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Autore: Nat_Matryoshka    19/10/2023    1 recensioni
"C’è qualcosa in lei, ha pensato guardandola di sottecchi la prima volta, qualcosa che si farebbe riconoscere anche nel bel mezzo della folla. Qualcosa che lo attira, una forza primigenia che non riesce a ignorare."
[Tera/Emmanuel | spoiler sulla S1 di Castlevania Nocturne | prompt partecipanti al Writober 2023, indetto da Fanwriter.it]
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!
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» Questa storia partecipa al Writober di Fanfiction.it
Prompt: Etereo [lista pumpNIGHT]
Parole: 1314




Un viso bianco come la luna, come la madreperla che orna i gioielli delle dame che visitano la Chiesa la domenica, e altrettanto prezioso. Capelli d’oro fino, di un colore tanto simile al suo da rendere quella coincidenza un dono ancora più inaspettato. Si muove lentamente lungo le navate, quasi avesse paura di imprimere la sua presenza in modo indelebile sulla pietra, timorosa di dare fastidio.

Ogni volta che la vede entrare la seguiva con la coda dell’occhio: l’ultima cosa che desidera è farla sentire a disagio. Si chiama Tera ed è appena arrivata a Machecoul, ha sentito le donne parlarne vicino al negozio dell’erbivendola, l’ultima volta che si è recato in paese per acquistare basilico e menta. Da dove venga, nessuno lo sa con precisione. Probabilmente da una regione lontana dell’est, forse addirittura dalla Russia, a giudicare dal suono del nome che la vecchia Madeleine storpia continuamente. Una donna sola, fuggita – le donne si coprono la bocca con la mano come se non volessero far circolare troppo quelle voci cupe – a un destino troppo orribile per essere raccontato. Una profuga che tutti si aspettano di veder girare per la città con gli occhi bassi e che, invece, ha portato con sé una ventata di energia nuova, vibrante.

C’è qualcosa in lei, ha pensato guardandola di sottecchi la prima volta, qualcosa che si farebbe riconoscere anche nel bel mezzo della folla. Qualcosa che lo attira, una forza primigenia che non riesce a ignorare. Ma ha tenuto quei pensieri per sé, distogliendo lo sguardo dalla sua figura. Sperando che nessuno l’abbia visto osservarla, le guance tinte di un’inequivocabile sfumatura di rosso.  

Tera. Un nome musicale. Gli riporta alla mente antichi segreti custoditi dalla gente che lavora la terra attorno all’abbazia, la bellezza della terra pronta per la semina, fragrante e potente. Quando si aggira tra le panche, il suo sguardo è diverso da quello dei fedeli che solitamente popolano la Chiesa, meno timoroso, pervaso da una scintilla che non esiterebbe a definire di pura curiosità. Entra sempre alla stessa ora, accende la sua candela, se ne va. Ogni volta lo stesso percorso, come se fosse arrivata fin lì per chiedere aiuto, ma non sapesse bene come dare voce alle sue difficoltà. Ogni volta che la vede, deve trattenersi dal chiedere cosa la affligga.

Finché, un giorno, non è lei a raggiungerlo all’abbazia.

I capelli legati, le spalle coperte da un mantello scuro, si fa strada fino al chiostro con una risolutezza che non le ha mai visto. Sembra che abbia finalmente deciso di cosa ha bisogno, riflette, osservandola ancora avvicinarsi e incontrare finalmente il suo sguardo. I suoi occhi sono grandi, di un verde chiarissimo appena screziato di marrone, pieni di una fierezza che farebbe abbassare lo sguardo a chiunque, persino a lui. La guarda ancora, e la sensazione di forza provata solo qualche giorno prima torna a scombussolare i suoi pensieri, quasi con prepotenza.

“Siete voi l’abate?”

Dritta al punto. Emmanuel Renard, suo malgrado, sorride. “Dipende da chi lo cerca.” Chiude il libro che stringeva tra le mani fino a un attimo prima, rivolgendole in pieno la sua attenzione.
Lei sposta il peso da un piede all’altro, imbarazzata. Una parte della baldanza che la accompagnava sembra essersene andata, ma i suoi occhi traboccano ancora di quella luce energica. Fissa lo sguardo su di lui, per poi abbassarlo un attimo dopo, sospirando.
“Mi chiamo Tera. Sono arrivata qui il mese scorso… in fuga dal mio paese. Mi hanno detto di rivolgermi a voi, se avessi avuto bisogno di aiuto.”
“Avete fatto bene. Questa abbazia è sempre aperta a chiunque ne abbia bisogno.”

Indica con un gesto gli alberi attorno a sé, poi sposta lo sguardo di nuovo su di lei. Nella tensione che permea il viso di Tera si è aperto un sorriso, un piccolo spiraglio di serenità che sembra spazzare via il timore di poco prima, mentre nella sua mente si fa strada una sola parola: etereo. Lo scintillio verde dei suoi occhi. La gentilezza dei suoi gesti. Etereo, eppure così terreno, come la forza che giunge fino a lui in piccole ondate, quasi bastasse avvicinarsi a lei per poter godere di un potere che sembra distribuire con tanta generosità, senza rendersene conto.

Etereo. Il marmo bianco delle statue, la sacralità della loro essenza, pietra solida e mistero fusi assieme.

Chi è davvero, quella donna?

Si costringe a staccarsi dai suoi pensieri tornare da lei: farla aspettare troppo non sarebbe cortese. Tera sta attendendo che il discorso prosegua, glielo legge nello sguardo. Emmanuel (l’abate) raddrizza la schiena, cercando di riguadagnare il contegno che sente scivolare via attimo dopo attimo.

“Avete detto che siete fuggita dal vostro paese, o sbaglio?”
Tera sospira ancora, ma le sue spalle non sono nemmeno lontanamente tese come poco prima.

“Sì, dalla Russia… una storia che preferirei non raccontare. O…” si interrompe di colpo, quasi fosse preoccupata di averlo offeso, “perlomeno, non adesso. Se non vi dispiace.”
“Non dovete preoccuparvi.”

Perché sente il bisogno di rassicurarla? Ad ogni modo, concederle una gentilezza innocente non sarà un problema. (O no?)
“L’importante è che siate al sicuro… e, come vi dicevo, qui dentro c’è sempre posto per chi ha bisogno di aiuto. E per chi desidera rendersi utile.”

Gli occhi di Tera, per un attimo, sembrano brillare ancora più intensamente.

“Oh, volentieri! Posso lavorare per l’abbazia, se lo desiderate. So prendermi cura delle piante, coltivare, assistere i malati… insomma, non starò con le mani in mano. Voglio guadagnarmi da vivere per poter restare qui.”

“Dove avete trovato alloggio?” Trattenere la curiosità, a questo punto, è praticamente impossibile.

“Nella casa di madame Latour. Vive all’estremità del paese, appena vicino all’inizio del bosco… forse l’avete già vista.” Sorride ancora una volta, spostandosi una ciocca di capelli biondi ribelli, sfuggita dall’acconciatura. “Pulisco per lei, rammendo i suoi abiti… preparo anche le medicine, qualche volta,” sussurra, facendo attenzione a tenere basso il tono di voce. Quella confidenza lo prende in contropiede: chissà perché ha scelto di confessare qualcosa che, se raccontato alla persona sbagliata, potrebbe metterla nei guai. Per giunta a lui, un uomo che non conosce, un religioso. “Ha tante stanze libere, i suoi figli sono andati a lavorare a nord. Dice che le fa piacere avere compagnia.”

Abbassa lo sguardo, lasciandogli del tempo in più per pensare. Non che ne abbia bisogno: le parole successive si dispiegano nella sua mente come se fossero state sempre lì, incastrate tra un sermone e una raccomandazione, ma ancora più chiare. Eterea. È come se ci fosse sempre stato posto per Tera, nella sua vita come nell’abbazia. Una consapevolezza incredibilmente solida, quasi spaventosa.

“Potete lavorare alla serra, se volete. C’è sempre bisogno di qualcuno che si prenda cura delle erbe e si occupi della loro catalogazione… e chi meglio di voi potrebbe occuparsene? Con i vostri… talenti, intendo.”

Nemmeno si accorge di aver abbassato la voce anche lui. Ora noi due condividiamo un segreto, Tera, pensa tra sé suo malgrado, ma quel pensiero non lo preoccupa quanto dovrebbe. Tera alza lo sguardo, inondandolo di una riconoscenza luminosa come mille soli.

“Grazie, grazie infinite! Vedrete, farò un ottimo lavoro.”

Batte le mani con enfasi, fermandosi improvvisamente di scatto dopo aver ricordato dove si trova. Imbarazzata, sposta nuovamente la ciocca di capelli ribelli dal viso.
“Non vi pentirete di averla affidata a me, padre. Potete starne certo.”
“Vi prego, chiamatemi Emmanuel.”

Prima di potersi fermare, le porge la mano. Tera la afferra, e la sua presa è lieve e gentile come una carezza. E mentre la sua voce interiore grida di smetterla, di guardarsi alle spalle da distrazioni pericolose come quella, proibite, il suo istinto lo tiene ancorato a terra con una forza che non ha mai sperimentato prima. La sua mano stretta in quella di Tera, come per un patto. Come l’anticipazione di qualcosa di futuro, non ancora giunto, forse per questo ancora più importante.

“Potete chiamarmi Tera, Emmanuel.”

 
   
 
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