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Autore: Placebogirl_Black Stones    14/11/2023    1 recensioni
La sua attenzione venne catturata dal bicchiere che la ragazza sconosciuta stringeva fra le mani, o meglio dalla bevanda contenuta in esso: succo d’arancia. Non aveva nemmeno bisogno di assaggiarla per esserne certa, avrebbe riconosciuto quella bevanda fra mille, poiché era sempre stata la bevanda preferita di suo padre. Ogni sera, prima di addormentarsi, era solito bersi un bicchiere di succo d’arancia, ribadendole quanto facesse bene alla salute. E lei, ogni volta, lo ascoltava incantata come ogni bambina convinta che il proprio padre sappia tutto e sia un eroe.
La notte in cui aveva perso la vita, lei era uscita a comprargli quel succo che tanto amava: questo l’aveva salvata dalle fiamme che avevano distrutto la sua casa. Da quel giorno non era più riuscita a bere il succo d’arancia. James ci aveva provato più volte a propinarglielo per colazione, ma lei aveva sempre rifiutato. Le faceva troppo male. Ad essere onesti, le faceva male anche adesso.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jodie Starling, Ran Mori, Sera Masumi, Sonoko Suzuki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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SUCCO D’ARANCIA
 

Entrò nel piccolo cafè e prese posto in un tavolino accanto alla finestra, dove poteva osservare i passanti e la vita brulicante di Tokyo. Il suo umore in quegli ultimi giorni non era stato dei migliori dopo la lotta contro l’Organizzazione appena avvenuta, dove alcuni agenti dell’FBI avevano perso la vita e altri avevano rischiato di perderla. Se ripensava a quell’errore che aveva commesso le saliva una rabbia enorme verso se stessa: una sola, piccola sillaba sbagliata aveva giocato un ruolo cruciale sulla vita dei suoi colleghi. Si sentiva stupida, come una bambina che commette un banale errore di ortografia in un compito in classe, con la sola differenza che quell’errore lo aveva pagato caro.
Dopo quella spiacevole vicenda si era isolata spesso dagli altri, ritagliandosi momenti di solitudine in cui si rifugiava in piccoli posti come quello, stando attenta a non farsi seguire. Erano ancora un facile bersaglio e non potevano muoversi tranquillamente come se nulla fosse.
La cameriera del locale, dal viso dolce quanto la sua voce, le si avvicinò per chiederle cosa gradisse. Ordinò solamente un tè caldo senza nulla da mangiare, non aveva un grosso appetito dato lo stato d’animo.
Quando la ragazza si allontanò per tornare in cucina, posò il mento sulle mani intrecciate e si mise a fissare un punto indefinito davanti a sé, rimuginando sulle stesse cose che continuavano a tormentarla.
Dispersa nei suoi pensieri, non si accorse delle tre ragazze sedute poco lontano da lei che la stavano fissando da quando era entrata nel locale.
 
- Jodie-sensei! -
 
Una voce alla sua destra la fece tornare sulla terra. Si girò e vide due vecchie conoscenze più qualcuno che le sembrava di aver già visto ma non riusciva a ricordare dove. La signorina Mouri e la signorina Suzuki, sue vecchie allieve nel breve periodo in cui aveva lavorato come insegnate di inglese al liceo Teitan, la stavano salutando con un cenno della mano sorridendo, mentre la ragazza che era con loro la fissava incuriosita. Indossava la loro stessa uniforme, pertanto doveva essere una loro compagna di classe; tuttavia non ricordava che fosse nella sua classe quando insegnava. Eppure qualcosa le diceva che quel volto era familiare…
 
- Hi! - le salutò nella sua lingua madre, memore di quando fingeva di non saper parlare bene il giapponese.
 
Si sforzò di sorridere, non voleva che la vedessero triste e facessero domande. Le vide parlare per un attimo fra loro e intuì che, probabilmente, la ragazza misteriosa doveva aver chiesto loro chi fosse. Una volta ricevuta la risposta alla sua domanda, le parve che la guardasse con ancora più curiosità e interesse di prima. Forse era il suo aspetto da straniera ad attirare la sua attenzione, in fondo era stata la prima reazione di tutti i suoi ex studenti, o forse era il fatto che fosse un’agente dell’FBI, figura un po’ insolita da incontrare in un cafè giapponese.
La cameriera che si avvicinò al tavolo servendole il tè che aveva ordinato le fece distogliere lo sguardo dalle tre ragazze. Osservò la grazia con cui versava nella tazzina il tè contenuto nella teiera in porcellana finemente decorata e l’aroma del tè le donò un effimero sollievo. Ringraziò la ragazza e la guardò allontanarsi mentre beveva un primo sorso di quella bevanda calda.
Girò nuovamente il capo verso le studentesse e vide che un’altra cameriera le stava servendo, posando mano a mano sul tavolo ciò che trasportava sul vassoio. La sua attenzione venne catturata dal bicchiere che la ragazza sconosciuta stringeva fra le mani, o meglio dalla bevanda contenuta in esso: succo d’arancia. Non aveva nemmeno bisogno di assaggiarla per esserne certa, avrebbe riconosciuto quella bevanda fra mille, poiché era sempre stata la bevanda preferita di suo padre. Ogni sera, prima di addormentarsi, era solito bersi un bicchiere di succo d’arancia, ribadendole quanto facesse bene alla salute. E lei, ogni volta, lo ascoltava incantata come ogni bambina convinta che il proprio padre sappia tutto e sia un eroe.
La notte in cui aveva perso la vita, lei era uscita a comprargli quel succo che tanto amava: questo l’aveva salvata dalle fiamme che avevano distrutto la sua casa. Da quel giorno non era più riuscita a bere il succo d’arancia. James ci aveva provato più volte a propinarglielo per colazione, ma lei aveva sempre rifiutato. Le faceva troppo male. Ad essere onesti, le faceva male anche adesso.
Tornò a guardare il suo tè con occhi spenti e bevve un altro sorso, stavolta più lungo.
D’un tratto il suo cellulare iniziò a suonare e vibrare nella tasca della giacca. Lo estrasse e rispose: era James che le chiedeva dove fosse e cosa stesse facendo. Doveva essersi accorto del suo umore in quegli ultimi giorni e, come solito, si preoccupava troppo. Gli rispose che avrebbe finito di bere il tè e che sarebbe rientrata subito, poi terminò la chiamata. Bevve l’ultimo sorso rimasto e si alzò dalla sedia, giusto in tempo per vedere la figlia del Detective Goro avvicinarsi a lei.
 
- Jodie-sensei, vuole venire a sedersi con noi?- la invitò.
- Siete davvero gentili ma ho appena ricevuto una chiamata di lavoro, devo proprio andare- la ringraziò, declinando l’invito.
- Che peccato-
- Già, sarà per la prossima volta. Bye bye- la salutò con la mano, avviandosi verso la cassa.
 
Pagò velocemente la consumazione ed uscì dal cafè. Mentre camminava per tornare alla sede provvisoria dell’FBI, ripensò a quel succo d’arancia e si chiese se un giorno sarebbe riuscita anche lei a ritornare a berlo senza provare dolore. Forse era quella la sua punizione per gli errori commessi.
 
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE
Non chiedetemi cosa sia, mi è uscita così. Spero vi piaccia comunque!
   
 
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