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Autore: Zobeyde    06/12/2023    4 recensioni
Solomon Blake si è sempre considerato ben lontano dall’essere un eroe, e i motivi che lo hanno portato, nell’autunno del 1888, nel cuore fumoso della Londra vittoriana, non sono certo dei più altruistici. Ma qualcosa di oscuro si aggira tra i vicoli nebbiosi dell’East End, qualcosa che continua a mietere vittime e che niente sembra in grado di contrastare, persino la magia; cinque morti agghiaccianti, culminate con il rapimento della giovane e facoltosa Arabella, spingeranno l’Arcistregone dell’Ovest a mettersi sulle tracce di uno dei più spietati serial killer della storia, grazie all’aiuto di due improbabili alleati: un demone chiacchierone e combinaguai, e un umile pittore con un pericoloso segreto…
Genere: Comico, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Ho deciso di scrivere questa mini-long di tre capitoli per un'autrice che stimo molto, AlbAM, che mi ha supportata con grande affetto sin dai miei esordi su Efp! A lei appartiene il personaggio di Azaele, protagonista della divertentissima serie di racconti "Un Diavolo a Roma", che vi consiglio di leggere! 

Cara AlbAM, spero tanto che questa storia possa piacerti e soprattutto di aver reso giustizia al tuo Azaele! <3 

A tutti gli altri auguro come sempre buona lettura!





 






I.
SCONES, OMICIDI E DEMONI




 
Londra, 1888.

 
La townhouse della famiglia Waldegrave sorgeva a pochi passi dai Giardini di Kensington, in una larga via costellata da palazzine a schiera bianche.
In quell’uggioso pomeriggio di inizio novembre, Solomon Blake sedeva in una comoda poltrona di velluto imbottito dentro un salotto dalla boiserie scura, circondato da felci rigogliose, animali impagliati e specchi dalle intarsiature dorate che riflettevano la luce soffusa dei candelabri a gas; xilografie giapponesi, paraventi in palissandro e statuette di divinità indù, frutto degli ultimi saccheggi della Compagnia delle Indie Orientali, completavano l’arredamento, assieme a una raccolta di testi massonici tra cui Solomon aveva individuato un paio di titoli interessanti. Ma ancor più interessante era la padrona di casa, che troneggiava all’alto capo di un tavolino basso su cui erano adagiati vassoi carichi di tramezzini e scones , e un servizio da tè in porcellana.
Rosemary Waldegrave, vedova di un giudice e convolata a seconde nozze con un comandante della Royal Navy, era una donna sinuosa, con lucidi capelli castani raccolti in uno chignon e vispi occhi nocciola che la facevano sembrare più giovane di quanto non fosse in realtà. Indossava uno splendido abito in moiré verde petrolio e al lungo collo aveva vezzosamente legato un cinturino di velluto nero; l’alta borghesia londinese in genere denigrava che una signora cedesse alla vanità, ma a lei non sembrava interessare, il che gliel’aveva resa subito simpatica.
«Vi ringrazio per aver risposto subito al mio invito, signor Blake» disse, mentre, con movimenti languidi e aggraziati, versava il tè fumante nelle tazzine. «Come ho accennato nella mia lettera, sono enormemente preoccupata!»
«È stato per me un dovere, milady» replicò Solomon con un sorriso, portando la tazzina alle labbra. «Ma prego, ditemi pure cosa vi affigge.»
Lady Waldegrave congiunse le mani in grembo, e la luminosità dei suoi occhi fu offuscata da un’ombra. «Avrete sicuramente letto degli orribili fatti che stanno sconvolgendo Londra: c’è un assassino a piede libero, che ha già mietuto cinque vittime nel giro di pochi mesi!»
Sì, Solomon aveva appreso dal London Daily News dell’ultimo ritrovamento proprio quella mattina: Mary Jane Kelly, venticinque anni, prostituta, il cui corpo giaceva in un lago di sangue dentro una squallida stanzetta a Spitalfields. La sua estrazione sociale, unita alla gola recisa fino alle vertebre, all’addome squarciato, e agli organi asportati, collegavano l’omicidio agli altri quattro avvenuti a partire dall’agosto di quell’anno. E anche in questo caso, nessun testimone, nessun indizio, ma un’unica certezza: il responsabile non poteva essere che Jack lo Squartatore, l’uomo senza volto che assaliva nel cuore della notte le giovani donne con brutalità inaudita, per poi svanire come fumo tra le nebbie dell’East End.
«Scotland Yard brancola nel buio» continuò tetra lady Waldegrave. «E vi confesso che ormai ho il terrore di mettere piede fuori casa, soprattutto da quando il mio Charles è ripartito per l’Egitto.»
«In tutta franchezza, non credo di comprendere i vostri timori» obiettò Solomon. «È l’East End il terreno di caccia dell’assassino, e tutte le sue vittime appartenevano ai ceti più bassi.»
La bella signora rabbrividì. «E se dovesse decidere di spingersi fin qui, nel West End? E dare la caccia anche alle signore per bene? Ho una figlia di diciassette anni, signor Blake. Se le capitasse qualcosa ne sarei distrutta!»
«La giovane Arabella. È per lei che mi avete convocato, no?»
Lady Waldegrave sospirò, malinconica. «Charles ha provato a dissuadermi: la magia è una faccenda con cui la maggior parte dei gentiluomini inglesi non ama avere a che fare. Ma ho sempre meno fiducia nelle autorità. Così ho pensato che voi potreste…ecco, usare i vostri particolari talenti per tenere la mia Arabella al sicuro.»
Solomon si adagiò contro lo schienale della poltrona e accavallò le lunghe gambe. «Quel che mi chiedete è un sortilegio di protezione.»
«Ne siete davvero in grado?» Lady Waldegrave si sporse sul tavolino, gli occhi da cerbiatta divenuti grandi come piattini da tè. «Fareste questo per la mia Arabella, signor Blake?»
Ah, i Mancanti e la loro adorabile reverenza nei confronti della magia! Spesso si aveva l’impressione di parlare con dei bambini.
«Nulla di più semplice» rispose lo stregone, con un’alzata di spalle. «Ma come mai avete deciso di rivolgervi alle Scienze Occulte? Non sarebbe più sicuro allontanare vostra figlia da Londra per un po’? Mandarla, che so, in campagna o in collegio, finché l’assassino non sarà assicurato alla giustizia?»
Un leggero imbarazzo balenò sul volto della donna. «Il fatto è che le abbiamo trovato un pretendente. L’ammiraglio Huxley è impegnato in Egitto con mio marito, ma conto di farlo sposare con Arabella al suo ritorno, per Natale.»
«Aaah» fece Solomon. «Capisco.»
In quell’istante, udì il pavimento nel corridoio scricchiolare impercettibilmente e colse un veloce movimento di stoffa dietro la porta socchiusa. Sembrava proprio che la conversazione non fosse più privata.
«So cosa state pensando» stava intanto dicendo lady Waldegrave, che non dava segno di essersene accorta. «La sicurezza di Arabella dovrebbe avere la priorità. Ma lord Huxley è un ottimo partito, e al suo rientro tutto dovrà essere pronto. Una madre ha a cuore il futuro dei propri figli. Voi siete un uomo di mondo, signor Blake, mi comprenderete.»
«Oh, comprendo perfettamente» replicò Solomon, non senza ironia. «Le mie felicitazioni. Arabella sarà molto emozionata.»
«Ecco, lei non ne è ancora al corrente» ribatté lady Waldegrave, inclinando lievemente il capo. «Non prende mai molto bene i cambiamenti, e il fatto che lord Huxley sia trent’anni più vecchio potrebbe scoraggiarla. Le darò la notizia al momento opportuno, e sarà indubbiamente al settimo cielo! Soprattutto quando vedrà gli splendidi doni di nozze che riceverà dall’Egitto!»
Ah, povera Arabella!
Solomon posò la tazza sul piattino. «E ditemi, vostro marito si reca spesso in Egitto?»
«Ha partecipato attivamente all’occupazione dell’82» raccontò lady Waldegrave, senza nascondere un certo orgoglio. «Il console lo tiene in altissima considerazione.»
«Avrà sicuramente portato con sé molti oggetti di pregio. Non ho potuto fare a meno di notare che nutre una predilezione per i souvenir esotici.»
Lady Waldegrave captò al volo l’antifona, perché il suo sorriso acquisì una piega maliziosa. «Naturalmente. Siete anche voi un estimatore, vedo. Sono sicura di poter convincere Charles a cedervi alcuni dei suoi tesori, in cambio dei vostri servigi.»
Solomon aveva compreso sin da subito di trovarsi di fronte a una persona che parlava la sua stessa lingua; dopotutto, i britannici avevano da sempre avuto fiuto per gli affari.
Afferrò uno scone dal vassoio. «In tal caso, sarò ben lieto di mettere i miei talenti al vostro servizio, milady
Consumato il tè, lady Waldegrave gli indicò come raggiungere la stanza di Arabella, a quell’ora impegnata nei suoi esercizi al pianoforte. Solomon salì le maestose scale che si perdevano nel buio della casa e attraversò un lungo corridoio; anche lì spiccavano i trofei che lord Waldegrave aveva sottratto ai territori schiacciati sotto l’egemonia del Commonwealth.
Sarà sicuramente qui, da qualche parte.
Non si sarebbe di certo accontentato di un fermacarte a forma di scarabeo come ricompensa. Il suo obiettivo era molto specifico: il Libro dei Morti, inestimabile papiro su cui erano raccolti secoli di formule magiche per mettere in comunicazione il Regno della Materia e quello dello Spirito.
Erano anni che Solomon era sulle sue tracce e, se le sue indagini erano corrette, doveva essere finito proprio nelle mani di lord Waldegrave.
Do ut des, “dare e avere”: una formula che funzionava sempre, specialmente coi Mancanti, abituati ad arraffare tutto quel che potevano e col minimo sforzo possibile. Lady Waldegrave rientrava perfettamente nell’equazione: amante della bella vita, non avrebbe esitato a vendere la propria figlia pur di assicurarsi l’affare dell’anno. Bella e pragmatica. Decisamente il suo tipo di donna. Solomon considerò che non gli sarebbe affatto dispiaciuto approfondire la sua conoscenza. Se ci fosse stato il tempo, magari, prima del rientro del marito…
Un ticchettio da una delle finestre interruppe il flusso dei suoi pensieri.
«D’accordo, eccomi» disse Solomon, agitando le dita. «Non mi sono dimenticato di te.»
La finestra si spalancò e un grosso corvo bianco volò dentro con grazia, per poi appollaiarsi come al solito sulla spalla destra dello stregone.
«Sarà una cosa veloce» gli annunciò. «Il tempo di gettare un incantesimo di protezione sulla ragazza. Tu, nel frattempo, trova il Libro.»
In risposta, Wiglaf sventolò le ali e gracchiò piano.
Solomon sospirò. «E va bene! Puoi prendere anche qualche gioiello, ma niente di troppo vistoso. Non facciamo come l’ultima volta.»
Soddisfatto, il corvo spiccò il volo e in pochi istanti svanì dietro l’angolo. Solomon invece proseguì dritto fino alla camera di Arabella e bussò.
«Perdonate il disturbo, milady» disse con gentilezza. «Mi manda vostra madre. Sono Solomon Blake, Arcistregone dell’Ovest. Se permettete una parola…»
Girò la maniglia, ma la porta era chiusa a chiave. Dall’interno, non proveniva neppure una nota di pianoforte.
«Arabella?» fece Solomon, sorpreso. «Non abbiate timore: vostra madre mi ha incaricato di farvi un incantesimo di protezione. Vi garantisco che non sentirete nulla.»
La porta rimase chiusa. Solomon iniziava a esaurire la pazienza. Adolescenti!
«Perdonate l’insistenza, ma avrei una certa fretta» incalzò. «Se non aprite questa porta all’istante, dovrò entrare da solo!»
Ruotò un dito e la serratura scattò. Dentro non c’era nessuno. La stanza, tappezzata da delicata carta da parati a fiori lilla, era rischiarata dalle luci della strada, e la finestra spalancata lasciava entrare la gelida aria novembrina.
Lo sguardo di Solomon indugiò sulle lenzuola annodate a formare una fune, un’estremità assicurata alla colonna del letto, l’altra calata oltre il parapetto. Storse la bocca. «Questo potrebbe essere un problema.»
Evidentemente, lady Waldegrave era l’unica in quella casa ad attendere con impazienza le nozze con l’ammiraglio Huxley.
Solomon accese qualche luce e si mise a esaminare la stanza, alla ricerca di un indizio su dove Arabella potesse essersi cacciata. Aprì il guardaroba: non sembrava mancare nulla, eccetto forse un cappotto pesante. Strano, quale signorina sarebbe scappata di casa senza portarsi dietro almeno un cambio d’abito? Passò a rovistare i cassetti dello scrittoio, trovandovi solo carta da lettere intonsa e boccette d’inchiostro. Si mise a spulciare persino gli spartiti adagiati sul leggio del pianoforte a muro, ma niente.
Possibile che fosse sparita senza lasciare nemmeno un biglietto d’addio? Le giovani dell’alta società si sentivano tutte un po’ delle eroine tragiche, in fondo, come quelle dei romanzi che amavano tanto leggere.
Mentre era lì che si arrovellava il cervello, Wiglaf planò nella stanza e si abbarbicò sulla ringhiera del letto.
«Allora?» chiese Solomon, voltandosi. «Trovato il Libro?»
Imprecò di nuovo quando vide che nel becco reggeva un voluminoso fagotto, traboccante di gioielli. «Ti avevo detto di non esagerare!»
Il corvo mollò il bottino sul letto, gracchiando deluso.
«Dobbiamo trovare la ragazza» disse Solomon, lisciandosi il pizzetto appuntito. «Riflettiamo: una lady in fuga da un matrimonio combinato. Dove potrebbe andare? Da qualcuno di cui si fida, certo. Un parente, o un amico di famiglia? No no, verrebbe rispedita a casa prima di cena. Magari da qualcuno fuori città, che i genitori non conoscono, tipo un’amica di penna…ma dove sono finite allora le lettere?»
La sua attenzione fu catturata dal caminetto spento. Si avvicinò per osservare i tizzoni da vicino. Come pensava, erano ancora caldi. E tra la cenere distinse chiaramente residui di carta carbonizzata.
«Ci hai provato, ragazzina.»
Tracciò un disegno nell’aria e la cenere vorticò verso l’alto; i frammenti di carta si riattaccarono l’uno all’altro, ricostruendo nella mano di Solomon un pezzo di carta straccia su cui era scritto qualcosa.…
«Frying Pan» lesse Solomon, aguzzando la vista. Perché quel nome non gli era nuovo?
Lo stregone cominciò a misurare la stanza avanti e indietro, cercando di fare mente locale. E poi, l’illuminazione lo colpì con la forza di un treno.
«È nell’East End» sussurrò, richiamando alla memoria l’articolo letto sul giornale quella mattina. «È dove è stata vista per l’ultima volta una delle vittime di Jack lo Squartatore!»
Gettò uno sguardo fuori dalla finestra, alla torbida oscurità delle strade di Londra sul far della sera. Oh, Arabella! In che guaio sei andata a cacciarti?
 
C’era un ottimo motivo se Spitalfields era soprannominato da molti “quel malvagio angolo di mondo dimenticato persino dal Diavolo”; un groviglio di stradine buie e strette, su cui incombevano minacciosi i casermoni in mattoni delle workhouse e le case ammassate le une alle altre, dentro cui erano stipate dozzine di famiglie. I miasmi del Tamigi appestavano l’aria, assieme al fetore proveniente dai mattatoi di Buck’s Row, e dalla spazzatura che marciva per le strade sterrate; ovunque si aveva la sgradevole sensazione di essere squadrati da brutti ceffi pronti a puntarti un coltello alla gola e lasciarti in mutande, e gli accattoni vagavano nelle macchie d’ombra tra i lampioni a gas. Insomma, al posto di Solomon chiunque si sarebbe sentito scoraggiato dall’avventurarsi laggiù. Ma non lui; malgrado apparisse poco più che trentenne, Solomon Blake aveva vissuto molto lungo, e visto così tante cose assurde da aver quasi dimenticato cosa significasse provare paura. E poi, con la sua padronanza delle arti magiche e marziali, era con molte probabilità la persona più pericolosa nei paraggi.
Il Frying Pan era un pub di poche pretese, all’angolo di Brick Lane e Thrawl Street, e Solomon non avrebbe potuto apparire più fuori luogo laggiù, con la sua elegante redingote nera, il cappello a bombetta e il bastone da passeggio dall’impugnatura in argento a forma di testa di corvo. Si ritrovò accerchiato da una marmaglia brulicante che tracannava birra, fumava, urlava e si prendeva a pugni, il tutto con l’allegro sottofondo di una piccola banda che strimpellava in un angolo. Se lady Waldegrave avesse saputo che la sua innocente Arabella si trovava in quella bolgia infernale, le sarebbe venuto un colpo.
Solomon ordinò un bicchiere di pessimo scotch, passando in rassegna le poche presenze femminili: prostitute dal volto pesantemente truccato, alcune praticamente bambine, si gettavano addosso agli avventori riuniti attorno ai tavoli da gioco, e operaie dall’aria sfatta annegavano la fatica e i dispiaceri della giornata nell’assenzio. Erano proprio loro le vittime predilette del famigerato Jack lo Squartatore, donne disperate e senza futuro che arrancavano per sopravvivere…
La crudeltà di cui erano capaci i Mancanti spesso lo lasciava senza parole.
Solomon continuò a studiare l’ambiente con attenzione e terminò il suo scotch, ma proprio quando si era rassegnato all’idea che forse era arrivato tardi, la vide: un’esile figurina dai boccoli castani, avvolta in un cappotto di velluto color pervinca, stava salendo le scale che conducevano ai piani superiori, gettandosi alle spalle occhiate circospette.
Trovata.
Senza indugio, Solomon la seguì. Avanzò per un corridoio lungo il quale si affacciavano diversi appartamenti, dove le prostitute intrattenevano i clienti. Vide Arabella infilarsi dentro una stanza in fondo e chiudere la porta.
Solomon si avvicinò, la mano già posata sulla maniglia…
«Non saresti dovuta venire qui, Bella! È troppo pericoloso» stava dicendo una giovane e tesa voce maschile dall’interno. «Soprattutto dopo quegli orribili omicidi…»
Solomon si bloccò, tendendo bene le orecchie.
«Ma ho dovuto farlo, Paul!» replicò quella che senza dubbio era la voce di Arabella, incrinata dal principio di un pianto. «Mia madre vuole farmi sposare! Sta già organizzato tutto, ha persino fatto venire a casa uno strano uomo inquietante per gettarmi addosso un maleficio che mi tenga sotto il suo controllo!»
Offeso, Solomon aggrottò la fronte. Qualcuno in passato poteva averlo anche definito strano…ma addirittura inquietante!?
«Non potevo più restare laggiù» gemette Arabella, affranta. «Io voglio stare con te, Paul, e so che anche tu lo vuoi: scappiamo via, io e te! Gettiamoci alle spalle la mia famiglia e questa città maledetta!»
«Lo vorrei tanto» sospirò il ragazzo di nome Paul. «Sai che non c’è cosa al mondo che desidero di più, Bella. Ma che genere di vita potrei offrirti? Guarda in che condizioni vivo!»
«Non mi importa! Preferisco vivere in povertà con te, piuttosto che prigioniera di un vecchio bavoso!»
Solomon non poteva darle torto, ma dubitava che le cose sarebbero state così facili come Arabella le dipingeva. Era pronto a riportare coi piedi per terra quei Romeo e Giulietta del XIX secolo, quando i suoi sensi captarono una presenza oscura, la cui aura gli fece rizzare i capelli sulla nuca. Si volse di scatto, verso il corridoio ammantato dalla penombra e apparentemente deserto.
Agì d’istinto. S’infilò nella prima stanza alla sua destra, chiuse la porta e usò il suo bastone per tracciare sulle assi marce del pavimento un cerchio intrecciato con vari simboli, che arsero all’istante di una vivida luce azzurra. Poi fece un passo indietro e picchiettò la punta del bastone per terra.
Trascorse una manciata di secondi, e poi un uomo piovve letteralmente dal nulla all’interno al cerchio, atterrando pesantemente sul pavimento con un’imprecazione colorita.
«Ma porc…ti sembra il modo di evocare la gente? Dove le hai lasciate le buone maniere!?»
Solomon sogghignò, congiungendo le mani sulla testa di corvo in cima al bastone. «Salute a te, Azaele. È passato quasi un secolo dall’ultima volta, ma la discrezione continua a non essere il tuo forte.»
L’uomo nel cerchio magico incrociò braccia e gambe e lo fissò truce. Era alto, sulla trentina, con capelli ricci e bruni e la carnagione olivastra tipicamente mediterranea. L’ampio caban nero col bavero sollevato che indossava sopra la blusa bianca e il basco calato sulla testa gli conferivano l’aspetto di un consumato capitano di nave.
Ma Solomon sapeva bene che genere di creatura si trovava davanti.
«Almeno io non ho il brutto vizio di derubare gli umani» gli rispose il marinaio a tono. «O di pedinare le adolescenti. Dì un po’, ma non ti vergogni alla tua età? Razza di pervertito!»
«Per l’amor del cielo!» s’indignò lo stregone. «Sto solo cercando di riportare quella ragazza da sua madre, prima che la faccia morire di crepacuore!»
Azaele lo scrutò con sospetto. «Gli stregoni non fanno mai niente per niente, specialmente tu. Deve esserci qualcosa sotto.»
«Per essere un demone millenario sei pieno di pregiudizi.»
«O magari dopo tutti questi anni ho imparato a conoscerti» replicò Azaele, puntandogli contro un dito accusatore. «Sei un bugiardo.»
«Mi piace raccontare storie interessanti.»
«Un imbroglione.»
«Non è colpa mia se la gente si beve tutto quel che dico!»
«E soprattutto, sei un ladro!»
«Mi assicuro che le cose di valore vadano nelle mani 
giuste 
Esasperato, Azaele alzò gli occhi al soffitto. «Non mi meraviglia che tutti i Gironi infernali facciano a gara per averti!»
«Allora i tuoi colleghi dovrebbero metterci un po’ più d’impegno» suggerì Solomon, affabile. «Non siete mai riusciti a prendere la mia anima in tutti questi anni, e di occasioni ne avete avute a bizzeffe. Anche se ammetto che Razel quella volta a Budapest ci è andato vicino…ma veniamo a noi: cosa ti porta qui a Londra?»
Il demone scrollò le spalle. «Sono arrivato a bordo di un mercantile. Il mare aperto è un ottimo posto dove mietere anime: i marinai bevono tutto il tempo, e cadono giù dal ponte che è una bellezza…almeno, questo era il piano prima che sbarcassi.»
Una ruga profonda marcò la fronte del demone. «Qualcos’altro è arrivato a Londra prima di me. Qualcosa che non appartiene al vostro mondo.»
«Spiegati meglio.»
«Gli omicidi» disse Azaele. «Quelli dietro cui la polizia sta impazzendo. Non sono opera di un uomo comune: mesi fa è stata denunciata la fuga di un Utente del Settimo Girone.»
«I Violenti» completò Solomon, il sopracciglio scettico che si abbassava a formare un’espressione più simile alla preoccupazione. «Stai dicendo che un’anima infernale è scappata mesi fa, e voi demoni decidete di darvi una mossa soltanto adesso?!»
«Ehi, non dare la colpa a me se Laggiù nessuno legge mai le circolari» protestò Azaele. «È l’Inferno, che ti aspetti?»
Solomon fece schioccare la lingua. «Siamo in ottime mani, allora.»
«Senti, rimetterò le cose a posto» assicurò Azaele. «Quando un dannato attacca lascia sempre dietro di sé una scia infernale. L’ho seguita fin qui…ma la tua aura magica l’ha coperta, e ora l’ho persa. Però non può essere andato troppo lontano, almeno credo…»
«“Almeno credo?”» ripeté Solomon, sconcertato. «Azaele, quest’uom…questa cosa ha già ucciso cinque persone!»
«Lo so, lo so, e sarà rispedito all’Inferno in men che non si dica, così saremo tutti contenti! Gli omicidi finiranno, gli umani dormiranno sonni tranquilli, e forse Safet non mi decapiterà con la sua katana preferita…»
«Te lo puoi scordare» lo interruppe Solomon. «È evidente che tu non sia la creatura più adatta a svolgere questo incarico: resterai qui buono buono, finché non mi sarò occupato della faccenda.»
«Cosa!?»
«Mi hai sentito.» Gli occhi dello stregone mandarono un pericoloso bagliore azzurro. «Ho stretto un accordo molto proficuo con lady Waldegrave e non lo manderò a monte perché sua figlia è stata fatta a fette per un vostro errore!»
Sbalordito, Azaele scattò in piedi e mosse un passo oltre il bordo del cerchio, ma una forza invisibile lo spintonò all’indietro, facendolo ricadere a terra.
«Fidati, per la tua sicurezza e quella di tutti è meglio se resti in questo cerchio magico.»
«Solomon, un dannato a piede libero non va sottovalutato!» lo avvertì Azaele. «È stato per secoli esposto alla nostra magia oscura, ha sviluppato poteri enormi! E qui sulla Terra sono notevolmente amplificati!»
«Ho già affrontato demoni in passato» ribatté lo stregone, sprezzante. «Conosco la vostra magia e so come gestirla.»
«Lascia almeno che ti dia una mano! So come funziona la mente di un dannato meglio di te!»
«Certo, lo sai così bene da non avere la più pallida idea di dove possa trovarsi in questo momento!» ironizzò Solomon. «Non mi serve il tuo aiuto, io lavoro bene da solo. Wiglaf?»
Ci fu un bagliore e il corvo bianco si materializzò nella stanza, andandosi ad appollaiare sul davanzale della finestra.
«Tienilo d’occhio finché non avrò finito» comandò lo stregone, sollevando la bombetta in segno di saluto. «Goodbye, my dear. È stato un piacere.»
«Oh, non ti azzardare!»
Ma lo stregone aveva già lasciato la stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
«Il solito figlio di…» Azaele serrò di nuovo le braccia al petto, fumando di collera, e scoccò un’occhiata bieca all’indirizzo del corvo albino, che se ne stava impettito come una sentinella. «E tu sei anche peggio di lui, traditore di un Famiglio!»
 
Mentre il demone e lo stregone erano impegnati a discutere, Arabella Waldegrave e il suo giovane amante, Paul, avevano lasciato il minuscolo appartamento sopra il Frying Pan passando da un corridoio nascosto che collegava la palazzina a quella accanto.
«L’appartamento di solito lo usa una mia amica, Lettie» le aveva spiegato il ragazzo, tenendola per mano mentre la guidava nell’angusto e buio spazio e illuminando i loro passi con una lanterna. «Qualche volta mi ha fatto da modella; usa questo passaggio quando i clienti iniziano a diventare violenti.»
I due sbucarono in un vicolo buio, e scesero furtivamente lungo l’isolato.
«Conosco un posto dove saremo al sicuro» disse Paul. «Dove lo stregone assoldato da tua madre non potrà trovarti. Aspettami qui, torno subito.»
Arabella occhieggiò le estremità buie della strada, nervosa. «Vuoi lasciarmi qui da sola?»
«Ci vorrà solo un momento» assicurò Paul. «Devo…andare a prendere una cosa. Tornerò prima che te ne sia accorta, promesso!»
Arabella fissò il volto del ragazzo, i capelli color zafferano, gli occhi calmi e gentili e i lineamenti puliti del viso, che l’avevano attratta sin dal giorno in cui l’aveva incontrato, mentre dipingeva sulle sponde di un laghetto ai Giardini di Kensington. Gli sorrise, ritrovando nel suo cuore il coraggio di fidarsi. «Va bene, ma fa’ presto.»
Prima di lasciarla, Paul tirò fuori dalla tasca un coltellino, più simile a una spatola per dipingere. «Se qualcuno dovesse avvicinarsi…usalo. Prima ancora di fare domande, va bene?»
Riluttante, la ragazza prese l’arma e la nascose sotto il cappotto. «V-va bene.»
E dopo averle sorriso un’ultima volta, Paul voltò l’angolo e fu inghiottito dalle ombre del vicolo. Arabella restò sola, le braccia strette al corpo, attraversata da brividi d’inquietudine, mentre teneva d’occhio l’oscurità. Improvvisamente, un’ombra slanciata si allungò sul muro di mattoni alle sue spalle.
«Finalmente vi ho trovata, milady
La ragazza si voltò con un balzo, trattenendo a stento uno strillo. «State lontano da me, demonio!»
«Ho ricevuto insulti peggiori» commentò Solomon, in tono paziente. «Rilassatevi, sono qui per riportarvi a casa sana e salva.»
Arabella arretrò, sfoderando il coltellino. «So benissimo cosa siete, signore! Provate ad avvicinarvi di un solo passo e ve ne pentirete!»
Solomon occhieggiò la minuscola lama, divertito. «Con quello non riuscireste neppure a sgusciare un’ostrica.»
«Vi avverto che non ho nessuna intenzione di seguirvi!» affermò Arabella, mentre la paura cedeva il passo a uno cipiglio agguerrito. Aveva ereditato gli stessi lucenti capelli castani, gli occhi scuri e i tratti armoniosi della madre, sebbene ancora acerbi, e nella penombra di quel miserabile vicolo il suo viso piccolo e rotondo brillava come una perla.
«Non siate sconsiderata, l’East End non è posto adatto a una lady» ribatté Solomon. «Soprattutto con un pazzo omicida a piede libero. Vi conviene seguirmi con le buone, altrimenti…»
«Altrimenti cosa?» lo sfidò la ragazza, per nulla intimorita. «Mi farete un maleficio? Proprio come vi ha ordinato mia madre?»
«Ci sto seriamente pensando» replicò infastidito lo stregone. «Potrei sempre farvi sparire la bocca, almeno stareste zitta. Ora piantatela di fare i capricci, il cocchiere ci aspe…»
Non terminò mai la frase.
Fece appena in tempo a scorgere il terrore impossessarsi dei grandi occhi di Arabella, la sua bocca spalancarsi mentre raccoglieva il fiato per urlare.
Un’esplosione di stelle e fuochi d’artificio. Un dolore lancinante alla nuca. Istintivamente, Solomon sollevò il bastone, mentre ondeggiava come ubriaco appoggiandosi contro il muro.
Non l’ho sentito nemmeno avvicinarsi. Come ho fatto a non sentirlo?
Fu l’ultimo pensiero razionale che gli attraversò la mente, assieme a un’umiliante ondata di panico. Subito dopo, crollò in avanti e tutto divenne buio.


 
  
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