Anime & Manga > Lady Oscar
Segui la storia  |       
Autore: Dorabella27    27/11/2023    13 recensioni
Come mai Oscar non ha mai voluto farsi ritrarre sino alla tarda primavera, anzi, all’estate del 1789?
A parte il ritratto “d’ordinanza” nel bureau da comandante delle Guardie Reali che intravediamo nell’ep. 29 quando Oscar consegna la sua sciabola a Girodelle per l’avvicendamento al comando del reggimento, e un quadro che la raffigura e che intravediamo fuggevolmente nella camera della protagonista nelle prime puntate, non abbiamo tracce di ritratti ufficiali o solenni di Oscar.
Ecco una possibile spiegazione.
Racconto cross-over, in cui riconoscerete l’ispirazione di un grande classico della letteratura (con la speranza di non averlo troppo strapazzato), debitamente retrodatata e modificata per portare i suoi personaggi in Francia ai tempi di Oscar. Come sapete, mi piace cimentarmi sempre con qualche diversa declinazione del racconto; per cui, dopo il giallo, il racconto gotico (o pseudo-tale), il racconto natalizio a lieto fine, il giallo con protagonisti i nostri beneamati da bambini ... ecco qui un po' di mistero, con "Cortesie per l'ospite" (e che ospite!).
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Generale Jarjayes, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes
Note: Cross-over, Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
16 –  … e alla fine arriva Oscar
 “Non credete forse sarebbe stato bene consultare anche me, Lord Douglas, dato che avrei dovuto essere a vario titolo implicata nei vostri progetti?”. La voce di Oscar risuonò ferma e severa da oltre la porta accostata. Poi, con passi lenti e decisi, avanzò, nella stanza illuminata dal sole freddo dell’inverno, bellissima e marziale nella sua uniforme rossa, i ricci aerei appena domati dal peso del tricorno nero piumato.
“Eccola qui, la bella Madamigella dalle chiome d’oro! Bugiarda! Non siete che una donnetta debole e bugiarda! Una donnetta che gioca a fare il soldatino”, esclamò sprezzante Lord Douglas.
“Moderate i termini, Lord Douglas!”, tuonò lei.
“Oh, ma come siamo severi! Ma che paura che mi fate, Colonnello!”. Ora la voce di Lord Douglas, da carezzevole e giovane quale era sempre stata, era diventata una specie di squittìo maligno; e intanto, con un vigore e una forza assolutamente insospettabili in un fisico all’apparenza così esile, l’inglese aveva afferrato André da dietro, cogliendolo di sorpresa e passandogli il braccio sinistro sotto il collo, mentre col destro reggeva la pistola che aveva preso dal tavolino accanto alla poltrona.
“Lasciatelo subito e andatevene: o non risponderò delle mie azioni!”, esclamò Oscar, dura e minacciosa.
“Nemmeno io!”, rispose Lord Sholto: e dai suoi occhi era sparita la dolce ingenuità giovanile, lasciando il posto a una freddezza maligna.
“Che cosa volete fare al mio André?!”, gridò Oscar, e nella sua voce c’era un’angoscia mai udita prima, che André, nonostante il momento poco esaltante, non poté non cogliere.
"Oh no, nulla! Vedete, Colonnello, io non intendo fare del male a lui, ma a voi!", e così dicendo puntò la pistola su Oscar. Fu un attimo. E, dopo lo sparo, Dorian infilò la porta correndo via.
"NOOOOO! Oscar!", André si gettò su Oscar: la pallottola l'aveva colpita vicino alla spalla, poco sopra la clavicola.
"André, com'è la ferita?"
"Seria, ma non mortale: però stai perdendo molto sangue. Ma dovremmo comunque riuscire ad arrivare a Palazzo"
"Perché, André?".
"Fidati di me”.
"Ha troppo vantaggio", disse Oscar con una smorfia.
"Non è un gran cavaliere, lo sai, e se prenderà la carrozza, sarà rallentato. Andiamo, Oscar!". E così facendo, le infilò nella tasca della divisa un minuscolo sacchetto dove tintinnavano due oggettini metallici, mentre la sorreggeva scendendo insieme a lei le scale, per ritrovare le loro cavalcature.
Montare César da sola era fuori questione, e André la fece salire sul suo cavallo, sorreggendola, pur consapevole che questo li avrebbe rallentati.
Alle soglie di Parlazzo Jarjayes, la ferita era una sorgente inestinguibile, e Oscar, stretta fra la criniera di Alexandre e l’abbraccio di André, sembrava aver perso conoscenza.
"Dio! Fa' che arriviamo in tempo", pregava André, per la prima volta dopo molti anni.
Arrivarono davanti all'ingresso principale: il cavallo di Lord Sholto era già davanti ai gradini d'accesso, le briglie a terra, in apparenza quieto: nonostante le convinzioni che André aveva espresso a Oscar, Dorian aveva tralasciato di usare la carrozza, e aveva cavalcato a perdifiato verso Palazzo Jarjayes. André prese fra le braccia delicatamente Oscar e, dopo averle mormorato qualcosa all'orecchio, la depose con non minore delicatezza a terra, a lato del grande ingresso, ed entrò trafelato.
Il Palazzo era deserto: quel giorno cadeva il compleanno della Contessa Marguerite, e a tutta la servitù era stata concessa una vacanza, per solennizzare insieme alla padrona l’importante ricorrenza del suo cinquantesimo genetliaco. Così, la servitù si era riversata verso Parigi e i suoi divertimenti, verso le case degli amici, o dai parenti che vivevano in zona; persino Nanny, vincendo la sua abituale ritrosia a lasciare Palazzo Jarjayes, aveva seguito la Contessa in visita alla figlia maggiore, Joséphine, che aveva curato con tanto affetto quando era una bambina avvolta in fasce e trine.
André non ebbe bisogno di capire dove fosse Lord Sholto: dal fondo del corridoio al primo piano, si udiva tutto il trambusto che produceva, mentre stava prendendo a pugni e calci la porta chiusa della sua camera, frugando al contempo furiosamente in tutte le tasche del gilet, del giustacuore, delle coulottes.
"Cercavate per caso questa, Lord Sholto?", gridò sarcastico André dal fondo del grande scalone, agitando la chiave della stanza di Lord Douglas a Palazzo Jarjayes.
“Come hai fatto ad averla, sporco villano puzzolente di sterco di cavallo?”, tuonò dall’alto Lord Douglas, che era accorso trafelato, sino all’imboccatura dello scalone, sporgendosi dalla balaustra delicatamente decorata a volute floreali di ferro battuto.
“Non siete stato molto attento quando stamattina vi ho aiutato a montare a cavallo, milord!”, rise sprezzante André, ricordando quanto era stato facile, poche ore prima, infilare una mano, veloce e leggero, nella tasca del giustacuore di Lord Sholto e rubare la chiave delle sue stanze, ultimo tassello del suo piano per avere in pugno quell’ospite inquietante.
"Ridammela subito, lurido servo che non sei altro!", gridò Lord Sholto, precipitandosi giù dalle scale.
André con uno scatto filò via.
"Ah! Senti senti! Ora sono un lurido servo? Non sono più il vostro "caro amico" con cui viaggiare sino alla corte della Zarina?”, lo canzonò beffardamente André, mentre Lord Sholto sguainava la spada e si gettava all'inseguimento.
"Miserabile! Ti prenderò! E allora...", gridava Dorian, correndo per il parco.
"Dovrai raggiungermi, prima!", sibilò André, e si fermò, accanto alla grande quercia, sotto la quale tante volte aveva riposato e fatto merenda con Oscar da bambini. Cavò dal fianco un coltello a serramanico e si dispose in atteggiamento guardingo.
"Illuso! Credi poterti battere con quel coltellino? Arrenditi prima, e ti ammazzerò senza farti soffrire!", minacciò Lord Douglas.
"Ma quanto siamo generosi! Venite avanti, forza!", ribatté Andé, invitando l’avversario ad attaccare.
Mentre Lord Sholto e André si battevano, schivando ciascuno i fendenti dell’altro, nel parco raggelato dall’inverno, come in una fiaba crudele, Oscar, chiamando a raccolta le sue ultime forze, riuscì entrare dal grande portone, a salire lo scalone d’onore e ad arrivare sino alla porta della stanza di Lord Douglas Sholto. Lì, traendo dal sacchettino di pelle che André le aveva messo in tasca la chiave dei suoi appartamenti – giacché quella che il giovane aveva mostrato ingannevolmente all’ospite inglese era quella della propria stanza-, entrò senza sforzo nelle camere di Dorian. Arrancò sino alla cassa vicino al grande letto e, come le aveva sussurrato André poco prima, prese dal sacchettino la seconda chiave, quella della cassa chiusa, e aprì lo sportellino: il terrore, lo schifo, l’incredulità si dipinsero sul suo volto, dopo che ebbe visto l’ignobile sfacelo del ritratto, ma prese coraggio, e, facendo quel che André le aveva detto, sguainò la spada e la infilò nella tela, dritta alla base della gola del mostro che sembrava osservarla ghignando.
        In quello stesso istante, Lord Douglas, che stava tentando un affondo micidiale contro André, si arrestò urlando come un animale sgozzato, portandosi le mani al collo, come se avesse ricevuto un colpo mortale. Sotto gli occhi increduli di André, il giovane inglese dal fascino efebico si trasformò in un vecchio bolso, rugoso, flaccido e dall’apparenza orribile. André si era bloccato, di fronte a quel prodigio; poi mentre l’essere davanti a lui emetteva un mugolìo da bestia morente, André si riscosse e, avvicinatosi, gli inflisse un colpo al ventre col suo coltello a serramanico, estraendo la lama un attimo dopo aver assestato la ferita, e senza che la vittima sembrasse nemmeno rendersi conto di quanto il suo avversario aveva fatto. Lord Sholto, con una voce che sembrava provenire ormai da oltre l’Acheronte, mormorò: “Voi  … voi… mi avete   …. ucciso”, e cadde a terra. Un attimo dopo, iniziò a soffiare un forte vento, e il corpo di Lord Dorian Edward Douglas Sholto si disfece in una polvere fine, più sottile della sabbia delle spiagge del Mediterraneo che Dorian tanto aveva amato nelle sue peregrinazioni verso il sole, e che si disperse nell’aria. Restarono solo i suoi eleganti abiti, afflosciati e vuoti, e gli scarpini di seta, con le fibbie lucidissime sulle quali spiccava qualche granello superstite di quella povera polvere che era stata il loro padrone.
        André raccolse il coltello a serramanico, che gli era caduto di mano, e corse su per le scale, fino alla camera di Lord Douglas: là, vide Oscar, di spalle, seduta a terra, le gambe allargate sul pavimento, che si puntellava sui talloni e sulle mani. Di fronte a lei, i fasciami di una cassa di legno parzialmente aperta mostravano, attraverso lo sportello spalancato, il ritratto su tela di un giovane, affascinante gentiluomo, gli occhi straordinariamente blu e i capelli meravigliosamente biondi, che, abbigliato all’ultima moda del primo quarto del XVI secolo, sorrideva loro, una mano sul fianco, le spalle leggermente ruotate, tutto fiero della sua eleganza e con, nello sguardo, tutta la baldanza fiduciosa nel mondo e negli uomini, tipica della prima gioventù. Nella tela, all’altezza della gola, era conficcata la spada di Oscar, e un sottile rivolo di sangue scendeva dal collo e si spandeva sul farsetto celeste.
“Oscar! Oscar! Stai … stai bene?”, chiese André con la voce rotta per l’angoscia, più che per il duello e la corsa a perdifiato per il parco e poi su per lo scalone. E quasi aveva timore di porle la mano sulla spalla.
“André …”, sussurrò lei, stranita, pallidissima, indicando il quadro, “prima non era così”.
“Lo so, Oscar, lo so”. Poi, un attimo dopo: “Oscar, come  … Come ti senti?”
“Non capisco … non capisco”: adesso si era rialzata e, aperta la giacca dell’uniforme, in cui faceva bella mostra un foro di pallottola, e scostata la stoffa sbrindellata della camicia, pur imbrattate di sangue, del suo sangue, Oscar si tastava la pelle della clavicola, mostrandola anche ad André, immacolata e senza segni, come se non fosse stata mai colpita. “Eppure… lo sparo era reale, la pallottola era reale, la ferita era reale… il sangue era reale”, balbettò, confusa “e ora, ora è tutto sparito”.
“Non tutto”, aggiunse André, trattenendo a stento l’impulso, davvero irresistibile, di abbracciare Oscar, di stringerla forte al suo petto, con sollievo e passione, e non lasciarla più.
“Lord Wotton …”, mormorò Oscar, con un cenno di assenso, come a rimarcare l’ineluttabilità di almeno uno degli atti del loro ospite.
“Temo di no”, scosse la testa André, “per Lord Wotton non credo  che ci sia la possibilità di riavvolgere il filo degli avvenimenti”.
Una pausa. “Era molto infelice”, soggiunse André, non ottenendo da Oscar che un cenno di assenso.
“Vieni”, le disse subito dopo, facendole cenno di seguirlo giù per lo scalone e poi nel parco, sino agli abiti vestiti sino a poc’anzi da Lord Douglas, non prima che Oscar avesse estratto la spada dalla tela, e richiuso a chiave la cassa e la porta della camera.
………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………..
Voci diffuse per i salotti parigini parlarono della scomparsa del giovane, che sarebbe partito per un lungo viaggio, per lenire il dolore derivante dalla scomparsa del suo tutore, al quale lo legava un affetto particolarmente profondo e tenace, su cui qualche malalingua ebbe anche il cattivo gusto di diffondere pettegolezzi squallidi e di pessimo gusto. Qualcuno, una notte, vide anche, lasciato sul parapetto del Pont Neuf (chi sa da chi, poi?!), il suo tricorno piumato, il suo giustacuore di taglio impeccabile, di velluto cremisi, il suo orologio d’oro da taschino e il suo bastone da passeggio, dai preziosi, inconfondibili intarsi, abbandonati, come se il proprietario si fosse tuffato per cercare l’oblio dalle cure del presente nelle scure acque della Senna; prima, naturalmente, che la canaglia parigina arraffasse quei beni preziosi esposti alla mercé della sua avidità.
Da dietro l’angolo di un caseggiato, Oscar e André osservarono la scena che avevano predisposto, avvolti nell’oscurità della notte, sino a quando anche il tricorno di Lord Douglas Sholto non venne arraffato dalle mani avide di un disperato fra i tanti che abitavano la Suburra parigina.
Poi, si avviarono lentamente, per recuperare i cavalli, e per mettersi in viaggio verso Palazzo Jarjayes, senza dire nulla, ma ricordando silenziosamente, ciascuno nell’intimo del proprio spirito, che cosa, pochi giorni prima, era accaduto quando, il giorno stesso del duello e della scomparsa di Lord Douglas Sholto, dopo aver raccolto e nascosto nelle scuderie gli abiti dell’ospite, ne avevano riguadagnato la camera. Lì, Oscar e André avevano aperto nuovamente la cassa, e trattone il ritratto, liberandolo completamente dal legno che lo copriva, avevano, con inquietudine, scoperto la tela, davvero di gusto squisito, e realizzata con ogni maestria: poi dopo essersi scambiati, senza una parola, un cenno d’intesa, André aveva acceso un fuoco vivido e scoppiettante nel camino, e Oscar aveva tolto il quadro dalla cornice; quindi, l’aveva gettato tra le fiamme. Un lampo sulfureo si era levato dal fuoco, costringendo Oscar e André a schermarsi gli occhi col braccio: un attimo dopo, il fuoco si era spento, e del quadro non restava più che un mucchietto di cenere. André l’aveva raccolta in un sacchetto, e poi, la notte, accompagnato da Oscar, l’aveva sparsa sul terreno che circondava una chiesetta in rovina immersa nella campagna di Jossigny.
        Di Lord Dorian Edward Douglas Sholto nessuno avrebbe saputo più nulla.
"Oscar, posso chiederti una cosa?", chiese André, mentre cavalcavano al passo verso casa, sotto una stellata incredibile, come raramente se ne erano viste in quell’inverno pur gelido e limpidissimo.
"Certo, André, dimmi pure".
"Quanto della mia conversazione con Lord Douglas Sholto hai sentito prima di entrare in biblioteca?".
Oscar sorrise appena. "Poco, André. Solo le ultime battute", rispose con naturalezza.
André volse leggermente il capo verso di lei, senza dire nulla, per cercare di decifrare la sua espressione di sfinge bionda: gli occhi color fiordaliso sembravano sfavillare nel buio e, sotto la luna piena, i capelli di lei sembravano ancora più chiari, e soffici, come se appartenessero a una fata che, per un bizzarro scherzo del destino, indossava un mantello militare e degli stivali da cavaliere.
Scosse la testa, piano, e continuò a cavalcare sino a casa, accanto a Oscar, come sempre.
   
 
Leggi le 13 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Lady Oscar / Vai alla pagina dell'autore: Dorabella27