Le sue dita non tremavano mentre sistemava la pistola nella fondina. Chiuse la valigia poggiata sul letto con uno schiocco secco.  Kei Yuki non aveva intenzione di guardarsi indietro. Allo spazioporto, una nave passeggeri la stava aspettando. Era l’inizio di una nuova avventura. Eppure aveva voglia di piangere e urlare.

“Ma a che ti servono le armi nello spazio?”

‘Cosa?’ Non aveva mai sentito una frase più stupida. Che diavolo gli prendeva, ora? Le armi non servivano a terra, in tempi di pace, come quelli che stavano vivendo. E Tadashi lo sapeva benissimo. Ma Tadashi non era lucido.

“E cosa mangerai in mezzo al nulla?”

‘Cosa?’

Ok. Quella frase era ancora più stupida della precedente. Perché lui era ubriaco marcio. Forse era un espediente per dimenticare che lei stava partendo. Voleva forse fargliela scontare o sperava che lei cambiasse idea?

Se ne stava appoggiato allo stipite della porta. E aveva l’aria di uno straccio. Aveva pianto. Stava ancora piangendo.

‘È colpa tua. Dovevi proprio parlare di matrimonio?’ lo rimproverò mentalmente Kei, sentendosi uno schifo. Perché lei avrebbe voluto dirgli di sì. Per questo stava scappando.

Lui trasudava sakè. E pensare che quando si era imbarcato sull’Arcadia era un ragazzino astemio…

Lei non poteva restare. Possibile che lui non lo capisse?  Si stavano legando troppo. E a lei mancavano le stelle. “Ultimo tentativo. Vieni con me” gli disse passandogli accanto. Trattenne il respiro, pregando perché lui accettasse. Ma ultimamente non facevano altro che scambiarsi rifiuti.

Lui rimase zitto e Kei se lo lasciò indietro. Come quella vita che le piaceva troppo e la stava rendendo una persona che non riconosceva più quando si guardava allo specchio. Chiuse la porta di casa e lasciò cadere la chiave a terra. Non le sarebbe più servita.

Avrebbe trovato un equipaggio a cui unirsi, molto presto. Avrebbe trovato nuove avventure da affrontare. Anche se aveva il cuore spezzato.