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Autore: muffin12    02/12/2023    1 recensioni
Quella fronte - meno ampia di come si aspettava, dal colorito pallido, pulita e liscia in un modo che lo incantò leggermente - fece scricchiolare le sue convinzioni.
Perché la fronte fu solo il frustrante inizio. In un attimo, Ranpo iniziò a notare molto di più.
E rimanere lucido e ben presente cominciò a diventare serio un problema.
Pair principale: Ranpo Edogawa/Edgar Allan Poe
Pair secondario (se si strizzano gli occhi): Dazai Osamu/Chuuya Nakahara
Questa storia ha partecipato al Contest "Dream Catcher Contest" del @4BLUTeam per il tema "Sexy Dream". Ci ha provato almeno XD
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Edgar Allan Poe, Ranpo Edogawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fandom: Bungou Stray Dogs
Ship: Ranpo Edogawa/Edgar Allan Poe
Rating: Giallo
TW: Shonen-ai
Parole:  2913
 
 
About Daydreams and Shocking Deductions
 
 
Poe aveva una fronte.
 
Pensiero altamente noioso, verissimo, ma Poe aveva una fronte.
 
Il 100% della popolazione mondiale aveva una fronte, a meno di alterazioni genetiche o malattie di cui né Ranpo né la scienza erano ancora a conoscenza – ciclopia a parte, ma il solo fatto che l’occhio fosse posizionato al centro della fronte era di per sé significativo dell’esistenza di detta fronte, quindi il caso non sussisteva -, di conseguenza non era nemmeno qualcosa da permettere alla sua mente di registrare con l’indolente automatismo con cui raccoglieva dati, figurarsi rimanerne scioccati.
 
Ranpo era sempre stato certo che fosse esistita una fronte sotto tutti quei capelli spettinati che coprivano buona parte della faccia di Poe e non aveva mai avuto il bisogno di vederla, in tutta sincerità.
 
Ma come nei delitti più tenaci dalle risoluzioni poco più lunghe di due secondi netti, quelle in cui Ranpo era semplicemente più distratto dalla pasticceria che faceva da sfondo al caso in questione che per reale difficoltà, l’arcano venne svelato e il colpevole consegnato alla giustizia.
 
Il colpevole, in questo caso, erano i lunghi capelli di Poe normalmente lasciati liberi di vagare fin sotto il suo naso come natura comandava. Aveva conosciuto Poe in quel modo, aveva rincontrato Poe in quel modo. Era Poe, semplicemente.
 
Poi, però, capitò tutto il caos derivato dal non seguire le sue indicazioni e, con un caso-trappola accettato contro ogni suo più schietto giudizio e la situazione che era velocemente degenerata, andare sotto copertura si rivelò il metodo più veloce per salvare l’Agenzia e recuperarne – quasi - tutti i membri.
 
Se Ranpo si ritrovò coprirsi dalla testa ai piedi, Poe dovette andare contro corrente.
 
Con una manualità sciolta che sapeva di abitudine stuzzicante, fissò Poe addomesticare i suoi capelli con gel e pettine, spingendoli indietro verso la sua nuca e scoprendo una porzione di viso che Ranpo non aveva mai visto e che, con un pensiero così rapido di cui ne fu quasi stupito, sperava vivamente non l’avesse fatto nemmeno alcun componente del genere umano intero.
 
Ranpo non aveva mai passato del tempo a dedurre l’aspetto di Poe sotto la sua coltre mossa sempre lucida di pulizia. Non ne aveva avvertito il bisogno, era uno spreco di minuti che avrebbe potuto passare sgranocchiando senbei con alghe nori pregustando il momento in cui avrebbe potuto mettere le mani su snack più golosi, scegliendo di tacere su dove Dazai sparisse ogni volta che Kunikuda lo cercava per questioni che avrebbero potuto sfiorare la zona di competenza della Port Mafia senza che il prossimo capo in carica se ne accorgesse e divertendosi a ridere in faccia a Dazai al suo ritorno, scappare dalle grinfie di Yosano quando era in vena di andare a fare shopping e crogiolandosi nel compiacimento per casi risolti in barba a capi di polizia orgogliosi e recalcitranti.  
 
A lui Poe andava benissimo in quel modo, l’unico problema per cui lo rimproverava era la sua voce a volte fin troppo bassa. Poe era semplicemente Poe, prima detective, poi avversario e infine scrittore di gialli ogni volta un pizzico più complessi che Ranpo leggeva con entusiasmo nonostante riuscisse ogni volta a risolverli dalla sola presentazione dei personaggi, qualcuno che era stato facile definire amico.
 
Quella fronte – meno ampia di come si aspettava, dal colorito pallido, pulita e liscia in un modo che lo incantò leggermente - fece scricchiolare le sue convinzioni.
 
Perché la fronte fu solo il frustrante inizio. In un attimo, Ranpo iniziò a notare molto di più.
 
E rimanere lucido e ben presente cominciò a diventare serio un problema.
 
 
*
 
 
“Ranpo-san, questo potrebbe andare bene per il tuo piano?”
 
Ranpo alzò gli occhi dal pavimento da dove stava giocando con Karl e smise di succhiare la caramella all’uva immediatamente.
 
Quelle non erano le mani di un semplice scrittore. Lo aveva sempre saputo, chiunque avesse gli occhi avrebbe potuto vederlo, ma era anche vero che quella non era un’arma che si trovava facilmente in una casa normale.
 
Poe reggeva un MacMillan Tac-50 – fucile da cecchino, professionale, americano. Sicuramente residuo della Gilda – con la consumata abitudine di chi lo utilizzava di mestiere. Lo tratteneva per la canna e l’impugnatura con presa sicura scrutandolo da dietro quegli occhiali scuri come se non sapesse cosa farci, ma le sue mani raccontavano altro.
 
La pelle era più dura dove il fucile poggiava sui palmi. Non aveva lo spessore tipico che vedeva al lato delle sue dita, quei calli caratteristici degli scrittori manuali che sputavano sangue e anni sui propri lavori, ma erano più tenui, una semplice idea, il suggerimento nebuloso di un passato a contatto con armi leggere e una vita diversa da quella sfoggiava in quel momento a Yokohama.
 
Aveva partecipato ad una guerra forse? No, non era esatto, ci sarebbero stati altri segni ben più evidenti.
 
Leva militare? L’Inghilterra aveva abolito il servizio obbligatorio da tempo e Poe non era il tipo che avrebbe preso l’iniziativa di arruolarsi per amore della patria: aveva aderito all’organizzazione di un americano pazzo con il solo scopo di rivedere Ranpo e vedersi umiliato per poi tradirla senza pensieri e senza alcun tipo di rimorso, il puro sentimento patriottico non era decisamente qualcosa che albergava nella sua personalità.
 
La caccia era la risposta giusta. Il suo tenore di vita, il suo abbigliamento, tutto di lui parlava di Eton e vecchi soldi provenienti da rendite secolari. Non era difficile immaginarlo costretto a partecipare a battute piene di nobili, cavalcare per boschi con fucili basculanti tra le mani seguito da un cane più affettuoso che dedito al riporto e con l’unica volontà di sedersi sotto un grosso salice per mettere su carta tutto ciò che la sua bellissima mente fosse riuscita a vedere con gli occhi dell’immaginazione e della perspicacia. Il passo alle armi più tecnologiche della Gilda sarebbe stato breve e da lì il sorgere di calli che non si erano sviluppati abbastanza, insieme a memoria muscolare che diventava una seconda natura. Così lontana dall’immagine complessiva di Poe ma così adatta in qualche modo. 
 
I polsi, però, erano sottili. Ossuti e delicati, i tendini e i muscoli avevano dovuto sviluppare una forza tenace per reggere quei pesi e trattenere vibrazioni e rinculi, il terzo principio della dinamica che si sfogava rabbioso su quelle spalle strette e spigolose. Pallidi e translucidi, poteva vederne le vene verdognole viaggiare lungo la linea del braccio, sparendo subdolamente sotto la camicia bianca e la giacca nera.
 
Non sapere che tragitto percorressero lo infastidì leggermente. Ranpo spaccò la caramella sotto i molari e lo schiocco secco dello zucchero cristallizzato che si rompeva non fece nulla per distogliere la sua voglia di scostare malamente quelle maniche per scoprire cosa fosse nascosto ai suoi occhi.
 
“Oh, hai finito il dolcetto? C’è una giara piena dei tuoi gusti preferiti!”
 
Il polso era chiaro, ma Poe mosse il braccio e – eccola. Leggera e quasi invisibile ma era lì, era vera, una linea a dividere un’abbronzatura quasi inesistente ma ben presente, un argine nascosto al mondo che nessuno avrebbe dovuto vedere.
 
Era più bianco lì sotto. Parlava di pelle celata da occhi altrui e sole incandescente, qualcosa che era per un prescelto soltanto e Ranpo sapeva che si trattava di lui. Conosceva la risposta con la sicurezza con cui deduceva ogni cosa.
 
“Ranpo-san, va tutto bene?”
 
Batté le palpebre una volta soltanto, quanto bastava per spostare gli occhi dal polso di Poe alla sua faccia – la sua fronte. Si accorse solo in quel momento della sua espressione preoccupata e ringraziò il suo cervello per immagazzinare informazioni da conversazioni senza alcun bisogno di effettiva attenzione.
 
Ranpo sorrise finendo di sgranocchiare la caramella, l’aroma liquido di uva che scendeva giù per la gola zuccherino e viscoso. “Va più che bene! Hai altre armi del genere? E dove hai detto che sono le caramelle?”
 
 
*
 
 
La guerra era finita e la sua mente acuta aveva finalmente smesso di fare gli straordinari.
 
Le giornate erano tornate ad essere noiose, piatte e lente e guardare Poe scrivere era diventata più sopravvivenza che reale interesse. Poe si chiudeva nel suo mondo fatto di carta e inchiostro senza dar retta a nessuno e, non sapeva bene perché, aveva scelto di farlo nell’ufficio dell’agenzia, esattamente seduto alla sua scrivania enorme piena di cassetti colmi di snack.
 
“Gliel’hai proposto tu.” Aveva sogghignato Yosano passeggiando per il piano alla ricerca di qualcuno su cui sfogare il tedio. “Eravamo tutti presenti.”
 
Dazai canticchiò con malizia negli occhi, guardandolo con un sorriso troppo largo senza però proferir alcuna parola. Poe, accanto a lui, continuava a scrivere con sorda concentrazione ignorando chiunque.
 
Ranpo sbuffò, dondolando sulla sedia. “Ho voglia di patatine all’umeboshi.”
 
“Posso andare a comprarle.” Poe alzò il viso dal foglio - i capelli che erano tornati giù a coprirgli la faccia e nessuna fronte in vista - pronto a compiacere lui soltanto. Il suo udito selettivo era utile per quelle cose, ma Ranpo fu distratto da altro.
 
Faceva caldo, tanto caldo. Poe, però, continuava ad indossare tutti quegli strati di vestiti e Ranpo non capiva come riuscisse: camicia, gilet, frac spesso, mantello. E Karl, che vagava sulla scrivania appollaiandosi una volta sulle sue spalle spigolose e una volta sulla testa di Ranpo, tentando di convincerlo a condividere il cibo.
 
Il colletto rigido gli copriva quasi totalmente il collo lungo e sottile. Il foulard stretto a fiocco distruggeva ogni possibilità di vederne i bottoni, bloccando ogni possibilità di scorgere lampi di pelle quasi a volerlo chiudere ermeticamente. Stile vittoriano in epoca moderna, pudicizia ricercata in un mondo in cui si viveva liberi con il proprio corpo in tutte le forme possibili.
 
Era irritante non poter vedere di più. Era fastidioso non poterlo vedere di più.
 
Capelli, vestiti, scarpe, atteggiamento, tutto in Poe urlava chiusura e riservatezza e Ranpo lo osservava, ma gli veniva mostrato realmente solo nei momenti in cui la guardia veniva abbassata e il sorriso passava da maligno a felice. Accadeva solo con lui, poteva averlo solo lui.
 
Non era sufficiente.
 
Avrebbe voluto toccarlo. Sentire se la pelle riuscisse a sudare proprio come a volte sentiva i propri palmi quando lo guardava troppo a lungo; scostargli i capelli dalla faccia e vedere di nuovo quella fronte e quegli occhi - grigi ad un primo sguardo ma più intensi al secondo, una sfumatura violacea che faceva da sfondo e lampi lillà quando il sole riusciva a colpirli nel modo giusto -; appianare le occhiaie sempre presenti ma più attenuate e sfiorare la sicura espressione di innocente stupore; seguire la linea del naso, asciutta e dritta e acuta, esattamente come la figura Poe.
 
Voleva trascinare le dita lungo il collo e scostargli il colletto della camicia, insinuarsi sotto la stoffa inamidata e vedere se fosse rimasto bianco o fosse arrossito come sapeva accadeva a volte, quando Ranpo gli si faceva troppo vicino o si complimentava con lui. Sarebbe stato caldo, sicuramente: troppi vestiti portavano inevitabilmente ad una cappa termica e, con il rilascio dell’adrenalina, i vasi sanguigni si sarebbero allargati e il flusso di sangue sarebbe aumentato, non avrebbe potuto essere freddo come tutto il suo aspetto suggeriva. Sarebbe andato contro ogni logica.
 
“Ranpo-san, ho detto qualcosa di sbagliato?” Poe parlò e Ranpo quasi sussultò, Karl che scivolava dalla sua testa per aggrapparsi con un ronzio al suo collo per evitare di cadere. “Sei rimasto fermo in quel modo, c’è qualcosa che non va?”
 
“Oh no Poe-san, è solo riemerso dal suo sogno personale – pardon, deduzione.” Il tono di Dazai sembrava troppo soddisfatto per qualcuno che tentava di coprire un morso violaceo sotto uno strato di bende sfatte e sceglieva di nascondere labbra gonfie e rosse sorseggiando una bibita con troppo ghiaccio.
 
Yosano scosse la testa quando Ranpo, con un pugno di patatine nella mano, mormorò sogghignando “Non sapevo che Mr. Fancy Hat fosse diventato un appuntamento fisso nell’agenzia. Ha per caso un lavoro per noi?”
 
Ci fu un secondo pieno di immobilità statica, due delle menti più brillanti al mondo che si guardavano con espressione serena valutando rapidamente le inevitabili conseguenze derivanti dall’inizio di una guerra di dispetti.
 
Fu un’analisi veloce: Dazai scoppiò a ridere concedendogli meritata vittoria e Ranpo si tolse le briciole dalla bocca con un sorriso, il tacito equilibrio tra i due geni dell’agenzia che veniva ripristinato senza sforzo.
 
 
*
 
 
Baciare non era un’attività su cui Ranpo aveva mai avuto dei pensieri: rappresentava un’azione che comportava inevitabile esposizione a batteri, virus e funghi e, benché non fosse una persona che avrebbe dato di matto per determinate situazioni – la regola dei cinque secondi per il cibo a terra non era scientificamente valida, ma Ranpo l’avrebbe addirittura prolungata senza alcuna preoccupazione pur di non sprecare i suoi stuzzichini -, non era edificante essere facile preda di herpes o mononucleosi o, peggio, perdita di tempo.
 
La gente diceva fosse divertente. Lo era, dal punto di vista biologico, con il rilascio degli ormoni più felici che andavano a dopare tranquillamente tutta la chimica del corpo umano, ma non aveva mai avuto interesse verso nessuno se non per scopi meramente egoriferiti, quindi non si era mai posto il problema.
 
Ma, in quel momento, non riusciva a non guardare le labbra pallide di Poe senza sentire il bisogno di sapere se fossero realmente fredde come apparivano e la cosa non gli faceva gustare appieno la sua merenda.
 
Le vedeva muoversi, perché Poe stava raccontando qualcosa a cui non aveva prestato attenzione fin dall’inizio, ma il classico colore rosa di cui dovevano essere pregne non esisteva. Erano candide, immacolate, prive addirittura dei segni dei denti che a volte Poe si ritrovava ad affondare mentre pensava ad uno sviluppo convincente per le sue storie.
 
Avrebbe potuto toccarle con le dita. Poggiare i polpastrelli sul labbro inferiore e spingerlo leggermente giù, sentendo il calore della bocca e il respiro agitato che sarebbe sicuramente arrivato, bollente e umido. Poe glielo avrebbe permesso, pensò oziosamente stringendo la bottiglia di Hata Kosen Ramune al melone, umida di condensa. Sarebbe sicuramente arrossito e Ranpo si sarebbe tolto anche il pensiero di sapere quanto riuscisse a scaldarsi la sua pelle in quella situazione.
 
Ma non erano le mani a prudere, sfortunatamente.
 
Era la bocca a formicolare come se fosse preda di allergie e ci fosse solo un modo per anestetizzare il fastidio. Il sale delle patatine pizzicava sulle labbra insieme al pepe nero con cui erano condite, ma Ranpo era sicuro che non fosse quello il problema.
 
Sapeva che non gli sarebbe piaciuto.
 
Ogni cosa dell’atto di baciare andava contro il suo pensare solo a sé stesso, ma aveva bisogno di sapere se la bocca di Poe fosse fredda, se il suo rossore si sarebbe fatto più intenso, se avrebbe camminato lungo il collo e il petto e ancora più giù mentre i suoi occhi, senza lo schermo dei capelli, lo avrebbero fissato ampi e stupiti e terrorizzati.
 
C’era solo una persona a cui Poe avrebbe concesso di sapere tutte quelle cose, nessun altro.
 
Nessun altro.
 
Poe bloccò una frase a metà quando Ranpo lo prese per le guance – una mano bagnata di condensa e l’altra polverosa di briciole salate, sopra una pelle che cominciava a scaldarsi piano. Aprì appena la bocca quando domandò “Ranpo-san?” con una voce così insicura e bassa che Ranpo pensò quasi di sgridarlo, ma il suo alito sapeva del tè che prendeva ogni pomeriggio – genmaicha quel giorno, perché era in Giappone e voleva qualcosa di giapponese, anche in una routine perfettamente inglese come quella del tè delle cinque – e la cosa non lo disgustò come aveva pensato, ritrovandosi ad ingoiare la saliva che gli invase la bocca in un attimo.
 
Vedeva un solo occhio, sbarrato e confuso, e venne investito dalla voglia di portargli i capelli indietro per poterlo guardare pienamente, averlo scoperto in quel modo prima di averlo in altri. Poe si inumidì le labbra e l’attenzione di Ranpo si spostò di nuovo, guardandole bianche e bagnate e quasi tremanti.
 
“… Ranpo-san?”
 
“Devo provare una cosa.” Si limitò a dire, prima di spingere le guance di Poe e schiacciare le labbra contro le sue.
 
 
*
 
 
Scientificamente parlando, il bacio portava a reazioni biologiche e psicologiche molto particolari.
 
Rendeva più felici, ad esempio: ormoni e neurotrasmettitori facevano festa grande ed esplodevano come non avevano mai fatto, accompagnate dall’adrenalina che aumentava la frequenza cardiaca e pompava ossigeno al cervello in extra dosi; il cortisolo diminuiva favorendo il rilassamento e riducendo lo stress; si alzava la soglia dei recettori del dolore abbassandone la sensibilità.
 
Si attivavano muscoli particolari che aiutavano con la tonicità e la luminosità della pelle, contribuendo a bruciare calorie e allenando il cosiddetto muscolo del bacio. Poe si era rivelato particolarmente bravo con quello nonostante non avesse mai baciato nessuno prima di lui. Balbettava ogni volta che Ranpo si complimentava ed era stranamente piacevole vederlo imbarazzarsi in quel modo così violento.
 
Ma più cose vedeva di Poe e più ne voleva vedere.
 
Ad ogni piccolo passo in più, ad ogni loro vestito che cadeva sul pavimento, Ranpo poteva ammirare il rosso scendere a coprire il bianco, imbarazzo che si trasformava in voglia e passione, esperimenti che non sempre riuscivano e consapevolezza più profonda della semplice amicizia.
 
Poe era quello che aveva sempre conosciuto ed Ed diventò colui che riuscì a scoprire
 
La noia non si affacciò, stranamente, tutt’altro. Distrazione graditissima e sconvolgente, Ranpo non si seccò nemmeno per la lentezza con cui arrivò a dedurre ogni singolo punto di Ed ancora e ancora e ancora. Deduzioni ovviamente tutte esatte, tranne una, forse minima ma sorprendente.
 
Le labbra di Ed, algide e pallide, scottavano come fossero fuoco.
 
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Salve a tutti!

Sono sincera, devo smetterla di utilizzare questi contest per scrivere di personaggi che mi terrorizza affrontare, ma a quanto pare così è la vita e niente, Ranpo sia!

E diciamocelo, Ranpo ci è sicuramente rimasto secco quanto noi a vedere la faccia di Poe scoperta <3

Grazie mille per aver letto!!!

 
   
 
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