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Autore: karikeehl    09/10/2023    1 recensioni
"Le iridi fiammeggianti sono ancora più rosse del solito nel rispecchiare il riflesso del tuo impeto interiore.
Sento il tuo respiro affannato sul mio collo e il calore del tuo corpo a contatto con il mio, mentre la tua mano è appoggiata allo stesso muro su cui è spalmata la mia schiena. L’odore denso della nitroglicerina attraversa le narici e mi riempie i polmoni.
Sento lo stomaco contorcersi dai crampi, stretto nella morsa istintiva della paura e dello stupore".
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Ambientata subito dopo l'episodio 03x23 per chi segue l'anime, capitolo 120 (vol. 14) per chi legge il manga.
Sulle note di "Due Vite" di Marco Mengoni, questa one-shot ripercorre il rapporto fra Izuku e Katsuki, proponendo uno spaccato introspettivo (e non) su pensieri e sentimenti di entrambi in seguito allo scontro notturno al Ground Beta.
Prima storia pubblicata dopo 11 lunghi anni di inattività. Quale modo migliore per rientrare in scena se non con una BakuDeku?
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Link al video AMV correlato alla storia nelle note a piè di pagina.
Genere: Sentimentale, Slice of life, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Izuku Midoriya, Katsuki Bakugou
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Kōhei Horikoshi; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

Nota: le battute ufficiali fanno fede all'edizione italiana del manga e sono state riprese dalla traduzione riportata sui volumi editi da Star Comics.


 




Due vite
 
 
 


 
 
 

La luce della luna entra nella mia stanza facendosi largo fra le pieghe delle tende appena mosse dal vento.
Nel suo alone denso e opaco, sembra quasi di poterla toccare, a differenza del mio sonno intangibile che ormai è sfumato via senza che io potessi far nulla.
Girarmi e rigirami tra le coperte non è servito a niente, neanche stavolta.



 
Siamo i soli svegli in tutto l’universo
E non conosco ancora bene il tuo deserto
Forse è in un posto del mio cuore dove il sole è sempre spento
Dove a volte ti perdo, ma se voglio ti prendo



 
Sono almeno tre notti che non dormo.
Non faccio altro che ripensare a quello che è successo.
 
Da dietro le palpebre abbassate, rivivo il ricordo del tuo sguardo colmo di un’emozione taciuta ma dirompente che non so descrivere.
Le iridi fiammeggianti sono ancora più rosse del solito nel rispecchiare il riflesso del tuo impeto interiore.
Sento il tuo respiro affannato sul mio collo e il calore del tuo corpo a contatto con il mio, mentre la tua mano è appoggiata allo stesso muro su cui è spalmata la mia schiena. L’odore denso della nitroglicerina attraversa le narici e mi riempie i polmoni.
Sento lo stomaco contorcersi dai crampi, stretto nella morsa istintiva della paura e dello stupore.
 
Apro gli occhi lentamente e mi rendo conto di avere i denti serrati e i muscoli della mascella così contratti che quasi mi fanno male.
Muovo pesantemente il braccio fin sopra la testa per spostarmi i capelli dalla fronte, permettendo al mio sguardo di alzarsi piano e interrogare il soffitto colorato di un bizzarro riverbero azzurro.
 
Cosa ti è venuto in mente, Kacchan?
Perché lo hai fatto?
Cosa speravi di ottenere?
Pensavi che ci stessi?
Pensavi che sarebbe bastato questo?
Pensavi di farti perdonare così quella battaglia inutile e questa punizione?
Che tutti gli anni di soprusi e cattiverie a cui mi hai sottoposto sparissero in un attimo, solo perché mi hai baciato?
Cosa credevi, di chiedermi scusa?
 
Chiudo gli occhi di nuovo e inspiro, lasciando che l’aria mi riempia i polmoni fino a che non li sento esplodere, nella vana speranza di sostituire l’ossigeno alla sensazione di nitroglicerina al loro interno.
 
Io proprio non ti capisco.
 
Espiro.
 
Tu, che non mi hai mai sopportato e che mi hai sempre guardato dall’alto in basso, ora te ne esci così senza colpo ferire.
Anzi, ferendo eccome.
Non è bastato prenderci a pugni di notte e accanirci sui nostri corpi già pieni di cicatrici; hai poi dovuto per forza infierire anche sulla mia anima.
Ma perché?
Cosa vuoi da me ancora?
 
Inspiro e i miei pensieri volano indietro di diversi mesi, guidati dall’incomprensione e dalla rabbia che ne deriva. Nella mia mente iniziano ad affollarsi decine e decine di ricordi: tonnellate di scene vissute e frasi dette talmente amalgamate fra loro da risultare un groviglio insoluto di dubbi e memoria.
 
"Mi hai sempre preso in giro, vero Deku?"
 
Mi mordo le labbra e stringo le palpebre mentre ripesco quella scena dal pozzo delle reminiscenze.
Ripenso al Ground Beta, alla prima volta in cui ci siamo affrontati ufficialmente in quell’arena; alla prima volta in cui io, un nerd senza quirk, sono riuscito a battere te, che sei sempre stato l’incarnazione della vittoria.
 
"Cosa speri di ottenere? Non provarci nemmeno!"
 
Nonostante esista solo nella mia testa, la tua voce affilata mi graffia le orecchie come se fosse reale e la rabbia mi cresce dentro solo per staccare via a morsi la lucidità dal mio cervello; la sento distintamente farsi strada sotto le ciglia, racchiusa in lacrime che non voglio versare.
 
Eppure tre giorni fa, non ho provato la stessa rabbia, anzi.
Quando mi hai detto di raggiungerti fuori perché mi dovevi parlare, sono stato colto da un sentimento di angoscia tendente al panico, che si è tramutato in qualcosa di diverso nel momento in cui hai aperto bocca. E più andavi avanti nel discorso, più sentivo quel panico trasformarsi in empatia nei tuoi confronti; un contrasto incredibile di sensazioni completamente diverse.
Come sempre.
 
- Accidenti.
 
I condotti lacrimali spingono per entrare in funzione e io inizio lentamente a tirare fuori tutta la confusione che provo dentro.
Mi tiro a sedere sul letto con un colpo di addominali e volgo lo sguardo in direzione della finestra. All’esterno, la luce argentea della luna illumina l’oscurità della notte, nascondendo quasi del tutto la moltitudine di stelle che affollano il cielo.
Sembrano così vicine a noi, eppure sono letteralmente lontane anni luce.
 
E tu, Kacchan, dove sei?
Anche tu sei così lontano, oppure sei sempre stato più vicino di quanto non sembri?
 
"Tu... sei inferiore a me!"
 
L’eco iraconda delle tue parole continua imperterrita a urlare nei miei timpani e il singhiozzo che ne deriva tradisce il peso del senso di impotenza che mi si è instaurato nel petto.
Lo stomaco sembra diventato un nido di vespe che vogliono uscire senza trovare la strada, e una lacrima scende lungo la mia guancia destra. Cerco di asciugarla con il dorso della mano, tentando così -invano- di far desistere le sue gemelle dal fare lo stesso.
 
Ma perché non ci riesco?
Perché ti ho sempre perdonato l’avermi fatto sentire un buono a nulla, dannatamente inutile e insignificante?
Perché non riesco a odiarti, nonostante tutto?
Perché invece devo provare questo calore, questa rabbia magnetica che continua a spingermi sempre più vicino a te, piuttosto che allontanarti?
 
"Permettimi di capire..."
 
Il ricordo dell’espressione adirata del primo scontro al Ground Beta si sostituisce in un attimo a quella affranta dipinta sul tuo volto solo qualche giorno fa nello stesso scenario. Il tuo sincero bisogno di comprensione è ancora vivo nella mia mente, così come quella richiesta di aiuto riflessa nei tuoi occhi sconvolti.
La voragine nel mio petto si allarga a macchia d’olio al solo pensiero della sofferenza che hai taciuto così a lungo, e mi porto le mani davanti alla bocca per soffocare i dubbi interiori che si stanno trasformando in singhiozzi via via più insistenti.
 
Anche io vorrei capire, Kacchan.
Perché devi farmi sentire così? Costantemente in bilico tra il volerci essere per aiutarti e il dovermi esimere dal farlo.
Perché mi è così naturale preoccuparmi per te e cercare di comprenderti?
Perché non posso semplicemente ignorarti, non sentirti, non ascoltarti?
Una parte di me vorrebbe odiarti come se non ci fosse un domani. Sarebbe più facile, e soprattutto, sarebbe normale, dopo tutte le cose mostruose e orribili che mi hai fatto passare.
Eppure non ci riesco.
È più forte di me.
Al contrario, non riesco a non pensare che mettere da parte tutto me stesso sia l’unico modo che ho per starti vicino, la sola strada che mi rimane da percorrere per averti.
 
Allontano i capelli dalla fronte tirandoli indietro con una mano, mentre con l’avambraccio mi asciugo il naso che inizia a secernere muco e sentimenti.
 
Nonostante il mio rifiuto di accettarlo, il peso enorme e scomodo delle emozioni che ho soppresso a lungo si sta facendo largo tra le viscere e preme per uscire come un ammasso d’acqua che spinge contro una diga, pronto a distruggere tutto.
 


 
Siamo fermi in un tempo così, che solleva le strade
Con il cielo ad un passo da qui, siamo i mostri e le fate
Dovrei telefonarti, dirti le cose che sento,
Ma ho finito le scuse e non ho più difese
 

 
Mi guardo intorno alla ricerca di qualcosa a cui aggrapparmi per evitare di essere spazzato via dalla foga dell’onda anomala. Qualcosa che mi dia sicurezza, che conforti il mio pianto instabile e i miei singhiozzi altalenanti.
Che cosa poi, non ne ho la minima idea.
Il mio sguardo indaga la camera del dormitorio nella penombra, posandosi sui mobili scuri e i gadget di All Might: riconosco tra le lacrime il suo poster alla parete e la collezione di action figure sulla mensola al lato del mio letto. Le scruto con gli occhi una per una, fino ad arrivare al volume rilegato in fondo all’asse di legno.
Allungo il braccio inciso dalle cicatrici per afferrare quel libro e la gabbia toracica quasi sembra restringersi attorno al mio cuore martellante.
La copertina recita un titolo che conosco a memoria ormai: “Raccolta di foto ufficiale del più grande Eroe della storia”. Uno dei regali più belli ricevuti per il mio quinto compleanno.
Apro la prima pagina con mano tremante e, quando la grafia della tua dedica sgangherata fa capolino dal frontespizio, la sento.
Quella voce che abita la parte più recondita del mio petto, nient’altro che un sussurro che inneggia alla speranza. Quella voce maledetta, che per anni ho tentato di soffocare senza alcun successo.
 
E se ci stesse?
 
- Sta’ zitta.
 
Le mie corde vocali vibrano cercando di scacciare quel pensiero bruciante e la mia presa sul libro si fa meno solida.
 
E se ti avesse baciato perché gli piaci?
 
- Non può essere.
 
Perché lo avrebbe fatto altrimenti?
 
- No, non può essere, ACCIDENTI!
 
Il grido della frustrazione arriva ovattato alle mie stesse orecchie, mentre sento l’energia espandersi nei muscoli nell’avambraccio. Il One for All entra in circolo in un attimo accompagnato da un fascio di luce verde smeraldo e prima che me ne renda conto ho già scaraventato il volume contro la libreria di fronte al mio letto.
Il rumore sordo delle pagine sul pavimento è solo un’eco lontana nella penombra, un sottofondo di accompagnamento ai singhiozzi sconnessi del mio pianto e al muco che mi scende dal naso.
 
Come posso accettare tutto questo?
Come posso ammettere a me stesso che quello che è successo lo aspettavo da tempo?
Come posso ammettere davanti a te che nel profondo speravo che prima o poi succedesse?
 
Sento la mascella contrarsi e la frustrazione uscire come un sibilo fra i denti, mentre le lacrime continuano a scendere come se facessero a gara fra loro e i capelli mi ricadono in avanti sulla fronte sudata.
 
- A-... ac-cidenti.
 
Mi alzo tremante dal letto solo per accasciarmi a terra. Nascondo la testa al sicuro fra le braccia e le cingo intorno alle ginocchia piegate contro il petto.
 
Come posso tralasciare quello che è successo?
Far finta di niente, dimenticarlo?
Dopo anni in cui ho tentato di nascondere i miei sentimenti, in cui ho provato di tutto per non lasciarmi coinvolgere in questa spirale di sofferenza e di interesse a senso unico, come faccio ad ignorare quello che sento, ad autoconvincermi che sia sbagliato, a ripetermi che lo devo sopprimere?
Come posso continuare a raccontarmi che stare così è normale, che lo so gestire, che va tutto bene e che mi passerà, quando basta un bacio per farmi crollare?
 
 
Siamo un libro sul pavimento in una casa vuota che sembra la nostra
Il caffè col limone contro l’hang over, sembri una foto mossa
E ci siamo fottuti ancora una notte fuori un locale
E meno male
 

 
Mi stringo nelle mie stesse ginocchia nella speranza che soffochino i suoni strozzati che escono incontrollati dalla mia bocca.
Non posso più fermarli, non ho la forza di combattere contro l’onda distruttiva della verità che si infrange sulla diga. Di quella barriera di autoconvinzione che mi sono costruito nel tempo con tanta fatica non rimangono che macerie e polvere.
Mentre tiro su con il naso, immagini di ricordi più o meno confusi continuano ad affollarsi nella mia testa e, ammettendo a me stesso la sconfitta, mi lascio andare alla disperazione senza più alcun filtro.
E piango.
Piango come credo di non aver mai fatto finora.
Piango per dare voce -finalmente- ad anni di maschere e recite, di contrasti interiori che stanno uscendo fuori nel fiume in piena, lacrima dopo lacrima.
Piango perché con quel maledetto bacio tu hai distrutto la mia indifferenza di facciata e hai riportato a galla tutto ciò che ho provato invano ad affogare nelle profondità di me stesso.
 

 
Se questa è l’ultima canzone poi la luna esploderà
Sarò lì a dirti che sbagli, ti sbagli e lo sai
Qui non arriva la musica
 


Urla soffocate.
Singhiozzi.
Muco che inonda le narici, occhi subacquei e viso bagnato.
Come un palloncino bucato, sento uscire acqua ed emozioni da ogni dove.
Non riesco a trattenere più niente ormai.
 
"Ti avevo detto di smetterla di frignare"
 
Le parole che All Might mi riferì quella volta sulla spiaggia arrivano con la leggiadria di una colomba nella mia testa in preda all’inondazione.
Tiro su con il naso, usando i pantaloni del mio pigiama come fazzoletto.
 
- Ha r-ragione… -sniff- …ac-cidenti.
 
Alzo le spalle per asciugarmi gli occhi con le maniche della t-shirt.
Distendo le palpebre, cerco di calmarmi.
La voce della mia coscienza mi richiama all’ordine con tono rassicurante, ma duro al tempo stesso, sostituendo quello smielato e ingannevole della speranza di poco fa.
 
Calmati, Midoriya Izuku.
Respira.
 
Respiro.
 
Allento la presa delle braccia attorno alle ginocchia e sento le fibre tese rilassarsi.
Mi prendo qualche momento per forzare il mio respiro ad un ritmo più regolare e controllato e noto che le lacrime iniziano a scendere a rallentatore.
Espiro.
Lascio che le gambe si distendano sul pavimento. Le braccia in successione cadono morbide al loro fianco, con i dorsi delle mani che si adagiano vicino ai quadricipiti.
Inspiro.
I muscoli del collo spingono indietro la testa pesante e le guance bagnate pizzicano a contatto con il lieve soffio di vento che entra da fuori.
Espiro.
 
Cosa provi in questo momento?
 
Bella domanda.
 
Respiro, constatando con gli occhi ancora chiusi che il barlume della lucidità non tradisce la mia mente analitica neanche in circostanze come questa.
 
Cosa provo?
Sento lo stomaco sottosopra, in hang over, come se avessi bevuto e dovessi rigettare da un momento all’altro.
Sento la testa pulsare dallo stordimento per il pianto neanche fossi ubriaco, e tutto intorno a me sembra confuso, i suoni ovattati.
Sento un peso gravarmi sul petto e fatico nel far entrare abbastanza aria nei polmoni per non essere in affanno.
Sento la rabbia stringermi le viscere e mangiarmi da dentro.
 
Sei sicuro che sia rabbia, Izuku?
 
Mi sembra chiaro!
Non capisco il suo gesto, perché lo avrebbe fatto se non per umiliarmi come fa sempre?
È ovvio che io sia irritato, certo che è rabbia... o forse no?
 
Guardati dentro con sincerità.
 
...
 
La senti, non è vero?
 
...
 
No, non... non è... rabbia.
 
...
 
È... paura.
La paura di aggrapparsi ad una speranza.
 
Spalanco gli occhi di scatto davanti a questa nuova, sorprendente consapevolezza.
 
Ma certo, ho paura.
Paura di illudermi.
Paura di accettare quello che provo per non rischiare di essere scalciato via.
Paura di giocarmi tutto e perdere.
 
Sento la morsa nel petto farsi ancora più stringente e il battito del mio cuore accelera.
 
Ma come ne esco?
Come faccio a vincere la paura?
 
Stringo i pugni e nell’abbassare la testa avverto i capelli cadermi davanti agli occhi, intanto che la disperazione rapidamente prende il posto della sorpresa e richiama a sé le lacrime.
 
Mi sento così piccolo e inutile.
Debole.
Fragile.
Buono a nulla.
Mi sento… un Deku.
 
"Sì, ma voglio essere il Deku che si impegna!".
 
L’eco della mia stessa affermazione mi arriva come una scoccata.
Allungo il collo verso l’alto e la mia testa ruota lentamente verso la porta chiusa della stanza, come se ne fosse magneticamente attratta.
Il mio sguardo viene catturato dalla luce giallognola sotto lo stipite, quasi ad invitarmi ad aprire la maniglia in ottone e affacciarmi all’esterno. Il pensiero che oltre quella soglia possa esserci la possibilità di averti, Kacchan, mi chiama a sé con una forza persuasiva disarmante e spaventosa.
 
Alzati e vai di sopra a parlargli. Trova il coraggio e buttati.
 
Il richiamo suadente e ingannevole della speranza continua ad attirarmi verso l’oblio e io mi porto le mani alle orecchie per non sentirlo, ma non ci riesco.
Per quanto mi costi ammetterlo, so che ha ragione lei.
Vorrei alzarmi, sfondare quella porta, attraversare corridoi e scale di corsa per raggiungerti, abbracciarti, parlarti, dirti che io ci sono -da sempre- e che va tutto bene. Che non importa quello che è successo in passato, che adesso siamo qui e ora, che possiamo risolvere tutto.
Eppure le mie gambe sono immobili al contatto con il parquet e non danno cenno di spostarsi di un millimetro.
 
E se fosse stato un equivoco?
Se mi sbagliassi, se tu non provassi nulla?
Se fosse stato solo un momento di blackout dato dalla tua confusione?
Se diversamente da me tu stessi dormendo sonni tranquilli e ti fossi già dimenticato tutto?
 
Questi dubbi mi incollano a terra e mi tengono fermo.
Immobile.
Bloccato, ancora una volta, dalla morsa della paura.
 
 
E tu non dormi e dove sarai? Dove vai?
Quando la vita poi esagera
 

 
"Deku..."
 
Nonostante le mani mi coprano i timpani, sento nitidamente la tua voce che mi chiama dai meandri dei miei ricordi.
Che poi, se ci penso, in questi pochi mesi che abbiamo passato allo Yuei, è cambiato tutto e non è cambiato niente.
Noi siamo sempre noi, così come lo è il nostro rapporto: una molla impazzita che si allunga e si contrae periodicamente nel bilanciare il tuo orgoglio e la mia stima.
 
Quando eravamo piccoli, eravamo buoni compagni di giochi.
Poi, quando iniziammo la scuola, da un momento all’altro iniziasti a prendermi di mira: battute, colpi, prese in giro, esplosioni al solo scopo di spaventarmi e farmi piangere. Ci soffrivo, ma ho sempre fatto buon viso a cattivo gioco perché tu eri il mio idolo, Kacchan, e io ti perdonavo tutto. Quasi ci avevo fatto l’abitudine dopo un po’, troppo forte era la mia ammirazione nei tuoi confronti.
Ho sempre saputo che non sei cattivo, che gli insulti e i soprusi che mi riservavi alle medie erano solo frutto del tuo caratteraccio, alimentato dalla fiamma dell’orgoglio di chi sa di essere il migliore e vuole dimostrarlo a tutti i costi. Tutt’ora sono convinto che dietro la tua maglia metallica da duro e le tue urla aggressive c’è un’autentica anima da Hero, quella di chi non si ferma di fronte a nulla e continua a spingersi in avanti per superare ogni limite.
Ti ho sempre ammirato perché hai avuto tutto dalla vita e, nonostante questo, non ti sei mai adagiato sugli allori e hai continuato a puntare in alto. Hai avuto un quirk potente e lo hai reso fenomenale sperimentando; hai un’intelligenza fuori dal comune e l’hai resa ancora più acuta combattendo; hai un fisico invidiabile e lo hai modellato fino a renderlo perfetto allenandoti giorno dopo giorno.
Sei una forza della natura Kacchan, lo sei sempre stato.
Sei tutto quello che avrei voluto e che vorrei essere anche io.
 
 
Tutte le corse e gli schiaffi, gli sbagli che fai
Quando qualcosa ti agita
 

 
La verità è che io non mi sono mai sentito alla tua altezza.
Nonostante sentissi qualcosa crescere in me con il passare del tempo, mi sono sforzato di dirmi che fosse solo normale ammirazione e che era tutto sotto controllo.
Eppure, più cercavo di ignorare quelle sensazioni, di rispedirle nel nulla da dove erano venute, e più il pensiero di te si affacciava prepotente nella mia mente ogni volta che ne aveva l’occasione.
Ma io non volevo cedere.
Volevo continuare a far finta di niente, che i miei sentimenti per te non esistessero, soprattutto dopo il nostro primo scontro al Ground Beta. Dopo anni di allontanamento, infatti, hai iniziato a guardarmi in modo diverso e quel lieve cenno di rispetto che finalmente animava i tuoi occhi quando mi guardavi era tutto ciò a cui aspiravo da sempre.
Non avevo alcuna intenzione di rinunciarvi e tornare nell’oblio.
Perciò ho perseverato nel non ascoltare le mie grida interiori; per evitare di cadere in quel tunnel buio e profondo, in cui la speranza tentava di instillare in me il dubbio che se mi fossi aperto avrei potuto perdere tutto e tu saresti stato di nuovo distante anni luce.
 
È inutile che continui a immolarti per nasconderlo, Midoriya Izuku.
Non ha più senso fuggire ormai.
 
Accompagnata dai miei stessi pensieri, una lieve folata di vento mi raggiunge, muovendomi appena i ricci davanti agli occhi e portando con sé il denso profumo dei fiori di gelsomino dell’albero fuori dalla finestra.
Gonfio i polmoni in un sospiro ripensando a quanto a lungo io abbia cercato di scappare davanti all’evidenza dei fatti.
Sento i muscoli facciali contrarsi in un sorriso che sa di amarezza, compassione quasi.
 
Nel corso dei mesi le ho provate tutte.
Ti sono stato vicino per essere parte della tua vita, anche solo da lontano.
Vedendo che mi respingevi, ho preso le distanze e ho cercato di starti alla larga quanto più possibile.
Ma neanche così ho messo a tacere i subbugli che prendevano vita nel mio stomaco ogni volta che mi fissavi, accendendo con i tuoi occhi di brace quella fiamma nel petto che mi ha cotto a tal punto da bruciarmi.
Così ho continuato a vivere in questo limbo demoniaco, combattuto tra il fare un passo verso di te e il tenerti a distanza per paura che potessi allontanarmi ancora di più.
Alla fine ho scelto di sopprimere i miei sentimenti, ignorarli, e lasciare a Kirishima il compito di diventare un supporto per te ed essere la tua spalla. Ero stremato dalla lotta interiore e non sapevo più che pesci prendere; speravo che la sua presenza interposta fra noi potesse essere un deterrente, così da non essere tentato dal cercare qualsiasi contatto con te, a meno che non fosse limitato e superficiale.
E ci stavo anche riuscendo, fino a che tre giorni fa non mi hai baciato.
Così, dal nulla, senza un apparente motivo.
Mi hai sbattuto con veemenza contro la parete del corridoio fuori da questa stanza e in un attimo le tue labbra hanno catturato le mie come se tu avessi bisogno di ossigeno ed io fossi la tua unica bombola d’aria.
 
Perché, Kacchan?
È stato solo un momento di debolezza dovuto al discorso di All Might o è stata la rabbia per la punizione di Aizawa-sensei?
Volevi farmela pagare per il One for All umiliandomi in questo modo?
O c’è dell’altro?
Che dovrei fare adesso secondo te?
Come dovrei reagire?
Cosa dovrei pensare?
 
Buttati.
Questa è la tua occasione per dimostrare quanto vali.
 
Istintivamente mi sfioro il labbro inferiore con la punta delle dita, mentre i miei occhi continuano a fissare la sottile riga luminosa sotto lo stipite.
 
Forse ha ragione lei; in fondo, sei stato tu a baciarmi.
Non è forse un mio diritto sapere perché l’abbia fatto?
Magari se ne parlassimo, io potrei capire il motivo del tuo gesto e con tutte le carte in gioco potrei pensare a come potremmo muoverci di conseguenza per chiarire questa cosa e risolverla.
Dopotutto, che sia stato per ripicca, per invidia, per umiliarmi o per dimostrare qualcosa, qualsiasi emozione tu abbia voluto esprimere, anche io ci sono dentro e ho il diritto di sapere la verità; lo devo a me stesso e alla mia anima, martoriata dalle mie stesse assurde imposizioni.
 
Chiudo gli occhi e rivivo nella mia mente i frame di quella scena per l’ultima volta.
Sento il calore espandersi dalla gabbia toracica lungo tutto il corpo nel ricordo dei tuoi occhi che mi fissano e che in un attimo accendono tutte le sensazioni che provo dentro.
 
Dopotutto, sei un Hero, no?
Allora sii l’Hero di te stesso: combatti questa battaglia e vinci la tua paura.
 
Sbatto le palpebre e sospiro.
La luce soffusa della luna rimbalza sulla libreria in fondo alla stanza, inglobando le pareti e dissolvendo il suo colore opaco nella tonalità calda della soglia sotto la porta.
Il libro è ancora sul parquet, a pochi passi dal mio polpaccio disteso a terra.
 
Forse doveva andare così.
Forse il destino ha sempre voluto che fosse All Might ad avere la chiave del nostro rapporto sin dagli albori; l’ammirazione per lui ci ha uniti quando eravamo bambini e il segreto a tre che custodiamo continua a legarci ora che siamo più grandi.
Forse il mio quirk non era la sola cosa di cui avremmo dovuto parlare l’altra sera.
Dopotutto, la verità è venuta fuori tutta in una volta per entrambi: la tua insicurezza e il mio One for All, la tua ammissione del senso di colpa che provi e la mia accettazione delle emozioni che ho sempre represso.
Coerente alla tua indole aggressiva, ti sei avvalso di una rissa per mettere in luce i tuoi sentimenti e fare chiarezza nella tua interiorità.
Ora è il mio turno di essere coraggioso allo stesso modo e di affrontare i miei dubbi comunicandoli a cuore aperto e cercando di capire quale sia il prossimo passo da fare.
Sì, è questa la cosa giusta da fare.
 
Lascio che questi pensieri mi scavino dentro e si compattino con la mia sicurezza.
Allungo una mano per raccogliere il libro dal pavimento prima di rimettermi in piedi; il sorriso smagliante del Number One Hero impresso sulla carta è il riflesso della decisione che sento stamparsi sul mio volto.
 
Sì, c’è decisamente qualcosa di cui anche io ti devo parlare.
 
 
Tanto lo so che tu non dormi, mai
Che giri fanno due vite

 
 
 
***
 
 
- Ma che cazzo.
 
Il vento notturno pizzica la pelle delle mie braccia scoperte e si insinua fra i miei capelli finissimi.
Sento un brivido partire dalla nuca e scendermi lungo la schiena, fino a sparire nel cemento su cui sono seduto.
Fa un cazzo di freddo stasera. Come faceva freddo ieri e il giorno prima ancora.
Ma non me ne fotte.
Ho ben altri problemi adesso, decisamente più gravi.
Tipo la mia ultima stronzata.
In compenso però ho scoperto che il silenzio assordante del terrazzo del dormitorio è la migliore arma che ho per combattere i pensieri che si urlano contro a vicenda. Stare quassù e vedere le luci della città sotto di me mi dà un senso di pace e lontananza dal mondo. Mi permette di scappare, anche solo per qualche ora, e di essere ancora più solo di quanto non sia normalmente.
 
Bevo un sorso di Monster e mi concentro sul sentire la birra che mi scivola lungo l’esofago, come se potesse scrostare via i dubbi che mi si sono attaccati dentro e non mi lasciano da giorni. Anzi, da mesi.
 
- Fottuto Deku.
 
Sollevo lo sguardo dalla lattina stretta nella mia mano destra fino ad incontrare la luna piena.
Cazzo, è davvero enorme stasera; sembra dover esplodere da un momento all’altro, e mi fissa.
La sua aura di potenza mi inchioda al pavimento e la sua luce bianca mi raggiunge come una spada troppo affilata. La sento trafiggermi il petto, raggiungere quell’ammasso di fibre che chiamano cuore e penetrarvi con violenza per affacciarsi nel groviglio di caos che c’è dentro.
Un posto in cui non dovrebbe mai entrare nessuno, forse neanche io stesso, e che la bastarda sta facendo suo senza tanti complimenti.

 
Siamo i soli svegli in tutto l’universo
A gridare un po’ di rabbia sopra un tetto
Che nessuno si sente così
Che nessuno li guarda più i film
I fiori nella tua camera, la mia maglia metallica
 

 
Sento l’umidità della notte scendermi nelle ossa mentre i pensieri mi pungono il cervello come spilli.
 
Quanto cazzo vorrei uscire dalla mia testa in questi momenti.
Andare lontano, dove non posso sentirli, dove il suono delle mie emozioni rimarrebbe impercettibile piuttosto che essere impostato su questa vibrazione che puntualmente mi scuote la schiena.
E invece col cazzo.
Non faccio altro che rivedere lo stesso momento in loop, nonostante siano passati giorni.
Non è servito a niente tentare di ignorare il ricordo che ogni 27 secondi mi torna in testa, tantomeno continuare a berci su.
 
Ma che cazzo mi è saltato in mente?
Come ho potuto cedere così?
Che cazzo avevo in testa?!
Porca di quella puttana ladra.
 
Stringo i denti mentre l’alluminio della lattina inizia a contorcersi sotto la presa ferrea della mia mano.
Ripenso a quei tuoi occhi verdi che mi fissano e un altro brivido mi fa vibrare le vertebre percorrendo la colonna. Sento il sudore sfrigolare sotto i palmi e le tempie iniziano a pulsare come un martello pneumatico.
 
È stato solo un momento di debolezza, Katsuki.
Niente che non si possa sistemare.
 
Faccio entrare aria nei polmoni, cercando di darmi un contegno e forzandomi nel controllare il mio respiro.
 
- Tsk, un momento di debolezza col cazzo.
 
Le mie corde vocali vibrano gravemente in risposta alla voce che mi risuona in testa.
Sento il cuore pulsare sangue e ira a ritmo accelerato e mi aggrappo alla lattina con forza crescente.
 
- ...col cazzo.
 
Non esistono momenti di debolezza, non per me.
 
Eppure è esattamente così che lui ti fa sentire.
 
- COL CAZZO!
 
Un boato a sopprimere il grido della collera uscito di scatto.
Spalanco gli occhi per inerzia solo per vedere scivolare via dalla mia mano quello che resta della lattina appena esplosa.
Il mio respiro è puro affanno, ben lontano dall’essere controllato.
Mi passo una mano tra i capelli e quasi spero che sorregga il peso della mia testa, grave quanto il tono delle parole che ho appena sputato fuori con rabbia.
Vorrei urlare, vorrei tirare fuori tutto questo schifoso marasma che mi pesa sullo stomaco, ma non è roba per me. Non sono mai stato bravo a capire cosa mi bolle in pancia, manco fosse una cazzo di pentola a pressione.
Odio questi momenti di caos, non li so gestire.
 
Alzo lo sguardo e riverso sul cielo tutta la confusione e la frustrazione che stanno evadendo dalla mia armatura di aggressività protettiva.
Se la luna esplodesse, magari farebbe piazza pulita di questo fottuto casino.
 
- Tsk, maledetto Deku.
 
Perché devi farmi sentire così?
Vulnerabile.
Attaccabile.
Fragile.
Perché tu, un cazzo di sassolino, puoi avere il potere di entrarmi dentro con così tanta facilità e vedere con un solo fottuto sguardo tutto ciò che io tento di nascondere?
Tu che sei nato senza quirk e che non eri nessuno, ora sei l’erede del Number One Hero, il nuovo possessore del One for All.
Come posso accettarlo?
Che cazzo hai in più di me?
 
Tutto, Katsuki.
Lui è tutto quello che tu fuggi da sempre, e lo sai.
 
- ‘sta zitta, brutta stronza!
 
Scaglio il cadavere della lattina il più lontano possibile nel vano tentativo di lanciar via con essa anche questa voce asfissiante che mi tartassa il cervello e mi costringe a pensare.
 
Prima o poi dovrai ammettere quello che senti.
Non potrai scappare per sempre.
 
- Tsk, fatti i cazzi tuoi.
 
Stizzito, chiudo le palpebre per allontanarmi da tutto, ma le luci della città vengono sostituite dai ricordi dei fatti di Kamino che mi si snodano davanti agli occhi come una vecchia pellicola.
 
La verità è che in fondo so che la stronza ha ragione.
Se solo mi fossi controllato, tutto questo non sarebbe mai successo.
Se avessi gestito con più lucidità la mia rabbia al Festival dello Sport e avessi accettato la vittoria contro il bastardo a metà, quelle merdacce dei Villain non mi avrebbero messo gli occhi addosso.
Se fossi stato più veloce durante lo scontro al ritiro nei boschi, saremmo tornati tutti a casa incolumi.
E se non mi fossi fatto prendere come ostaggio, non avrei costretto quel boss pazzo scocciato ad uscire allo scoperto e All Might avrebbe evitato quella battaglia.
Se fossi stato più forte, lui sarebbe ancora il Simbolo della Pace e l’Unione sarebbe stata presa; invece ha dovuto ritirarsi e rinunciare alla sua carriera di Hero.
Tutto per colpa mia.
 
Sento una lacrima rigarmi la guancia sinistra e mi affretto ad asciugarla con l’estremo della canottiera, mentre una folata di vento e foglie mi raggiunge con impeto improvviso, accompagnata da un profumo dolciastro che mi è fin troppo familiare.
 
Tutto questo non sarebbe successo se io non fossi stato così... così...
 
Avanti, dillo.
 
- ...debole.
 
Avvicino le ginocchia al petto e le cingo con le braccia per nascondervi il viso.
Una sola parola.
Tutto il senso di colpa che mi sta avvelenando da tempo espresso in poco più di un sussurro.
Sento il mugolo di sentimenti denigratori prendere forma sotto le ciglia e in un attimo i miei occhi si riempiono d’acqua. Stringo la mascella, scopro i denti; l’odore di gelsomino intanto continua a infastidirmi e le lacrime iniziano a scendere veloci fino al mento.
 
È a causa della mia debolezza che All Might si è ridotto ad un insetto rachitico e informe.
Se l’avessi riconosciuta, se l’avessi ammessa a me stesso e quindi controllata, tutto questo non sarebbe successo.
 
"Questo non è colpa tua".
 
Il ricordo della sua voce tenta di alleggerire il peso delle emozioni aggrovigliate che spingono alla bocca dello stomaco.
Un misto di rabbia, delusione, rassegnazione.
È normale sentirsi così, fottutamente inerme?
Perché ho questa sensazione di inutilità addosso?
È come se non potessi fare altro che lasciarmi andare a qualcosa di più grande che non posso controllare, e questo mi manda in bestia.
Sulla scia delle sue parole, ripenso a quella scena e a come la verità sbattutami in faccia dal mio mito si sia cicatrizzata nella mia scatola cranica, indelebile.
 
"...il modo in cui tu, giovane Bakugo, avevi paura della forza di spirito di Midoriya..."
 
Tiro su con il naso e nell’aprire gli occhi umidi noto alcuni petali bianchi sul pavimento alla mia destra, mentre quel maledetto profumo intenso mi pizzica le narici. Lo stesso che si sente al secondo piano del dormitorio e che riempie l’aria ogni volta che compare in giro quell’ammasso di capelli verdi.
Prima o poi quel cazzo di albero di gelsomino fuori dalla camera 02 lo farò saltare in aria e magari questo fottuto odore smetterà di perseguitarmi ovunque.
 
Così come il pensiero di lui.
Non ti pare, Katsuki?
 
La mia voce in risposta a quella stronza della mia coscienza si perde nell’aria fredda della notte, udita solo dal vento e dai rami dell’albero prossimo all’esplosione, posto poco più in basso.
 

 
Siamo un libro sul pavimento in una casa vuota che sembra la nostra
Persi tra le persone, quante parole senza mai una risposta
E ci siamo fottuti ancora una notte fuori un locale
E meno male
 

 
- Tsk, maledetto Merdeku.
 
In effetti, è da mesi che i miei pensieri su di te si inseguono facendosi le pippe a doppia mano a vicenda.
Sospettavo che ci fosse qualcosa che mi sfuggiva nel rapporto fra te e All Might e non sono rimasto sorpreso dal suo silenzio quando gli ho chiesto spiegazioni.
Anche se in realtà, pensandoci bene, è cominciato tutto molto tempo prima.
 
Dal primo incontro al Ground Beta.
Da quando mi hai battuto con quel tuo nuovissimo potere del cazzo che avevi tenuto nascosto a tutti.
Già vederti usare quella forza durante la prima esercitazione con la classe mi aveva mandato su di giri, ma provarla poi sulla mia stessa pelle mi ha fatto diventare letteralmente una bestia.
Nessuno doveva - e deve - permettersi di farmi fare la figura dell’idiota, soprattutto tu, che te ne sei uscito con un quirk così potente dal nulla e mi hai fatto passare per un coglione. Il solo pensiero di essere stato preso in giro così a lungo è stato un colpo troppo basso per il mio orgoglio.
Non potevo passarci sopra, col cazzo proprio.
Durante quello scontro, ero talmente incazzato e concentrato sul farti a pezzi che ho perso lucidità. Avevo la certezza di batterti (era impensabile aspettarsi il contrario) e sentendo la rabbia crescere dentro non mi ero accorto che la mia testa si fosse appannata a tal punto da farsi fottere dalla mia emotività. Ho combattuto senza ragionare, seguendo solo lo scatto d’ira, e l’ho pagata con la sconfitta. Se non mi fossi fatto fregare dal cieco impulso di distruggere tutto, sicuramente avrei vinto perché in fatto di potenza ero nettamente superiore. Ma tu con i tuoi ragionamenti da nerd del cazzo hai analizzato la situazione come tuo solito e mi hai battuto con acume usando le mie stesse mosse.
Cazzo, ancora mi rode se ci ripenso.
Quella è stata la prima volta in cui hai vinto in uno scontro alla pari e io non riuscivo a credere di aver perso così contro una nullità; nella mia testa era semplicemente inconcepibile.
Tu eri solo un sassolino sulla mia strada, ma a partire da quel momento hai cambiato tutto.
 
Nelle settimane successive mi sono chiuso in me stesso e mi sono interrogato a lungo su cosa non avesse funzionato.
Mi sono posto delle domande e, osservando le altre comparse che mi giravano intorno, ho iniziato a capire che non sono il solo ad essere forte, che anche io devo impegnarmi per vincere e che devo lottare per essere il migliore.
Ed è esattamente ciò che ho fatto.
Ho razionalizzato la sconfitta e indirizzato la collera verso il mio sogno: la vittoria schiacciante contro chiunque avessi davanti, perché solo così avrei potuto dimostrare di essere il migliore.
Ma per quanto fossi focalizzato e sicuro del mio obiettivo, la possibilità di essere sconfitto non si è mai affievolita del tutto. Il pensiero che qualcun altro potesse cogliermi impreparato ha continuato ad essere un chiodo fisso nella mia testa e accompagnava i miei pensieri costantemente, quasi come una nota di basso in background.
 
A lungo mi sono impegnato per sradicare l’insicurezza che mi alberga dentro da quando ero bambino.
Ho dovuto soffocarla, impedirle in ogni modo di trovare terreno fertile, perché gli eroi vincono contro tutto e tutti, senza sintomi di debolezza o incertezza. Per questo le ho costruito attorno una corazza: è la mia maglia metallica da guerriero, ciò che mi serve per impedirle di raggiungere la luce ed essere visibile agli altri.
Tu invece con quella singola vittoria non solo hai permesso a quel seme di mettere radici, ma gli hai dato anche l’opportunità di germogliare, esattamente come stavi facendo tu stesso con il tuo nuovo super quirk.
E più ti guardavo crescere e migliorarti, più mi sentivo perso ed entravo inevitabilmente in contatto con quella parte di me che volevo nascondere.
Ho giurato che non avrei permesso a nessun’altro di cogliermi impreparato e di battermi come avevi fatto tu ed è stato con questa convinzione in testa che ho gareggiato al Festival dello Sport. Era ovvio che fossi imbestialito a merda quando quello stronzo di Metà e metà mi ha lasciato vincere senza il minimo sforzo; contro di te aveva usato la sua massima potenza, mentre con me si è a malapena scomposto. In quelle condizioni, come avrei potuto dimostrare di aver vinto una battaglia al pari di quella che avevi combattuto tu? È stata una vittoria inutile, senza significato.
Di nuovo, qualcuno si stava prendendo gioco di me e io col cazzo che lo avrei permesso ancora.
Piano piano mi stavo rendendo conto di quanto tu stessi prendendo il largo, e più ti vedevo andare avanti e prosperare e più quel fottuto germoglio di dubbi continuava a sbattere sulla mia armatura, finendo inevitabilmente per creparla.
Ho perseverato nell’allenarmi e nel concentrarmi sui miei punti forti e al ritiro speravo di poter dare finalmente una svolta a questo inseguimento e dimostrare quanto anche io fossi cresciuto.
Ma quando l’Unione mi ha portato via da quel bosco, tutta la mia apparente sicurezza mi si è ritorta contro e la crepa ha definitivamente iniziato a cedere.
Ho capito che non ero affatto forte, che non avevo la capacità fisica per resistere a lungo come ostaggio, che dovevo mostrarmi sicuro e spaccone perché solo fingendo ne sarei uscito. Ho continuato a nascondermi dietro un atteggiamento prepotente e anche dopo essere tornato allo Yuei mi sono aggrappato alla mia aggressività come scudo contro chiunque.
Contro chi faceva un passo verso di me, come quell’idiota di Capelli di merda.
Contro me stesso e tutto ciò che rifiutavo.
Contro quel casino che avevo dentro che tu avevi creato e che io non potevo accettare perché avrebbe significato ammettere di non essere forte abbastanza.
 
D’altra parte è sempre stato così: osannato da tutti per il mio talento e per la mia unicità da quando ho memoria.
Io ero il più abile dei bambini della classe, il più bravo della scuola, il più forte agli occhi di tutti. Chi mi stava intorno lo faceva per spavento o per venerazione, ma nessuno mai si è fermato a capire cosa ci fosse oltre la mia distruzione esplosiva, a chiedermi come stessi o cosa sentissi.
Sulla scia delle ovazioni di tutti i miei coetanei e degli adulti che mi guardavano, mi sono riempito gli occhi di ovazione riflessa e mi sono convinto che avrei potuto fare qualsiasi cosa nella vita, perché io ero Katsuki Bakugou, io avevo un quirk potentissimo, io sapevo leggere i kanji a quattro anni, io potevo tenere testa ai bambini più grandi, io ero superiore agli altri e pertanto io non potevo mostrami debole o ferito davanti a tutti quelli che avevano aspettative su di me.
 
Tutti, a parte te.
Un fottuto nerd del cazzo.
Un ragazzino qualunque nato senza quirk che non faceva altro che guardarmi con quei cazzo di enormi occhi verdi che sembravano scrutarmi l’anima per ricordarmi che anche io ero umano e che avevo bisogno di aiuto.
Non ho mai sopportato il tuo sguardo perché mi ha sempre fatto sentire così: umanamente debole.
Quella tua fottuta gentilezza e il tuo bisogno viscerale di aiutare tutti sempre e comunque mi mandano ai pazzi perché è qualcosa che io so che non potrò mai avere.
 

 
Se questa è l’ultima canzone poi la luna esploderà
Sarò lì a dirti che sbagli, ti sbagli e lo sai
Qui non arriva la musica
 

 
- Se vi manca una di queste due qualità, non riuscirete ad attenervi al vostro senso di giustizia in quanto eroi...
 
Le parole di All Might rompono il silenzio nel buio della notte ed escono fuori dalla mia bocca senza che me ne accorga. Il tono basso della mia stessa voce mi riecheggia in testa come un mantra, mentre mi struscio un polso sulla guancia che trovo sorprendentemente asciutta.
Chissà quando ho smesso di piangere.
Allungo le gambe sul pavimento freddo e mi concentro sui muscoli che si distendono. Anche le mie dita si schiudono e mi ritrovo a fissarmi i palmi luccicanti di sudore.
 
Perché devi farmi provare tutto ciò?
Questa sensazione di inadeguatezza mista a spavento che lievita nello stomaco ed esce come collera e che non riesco a gestire.
Eppure, mi hai sempre fatto sentire così.
Sin da quella volta a quattro anni.
Da quando avevo il culo a mollo nell’acqua gelida e tu tendesti verso di me la tua manina da lattante.
Tremavi come una foglia, cazzo. E non solo fosti l’unico a farti avanti, ma eri più preoccupato per me di quanto io non fossi per me stesso.
All’epoca non avevi niente: non avevi una unicità, non avevi un padre, non avevi una comitiva, non avevi amici. Avevi solo un sogno e questo bastava a farti andare in giro con un cazzo di sorriso sempre stampato in faccia e quella stramaledetta gentilezza che non ho mai sopportato.
E fu così anche in quell’occasione: non avevi alcun motivo per scendere in quel dirupo, né un potere che te lo rendesse facile, ma la tua forza d’animo te lo impose ugualmente.
Il tuo sincero interesse ti si leggeva negli occhi e io in quel momento mi sentii così fragile, spogliato della mia aura da supereroe, così costruito davanti alla spontaneità del tuo altruismo.
Quella fu la prima volta in cui entrai in contatto con la mia insicurezza.
La vidi riflessa nei tuoi occhi decisi mentre mi porgevi la mano tremante per tirarmi su dall’acqua, e da quel momento ho fatto di tutto per sotterrarla e nasconderla dietro una maschera di superiorità e menefreghismo.
 
Con il tempo, ho scoperto che ricorrendo all’aggressività potevo tenere lontano chiunque.
È sempre stata questa la mia tecnica e finora non ha mai fallito, né con quei bastardi dei miei vecchi, né con quelli che mi si avvicinano troppo o che mi rompono le palle.
Un’equazione semplice: io urlo e loro spariscono.
Io sbraito e loro si tengono alla larga.
Io vomito furia e loro si levano dal cazzo.
Tu no.
Proprio tu, che eri (e sei) la causa di tutto questo bordello.
Nonostante i pugni, nonostante gli insulti, nonostante le esplosioni che ti facevo detonare intorno per spaventarti e allontanarti, tu eri sempre lì.
Una cazzo di zavorra appicciata al mio culo da bambino prodigio.
Qualsiasi cosa ti facessi o ti dicessi, tornavi sempre; ovunque andassi, mi stavi attaccato alla schiena, e più io cercavo di tenerti emotivamente lontano infierendo sul tuo corpicino stentato, più tu trovavi il modo di starmi addosso.
 
Ma che cazzo ti diceva il cervello eh, Deku?
Cosa cazzo c’è in te che non funziona a dovere?
 
Per quanto mi ci impegni e ci provi, non mi sono mai spiegato perché non sia riuscito ad allontanarti nonostante la mia rabbia esplosiva.
Almeno fino all’altra sera, quando ti ho battuto al Ground Beta.
Solo dopo aver vinto ad armi pari contro di te e il tuo magnifico One for All, ho capito il motivo per cui ti ho sempre tenuto distante: i tuoi cazzo di occhi verdi che mi scrutano l’anima.
Quelle iridi enormi sono le uniche al mondo che guardandomi mi fanno sentire scoperto, completamente denudato di tutti gli strati di protezione della mia maglia metallica.
E anche in quel momento, in cui eri sconfitto e ferito in mezzo alla polvere e alle macerie, nonostante ti avessi provocato per avere battaglia, i tuoi occhi hanno continuato a fissarmi animati da quella forza d’animo che odio perché so che non mi appartiene.
Così come non mi appartiene il tuo cuore da eroe, sempre pronto per tutti, compreso me.
Per questo non ho mai sopportato il tuo sguardo: riuscivo a sentirlo rompere tutte le mie barriere, scendere nelle profondità per salvarmi da me stesso, fino a sfiorare quelle corde che neanche io volevo vedere. Che coprivo ed ignoravo pur di non entrarci in contatto, e che tu scopri ogni volta che mi guardi, facendomi toccare con mano tutta quella insicurezza celata che mi fa sentire come non avrei mai voluto ammettere.
Debole.

 
E tu non dormi e dove sarai? Dove vai?
Quando la vita poi esagera
 

 
Le luci degli edifici in lontananza ormai sono spente da un pezzo.
A farmi compagnia sono rimasti solo i lampioni delle strade più vicine e il bubolare di un guro in sottofondo.
Chissà che ore sono.
Mah, non che me ne freghi un cazzo, se non fosse che ho il culo ghiacciato come le palle di Todoroki.
Punto i piedi sul grezzo pavimento del terrazzo e faccio leva sulle caviglie per alzarmi da terra.
Il vento mi avvolge in tutto il mio metro e 72 e sento la pelle delle braccia farsi ruvida sotto l’aria fredda della notte. I capelli si muovono un po’ prima di ricadermi davanti agli occhi.
 
Hai trovato le risposte che cercavi?
 
La mia coscienza mi richiama al presente.
Stringo i pugni e rivolgo lo sguardo alle punte dei piedi.
 
- Tsk, non ho intenzione di assentire a tutto questo.
 
Lo hai già fatto, Katsuki.
Hai già ammesso a te stesso quello che provi. E con quel bacio, che tu voglia o no, lo hai fatto inequivocabilmente anche davanti a lui.
 
Serro le palpebre e la mia testa ruota di scatto verso sinistra, come a voler negare questa ovvietà.
 
Eppure la stronza ha ragione, di nuovo.
Ormai è inutile continuare a ignorare quello è successo o a raccontarsi che sia stato un caso.
Al contrario, devo trovare il modo di rimediare e fronteggiare i miei demoni a muso duro.
 
Prenditi il tuo tempo, non avere fretta.
Tutto ti sarà chiaro al momento opportuno; solo allora capirai e sarai pronto per il confronto.
 
- Tsk.
 
Sbuffo.
Mi ficco le mani in tasca e giro i tacchi puntando alla porta della torretta, diretto verso la mia stanza.
Lancio un’occhiata veloce alla luna ancora inesplosa e imbocco le scale per tornare al piano di sotto, mentre nella mia testa i frame della scena che mi tortura da giorni si susseguono, facendomi rivedere questo film ancora una volta.
 

 
Tutte le corse e gli schiaffi, gli sbagli che fai
Quando qualcosa ti agita
 

 
***
 

 
"- H-hey Kacchan...
Il suono della tua voce rimbomba forte e chiaro nelle mie orecchie.
 
- Che altro vuoi, Deku?
- Tutto bene? Ti senti meglio ora che ci siamo chiariti?
- Smettila di preoccuparti nerd.
 
Ti avvicini, le tue dita raggiungono il mio avanbraccio mentre stiamo prendendo il corridoio del secondo piano del dormitorio.
 
- È solo che mi sembri agitato...

Mi libero rapido dalla tua presa; senza pensare, afferro il collo della tua maglia sudata e ti strattono contro il muro, dove appoggio la mano destra poco più in là del tuo viso. Il mio sguardo è rivolto in basso.
 
- Ti ho detto di smetterla.
 
Spingo il tuo corpo appena tremante contro la parete.
Una strana sensazione mi stringe lo stomaco e le dita iniziano a formicolare.
 
- Anche se All Might ti ha ceduto il suo quirk non significa che tu sia migliore di me. Abbiamo lottato per questo, e io ho vinto.
 
Sento entrarmi nel naso un misto di odori e profumi fatto di sudore, gelsomino, menta e nitroglicerina, mentre il tuo petto si muove rapido contro il mio. Di colpo le mie gambe si fanno incredibilmente molli e scarico tutto il peso sulla mano appoggiata alla parete per non crollare a terra.
 
- Mi sembra di essere stato piuttosto chiaro, o sbaglio nerd?
 
Il tuo respiro affannato mi muove appena i capelli sulla fronte.
I nostri volti sono a pochi centimetri.
 
- S-sì, è che mi sembri ancora un po’ sconvolto e volevo essere certo che fosse tutto a posto...!
 
Alzo lo sguardo e trovo i tuoi occhi verdi che mi fissano.
Due iridi enormi, piene di ansia, determinazione, gentilezza, curiosità.
Una punta di paura, forse.
E di attesa.
 
È un attimo.
 
La mia bocca prende la tua, assetata del sapore delle tue labbra.
Sono morbide e sottili, sanno di pasta dentifricia alla menta.
Avverto le tue mani sulla mia cassa toracica in un timido e vano tentativo di allontanarmi, ma io sono un fiume in piena.
La mia testa è completamente vuota, incapace di formulare un pensiero logico che non sia quello di averti.
Sento il petto esplodere, il cuore martellare come impazzito, il cavallo dei pantaloni incredibilmente più stretto e le gambe sempre più instabili, ma non cedo.
I miei incisivi mordono appena il tuo labbro inferiore così morbido e sotto di me sento distintamente tutti i tuoi muscoli tesi dalla paura e dallo stupore che si lasciano completamente andare.
La mia lingua scavalca la barriera dei tuoi denti, trova la tua, la accarezza, vi si intreccia, la prende, è sua.
La mano sinistra afferra i tuoi capelli e le dita si aggrappano ai tuoi ricci come se si stessero aggrappando alla vita intera.
Il tuo corpo sotto di me ha smesso di tremare.
Percepisco i polmoni farsi pesanti e il tuo annaspare è l’unico suono che arriva alle mie orecchie.
Una sensazione di bruciore mi pervade lo stomaco e tremila emozioni mi si mischiano dentro, mentre la tua lingua adesso cerca la mia quasi in affanno.
Mi manca l’ossigeno, non ho più aria.
 
Solo quando sento la presa delle tue mani sulla mia nuca e le tue dita fra i miei capelli esco dalla trance e realizzo di colpo il casino in cui mi sono appena cacciato.
Punto i palmi sul tuo petto allenato e mi allontano bruscamente, lo schiocco delle labbra incollate le une con le altre che si separano di scatto.
 
In un attimo sono sulle scale, fuggito via dalla realtà dei fatti, e arranco nel caos di sensazioni che mi sconvolgono gli apparati interni.
La tua figura statuaria è alle mie spalle, immobile nel suo tipico rimuginare.
Riesco a sentire l’eco delle tue elucubrazioni perfino da qui, tutte le congetture analitiche e instancabili che urlano mute nella tua testa.
 
Nella mia, invece, c’è un silenzio assordante.
 
Il vuoto è interrotto dall’unico pensiero che riesco a formulare: cazzo."
 

 
***
 
Tanto lo so che tu non dormi
Spegni la luce anche se non ti va
Restiamo al buio avvolti solo dal suono della voce
 

 
Riprovo.
Avverto il cuore salirmi in gola, i battiti ormai sono talmente accelerati che li sento pulsare direttamente sulle tempie.
È la terza volta che busso, ma senza successo.
 
- Kacchan... ehm, ci sei?
 
Attendo ancora, anche se da dietro la porta della tua stanza continua a non pervenire alcun cenno di vita.
 
Perché non mi rispondi?
Possibile che tu non mi senta?
O che tu non ci sia?
Dove sei?
Stai dormendo?
O magari sai che sono io e mi stai ignorando?
In tal caso si confermerebbe la teoria per cui si sia trattato solo di gesto casuale e che tutto il resto sia un film che mi sono fatto in testa.
Ma è davvero possibile che non te ne importi nulla?
Che non ci sia una spiegazione diversa, più sensata?
 
L’ansia inizia a pesare sui miei polpacci instabili; i ventricoli sembrano una zavorra fuori posto al centro del petto.
La mia mente continua a macinare pensieri su pensieri, instancabile nel suo riflettere senza fine.
 
Se invece ci fossi?
Se non avessi sentito il mio rintocco sulla porta?
E se mi aprissi, cosa ti direi?
 
La verità, Izuku. Solo la verità.
 
Alzo il gomito nuovamente in un ultimo tentativo.
La nocca del mio indice destro batte contro il legno tre volte e l’eco del rumore sordo si perde nel buio del corridoio malamente illuminato dalla luce della luna.
Con il fiato sospeso, aspetto.
Uno.
Due.
Tre secondi.
Silenzio.
 
Chiudo gli occhi, mentre ripasso mentalmente il copione del discorso per l’ennesima volta.
 
Nove secondi.
Dieci.
Undici.
Sollevo le palpebre; tutto ciò che vedo è il legno chiaro della porta ancora fermamente chiusa.
Sospiro sconsolato, e sento il velo della rassegnazione posarsi sulle mie spalle.
 
Evidentemente doveva andare così.
 
Ruoto la testa e volgo lo sguardo in basso, mentre la mia mano si appoggia delicatamente alla superficie ruvida dell’infisso.
Gli occhi si fanno liquidi e stringo i denti per tenere insieme i cocci della mia speranza che sento staccarsi uno ad uno come foglie prive di linfa.
 
- Kacchan, io...
 
Mi chiedo se avessi potuto cambiare le cose.
Se fossi riuscito a parlarti, forse avrei potuto dare una svolta a questa situazione incancrenita; avere l’opportunità di ammettere finalmente la verità a voce alta e dirti in faccia come stanno le cose: che io senza di te non sono niente.
Alla luce degli ultimi eventi, mi sono reso conto di come la tua ambizione sia il riflesso del mio spirito di sacrificio e solo ora riesco a cogliere l’essenza di questo legame che ci unisce.
Senza il tuo sguardo costantemente fisso su di me, io sarei solo un Deku qualsiasi, un individuo senza un sogno da rincorrere e per cui vivere giorno per giorno. Invece, grazie a te, ho scelto di essere un Deku che si impegna, una persona migliore che possa sempre aiutare gli altri con il sorriso, perché tu sei ciò che mi tiene attaccato a questo mondo, la ragione che mi fa sentire vivo e mi spinge a dare sempre il massimo.
È merito tuo se All Might ha riconosciuto il mio valore e, anche se indirettamente, è grazie a te se ora posso contare su di lui e continuare a seguire la mia strada.
Tu sei causa e rimedio della mia debolezza perché senza di te, che con la tua indole nervina e i tuoi modi bruschi hai temprato la mia resilienza, non avrei compreso la potenza della mia fragilità e non avrei potuto trasformarla in forza d’animo. E ora che siamo vicini e che camminiamo sulla stessa strada e alle stesse condizioni, tutto questo ha assunto un significato ancora più profondo.
Ho capito che accanto alla tua aura di pura potenza e al tuo temperamento attivo e stimolante io mi sento completo, perché tutto ciò che a me manca lo percepisco in te.
E se è vero che bisognerebbe scegliere non le persone migliori ma quelle che ti rendono migliore, tu sei la perfetta incarnazione di questa realtà.
 
Le lacrime pungono dietro le palpebre serrate e i pugni stretti non temono le unghie che incidono la pelle.
La mia voce è solo un sussurro tremante nella penombra.
 
- ...i-io volevo...
 
Dirti che sei tutto per me.
Sei il mio cielo, perché ogni volta che guardo in alto ti vedo e cerco di raggiungerti.
Sei la mia atmosfera, perché quando non ci sei mi manca il respiro.
Sei la mia luna, perché cagioni le maree del mio stato d’animo ogni volta che parliamo.
Sei il mio sole, l’energia propulsiva che muove tutte le mie scelte come stelle.
Sei la mia linfa vitale, stimolo e forza che alimenta il mio cuore e mi fa crescere ogni giorno.
Sei la mia luce, perché esalti tutto ciò che in me c’è di buono e mi stimoli a lottare per difenderlo.
Sei tutto il mio mondo, Kacchan, ed io senza di te sarei semplicemente nulla, totalmente perso nel buio.
 
- ...solo parlarti.
 
Sospiro e ruoto il mio corpo di 90 gradi per tornare sui miei passi e avviarmi verso la mia camera.
 
Se solo avessi potuto dirti quanto per me tu sia importante, forse il nostro rapporto sarebbe potuto cambiare in qualche modo e avremmo potuto ricostruirlo, insieme.
O magari sarebbe rimasto tutto uguale ad ora, ma con la verità interposta fra noi e non lo spettro di questa menzognera paura che ci tiene distanti nell’incomprensione.
 
I miei polmoni si gonfiano nell’ennesimo sospiro che sa di desolazione, mentre il muro dei pensieri stratificati nella mia testa crolla, alzando così un’enorme polvere di rassegnazione e sconforto.
Faccio per muovere un passo verso le scale, quando il suono di una voce che riconoscerei fra mille mi pietrifica sul posto all’istante.
 
- Cosa volevi dirmi, nerd?
 
Muovo la testa a rallentatore e a pochi passi da me noto una figura dal portamento fiero nella penombra. Mi ci vogliono un paio di secondi per realizzare la situazione e il mio cuore si ferma per un attimo nel momento in cui ti vedo.
Il tuo fisico atletico mi si pone di fronte come l’apparizione di un antico dio greco.
Le spalle, leggermente ricurve in avanti, sbucano dalla maglia smanicata, così come le braccia, scolpite da chissà quale artista rinascimentale, che con il loro colorito latteo risaltano sulla tinta corvina dell’abbigliamento. Un lieve alone scuro intacca il tessuto nero della canottiera, come a suggerire che sia umida, e i pantaloni appena aderenti non fanno che sottolineare il profilo eccitante dei tuoi quadricipiti.
I muscoli del collo sono distesi e sorreggono il tuo capo leggermente inclinato all’indietro, impedendo così ai capelli biondi e appuntiti di nascondere la tua espressione alla mia vista.
L’accenno di un velo di stupore distende i tratti delicati del tuo viso che sembrano essere stati appena dipinti sulla tua pelle di porcellana. Al posto delle iridi, due cristalli vermigli scintillano nel buio e l’argentea luce lunare non fa che impreziosire silenziosamente questo spettacolo di statuaria eleganza che mi si pone davanti.
 
Come fai ad essere così bello, Kacchan?
Com’è possibile che il solo guardarti basti a suscitare in me questa serie di scariche elettriche all’altezza del basso ventre?
 
Faccio un respiro profondo e chiudo gli occhi.
Nel mio cuore, prego qualche Dio sconosciuto affinché mi dia la forza necessaria a far vibrare le corde vocali.
 
Ci siamo.
Vai Izuku, puoi farcela. Io credo in te.
 
Li riapro e nel mio campo visivo ci sono solo i tuoi, due rubini iridescenti nei quali riesco a vedere il riflesso di tutto l’amore che sento dentro.
 
- V-volevo parlare dell’altra sera.
 
Il tono della mia voce è più tremante di quanto vorrei, ma c’è, e ringrazio che Qualcuno chissà dove abbia davvero udito la mia preghiera.
 
- Non c’è niente da dire.
 
Una punta di panico si insinua nel mio disordine mentale in seguito al tuo affondo lapidario, ma è troppo tardi per tornare indietro.
Direziono tutto il mio coraggio verso le corde vocali e mi abbandono alla fiducia nella divinità ignota.
 
- Sì, invece. Quello che è successo, io n-non... non me lo aspettavo, ecco. Sono giorni che... ci penso, ma... n-non riesco a capire perché tu lo abbia fatto... s-se avessi voluto dirmi qualcosa o se... avessi voluto intendere altro, o... se sia stato solo un momento, oppure se stes...
 
- E smettila con questo tuo farneticare del cazzo.
 
Il tuo tono acido irrompe nel mio discorso confuso con la delicatezza di una palla da demolizione.
I tuoi occhi di brace si accendono nei miei erbosi e sento una qualche parte dentro di me prendere fuoco all’istante. Inchiodo le mie iridi nelle tue mentre svuoto la mia testa dalle lucubrazioni e tiro fuori dal mucchio arruffato dei dubbi la sola vera domanda che mi tormenta da giorni.
 
- Perché lo hai fatto, Kacchan?
 
Il tuo sguardo è così intenso che sento l’incendio dentro di me divampare.
Avverto tutta l’ansia e tutta l'angoscia taciuta negli ultimi mesi confluire nel mio ritmo cardiaco, entrambe pompate dai ventricoli a ritmo incessante, e solo dopo qualche secondo mi accorgo che non sto più respirando.
 
- Lascia stare, Deku.
 
La tua finta indifferenza scotta sulla mia pelle come un getto di acqua bollente, ma senza bruciare le parole pronte ad uscire.
So cosa vuoi fare; stai prendendo tempo.
Stai tentando di minimizzare i fatti per allontanarmi, ma non lascerò che accada, non stavolta.
Ormai ho deciso di giocarmi il tutto per tutto.
 
- No.
 
La mia voce è ferma, la mia decisione inamovibile.
Non permetterò alla tua passività di spegnere la luce sui miei dubbi.
Non fuggirò dalla verità, a costo di urlare i miei sentimenti nel buio.
 
- Voglio sapere perché. È mio diritto.
 
_
 
 
Al di là della follia che balla in tutte le cose
Due vite e guarda che disordine
 

 
Vedo la tua figura davanti alla porta della mia stanza.
Illuminata dal riverbero della luna, una densa nuvola di capelli scuri risalta sulla chiara tinta dell’infisso.
La maglia a mezze maniche lascia in vista le braccia incise dalle cicatrici, così come i pantaloncini lunghi fin sotto il ginocchio permettono al mio sguardo di cogliere il profilo atletico dei tuoi polpacci.
Non mi ero mai accorto di quanto fossi profondamente cambiato, Deku: a fronte di un fisico tonico e muscoloso, tutto ciò che rimane di quel ragazzino mingherlino delle medie sono solo i ricci color smeraldo e quell’espressione corrucciata di chi continua a chiedersi quale sia il modo migliore per agire.
Rimango per qualche secondo con gli occhi fissi sui dettagli del tuo corpo scolpito prima di accorgermi che stai parlando.
Avanzo di un paio di passi nella penombra e tendo l’orecchio; la tua voce è poco più di un bisbiglio.
 
- ...-cchan, i-io volevo... solo parlarti.
 
- Cosa volevi dirmi, nerd?
 
Le corde vocali vibrano prima ancora che me ne renda conto.
Sento il cuore accelerare di qualche battito, ma rimango fermo al mio posto con le mani in tasca mentre allungo la testa all’indietro per evitare che la luce della luna mi arrivi direttamente negli occhi.
La tua figura, invece, ruota verso di me con fare meccanico, come un automa che sta imparando i movimenti base del corpo umano.
Un velo di sorpresa ti anima il viso, destato improvvisamente dal suo evidente rimuginare, e in un attimo dipinge sulla tua espressione quella che sembra essere quasi ansia da prestazione. I tuoi occhi si inondano di determinazione, seppur il tuo tono tradisca una punta di incertezza.
 
- V-volevo parlare dell’altra sera.
 
Sorrido altezzosamente fra me e me nel comprovare l’ovvietà della risposta.
Cazzo Deku, sei così prevedibile.
Sapevo che saresti venuto, che saresti arrivato alla mia porta prima o poi.
È più forte di te: non riesci ad esimerti dall’analizzare ogni sfaccettatura degli eventi e poi attuare le tue fottute strategie da nerd che pensa troppo.
Ma non andrai in buca, non questa volta.
Non con me.
Non sono ancora pronto per questo, e non lascerò che acceleri i miei tempi.
 
- Non c’è niente da dire.
 
Cerco di forzare il mio tono per renderlo più distaccato possibile.
Creare distanza fra noi è la sola cosa che riesca fare per sentirmi al sicuro dalla mia debolezza e da te.
Un conto è darti un parere sullo Shoot Style e propinarti spiegazioni sulla tecnica di combattimento, ma questo va ben oltre.
Non posso permetterti di entrare nella vita in una vesta diversa, non ancora.
 
- Sì, invece. Quello che è successo, io n-non... non me lo aspettavo, ecco. Sono giorni che... ci penso, ma... n-non riesco a capire perché tu... s-se avessi voluto dirmi qualcosa o se... avessi voluto intendere altro, o se sia stato solo un momento, oppure se stes... 
 
- E smettila con questo tuo farneticare del cazzo.
 
L’eco del tuo rimuginare mi arriva fin troppo forte e chiaro e il suono della tua voce si somma a quello delle altre tremila che mi rimbombano in testa.
Se solo potessi allontanarmi da tutto questo, se solo potessi interiorizzare, se potessi scappare, se potessi capire...

- Perché lo hai fatto, Kacchan?
 
La domanda diretta mi arriva come una freccia scoccata sul bersaglio, dritta al centro del petto.
Serro i pugni in tasca e i muscoli della mascella si contraggono per evitare che l’improvviso moto di emozioni trovi una via d’uscita dalle mie viscere.
Con le spalle al muro, porto lo sguardo in basso, lontano dai tuoi occhi indagatori, e sospiro prima di chiudere le ciglia.
 
La verità è che non so perché io l’abbia fatto.
Vendetta?
Istinto?
Bisogno?
Volere?
Curiosità?
...
No.
No, niente di tutto questo.
Il mio corpo si è mosso da solo, spinto da una forza che non so descrivere. Non mi era mai successo prima.
È stato solo un attimo, ma in quella frazione di secondo ho sentito tutte le mie fibre muscolari prendere vita e attivarsi come sotto incanto. Come se il mio corpo fosse stato attratto da un qualche tipo di magnete, qualcosa che andava oltre me e che non ho potuto controllare.
Qualcosa di molto, molto più grande.
Come se ci fosse un legame dal quale non potessi esimermi, un senso taciuto che mi sfugge e che non capisco, ma dal quale so nel profondo di non potermi nascondere per sempre.
 
Stringo le spalle nella mia maglia protettiva da guerriero, mentre nello stomaco fulmini e saette iniziano a ballare nella tempesta di emozioni che mi devasta silenziosamente.
Forse verrà un momento in cui riuscirò a comprendere ciò che mi alberga dentro, ad avere il coraggio di ammetterlo e tirarlo fuori.
Ma è tutto ancora in itinere, troppo incasinato, inspiegabilmente folle.
Non posso aprirti il mio cuore se io stesso non so dare una definizione di quello che ci sia al suo interno.
L’unica cosa che so con certezza è che in quel momento io ero fuoco e fiamme e tu l’ossigeno con cui e per cui volevo bruciare.
 
- Lascia stare, Deku.
 
- No.
 
La tua voce è decisa, inarrestabile nel suo scavare a fondo verso la verità.
 
- Voglio sapere perché. È mio diritto.
 
La tua insistenza e la tua determinazione mi strappano un sorriso amaro.
 
Come fai ad essere così fatale, Deku?
Sempre pronto a salvare gli altri, non importa che sia da un Villain, da una catastrofe naturale o da loro stessi. Tu sei sempre lì, nel posto giusto al momento giusto, pronto a dare una mano.
E per quanto io odi questa tua essenza, non posso non invidiarti per questo.
Hai trasformato la tua gentilezza in potere e la tua forza d’animo è ciò che fa di te l’eroe che io non riuscirò mai ad essere.
Forse insieme potremmo davvero diventare i migliori Pro Heroes della storia e superare perfino All Might.
Se tu fossi al mio fianco, mi completeresti perché daresti alla mia sete di vittoria quel profondo spirito di sacrificio che a me manca.
Saresti il pezzo del rompicapo che è rimasto nella scatola su cui il Creatore ha scritto il mio nome, quel tassello con cui chiudere il puzzle della mia interiorità disfatta dal senso di colpa e dall’incomprensione.
Ma anche solo pensarti in questi termini, ora come ora, è pura follia.
 
- Tsk, che fottuto casino.
 
_
 

 
Se questa è l’ultima canzone
Sarò lì a dirti che sbagli, ti sbagli e lo sai
Qui non arriva la musica
 

 
Attendo, il cuore stretto in un nodo all’altezza della mia gola.
Sento il sudore scendermi dalle tempie, come se i pensieri si stessero cristallizzando pur di uscire dalla mia testa.
 
- Tsk, che fottuto casino.
 
La tua espressione si distende in un sorriso stanco che sa di amarezza e rassegnazione, e il tuo sguardo cade pesantemente verso il basso mentre scuoti la testa.
Sorrido di rimando anche io, i miei muscoli facciali a fare da specchio alle tue emozioni.
 
- Lo so.
 
So che sei spaventato, Kacchan.
Te lo leggo negli occhi, lo percepisco.
E so anche che c’è un motivo a tutto questo, perché non sei così sconsiderato come sembra. Impulsivo, certo, ma non avventato.
Forse stavi cercando di dirmi qualcosa, o semplicemente il tuo corpo ha espresso a livello somatico ciò che la tua mente ancora non è riuscita a comprendere appieno.
Ma io ho fiducia in te.
So che riuscirai a capire cosa ti si muove dentro, e per quanto tu voglia portare il peso della tua insicurezza da solo, io farò di tutto per essere al tuo fianco. Per quanto tu possa allontanarmi, io ci sarò sempre, così come ci sono stato l’altra sera e ho assecondato quel combattimento come valvola di sfogo.
Proprio perché riesco a vedere la persona eccezionale che sei oltre il tuo temperamento aggressivo, so che ne varrà sempre la pena e ti dimostrerò che sbagli nel non considerarmi un tuo pari, o a credere di potermi tenere da parte, perché io so di poter reggere il peso dei dubbi che ti attanagliano.
A costo di passare altri dieci anni a rincorrerti, so che posso raggiungerti, che posso farcela e te lo dimostrerò perché è per questo che sono nato.
 
Allungo una mano verso di te e il cuore continua a battere sempre più forte, quasi volesse sfondare la cassa toracica per uscire, prendere posto fra le mie dita e donarsi direttamente a te.
 
Se con quella rissa abbiamo acceso un fiammifero sui nostri sentimenti reciproci, adesso possiamo alimentare il fuoco e spegnere le incomprensioni che ci tengono distanti da sempre.
Se questo è l’ultimo canto dell’Inferno, io sono pronto a donarti tutto me stesso per puntare al Paradiso. Sono pronto a combattere il tuo silenzio affossante aprendomi e a caricarmi del peso dei miei sentimenti e dei tuoi per portare tutto in superficie; a dirti che sei il mio passato da quirkless, il mio presente da detentore del One for All, il mio futuro da Pro Hero.
Sei il mio amico d'infanzia, il mio rivale, il mio compagno di classe, il mio idolo, la persona che e con cui voglio essere.
Se questa è la resa dei conti al banco della paura, la miglior occasione che abbia mai avuto per parlarti a cuore aperto, eccomi.
Ho fiducia in te, nella tua apertura, nella possibilità di andare oltre per ricucire questo rapporto, e in quello spiraglio di speranza che mi hai dato baciandomi.
 
- Hai ragione a dire che è un casino... ma in fondo fra noi è sempre stato così, no?
 
Sento le dita formicolare dall’emozione e dall’ansia; i muscoli ancora tesi a mezz’aria, mentre il fremito dell’attesa scivola lungo le gambe come una scarica elettrica su un cavo dell’alta tensione.
 
Lasciami entrare, Kacchan.
Lasciami entrare nel tuo mondo e lascia che illumini il buio dei tuoi dubbi con la luce dei miei sentimenti.
 
 
_
 
 
Tanto lo so che tu non dormi, mai
Che giri fanno due vite
 

 
- Lo so.
 
Il tuo braccio destro si distende sotto la luna. Le vene in bella vista ne risaltano il profilo scultoreo, intarsiato dalle cicatrici che brillano sulla pelle come scaglie d’argento.
Il mio sguardo segue il movimento del tuo arto e chiudo gli occhi per allontanare dalla mente l’immagine di quel bambino incredibilmente forte che, con le sue dita fragili allungate verso di me, continua ad avere il potere di farmi sentire dannatamente insicuro.
 
Perché tu, che negli anni hai testimoniato la mia forza, sei sempre stato anche la chiave della mia debolezza?
Come puoi essere insieme causa e rimedio del mio tormento?
Come puoi essere giorno e notte, bene e male, amore e odio al tempo stesso?
 
Sento di nuovo le lacrime affacciarsi dietro le palpebre, i denti serrati a confermare la confusione della mia chiusura emotiva e mentale.
La tua mano rimane in attesa; un’offerta di aiuto, un’ancora sicura e immobile nella penombra.
 
Ma io non posso accettarla.
Non posso cogliere l’essenza legame che ci unisce perché adesso non ho il giusto grado di umiltà per fare ammenda per i miei errori. Non sono ancora pronto a perdonarmi per tutto ciò che è successo, a riconoscere il tuo valore, a chiederti scusa.
Non posso farlo, Deku, non ancora.
 
A testa china, supero il tuo braccio facendo un passo di lato e afferro con la mano sinistra la maniglia della porta.
 
Perché non glielo mostri allora?
 
Le dita si stringono attorno all’ottone così come la cassa toracica sembra farsi più piccola e spingere sui miei organi.
Sento il tuo sguardo penetrare nella mia schiena, attraversare la pelle e scendere dolce come un balsamo al miele sul mio cuore bruciato dall’incertezza e dalla paura.
 
- Hai ragione a dire che è un casino... ma in fondo fra noi è sempre stato così, no?
 
La tua voce irrompe nei miei pensieri navigando nella tempesta interiore.
 
- Siamo solo due persone, due vite che procedono arrancando nel disordine che hanno dentro e fuori. Però nonostante tutti i giri che abbiamo fatto, siamo ancora qui e abbiamo scelto di percorrere la stessa strada. Magari potrebbe essere l’occasione giusta per dare una svolta e provare a proseguire in modo diverso... non sei d’accordo, Kacchan?
 
Un muto cenno di assenzo accompagna il mio sbuffo e le labbra mi si tendono in un sorriso provocatorio.
 
Davvero è questo quello che vuoi, Deku?
Con tutti i salti mortali che abbiamo fatto finora e i casini che ti ho creato, vuoi davvero varcare la soglia dei miei dubbi esistenziali e sprofondare in questo pandemonio di emozioni contrastanti che mi si muovono dentro? Vuoi buttarti a capofitto in questo bordello e sperare di uscirne incolume?
E io davvero sono pronto a permetterti di entrare, ad accettare di farmi guardare dentro e a riconoscere tutto questo?
 
Sovrappensiero e senza risposta, giro la maniglia con un movimento del polso e l’arredamento familiare della stanza riempie il mio campo visivo.
I muscoli tesi del mio braccio si rilassano alla vista degli oggetti seminati in giro e il contatto visivo con ciascuno di essi mi regala uno scoglio di sicurezza cui aggrapparmi per uscire dal marasma: vestiti neri, scarpe da ginnastica, libri di scuola, borsa da palestra, fasce e guantoni, la figurina di All Might sulla scrivania insieme alle bacchette, la batteria.
Piccoli indizi sparsi ovunque a testimoniare ogni sfaccettatura della mia vita, tutto il mio modo di essere.
 
Prenditi il tuo tempo Katsuki, e dagli una possibilità.
Fidati di lui.

 
Respiro profondamente e lascio la porta aperta dietro di me.
Una punta di ansia accompagna la mia entrata in camera e i battiti si fermano per un istante nell’attesa di una risposta al mio tacito invito.
 
So che non è ancora giunto il momento di mettere a tacere il caos.
Ho bisogno di tempo per interiorizzare, per capire, per perdonarmi, per aprirmi.
Eppure, per quanto sia troppo presto per dirlo, sento che qualcosa nell’aria sta cambiando. Che nonostante questo disordine emotivo e i mille giri mentali, c’è una spiegazione a quello che provo e in qualche modo so che è legata a quel concentrato di forza e debolezza alle mie spalle che mi ritrovo a combattere continuamente. Quell’impiastro fatto di ricci e cicatrici è il nucleo in cui sento convergere tutto il senso delle mie inquietudini.
 
La luce soffusa della luna filtra attraverso il vano porta e accompagna i miei pensieri all’interno della stanza.
Allo stesso modo, il rumore di una suola di gomma struscia sul pavimento e il mio cuore riprende a funzionare nel momento in cui la sento seguirmi oltre la soglia.
 
Lascialo entrare nel tuo mondo.
 
Per quanti dubbi io possa avere ancora, anche se non so quando o come, so che prima o poi riuscirò a trovare la risposta che cerco. E qualcosa nel profondo mi dice che sia molto più vicina di quanto io creda.
 
Sorrido in risposta a questo nuovo pensiero che mi sfiora la mente mentre avanzo nell’ambiente appena illuminato, e sento Deku dietro di me chiudersi lentamente la porta alle spalle.

 
 Due vite.





 
 

Angolo dell'autrice:

Holaa! :)
Dopo 11 lunghi anni di inattività sul sito e fuori, contro ogni aspettativa o prognostico, sono di nuovo qui.
Grazie alla passione per My Hero Academia e alle emozioni che mi hanno regalato alcune fantastiche storie lette ultimamente (per le quali ringrazio gli autori e le autrici che hanno scelto di pubblicarle), ho ritrovato dopo tanto tempo l'ispirazione per scrivere ed è con questo nuovo entusiasmo che vi porto questa one-shot, frutto di diversi mesi di lavoro e bozze cancellate.
Sin da quando Mengoni (mio idolo) ha vinto Sanremo con questa canzone, ho sempre pensato che fosse perfetta per raccontare il rapporto tra Izuku e Katsuki; sulla scia della sua musica e del testo che è pura poesia, la storia si è praticamente scritta da sé e io non ho potuto esimermi dal raccontarla.
Mi auguro solo di non aver preso un abbaglio...!
Grazie a chiunque sia arrivato fino in fondo al testo, a coloro che l'hanno silenziosamente apprezzato e a chi vorrà lasciare un feedback: sono aperta a qualsiasi commento o critica.
A tutti voi che avete dedicato il vostro tempo alla lettura e che vi siete affacciati in questo mondo anche solo per un attimo: grazie di cuore :)
A presto!
karikeehl

PS: sulla scia dell'ispirazione, non contenta, ho montato anche un AMV legato alla storia. Essendo le due cose correlate (anche se solo nella mia testa), mi sono concentrata nell'usare clip e immagini antecedenti all'episodio citato, ovvero il 03x23, al fine di preservare il susseguirsi logico degli eventi raccontati nella storia. Nell'ultima parte, tuttavia, per motivi di montaggio sono state aggiunte alcune clip del secondo film "My Hero Academia: Heroes Rising".
Lascio di seguito il link per la visualizzazione, nel caso qualcuno si scopra interessato:
https://www.youtube.com/watch?v=HZ_Y4SXD6_4
Enjoy! :)
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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