, la scadenza non può essere estesa. Rielaborazione in corso.

3 mesi.

No, no, no.

“Andiamo, fermati!” implora. Per una frazione di secondo, valuta perfino di scaraventarlo a terra con tutte le sue forze e pestarci sopra con rabbia, oppure correre fuori e buttarlo in fondo al lago.

Rielaborazione in corso.

“Fermo, fermo, fermo, fermo

2 settimane.

Si stabilizzerà quando la rielaborazione sarà completa. Rielaborazione in corso.

“Basta, ti prego, ti prego, fermati—”

18 ore.

 

 

Il mattino dopo dovrebbe essere un’altra mattinata di zuppa di miso, baci, sesso sporco e conversazioni pigre, ma Kaneda non riesce ad aprire bocca se non per qualche “mhm-mm” qua e là per rispondere a Tetsuo. Se ne sta muto e con gli occhi bassi, mordendosi il labbro inferiore mentre il senso di colpa lo divora. Tetsuo si accorge che ci sia qualcosa che non va fin dal primo bacio che gli dà appena sveglio, ma sembra abboccare ai suoi “Sto bene, ho solo dormito poco”... Finché non smette di abboccare.

Kaneda guarda per l’ennesima volta il Coach. Tetsuo si volta dal lavandino della cucina, appoggia le mani all’isolotto che lo divide da Kaneda e lo fissa. Kaneda lo ricambia, inespressivo. Ci mette cinque secondi a sgretolarsi sotto il suo sguardo.

“Tets, io...”

“Hai guardato, vero?”

Kaneda vorrebbe che la terra lo inghiottisse. Stringe le labbra e ingoia la saliva, mentre sprofonda nella vergogna. Non ha bisogno di rispondere. Tetsuo apre la bocca come per dire qualcosa, si blocca, prende un respiro profondo ed espelle l’aria con un soffio che sembra un singhiozzo tremolante.

“Hai guardato” dice, la faccia a metà tra la delusione e la speranza di essere smentito.

Kaneda abbassa gli occhi. Non c’è niente che possa dire per giustificarsi.

“Scusami” dice. “È solo che… Dovevo sapere”

“Quanto tempo abbiamo?”

Kaneda chiude forte gli occhi. Deve prendersi la responsabilità. Tutta la responsabilità.

“Quando ho guardato, ho... destabilizzato la durata. Ha iniziato a diminuire”

“Quanto?”

“Avremmo avuto sette anni se io non avessi—”

Quanto, Kaneda?”

“Dodici ore”

Ora che lo dice ad alta voce, è ancora più orrendo. Dio. Dodici ore. Proprio come la prima volta. Alza lo sguardo su Tetsuo con gli occhi pieni di lacrime, e Tetsuo lo guarda allo stesso identico modo... Con l’aggiunta di un po’ di rabbia. Poi gira attorno all’isola a passo spedito. Kaneda allunga una mano verso di lui.

“Mi dispiace, picc—”

Tetsuo si ritrae dal suo tocco e prosegue passandogli accanto, senza degnarlo di uno sguardo.

Non si parlano per le successive ore, ma per tutto il tempo che gli resta da passare insieme Tetsuo cerca ancora la sua mano, incatena i loro sguardi e gli si stringe addosso sul divano. Kaneda ricambia la stretta. Vuole entrargli dentro, diventare la sua pelle. Vuole che diventino una cosa sola e nessuno possa più separarli.

Quella sera escono di casa per aspettare i rispettivi golf cart, che li porteranno via per sempre dal posto in cui hanno vissuto il loro idillio. Nessuno dei due crolla o fa scenate. Quando i cart giungono a destinazione, si voltano a guardarsi un’ultima volta. Ci sono così tante cose che Kaneda vorrebbe dirgli. Un ultimo sguardo di Tetsuo, stoico anche se prossimo alle lacrime, e tutto svanisce in un baleno, come un sogno al risveglio.

 

 

Kaneda passa la notte a piangere. Gli sembra che tutto abbia perso di significato.

“Ehi, Coach?” mugugna, con la faccia nel cuscino.

Ciao, Kaneda.

“Che cazzo di senso ha avuto, eh? Cos’era, uno scherzo?”

Non ho capito.

“Perché avete diminuito il tempo? Siamo fatti l’uno per l’altro e voi lo sapete, lo sapete, cazzo. Allora perché?”

Tutto accade per un motivo.

“Sì, come no”

Scaraventa il Coach giù dal letto e lo lascia a terra a vibrare per giorni. Vengono selezionati altri match per lui, ma non accetta di vederne neanche uno.

 

 

Tetsuo sferra l’ultimo pugno al sacco da box e ci si aggrappa con i guantoni, appoggiandoci la fronte contro e resirando a fondo. Non ha fatto altro che picchiare quel coso, nei giorni seguenti alla fine del match con Kaneda. Lo tiene ancorato alla realtà, gli impedisce di sprofondare nell’abulia e mantenere un po’ di spirito attraverso la rabbia.

Ma quando torna a casa, è tutto come quando si sveglia. Triste, silenzioso e vuoto. Non ci sono mutande sparse in giro a fargli venire i nervi a fior di pelle. Non ci sono voci stonate a cantare a squarciagola a tutte le ore. Non ci sono piatti improvvisati ma sempre maledettamente gustosi a sfamarlo. Ora che ha avuto un assaggio di quello che è l’amore vero e la beatitudine, stare da solo gli viene più difficile di prima. No, non è solo lo stare da solo. È lo stare senza Kaneda. Gli manca tutto di lui.

Ce l’ha ancora a morte con lui per quello che ha fatto, per come ha rovinato anni della loro vita che potevano passare insieme solo per togliersi quello stupido tarlo dalla testa, ma si sente anche in colpa per la sua reazione. Gli mancavano poche ore con lui, e le ha rovinate stando in silenzio. Avrebbe dovuto approfittarne, ripetergli quanto lo ama e dirgli che non c’è sistema, non c’è match, non c’è niente che cambierà i suoi sentimenti per lui e quello che c’è stato fra loro.

Un giorno, mentre si perde fra i ricordi dei loro giorni insieme – giorni che aveva sperato con tutto sé stesso fossero infiniti –, sospirando di tanto in tanto, riprende a pulire energicamente la porta a vetri che dà sul giardino, seppur con lo sguardo triste e spento. Non ha voglia di andare in palestra per il quinto giorno di fila, per cui ci da dentro con le pulizie e con l’ordine fin dalle cinque del mattino, dopo l’ennesima notte agitata. In un certo senso, lo fa sentire meglio. Lo fa sentire in controllo.

Tiene gli occhi fissi sulla parete di vetro, quando a un tratto smtte di strofinarla con il panno e avvicina il viso alla finestra fino a sfiorarla con la punta del naso. Aggrotta la fronte e inclina la testa di lato. Questo non è un vetro antisfondamento.

No, non è possibile. Deve esserlo per forza. Cosa cazzo hanno nel cervello, quelli del Sistema?

Non ha modo di esserne certo, ma più lo guarda più la cosa non gli torna. Bussa sul vetro per sentire il rumore. Arretra di un paio di passi. È come una diga che si apre: una marea di dubbi affollano la mente di Tetsuo e non se ne vanno più. Pur di farlo smettere, a un certo punto getta il panno a terra e recupera la lampada dal comodino della camera da letto, per poi tornare davanti alla porta a vetri. Sta perdendo la testa? Si ritroverà a dover pagare una fortuna in vetri rotti? Qualcuno lo starà guardando in questo momento, magari da una telecamera nascosta da qualche parte fra i mobili?

Oh, beh. Comunque vada, almeno avrà una risposta. Prende lo slancio e getta la lampada dritta contro il vetro, che va in frantumi davanti ai suoi occhi. Non ha ricordi di addetti al Sistema che gli mostrano la casa e gli spiegano che il vetro è stratificato, ma lo ha sempre dato per scontato. Come ha fatto a notarlo solo ora...?

Un’idea gli attraversa il cervello come un fulmine. Si precipita in cantina, dove non mette mai piede, e apre la dispensa. Ci sono delle provviste che probabilmente risalgono a chi ci abitava prima di lui, e che lui stesso non ha mai toccato. Prende un cartone da dodici uova e lo apre. Estrae un uovo. Lo guarda in controluce, stupendosi della sua leggerezza. Dopodiché lo stringe nel pugno. E il guscio si sgretola, i pezzi che cadono a terra con un rumore secco. Fa la stessa cosa con un altro uovo e poi con un altro ancora, finché non li rompe tutti, uno dopo l’altro, con panico crescente. Sono tutti vuoti.

Oh, Dio. Kaneda l’aveva capito. Lui non l’ha preso sul serio – e neanche Kaneda ha preso sul serio sé stesso –, ma è così, cazzo, è proprio così.

Spalanca gli occhi e corre fuori di casa. Raggiunge il lago nel minor tempo possibile, agguanta un sasso a caso – uno che è tutto tranne che liscio e piatto e adatto a rimbalzare – e si prepara a tirarlo in acqua. Okay, ci siamo. Due indizi non fanno una certezza, ma tre, forse, sì. Chiude gli occhi e tira nel modo più di merda possibile. Di proposito.

Uno. Due. Tre. Quattro.

Un lungo, lunghissimo brivido gli scorre lungo la schiena, facendogli drizzare i peli dietro la nuca. Inizia a sudare freddo, mentre si guarda attorno con sospetto muovendo solo le pupille ma non la testa, per non attirare l’attenzione. Gli sembra di essere precipitato un film horror. Non riesce a crederci. Ha avuto la verità sotto i suoi occhi per tutto questo tempo. Niente di tutto ciò che lo circonda è reale. E adesso?

Quando il Coach nella sua tasca si attiva improvvisamente, Tetsuo sobbalza così forte che quasi si strozza sulla sua stessa saliva.

Congratulazioni, Tetsuo. Il tuo match perfetto è stato identificato.

“Perché non prendi il mio match perfetto e te lo ficchi su per il—”

Aspetta. Cosa? L’hanno trovato davvero?

L’incontro è fissato per domani. Si terrà per voi la cerimonia di formazione delle coppie, e insieme lascerete questo posto per sempre.

Tetsuo si infila le mani tra i capelli e chiude gli occhi.

Tutto ciò per cui aveva più sogni e aspettative, il motivo principale per cui ha scelto di iscriversi al Sistema fin dall’inizio, è diventato una condanna che sperava non arrivasse mai. Non vuole incontrare la sua anima gemella. L’ha già conosciuta, la sua anima gemella. E non sarà certo una stupida app a dirgli che si sbaglia.

“Per caso...” tenta, dopo essersi schiarito la voce. “Lo conosco già? È uno dei miei vecchi match?”

Negativo.

Tetsuo si passa una mano sul viso. Deve trovare un modo per vederlo e parlarci. Non può andarsene da quel posto e lasciare Kaneda a marcire lì dentro. Anche ammesso che non siano fatti per stare insieme, lui non lo lascerà lì. È la persona più buona che abbia mai conosciuto, e se lo andrà a riprendere, a costo di dover mettere sottosopra tutta la casa e il Sistema stesso—

Infine, stasera ti sarà concesso incontrare una persona a tua scelta per dirle addio.

Tetsuo si rianima. Eccola, l’occasione giusta.

“Posso incontrare qualcuno per salutarlo?”

Esatto. Secondo i dati raccolti, aiuta a chiudere i conti con il passato.

“Kaneda! Scelgo Kaneda” risponde, prima ancora che il Coach abbia finito di parlare.

La tua scelta è stata registrata.

Il sollievo che lo travolge a quel punto è tale da fargli cacciare fuori tutta l’aria nei polmoni. Poi torna con i piedi per terra. “Ehi, ehm... Dove e quando dobbiamo vederci?”

Solito posto, ore 19:30.

“Dimmi solo perché. Perché volete separarci?”

Tutto accade per un motivo.

Dapprima non capisce, poi un piccolo sorriso di vittoria inizia ad allargarsi sul suo viso.

Guarda il lago, poi di nuovo il Coach.

“Buon viaggio” mormora.

Non ho capito.

Tetsuo lo lancia con tutte le sue forze e rimane a guardare mentre il dispositivo rimbalza quattro volte nell’acqua, per poi sprofondarci dentro.

 

 

Kaneda lo vede entrare quasi correndo nel ristorante, e subito balza in piedi. Tetsuo sembra ancora arrabbiato, ma non si fa spaventare. Non ha ancora avuto modo di scusarsi come si deve per quello che ha fatto, e non perderà altro tempo – anche perché non sa quanto ne avranno.

“Tets, mi dispiace, mi dispiace tantis—”

La bocca di Tetsuo è sulla sua, le sue mani sulle sue guance, e in un attimo è tutto passato, tutto dimenticato. Kaneda lo tiene stretto per i lembi della giacca come se temesse che spossa sfuggirgli di nuovo. Non gliene frega niente della gente intorno a loro e delle guardie ad ogni angolo che li scrutano come avvoltoi. Si separano solo quando si ritengono soddisfatti.

“Aspetta, aspetta...” sussurra Kaneda, sedendosi sul divanetto davanti al tavolo e trascinando Tetsuo giù vicino a lui. “Quanto tempo abbiamo?”

“Non lo so. Non ho più il Coach”

“Cosa?”

“Credo di averlo ucciso”

Cosa?”

“Ascolta, non ha importanza. Hanno trovato il mio match perfetto. È il mio ultimo giorno e il Sistema ha detto che potevo salutare qualcuno”

Se Tetsuo avesse raccattato una mannaia dalla cucina del ristorante e gli avesse tagliato via un braccio, probabilmente Kaneda avrebbe sentito meno male. Tutta la grinta ritrovata è durata il tempo di un bacio, per poi spegnersi in un istante e lasciare spazio allo scoramento.

“Oh” dice. “Sono... Sono contento per te”

“Sta’ zitto” lo interrompe Tetsuo, prendendogli le mani. “Basta con le stronzate. Non sei felice e nemmeno io lo sono, non mi interessa nessun altro e non voglio conoscere nessun altro, non voglio che la persona giusta per me sia quella individuata da un sistema, io voglio stare con te, voglio stare con te più di qualunque cosa...”

“Anch’io voglio stare con te” risponde subito Kaneda, fermando quel flusso frenetico.

Un’inottemperanza al sistema potrebbe avere delle ripercuss—

“Oh, vaffanculo, okay?” sbotta Kaneda, rivolto alla sua tasca.

“Ascoltami” insiste Tetsuo per riportare la sua attenzione su di lui. “Ti ricordi dove ti trovavi prima di venire qui? Cosa stavi facendo?”

Kaneda si spreme le meningi al massimo, scava indietro nei suoi ricordi finché può… E non trova altro che il vuoto cosmico.

“Niente di niente, vero? Beh, io neanche”

“Che cazzo, perché non riesco a ricordare...?”

“Questo è un test”

Kaneda sgrana gli occhi. Tetsuo annuisce solennemente.

“Avevi ragione tu, Kaneda”

All’improvviso tutti i puntini prendono ad allinearsi. Avrebbe un sacco di domande da fare, ma Tetsuo lo interrompe di nuovo:

“Okay, Kaneda. Stammi a sentire, perché sto per dirti una roba grossa e imbarazzante, e te la dirò una volta sola: io ti amo, e non posso e non voglio immaginare un futuro senza di te. Sei una di quelle persone che... Voglio che tu sia nella mia vita, a prescindere da tutto. Per il resto della nostra vita. Anche se un giorno ci lasceremo, ti vorrò comunque come amico. Perché quello che abbiamo... è incomparabile”

L’emozione che quelle parole gli suscitano si concentra tutta nella gola di Kaneda, formando un groppo. Gli viene da piangere, e la sua voce esce strozzata quando dice:

“Ma domani avrai la cerimonia di...”

“No, ti sbagli. Non ci sarà nessuna cerimonia domani. Non mi accoppieranno proprio con un cazzo di nessuno, perché io e te ce ne andiamo adesso

Non siete autorizzati ad abbandonare il Sistema.

“Sta’ zitto!” ribattono in coro Kaneda e Tetsuo, per poi tornare a concentrarsi l’uno sull’altro. “Allora?” domanda Tetsuo, rafforzando la presa sulle sue mani.

Si fissano negli occhi senza muoversi di un millimetro, come statue in mezzo a un museo. Kaneda sente l’adrenalina scorrergli nelle vene, un ritrovato senso di fiducia scuoterlo dall’interno. O restano e si perdono per sempre, o se ne vanno e forse avranno ciò che vogliono, e di certo la prima non è un’opzione per nessuno dei due. Non avranno un’altra occasione. Ora o mai più.

“Ribelliamoci contro quest’app di merda” decreta alla fine con un sorriso storto. Tetsuo ricambia. Kaneda non crede di essersi mai sentito così vicino a lui come in questo momento.

Il tempo a vostra disposizione è scaduto.

Solo ora ricordano dove si trovano. Si guardano intorno. Il ristorante è sprofondato nel silenzio, e una cinquantina di volti inespressivi li fissano dai tavoli tutt’intorno. Si alzano insieme, mano nella mano, ma mentre muovono i primi passi notano una guardia dirigersi verso di loro con aria minacciosa, il taser in mano.

Tetsuo lascia andare Kaneda e va incontro alla guardia senza timore, e prima che Kaneda possa trattenerlo ha già bloccato il taser con il solo palmo della mano. E non gli succede niente. Non cade a terra in preda al dolore e alle urla. È un po’ come quando ci si rende conto di star sognando e si prende il controllo degli eventi. La guardia si pietrifica come il resto delle persone intorno a loro, e Kaneda e Tetsuo corrono fuori indisturbati.

“E adesso dove andiamo!?” ansima Kaneda una volta raggiunto il bosco al limite del ristorante. Si fermano e si guardano intorno, strizzando gli occhi nel buio della notte. Poi lo vedono. Il muro. Impossibile dire quanto sia alto da dove sono loro.

Tetsuo si volta verso di lui.

“È l’unica” dice.

Kaneda sa che ha ragione, per cui riprendono a correre, dritti attraverso il bosco. Il fatto che nessuno li stia seguendo, se possibile, non fa che aumentare la loro ansia. Più si allontanano dai limiti della città, più la sua mente si affolla di domande. È strano che non portino niente con loro. In effetti, non posseggono niente, né cellulari né documenti né soldi. Dove lavora? E dove lavora Tetsuo? Non ne hanno mai parlato. Eppure niente di tutto questo gli è mai sembrato sbagliato. Non gli è mai sembrato strano.

Arrivati al muro hanno il cuore in gola e nessuna riserva di fiato in corpo, ma non è finita. Non possono fermarsi proprio adesso. Kaneda non ha idea di cosa troveranno una volta arrivati dall’altra parte, ma se c’è una cosa che sa con certezza, è che tutte le risposte sono aldilà di quel muro, e loro lo scavalcheranno insieme.

Tetsuo si volta di scatto verso di lui e Kaneda annuisce. Il minore inizia a salire le maniglie che spuntano dal muro fungendo da scala, con Kaneda subito dietro. Arrivati circa a metà, le luci della città in lontananza si spengono fino a farla sprofondare nel buio, e con esse anche quelle delle stradine che percorrono il bosco e, infine, le maniglie a cui si stanno aggrappando.

Tutto diventa nero, e quando Kaneda riesce a distinguere qualcosa intorno a lui, la prima cosa che fa è voltarsi verso Tetsuo, smarrito quanto lui. Ma le loro mani sono ancora unite, perciò Kaneda non ha paura di niente. Si guarda intorno: è come se galleggiassero in un vuoto nero senza pavimento né un soffitto, un’oscurità di cui non si vede la fine... Ma non sono soli. Ci sono centinaia di altre versioni di loro stessi, tutti uguali ma con vestiti diversi, e fanno esattamente ciò che stanno facendo loro: si tengono per mano e si guardano attorno senza capire. Sopra ognuna delle loro versioni c’è un numero diverso. Solo ora realizzano di averne uno anche loro: 1000.

Le coppie intorno iniziano a sgretolarsi in minuscoli pixel che si alzano in volo. Kaneda non sente più il tocco di Tetsuo, quindi guarda d’istinto fra loro e scopre che le loro mani non esistono più. Si stanno sbriciolando.

“Tetsuo...”, è tutto ciò che ha il tempo di mormorare, mentre si guardano un’ultima volta negli occhi. I loro pixel si uniscono a quelli delle altre coppie in una salita vorticosa verso l’alto, fino ad unirsi per formare un unico messaggio bianco, che spezza l’oscurità:

1000 simulazioni completate.

998 ribellioni registrate.

99,8% compatibile.

 

NOTE
1 Citazione dal copione di Eternal Sunshine of the Spotless Mind (che in italiano si chiama Se Mi Lasci ti Cancello, come sappiamo tutti, ma mi rifiuto di usare quel titolo). Mi è sempre dispiaciuto che questa battuta non sia arrivata al cut finale del film.
2 Se avete visto Pulp Fiction avrete capito i riferimenti, se non l’avete visto PENTITEVI E RIMEDIATE IMMEDIATAMENTE, GRAZIE.
3 Sì, sono Yamagata e Kai ^^ (che tra l’altro io neanche shippo, ma a volte sono carini e secondo me qui ci stava)

Angolo Autrice
Penso sia la fanfiction che ho scritto più a rotta di collo della mia vita, no joke. Ma il fatto è questo: oggi sono due anni precisi da quando ho pubblicato la mia prima fic per questo fandom e volevo
“festeggiare” da sola in qualche modo. E quale modo migliore se non pubblicare altro?
Quindi, quando quattro giorni fa ho finito la fic a cui lavoro ininterrottamente da sei mesi, ovvero 
una multi-chapter AU sempre sulla kanetetsu, mi sono detta: “Ma sì, iniziamo a postare un capitolo a settimana di questa a partire dal 3 ottobre”, e indovinate un po’ cos'è successo il giorno dopo? Mi sono svegliata che volevo scrivere questa, che non c’entrava assolutamente un cazzo. (In realtà l’avevo in programma da mesi, ma quel giorno mi sono svegliata con un’ispirazione assurda e ho dovuto approfittarne)
Vabbuo’, fine del pippone e ci vediamo presto per la suddetta multi-chapter AU.
Cià <3

P.S.: Sì, per la scena in cui Tetsuo scopre di trovarsi in una simulazione mi sono ispirata a Don't Worry Darling e no, i veicoli che li portano in giro non sono davvero golf cart nella serie, ma ci assomigliano un botto e ho deciso di continuare a chiamarli così perché mi faceva ridere.

   
 
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