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Autore: teresa009    12/10/2023    0 recensioni
Clayton Bay è una delle città più importanti della capitale.
Distante da Londra.
Marisol Evans è un pizzico di aria fresca.
Kai Torrence è un pizzico di sfida.
Entrambi si ricontreranno alla Brown University.
Dovevano dimenticarsi, dopo tutto quello che avevano passato.
Ma Kai è deciso a continuare la sua vendetta.
Marisol è decisa ad evitarlo.
Chi dei due avrà la meglio in quelle mura.
E soprattutto cosa succederà quando torneranno a Clayton Bay?
Genere: Dark, Erotico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Triangolo
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Descrizione della mia vita: noiosa. Non c'era molto da fare in una città sperduta Clayton Bay, era la mia casa, ma il college era più importante di qualsiasi altra cosa al mondo. Avevano detto che la Brown University era uno dei college più prestigiosi e ben riusciti. Avevo fatto domanda dopo due anni dalla fine del liceo, non ero tanto sicura sul voler frequentare o meno il college. Tutta la mia famiglia credeva che avrei scelto gli Yale o la NYU ma decisi all'ultimo di cambiare tappa, magari avrei cambiato la mia vita in meglio. L'auto si fermò proprio di fronte ai cancelli, rabbrividì al solo pensiero di essere sola. Mio fratello era un avvocato di fama internazionale e non era mai fermo in un posto fisso. Pagai il taxista e presi la valigia nel portabagagli. Chiudi una porta e si apre un portone giusto? Lo speravo proprio. Diciassette settembre. E una scarsa autostima. Che dire avevo iniziato col botto. Mi avviai verso i dormitori, fortunatamente avevo una mappa dell'intero territorio scolastico, così non sarebbe stato un problema e non mi sarei persa come mio solito, avevo un orientamento di merda. Sospirai quando vidi un mucchio di studenti tutti vicino a dei tabelloni, probabilmente era qualche corso o forse semplicemente qualche esame. Non ne ero particolarmente sicura essendo che iniziarono a guardare tutti una sola persona, la donna dietro la scrivania. Sentì una strana sensazione nello stomaco, o stavano per ucciderla lì seduta stante o semplicemente stavano per urlarle contro. "Si rende conto dell'orrore che c'è li sopra?" La donna però sembrò non interessarsi, anzi continuò a pulirsi le unghie e a sogghignare come se davanti a lei non ci fosse nessuno. Mi avvicinai ai tabelloni e mi resi conto che erano delle stanze. Numeri di stanze. Corridoi mischiati. Maschi e femmine nelle stesse stanze. Negli stessi corridoi. E la mia testa mirò di scatto la donna. Non avevo niente contro di lei o sul fatto di condividere la stanza con un ragazzo, ma almeno potevano avvisare tramite email di ciò che sarebbe accaduto. Controllai il mio nome e cognome in che numero di stanza era posizionato e soprattutto con chi ero posizionata. Numero centosei con Iris Diaz. Non male. Insomma era una ragazza, non c'era pericolo giusto? Mi incamminai verso i corridoi che portavano alle stanze. Ci avrei messo troppo tempo, ma non mi importava, quel giorno le matricole potevano restare nei dormitori per concludere le pratiche che dovevano ancora essere firmate. Centosei. Una lavagnetta bianca con un pennarello era appeso alla porta. Citava: Sono Iris Diaz e tu sei la mia compagna di stanza: Scrissi il mio nome ed entrai. Odorava di gelsomino e lavanda. La stanza era grande abbastanza da poter starci anche in tre. Due letti, due scrivanie e due armadi, e soprattutto un bagno personale in camera da usare in caso di necessità per non usare quelle pubbliche a tutti. Non desideravo altro. Osservai il alto destro, già sistemato e messo in tiro, dei poster dei one direction attaccati alla parete con altri poster di The Weeknd e Taylor Swift, il letto era coperto con un piumino azzurro polvere con delle sfumature di viola chiaro, la sua scrivania era bombardata di cancelleria colorata e quaderni aperti... e il suo armadio era un vero casino. Ridacchiai per il suo disordine, mi ricordava mio fratello Bucky. Mi incamminai verso il lato sinistro, iniziai a sistemare i vestiti nell'armadio e avevo dedotto che la mia compagna di stanza si stesse facendo una doccia, essendo che c'era l'acqua accesa. Misi la valigia in uno dei scaffali più alti dell'armadio e lo chiusi, lasciando fuori solo un paio di jeans e una camicia a maniche corte color petrolio. Attaccai anch'io un poster, il mio poster. Precisamente una foto di quando avevo vinto una gara di scherma era stato divertente e da allora mio padre disse di portarmelo ovunque e lo facevo ogni volta che mi spostavo. La porta del bagno si spalancò e una ragazza dai capelli biondo cenere ne uscì canticchiando Story of my life dei One direction senza curarsi di chi ci fosse in camera. Aveva gli occhi chiusi, aveva indossato una gonna di jeans nera, una camicia bianca e un paio di convers nere. Mi sdraiai sul letto continuando a fissarla, finché non si fermò, andò verso la sua scrivania e boom! Sobbalzò dallo spavento. Si girò frettolosamente verso di me e si mise la mano sul petto iniziando a respirare per tranquillizzarsi. "Merda... mi hai spaventata a morte." Ridacchiai e mi alzai andandole incontro. "Sono Marisol Evans." Gli porsi la mano. "Iris Diaz." Mi sorrise porgendomi un foglio. "Questi sono gli orari delle tue lezioni novellina, benvenuta alla Brown. Ci vediamo in giro." Prese la borsa e uscì di corsa. Bene! Non male come inizio. Adesso dovevo solo scegliere. Restare in camera oppure frequentare il primo corso che sarebbe iniziato tra meno di un'ora. Letteratura mi era sempre piaciuta, non c'era materia che mi dava più sollievo di quella. Decisi di andare a lezione. Mi ero cambiata, mi ero sistemata come si deve e andai a lezione. Uscì dai dormitori e iniziai a fischiettare con le cuffiette alle orecchie la canzone Mirrors di Justin Timberlake. Non ero una tipa molto amichevole ma ero troppo curiosa e testarda. Se mi andava di fare una cosa la facevo e la portavo al termine anche se non si poteva fare. Iniziai a salire le scale e mi fermai all'ultimo scalino. C'era un ragazzo con una sigaretta tra le dita che fissava un punto davanti a sé. Non ero riuscita a trovare la classe all'ala est magari saprebbe dirmi dove andare. "Ciao, scusami... sapresti dirmi dove trovare la classe di letteratura?" L'unico errore che avevo fatto era stato quello di dimenticare la mappa in camera. "Ti sembro una mappa per caso?" Sbattei le palpebre un paio di volte. "Sai dirmi dov'è oppure no?" Gettò la sigaretta a terra e la schiacciò con il piede. "Forse." Osservai i suoi occhi azzurri e sembravano così dannatamente familiari, il sole li rendeva più chiari quasi trasparenti, aveva i capelli scuri così carini che sembravano essere morbidi. Lo studiai proprio come stava facendo lui con me. Indossava una polo azzurra e un paio di jeans con delle sneakers azzurre, alle mani aveva degli anelli e solo dopo mi resi conto della giacca di pelle nera. Carino. Per meglio dire Passabile. Continuò a guardarmi e solo quando mi sentì chiamare che il nostro studiarci si fermò. "Marisol andiamo!" Non avevamo gli stessi corsi eppure in quel momento Iris sembrava preoccupata del ragazzo che avevo di fronte. "Marisol, immagino che avrai un navigatore migliore di me." Mi fece cenno di andare verso Iris ma sollevai un sopracciglio. "Come ti chiami?" Dannata curiosità. "Faresti meglio ad andare, nanerottola, il professor Scott non ama i ritardi." Nanerottola... mi aveva appena chiamata nanerottola? "Non chiamarmi in quel modo." Ringhiai tra i denti. Mi voltò le spalle e si incamminò all'interno dell'edificio e solo dopo vidi una grossa tabella con scritto: Letteratura con il docente Brian Scott. Figlio di puttana. Iris mi era arrivata alle spalle, mi guardava come se fossi appena stata marchiata. "Si può sapere che c'è?" Domandai infastidita. "Hai appena conosciuto uno dei Mirrors." Uno dei tanti? "Perché quanti ne sono?" Domandai curiosa. "Quattro per la precisione, ma anche uno dei loro fratelli porta i suoi giochi qui." Non male. Camminammo finché non arrivai all'aula precisa. "Hai anche tu letteratura?" Scosse il capo e guardò il suo cellulare. "Ho informatica avanzata, buona fortuna con Scott." La ringraziai e presi posto sulle gradinate più alte. Dovevo restare nascosta. Nessuno mi avrebbe vista. Nessuno mi avrebbe parlato. Un piano infallibile. Il professore era già intento a spiegare, presi appunti su appunti, creai mappe concettuali e presi il rischio di rispondere a qualche questionario giusto per vedere quanto ero pratica in letteratura. La porta si spalancò di colpo e cinque figure entrarono facendo zittire anche il professore, li guardavano come se stessero camminando a rallentatore. Trattenni il fiato, ecco perché mi erano così familiari... Merda. Lui anzi loro erano qui... Ecco perché non dicevano i loro nomi in giro. Ecco perché quello stronzo aveva un'aria così familiare. Era Fynn Logan. Migliore amico di... Kai Torrence. La mia cotta adolescenziale. Salirono fino ad arrivare alla gradinata sotto alla mia. Trattenni il fiato quando gli occhi azzurri di uno di loro mi fissarono. Per che a me esattamente? Deglutì e feci finta di ascoltare la lezione, ma tutta la mia attenzione l'avevano i ragazzi seduti davanti a me. "Signorina Evans, sa dirmi una citazione di fedor dostoevskij?" Ci pensai un momento su. "Ne parlai quasi tacendo. Io sono un maestro nel parlare tacendo, ho parlato tacendo per tutta la mia vita e ho vissuto delle vere tragedie dentro me stesso tacendo." Il professore si zittì, non si aspettava probabilmente che avevo imparato a memoria una piccola citazione o altre milioni di citazioni. Non mi richiamò più per il resto della lezione. Scrissi gli appunti, scrissi mappe e citazioni, finché il professore non annunciò la fine della sua lezione. Presi le mie cose e le misi in borsa per poi aspettare che uscissero tutti. Odiavo uscire per prima o dovevo essere l'ultima o niente. Ma il gruppetto davanti a me non si mosse, anzi si voltarono verso la parte opposta alla mia, dove c'era un'altro gruppo di studenti che gli mandava occhiatacce e sfide con gli sguardi. Qui c'era qualcosa che non andava ed io sapevo già come sarebbe andata a finire, perché quando la mia curiosità aveva la meglio, quella che si faceva male ero sempre e solamente io.
   
 
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