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Autore: Akemichan    27/05/2005    10 recensioni
Commedia scolastica (almeno all'inizio). Cosa potrebbe succedere se una ragazza senza alcun potere magico (o almeno consì sembrerebbe a prima vista) si ritrovasse nel corpo lo spirito di un antico Faraone di nostra conoscenza?
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dark/Yami Yuugi, Nuovo personaggio, Seto Kaiba, Touzoku-ou Bakura
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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«Comunicami il tuo desiderio» sussurrò l’anziana sacerdotessa, tenendo il capo coperto da un sottile velo di lino, e continuan

Domenica sera

 

 

Il tempio in granito rosa, situato sulla riva destra del caldo fiume dalle sette bocche, semi-nascosto dalle alte canne di papiro, era silenzioso, come ogni giorno, fatta eccezione per il primo dell’anno. Chiunque vi entrasse, percepiva attorno a sé un’area rarefatta e opprimente, come se si trovasse immerso nell’acqua cristallina. Anche le parole che venivano pronunciate risultavano attenuate e basse rispetto al tono con cui erano state dette, come un eco in lontananza. Ed il rumore era simile ad un sasso gettato in un pozzo a formare infiniti cerchi invisibili.

 

«Comunicami il tuo desiderio» sussurrò l’anziana sacerdotessa, tenendo il capo coperto da un sottile velo di lino, e continuando a rimestare piccole pietruzze nere e bianche nel suo cestino di canne di papiro verdognole. «Io intercederò per te presso il signore del Nilo, l’ermafrodita Hapy che controlla le Inondazioni»

 

«E’ qualcosa di estremamente semplice ed estremamente complesso, poiché non vi è, in Egitto, qualcosa che non sia tutto e il contrario di tutto» disse la persona ferma all’entrata del tempio, le braccia piene di melograni da offrire al dio. «Desidero diventare Faraone»

 

«Ciò è impossibile!» L’anziana donna alzò il capo, rivelando il suo volto raggrinzito da sotto il velo. Gli occhi luccicavano di sorpresa. «Non dovresti essere come sei»

 

«Per questo sono qui» replicò semplicemente quella persona, lasciando cadere tutta la frutta a terra, la quale si sparse sul pavimento in granito rosa.

 

«E’ difficile» mormorò la sacerdotessa. «Molto difficile. Ma se lo desideri davvero…»

 

«Non devi dubitare, vecchia!» la interruppe. «Solo obbedire»

 

L’anziana signora sospirò, volgendo lo sguardo verso l’entrata al tabernacolo del dio. Con un sottile rumore, una pietruzza nera, simbolo dei giorni infausti, cadde a terra dal cestino di vimini e rotolò fino a piedi della persona. Questa, seccata, la pestò con i suoi sandali dorati, polverizzandola. Non avrebbe permesso a nessuno – alle regole, a suo padre, alla sorte – di impedire al suo sogno di realizzarsi. Il primogenito della tribù Ryuu e il favorito ad essere il futuro Faraone, avrebbe fatto meglio a fare attenzione. L’avrebbe battuto e sarebbe diventato sovrano.

 

«Allora, riformula il tuo desiderio» disse la sacerdotessa, con le mani giunte davanti a sé. «Ciò di cui hai realmente bisogno»

 

La persona sospirò. «Io desidero…»

 

 

***

 

 

«Miyon, puoi andare tu a farti il bagno» gridò una ragazza dal salotto di quella casa del dormitorio del liceo Sasaki, in modo che la sua voce fosse udibile sopra la televisione e lo stereo acceso al massimo del volume.

 

«Va bene» rispose in tono altrettanto alto la ragazza di nome Miyon, aprendo e richiudendo velocemente la porta della stanza da bagno, in modo che i vapori e il dolce calore che provenivano dalla vasca piena d’acqua bollente non fuggissero. La stanza da bagno, con le mattonelle bianche e rosate, aveva quasi l’aspetto di una sauna, benché il calore non fosse così opprimente. Lungo le pareti i vapori condensati lasciavano scendere sottili ruscelli di vapore acqueo, come gocce di colore che colano da un acquerello non ancora asciugato. Lo specchio appannato rimandava un’immagine sfocata, dai morbidi contorni.

 

Lei sfilò il nastro che teneva legati i suoi lunghi capelli pece, interrotti spesso da sottili ciocche biondo platino, e li lasciò scendere lungo le spalle, gettando il nastro nel lavandino umido. Slacciò non troppo delicatamente tutti i bottoni in madreperla della sua divisa scolastica e se la tolse, lasciandola cadere scompostamente a terra, senza preoccuparsi del fatto che avrebbe potuto spiegazzarsi. Sopra la camicia vi gettò anche le lunghe calze nere e la gonna blu a pieghe, ultimo residuo della sua uniforme scolastica. Restò infine nuda, dopo essersi liberata anche del reggiseno e delle mutandine bianche, stiracchiandosi leggermente.

 

Immerse per prima una gamba nell’acqua calma e bollente della vasca, per assaporare lentamente quella sensazione, quindi vi entrò con tutto il corpo, lasciando che il calore e la dolcezza di quel mare in miniatura la liberassero dalla stanchezza di quella giornata. Adorava i momenti che passava in tranquillità, da sola, rispetto alle sfide che affrontava ogni giorno, da quando aveva deciso di andare al prestigiosa scuola superiore privata Sasaki che, come tutti sapevano, era la più esclusiva di Domino e quella solitamente destinata ai “figli di papà”, cosa che lei, purtroppo, non era. O per fortuna. Chiuse gli occhi, preparandosi al suo solito quarto d’ora di calma.

 

«Mi domando come voi ragazze riusciate a resistere con questa imbracatura che chiamate reggiseno» commentò dubbiosa una voce maschile. Miyon riaprì velocemente i suoi occhi per osservare la figura del ragazzo dai capelli di tre colori diversi, seduto a gambe incrociate accanto alla pila dei suoi abiti, mentre osservava interessato il suo abbigliamento intimo.

 

«Yami! Che diavolo stai facendo?!» Miyon, mettendosi una mano sulla sua terza misura, affondò il corpo nell’acqua in modo da lasciare scoperta solo la testa, anche se sapeva che il liquido trasparente non avrebbe certo protetto in modo eccellente le sue nudità. «Maniaco!» Con la mano libera afferrò la prima cosa che le capitò davanti, ossia un barattolo di shampoo, e glielo lanciò contro con una precisione invidiabile. Tuttavia, lo shampoo attraversò il corpo del ragazzo e si infranse sulla parete opposta, aprendosi e lasciando una macchia di fluido rosato a sapore di pesco sul muro.

 

Lui la guardò massaggiandosi la fronte. «Ti ricordo che io sono dentro il tuo corpo. Il che significa che non posso separami da te in nessuna situazione, nemmeno quando vai in bagno, e che non puoi colpirmi nemmeno se lo desideri»

 

Miyon scoccò uno sguardo irritato al ragazzo coi suoi profondi occhi viola. «Almeno girati dall’altra parte» ordinò, visto l’impossibilità di fare altrimenti.

 

«Va bene» acconsentì Yami concentrando la sua attenzione sulla porta appannata di fronte a lui. «Anche se devo ammettere che hai un davanzale niente male…»

 

«Sei impossibile…» Miyon prese la spugna e iniziò a sfregarsi il corpo, controllando se lui si girasse a spiarla. «Spero proprio che Yuugi torni presto dall’Egitto, perché non oso immaginare di dover passare tutta la vita con te nel mio corpo»

 

«Lo spero anch’io» replicò Yami. «Il mio partner non si è mai lamentato anche se gli comparivo davanti mentre era in bagno»

 

«Vorrei ben vedere!» esclamò Miyon gettando la spugna nell’acqua e osservando le increspature per calmarsi. «Lui è un maschio!» Agitò la mano davanti al viso per allontanare il vapore. «Senti un po’, spirito. Non esiste un modo per contattarlo in Egitto?»

 

«Non conosco il numero della famiglia Ishtar, purtroppo, anche se so bene che è andato da loro» sospirò Yami. «Sono gli unici che potrebbero spiegargli come mai non sono più nel suo corpo» Si voltò nuovamente verso di lei. «Anche se dubito che potrebbero mai immaginare che io ora mi trovo nel corpo di una ragazza» Il suo sguardo era da una parte divertito e dall’altra malinconico. «Scusami per il disturbo che ti sto creando»

 

Miyon sporse un braccio abbronzato dal bordo della vasca. «Lascia perdere, tanto ormai è fatta» Si immerse totalmente. «Adesso sono io la tua partner e dovrai sopportarmi» sorrise quando riemerse, con i capelli ombra e luce appiccicati alle dolci guance e le lunghe ciglia percorse da sottili gocce d’acqua come i petali di un fiore.

 

«Pare di si» sorrise infine Yami, alzandosi e voltandosi in modo che Miyon potesse uscire senza problemi dalla vasca, bagnando tutto attorno con l’acqua che le scendeva dal corpo. Certo che se pensava al modo estremamente semplice con il quale lui era finito a condividere il corpo di lei anziché quello di Yuugi, gli veniva da ridere. Era stato solo un banale incidente…

 

 

 

«Otogi!!» chiamò Jono-Uchi, vedendo il ragazzo moro avviarsi verso la palestra anziché verso l’uscita di scuola. «Cosa fai

 

«Non lo sapete?» replicò Otogi con un’altra domanda. «Oggi c’è la partita di basket femminile tra il club del nostro liceo e la Sasaki»

 

«La Sasaki?» domandò Honda. «Quella scuola per ricconi…?»

 

«Mi domando perché non ci vada anche Kaiba…» borbottò Jono-Uchi, il quale avrebbe tanto desiderato non averlo più intorno.

 

«Già, quella» confermò il moro. «Voglio andare a vedere le ragazze in pantaloncini corti»

 

«Il solito…» commentò Anzu. «Guarda che di solito le baskettiste non sono tanto… affusolate»

 

«Che m’importa?» sorrise Otogi. «Io vado solo per farmi ammirare»

 

«Capisco…» Anzu scosse la testa, pensando a quanto potessero essere incorreggibili i suoi amici.

 

«In questo caso, veniamo anche noi!» esclamarono contemporaneamente Honda e Jono-Uchi, seguendo di corsa Otogi. Ecco, appunto come aveva predetto Anzu.

 

«Andiamo anche noi?» propose timidamente Yuugi, il quale si vergognava un poco a mostrarsi maniaco come gli altri ragazzi, grattandosi leggermente una guancia.

 

«Ci tocca» rispose Anzu, la quale non trovava il basket uno sport particolarmente aggraziato e adatto a delle ragazze.

 

La palestra era stata costruita ancora prima della scuola superiore di Domino ed era ormai una catapecchia da rimodernare; purtroppo, mancavano i fondi. A causa di ciò i club sportivi della scuola erano ridotti all’osso: si erano salvati solo il basket femminile e la pallavolo maschile, più la squadra di calcio che utilizzava il campo all’aperto dietro la palestra. Poiché quel sabato era una giornata molto calda, le porte della palestra erano state lasciate aperte, così tutti i curiosi che non facevano parte del pubblico abituale vi si erano radunati davanti. Yuugi, anche grazie alla sua bassa statura, riuscì ad infilarsi fra tutte quelle gambe, avvampando, visto che nella maggior parte dei casi si trattava di gambe femminili, e a giungere fino a bordo campo prima dei suoi amici. L’unico, infatti, che riuscì a raggiungerlo abbastanza presto fu Bakura, il quale, in realtà, non era per niente interessato.

 

«Fai attenzione!» gridò all’improvviso una ragazza della Sasaki. Yuugi non fece in tempo neppure a capire perché gli avessero gridato quel avvertimento che si ritrovò scaraventato a terra perché una ragazza, nel tentativo inutile di recuperare la palla, finita in faccia a Bakura, gli era caduta addosso.

 

«Miyon, tutto bene?» chiese un’altra ragazza della Sasaki, dai lunghi capelli biondi annodato in due trecce dorate.

 

«Tutto ok» La ragazza mora di nome Miyon, che portava il numero 11 sulla maglietta blu, si alzò velocemente, nonostante le ginocchia sbucciate per via della caduta, rivolgendo a Yuugi un semplice “scusami” senza nemmeno guardarlo in viso. Ciò che le interessava era soprattutto il gioco e la vittoria, non le vittime che avrebbe potuto lasciare sul campo. Almeno, questa era l’impressione del ragazzo dagli occhi viola mentre la guardava scambiarsi un batti cinque con la sua compagna.

 

«Che dici, ce ne andiamo?» propose Bakura massaggiandosi il naso, dove la palla lo aveva colpito.

 

«Meglio» convenne Yuugi. Si trovavano in palestra da meno di due minuti ed erano quasi stati uccisi. Cosa sarebbe capitato loro alla fine della partita? Senza contare che la squadra della loro scuola stava perdendo. Con un altro sforzo evidente riuscirono a scavalcare tutto il pubblico e tornare all’aperto, tra l’aria calda e afosa del sabato pomeriggio.

 

«Che botta che ho preso…» Yuugi appoggiò una mano sul suo puzzle piramidale e dorato. «Tutto bene, mou hitori no boku?» Non ricevette alcuna risposta. «Mou hitori no boku?» Ancora e solo silenzio. Chiuse gli occhi, entrando nella sua stanza della memoria, cosparsa di giocattoli dalle varie forme e colori. Aprì la porta verdina e si affacciò sul corridoio. La stanza in ferro con il simbolo dell’occhio millenario, di solito presente sulla parete opposta del corridoio, quella che conteneva lo spirito dell’antico Faraone, era scomparsa. Riaprì velocemente gli occhi, cercando la presenza dei suoi amici accanto a lui. «Ragazzi, è terribile! Mou hitori no boku…»

 

«Cos’è successo a mou hitori no Yuugi?!» s’informò subito preoccupata Anzu, la quale era sempre molto sensibile ai problemi del Faraone ma del tutto insensibile a quelli di Yuugi.

 

«Ecco, lui…»

 

Mou hitori no Bakura prese momentaneamente il controllo di Ryou Bakura, incurante delle discussioni dei ragazzi e della loro decisione di recarsi immediatamente in Egitto da Malik e Isis, e rivolse la sua attenzione alla porta della palestra, dalla quale provenivano attutiti gli urli del pubblico e i palleggi delle giocatrici. «Tra tutte, proprio lei doveva…» pensò arrabbiato. «Che sfortuna… Questo imprevisto potrebbe vanificare tutto il mio piano…»

 

 

***

 

 

Le numerose rampe di scale in pietra che componevano la sua stanza della memoria erano sporche e lise, come se fossero state percorse da innumerevoli piedi per innumerevoli secoli, proprio come i veri templi e le vere tombe egizie, mentre, al contrario, nessuno a parte lui stesso le aveva mai calpestate. Stanco, si sedette su uno degli scalini. In fondo lui era uno spirito e anche se la sua forma si fosse sporcata di polvere, nella vita reale avrebbe utilizzato i pantaloni di Yuugi, i quali non erano certo stati posati sulla lontana sabbia rossa del deserto.

 

Era giorno? Sera? Notte? A forza di cercare senza sosta, come ogni tanto decideva di fare, la sua vera stanza dell’anima, dov’erano custoditi i segreti del puzzle, aveva perso la cognizione del tempo, per altro inutilmente, visto che, come sempre, non era giunto ad alcun risultato concreto. Certo, non cadeva nelle trappole come Shadi, ma trovava solamente stanze vuote e silenziose, che sapeva di morte, senza alcuna utilità. Cominciava a domandarsi se davvero desiderasse sapere per quale motivo lui si trovava come spirito all’interno del puzzle. Aveva conquistato le tre carte divine, aveva sconfitto Kaiba e mou hitori no Bakura per l’ennesima volta e si era riappacificato con il clan dei custodi delle tombe, eppure non era ancora riuscito a ritrovare la sua memoria. Cosa doveva fare? O, meglio, lui desiderava davvero fare qualcosa? All’inizio, non gli importava nulla di sé stesso. Voleva rimanere com’era, senza cambiare, e restare per sempre con Yuugi. Poi aveva deciso di ritrovarsi. E adesso, aveva nuovamente cambiato idea?

 

Decise di parlarne con Yuugi. Lui, in fondo, era il suo partner, la persona che per tutto quel tempo gli era stata vicina, nonostante avesse più volte rischiato la vita per colpa sua. Avrebbe potuto capirlo e aiutarlo. Aprì la porta in ferro, che cigolava come sempre, quasi a dare un senso di pericolo e mistero alla stanza che celava, e bussò all’altra porta. Non si accorse subito che si trattava, a differenza di quella di Yuugi, di una curiosa porta di bambù, perciò entrò anche senza ricevere risposta e si trovò circondato da una sottilissima seppur impenetrabile nebbiolina bianca, la quale divenne irrespirabile non appena lui sorpassò la soglia della porta con entrambi i piedi.

 

«Monossido di carbonio?» si domandò riconoscendo l’odore, mentre riusciva nel corridoio con la mano destra premuta sul naso e sulla bocca. «Che diavolo sta succedendo? Aibou

 

Temendo che potesse essere in pericolo, rientrò immediatamente nella stanza, stando ben attento a non respirare, per cercare un qualche segno della presenza di Yuugi. Non la trovò, ma in compenso venne catapultato in una specie di grotta stranissima, costellata da tavolini simili a banchi di scuola, sistemati a ferro di cavallo piuttosto irregolare. Al centro vi era una lavagna nera, su cui una tizia che non aveva mai visto stava scrivendo caratteri incomprensibili. Gli alunni, volti vuoti senza alcuna personalità, seduti sui banchi, li ricopiavano, o almeno così credeva. «E’ un sogno…» Non era la prima volta che vi entrava per sbaglio e aveva imparato a riconoscere Yuugi, seppure sotto le varie forme che assumeva a seconda del momento, dal fatto che la sua figura fosse chiaramente più nitida delle altre, poiché queste non erano che ricordi della sua stessa mente.

 

Lo individuò, seduto nell’ultimo banco in fondo, con una matita tra le labbra e lo sguardo concentrato sul foglio che aveva davanti. Si avvicinò lentamente, cercando di non farsi notare dagli altri personaggi del sogno che, per fortuna, non lo degnavano di uno sguardo, e si sedette nel banco a fianco. «Aibou, sta succedendo qualcosa di strano nella tua stanza dell’anima» Poi arrossì vagamente, osservando la forma che il suo partner aveva assunto questa volta. Una bella ragazza dai lunghi capelli nero notte, interrotti qua e là da alcune ciocche di sole. Una ragazza, tuttavia, che possedeva i suoi stessi occhi viola.

 

«Noi ci conosciamo?» gli chiese lei, voltando leggermente la testa per guardarlo.

 

«Direi di si» replicò lui. «Anche se questo è un sogno, noi siamo sempre amici»

 

«Un sogno?» La ragazza si guardò attorno, sorpresa. «Come fai a dirlo?»

 

«Ti sembra forse una situazione normale?» Con un ampio gesto delle mani indicò la grotta, i banchi e la maestra che era molto simile alla Maria De Filippi.

 

Lei, dubbiosa, si pizzicò leggermente il braccio, mordicchiando la matita che teneva stretta fra le chiare labbra. «E’ vero, non mi fa male…» Tirò poi una guancia anche a lui, come per confermargli la situazione. Lui si sottrasse, massaggiandosela. «Però è strano…» proseguì lei. «Nei sogni ci dovrebbero rientrare, a caso, i proprio ricordi…» Lo osservò bene. «Io invece non ti ho mai visto!»

 

«Eh?» Lui iniziò a preoccuparsi sul serio. Era davvero possibile che… Fosse finito in un’altra stanza dell’anima? Ma come? Quando? Perché? No, non doveva lasciarsi prendere dal panico.

 

«Però è divertente sapere di stare sognando, così posso fare quello che voglio senza preoccuparmi» sorrise lei. «Il mio nome è Miyon Minaguchi, comunque»

 

«Oh, piacere…» Evidentemente, l’incredibile era accaduto. Era, non sapeva bene come, finito nel corpo di un’altra persona, mai vista. Per questo la stanza era differente da quella di Yuugi: non era mica la sua!

 

«Tu invece chi sei?» domandò lei, sistemandosi un ciuffo di capelli dietro l’orecchia.

 

«, io… Puoi chiamarmi Yuugi, come fanno tutti…» Non era il momento di spiegarle la situazione, adesso. Avrebbe potuto prenderlo per quello che era: un sogno. Doveva aspettare che quella ragazza si svegliasse. Che Ra lo aiutasse, se fosse stata simile alle fan di Otogi e Bakura!

 

Ma non sapeva ancora con quale tipo di ragazza avesse a che fare. E ripensandoci ora che l’aveva conosciuta, sebbene superficialmente, ancora non poteva stabilire se ciò fosse un bene o un male.

 

 

***

 

 

Quando i tiepidi raggi del sole mattutino attraversarono i sottili vetri della porta-finestra nella camera spoglia di una stanza qualunque del dormitorio della scuola superiore Sasaki, Miyon aprì i suoi occhi viola, sbattendo leggermente le palpebre e stiracchiandosi con il braccio che sporgeva dalle lenzuola blu. Sbadigliando, si sistemò in posizione più diritta, riannodando un bottone del pigiama che si era staccato durante la notte. Guardò di fronte a sé, trovando il ragazzo del sogno seduto al bordo del suo letto con le gambe accavallate, che la osservava con occhi viola molto simili ai suoi. «Buongiorno, Miyon» le disse, con una voce calda e profonda. Stranamente, il suo corpo non affondava tra le pieghe delle lenzuola e tra il morbido materasso, quasi come se non fosse fisicamente in quel luogo.

 

«E tu che ci fai qui, Yuugi?» Lei passò le dita tra i lunghi capelli spettinati. «Questo è un dormitorio femminile, non lo sai? Vietato ai maschi»

 

«Non lo sapevo» ammise lui alzando le spalle. «Ma anche se l’avessi saputo non avrebbe poi fatto una grande differenza»

 

«Perché mai?» Miyon avvicinò le gambe al corpo, capendo che presto sarebbe iniziata una spiegazione, e le circondò con le braccia.

 

«E’ un po’ difficile da spiegare…» Yami riflettè con una mano posata sotto il mento. «Iniziamo dal principio… Vedi, io sono uno spirito, non un essere umano. Non possiedo un corpo mio. Per 3000 anni sono rimasto all’interno in un oggetto magico chiamato Puzzle Millenario-»

 

«3000 anni?» lo interruppe lei. «Li porti davvero bene, complimenti» Se qualcuno gliel’avesse raccontato, lo avrebbe immaginato come un vecchietto basso dalla lunga barba bianca e in viso raggrinzito.

 

«Grazie tante…» Yami fece un sorrisetto imbarazzante. «Comunque, quando il mio partner Yuugi ha risolto il Puzzle Millenario, ho iniziato a manifestarmi nel suo corpo-»

 

«Allora Yuugi non è il tuo vero nome?» intervenne nuovamente Miyon.

 

«No, non mi ricordo come mi chiamo…» rispose lui leggermente arrabbiato. «Ho preso in prestito il nome del mio partner, perciò tutti mi chiamano mou hitori non Yuugi, oppure Yami Yuugi… Yami per semplicità»

 

«Ci credo che non lo ricordi, dopo 3000 anni…» fu il commento di lei.

 

«Posso andare avanti?» chiese lui alterato. «Non finiamo più…» Con Yuugi era stato più semplice, perché il suo partner, per primo, si era accorto della presenza di uno spirito dentro di sé.

 

«Si, si, scusa» sorrise Miyon. «Vai avanti, è interessante…»

 

Ma non è un film… pensò lui affranto. «In ogni caso, ieri, non so ancora come, il mio spirito è stato trasferito dal corpo di Yuugi al tuo… ed eccomi qua. Adesso sono dentro di te» Scostò lo sguardo aspettando qualche strana reazione isterica.

 

«Ah» Miyon appoggiò la testa alla mano destra, piegata sul ginocchio. «Non riesco a capire se mi stai prendendo in giro o sei del tutto scemo»

 

«Non sto scherzando!» Era comunque andata meglio del previsto. Non avrebbe proprio saputo come fare per farla calmare nel caso lei fosse scoppiata a piangere.

 

Miyon si alzò di scatto, lasciando che le lenzuola blu scivolassero come una sottile cascata sul pavimento dall’altra parte del letto, e cercò di toccare quel ragazzo, ancora seduto comodamente sul suo materasso. Naturalmente non vi riuscì, poiché si trattava solo di una proiezione derivante dalla sua stessa mente, dove adesso si trovava la stanza dell’anima di Yami. «Pare che sia vero…» disse stupita osservandosi la mano con cui aveva cercato di afferrarlo.

 

«Infatti…» Yami fece scomparire la sua forma spirituale, per dimostrarle che poteva parlare con lei anche senza apparire. «Solo tu puoi vedermi, perché sono dentro di te. «Ma stai tranquilla. Se andiamo al Toy Shop del mio partner, sono sicuro che troveremo una soluzione»

 

«Speriamo…» commentò lei. «Sai com’è, il mio corpo si stanca abbastanza a vivere con una persona sola, figuriamoci con due»

 

Yami si lasciò andare a un sospiro di sollievo. Aveva trovato una persona comprensiva, tranquilla e abbastanza con la testa fra le nuvole per credere quasi subito al suo racconto. «Bene, allora vestiti così lo avvertiamo subito» Chissà com’era preoccupato Yuugi non trovandolo più all’interno del Puzzle.

 

«Ora no» Miyon scoccò una rapida occhiata alla semplice sveglia digitale appoggiata sul comodino, tra un cubo di Rubrik in legno, un libro di enigmistica e uno di matematica, sistemati alla rinfusa sotto la lampada al neon. Segnava le 8.10. «E’ troppo presto» Si gettò a pesce sul letto, rimbalzando leggermente a causa delle molle troppo consumate, e riafferrò un lembo della coperta rimasto miracolosamente al suo posto. «Voglio dormire ancora» Riprese tutto il lenzuolo e si coprì fin sopra la testa, per indicare che non voleva essere disturbata.

 

«Oh, …» Yami piegò le labbra all’indietro. In fondo, anche lui aveva voglia di riposare un poco.

 

 

 

«Stavo pensando una cosa…» commentò Yami mentre Miyon finiva di sistemare i numerosi libri di scuola nella cartella marrone. «E’ colpa tua se devi sopportarmi ancora per un po’»

 

«Perché mai?» Lei chiuse di scatto la cartella e si voltò a fissare quel ragazzo, appoggiato allo stipite della porta aperta della sua stanza.

 

«Perché se ieri tu non avessi dormito, saremo giunti in tempo al negozio prima che Yuugi partisse per l’Egitto» Annuì convinto. «Hanno preso l’aereo delle 10, così ci ha detto suo nonno, quindi lo avremo bloccato prima, visto che tu ti eri alzata alle 8.00»

 

«Allora è colpa mia» accondiscese lei seccata. «Tanto, l’unica che avrà dei guai da questa situazione sarò io, no? Chi è causa del suo mal pianga sé stesso»

 

«Io non ti sto causando problemi…» si difese Yami. «Sono dentro di te da un giorno e mezzo, più o meno, e ti ho solo sbirciato un pochino in bagno…e per errore»

 

«Se ti sembra poco…» Miyon si sistemò la cartella sulle spalle, stando attenta che non le spiegazzasse la giacca blu della divisa, e diede un’ultima sistematina ai capelli, guardando nello specchio dell’anta dell’armadio. «Ora devo andare a scuola» La chiuse. «Vedi di non comparire e di non farmi parlare. Le mie compagne di stanza mi hanno già guardato abbastanza male ieri dopo il bagno, credendo che parlassi da sola»

 

«Non sono mai comparso nemmeno al mio partner a scuola» disse lui offeso. «So che è importante»

 

Lei lo ignorò. «Non fare nulla di nulla, capito? Dormi e non mettermi nei guai»

 

«Va bene…» Yami si finse un bravo ragazzo ma dovette ammettere a sé stesso che, se gli dicevano di non fare qualcosa, gli veniva un gran desiderio di farla, anche solo per divertimento. In fondo, non si sarebbe trattato di nulla di male, comparire un pochino durante l’orario di scuola…

 

 

 

Note di Akemichan:

 

Avevo pensato di non scrivere più storie su Yu-Gi-Oh, ma poi ho fatto un sogno e mi sono detta “visto che nessuno ha mai scritto una cosa del genere, che io sappia, perché sprecare quest’idea?” e ho deciso di rimettermi al lavoro. Spero però che non venga lunga come la precedente, ma…^^’’ vedremo. No, dai, prometto che non andrà oltre i 15 capitoli (dì che sono pochi…-.-’’ N.d.Tutti Ehm…^^’’ Nd.Akemichan)

Mi spiace aver dovuto inventare un nuovo personaggio al quale dare abbastanza spazio, ma io avrei volentieri utilizzato un personaggio femminile del manga, se solo ce ne fosse uno decente!! Ho dovuto per forza crearne uno, spero che mi perdonerete ^^ E che non sia una MarySue! Io cercherò di non farla, ma voi avvisatemi.

 

Ho deciso di utilizzare “Malik” per “Marik” perché mi hanno detto che “Malik” significa qualcosa come “sovrano” in mesopotamico o una lingua simile e, perciò, credo che questa fosse l’intenzione di Takahashi-sensei (ovviamente in jap la r e la l si scrivono nella stessa maniera). Ishizu invece lo hanno tradotto Isis nel manga, perciò lo riutilizzo anche qui. “Mou hitori non Yuugi” significa semplicemente “l’altro Yuugi”, come gli amici chiamano Yami o Yuugi a seconda di chi è in controllo in quel momento (significa che, se è in controllo, Yami mou hitori no Yuugi è riferito a Yuugi e viceversa). “Mou hitori no boku” invece significa “l’altro me stesso”, come Yuugi chiama Yami. “Aibou” significa “partner”, come Yami chiama Yuugi.

 

Ringrazio qui Heven per la sua recensione all’altra mia storia… Non posso fare altrimenti, visto che non riesco in alcun modo a mandarti delle e-mail… Mi ritornano sempre indietro, e non capisco il motivo… Mi dispiace ^^ Però grazie, grazie davvero per i tuoi complimenti ^.^ Sei adorabile

Mi sembra che sia tutto… Grazie per aver letto la storia ^^ Il prossimo aggiornamento (sempre che interessi a qualcuno ^^’’) fra sette giorni esatti

 

   
 
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