A passo rapido, Loris esce dall'ambulatorio medico.
Un cielo cupo, grigio di nubi, sovrasta la città, mentre il vento spazza le strade di Parigi, sollevando nuvole di polvere.
Il pittore si stringe il cappotto e accelera il passo. Quel freddo non promette nulla di buono.
Un mezzo sorriso solleva le labbra dell'uomo, mentre le lacrime scendono dai suoi occhi. Non ha nessun senso la sua premura.
Presto, la morte avrebbe preso la sua anima.
Tubercolosi., pensa. Per tanto tempo, il suo corpo è stato dilaniato da accessi di tosse.
E il medico gliene ha parlato con forte dispiacere.
Il suo sorriso si accentua, fino a tramutarsi in un ghigno spettrale. Quel dottore ha mostrato verso di lui un riguardo eccessivo.
Ha creduto di dargli una notizia dolorosa.
Il destino è stato clemente con me., si dice. Il Fato ha avuto pietà della sua anima.
Non lo ha condannato a lunghi anni gravati da un terribile rimorso.
Un lungo brivido attraversa il suo corpo e l'uomo, d'istinto, si strofina gli avambracci con le mani. In quel momento, sente sulle mani il gelo repentino del corpo di lei, straziato dal veleno.
E la morsa dell'impotenza, inesorabile, stringe la sua anima.
Non è riuscito a porre rimedio ad un tragico errore.
Con un gesto nervoso, allontana le lacrime. Un vero uomo non piange sul passato, per quanto doloroso.
Accetta il suo destino e lo accoglie senza fughe ridicole.
− Fedora, stai tranquilla… Presto, sarò da te. E potrò chiederti perdono. − mormora, prima di riprendere il cammino verso la sua abitazione.