Anime & Manga > Lady Oscar
Ricorda la storia  |      
Autore: Dorabella27    22/12/2023    12 recensioni
Questo racconto nasce un po’ come OS di carattere AU (nel quale mi cimento cautamente), e un po’ come song-fic, per ispirazione di due autori che apprezzo molto: il primo, in ordine cronologico, è Flitwick, che trovo abbia trattato strepitosamente il tema dei nostri beniamini calati nelle situazioni e nei patemi di liceali dei nostri giorni, e per questo rimando a La cabine des baisers (cui devo l’ispirazione per il particolare del club di scherma); ma, oltre a questi due racconti, mi permetto di consigliarvi anche la serie di Bougies, veramente ben scritta, efficace, elegante, tenera, divertente. L’altra autrice è Ross73, che apprezzo per il suo periodare ampio e tornito, per le storie ricche, piene di sentimento e di dettagli, e per il fatto di associare a ogni momento del suo racconto (come in There are the days of our life) una canzone. Anche io, nel mio piccolo, ci ho provato, ambientando questo racconto in un’epoca mitica, la fine degli anni Ottanta, in corrispondenza alla diffusione di una canzone che è ormai un classico. Grazie a voi che vi cimenterete nella lettura, e un sentitissimo “grazie”, doveroso, con amicizia e ammirazione, ad Alessandra DF3: guardate e capirete perché
Genere: Commedia, Sentimentale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alain de Soisson, André Grandier, Axel von Fersen, Contessa Du Barry, Oscar François de Jarjayes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Au Lycée des Roses  
1 - Se un passante si soffermasse di fronte al maestoso edificio sede del prestigiosissimo Lycée “Louis le Grand” di Parigi, senza esservi mai entrato, rischierebbe di essere colto da un senso di timore reverenziale, domandandosi, di fronte alla mole massiccia ed elegante, e all’iscrizione che ricorda come, da oltre cinque secoli, quella veneranda istituzione compie il suo dovere per formare l’élite francese, quali eccelse creature possano essere i suoi allievi.
Se però questo stesso passante potesse varcare il pesante portone d’ingresso, e ascoltare la vita palpitante degli adolescenti che affollano le aule e i corridoi, capirebbe che i ragazzi, su per giù, sono sempre gli stessi, dovunque. Nello specifico, quella mattina del marzo 1988, nella ressa di studenti, un marcantonio bruno, fischiettando sulle note di “Joe le Taxi”, si fa strada fra i compagni di scuola, verso il suo armadietto. A dispetto della mole, la sua andatura è sciolta, si direbbe quasi dinoccolata, e, mentre cammina con le mani disinvoltamente nelle tasche dei jeans, la giacca a vento blu negligentemente slacciata e un foulard rosso al collo, gli occhi nocciola sfavillano lampi ironici d’intesa verso le ragazze con i pantaloni di denim più attillati, che meglio mettono in mostra le curve tenere e sfacciate.
La marcia trionfale del marcantonio bruno termina davanti alla fila degli armadietti, dove inizia ad armeggia con la serratura per aprire lo sportello del suo e recuperare i libri per la pallosissima lezione di letteratura francese della Professoressa De Noailles, una cara donna, s’intende, ma noiosa come poche, che da tre interminabili settimane li sta torturando con Saint- Simon.
Accanto al marcantonio bruno, una ragazza, alta, esile e biondissima, vestita con un favoloso blazer di pelle blu con i bottoni dorati, le lunghissime gambe toniche e snelle inguainate in jeans bianchi, sta al contempo aprendo il suo armadietto. In altri tempi, cioè a settembre, quando l’energumeno bruno se l’è trovata nella sua stessa classe, non si può negare che, nonostante gli apprezzamenti esplicitamente proferiti alla sua combriccola (“Quella? Naaaaa! Troppo principessa sul pisello! Ma l’avete vista? E poi, dove sono le curve?! Ragazzi, non scherziamo! Io voglio una donna con le curve!”, diceva, mimando con le mani una immaginaria forma a clessidra) un pensierino su Françoise “Oscar” de Jarjayes Alan Soissons l’ha fatto. Ma poi, ha capito - quasi subito, in verità – che quella ragazza, con la sua intelligenza affilata, che la fa brillare in algebra, latino, fisica e storia, e la sua personalità severa, è più da ammirare che da amare; senza contare che l’allure marziale di Françoise, figlia di un generale ed erede, per giunta, di uno dei titoli nobiliari più antichi di Francia, e la freddezza da zaffiro dello sguardo, gelerebbero ogni tentativo di approccio.
E poi, Françoise è già innamorata: di uno stoccafisso svedese, Axel von Fersen - nobile anche lui, ci mancherebbe! In quel buco di liceo sembrava che la Rivoluzione non fosse nemmeno passata! – figlio di una francese e di un capitano d’industria svedese – proprietario di non si sa quante segherie vicino al Polo Nord – trasferitosi a Parigi con la madre dopo il divorzio dei suoi. Non male, quell’Axel, eh! Al club di scherma del Liceo, Alan si è spesso misurato con lui, non foss’altro che lui e Axel sono fra i pochi a superare il metro e novanta, e dunque è pressoché impossibile trovare un altro avversario per un duello equilibrato: lo svedesone è impetuoso, anche se non quanto lui, ed elegante nei movimenti, con quella chioma lunga e morbida color biondo scuro e gli occhi color pervinca. Puah! Ma proprio appresso a quel damerino tutto azzimato doveva sbavare la sua amica Françoise? Sì, perché, archiviata ogni velleità amorosa, Alan Soissons aveva iniziato a considerare la giovane bionda un’amica; un’amica che sta sempre un po’ en arrière, un po’ dura, e poco bamboleggiante, e questo Alan in verità lo apprezza in una ragazza, soprattutto in una bella ragazza; per carità, non ci deve certo uscire, con Françoise de Jarjayes, ma in ogni caso Alan ha sempre apprezzato in una ragazza l’asciuttezza nei modi.
Non come Jeanne Bécu, la femme fatale del liceo: ah, Jeanne! Lei, era decisamente un discorso a parte. Era tre anni avanti a loro, già in una delle classi preparatorie. Più che una studentessa, era una diva capitata per caso nei corridoi della scuola, con un fisico prorompente, da pin-up, e degli strabilianti occhi viola da gatta, e un’andatura così leggera e aerea da farsi soprannominare “l’Angelo”. Un angelo comunque molto carnale e tutto pepe, dato che era soggetta a scatti d’ira epocali: un giorno, l’anno prima, insoddisfatta del voto in un essai su Comte che, a suo dire, le avrebbe irrimediabilmente compromesso la media, e che non aveva affatto meritato, Jeanne aveva lanciato la sua bottiglietta di the contro la vetrata della classe, fracassandola, ed era stata immediatamente deferita nell’ufficio del Preside. Di fronte al quale la ragazza doveva avere messo in atto tutto il suo teatrino di moine e di pianti, tanto che se l’era cavata con soli due giorni di sospensione … e una B nell’elaborato incriminato.
Da quando, poi, l’anno prima, la madre di Jeanne, Marie Bécu, una trentacinquenne assai piacente, che l’aveva avuta da giovanissima da un cliente della valigeria in cui era commessa, si era rispostata con un conte, Jacques du Barry, e costui aveva adottato la figlia della consorte, Jeanne aveva potuto fregiarsi di un titolo nobiliare, e aveva finalmente ritenuto di non sfigurare davanti alle ragazze più blasonate e popolari della scuola. E non aveva più voluto saperne di uscire con Alan, come aveva fatto sino a quel momento, nonostante i tre anni di cui gli era maggiore, certo sottolineando ogni volta che, insomma, per una diciannovenne uscire con un sedicenne, insomma...
Uff….al diavolo gli amori senza speranza! Ti fanno ammattire, ti portano a fare delle assurdità!, pensava Alan, stizzito, mentre osservava, da sopra lo spigolo dell’anta aperta del suo armadietto, Jeanne avanzare, per il corridoio, circondata da un codazzo di amiche, corteggiatori, compagni di scuola affascinati dalla sua bellezza arrogante. Jeanne rifulgeva, quella mattina: nonostante fossero solo le otto, e l’atmosfera di quella giornata parigina fosse cupa e uggiosa, Jeanne emanava luce: sfoggiava un ciondolo di brillanti a forma di cuore sul petto prorompente, coperto, ma in realtà esaltato, da un dolcevita di cachemire nero, inguainata in un paio di pantaloni di pelle nera, e con un corto giacchino di panno verde e viola, che terminava proprio sopra il sedere a cuore. La sua andatura sicura e insieme ancheggiante, oltre che le sue forme da maggiorata, fecero sì che Alan non potesse trattenere un sottile fischio di apprezzamento, vedendosela passare davanti.
“Fiiiiiiiiiiiiiiiuuuuuu”.
“Te l’hanno mai detto, Alan, che sei primordiale?”, lo aveva rimproverato Françoise, con il suo tono quieto da contralto, mentre sollevava lo sguardo dall’interno del suo armadietto, con un’aria guardinga e fredda negli occhi color fiordaliso.
“No, ma lo prendo come un riconoscimento della mia maschia seduttività”, la rimbeccò spavaldo lui, non senza sentire una minuscola fitta al cuore al passaggio di Jeanne, che l’aveva bellamente ignorato. Eh, già, ormai usciva, a quanto pare, con un trentenne, nientemeno, un certo Louis, le guance piene, il naso aquilino e la figura imbolsita, che però la veniva a prendere su una Porsche bianca con gli alettoni: capirai! E come poteva competere, lui, un diciassettenne figlio di una impiegata del Tribunale, vedova, con un uomo fatto, brutto come un rospo, ma pieno di soldi come un uovo? Dio che rabbia!, pensò Alan, sbattendo lo sportello dell’armadietto e allontanandosi sotto lo sguardo critico di Oscar. La quale era tornata a fissare l’interno del suo, di armadietto, in cui, come ogni lunedì da sei settimane a quella parte, sopra la pila dei suoi libri, faceva bella mostra di sé una rosa bianca.
Chi poteva essere stato? Chi si era permesso di farlo?
All’inizio, aveva pensato a uno scherzo di cattivo gusto … poi, però, la bellezza di quelle roselline, a volte in boccio, a volte che dispiegavano in pieno la sontuosa bellezza dei loro petali, l’aveva conquistata, e ora aspettava dal sabato sera, fremendo un po’ all’idea – e a tratti sentendosi anche un pochino sciocca – la mattina del lunedì; e quando apriva il suo armadietto, sentiva un brivido piacevolissimo lungo la schiena, temendo di trovarci solo libri, quaderni, penne e una maglietta di ricambio, e sentendo il cuore sobbalzare quando vedeva quell’omaggio anonimo.
In quel momento, Françoise intercettò lo sguardo di Axel, che correva alla lezione di tedesco, e che la salutò levando semplicemente una mano mentre scappava via lungo il corridoio. Ah, no, non certo lui: per Axel, Françoise era semplicemente un’amica, anzi, a dirla tutta, e considerando quanto era franco e senza malizia nel rapportarsi a lei, la considerava un amico.
Sospirò, e chiuse l’armadietto, incrociando le braccia sul pesante volume di letteratura francese, e appoggiandosi per attimo con la schiena al metallo dello sportello.
Dio, che rabbia! Ma poi, in coscienza, che cosa poteva sperare? Axel era innamorato, ricambiato, di Marie, la sua migliore amica. E non gli dava torto: Marie era semplicemente meravigliosa, gli occhi grandi, splendenti, la carnagione luminosa, piccolina e femminile, con una voce squillante che sembrava quella di una bambina. Chi non si sarebbe innamorato di Marie?! Scosse la testa, e poi, una volta controllata l’ora sul suo Rolex d’acciaio, filò rapida verso l’aula.
Dall’altro capo del corridoio, André Grandier, uno studente dell’ultimo anno, scosse la testa, mesto, e si avviò a sua volta in classe.


2-
  
“Joe le taxi, il va pas partout Il marche pas au soda
Son saxo jaune
Connaît toutes les rues par cœur Tous les petits bars
Tous les coins noirs Et la Seine
Et ses ponts qui brillent Dans sa caisse
La musique à Joe C'est la rumba
Le vieux rock au mambo” 
(*Vanessa Paradis, Joe le Taxi, 1987)
 
 
“Alan, te l’ha mai detto nessuno che quando canti fai davvero schifo?”, rise, amaro, André, una bottiglia di birra bevuta a metà fra le mani.
 
“Amico mio, ma tu non hai idea di quale appeal abbia sulle donne un uomo che canta”, ribatté il colosso.
“Posso solo immaginare che ti bacino per farti smettere di straziare le sette note!”, rispose André. Il ragazzo, studente dell’ultimo anno, indossava un maglione verde, come i suoi occhi, e i capelli neri, che gli arrivavano alle spalle, gli ricadevano sulla fronte.
Alan aveva avvertito un’istantanea corrente di simpatia quando aveva conosciuto André, il settembre precedente. Lui e Françoise si erano trasferiti al “Louis le Grand” da Arras, e ci era voluto poco ad Alan a capire che non si trattava certo di una coincidenza: Françoise aveva seguito il padre, Generale trasferito dagli incarichi operativi a un importante ruolo al Ministero della Difesa, e André era il nipote della storica governante di casa Jarjayes, che aveva cresciuto il nipote, rimasto precocemente orfano dei genitori, periti in un incidente stradale, e la figlia del suo datore di lavoro, ultimogenita di una nidiata di sei figlie le cui cinque maggiori erano già disperse nei migliori collegi svizzeri e nelle più prestigiose università della Ivy League quando Françoise era venuta al mondo. La figlia del Generale e il nipote della governante erano cresciuti praticamente insieme, e poi, quando si erano trasferiti a Parigi, erano diventati inseparabili con Alan, complice il fatto che nonostante André fosse di un anno maggiore di Alan e Françoise, e nonostante l’aria sottilmente malinconica che sembrava sempre gravare sul suo bel viso, quando era in compagnia sapeva essere molto divertente: i tre avevano per certi versi gusti simili e il sabato pomeriggio si incontravano spesso per andare bere qualcosa insieme.
“Perché la chiami Oscar?”, aveva chiesto, curioso, Alan, in una delle prime uscite “fra uomini” con André, in un bistrot del quartiere.
“Oh, è una specie di soprannome: vedi, a Françoise riesce sempre tutto bene al primo colpo, e suo padre dice che è una figlia “da Oscar”; e così il nomignolo le è restato”.
“Uhm, capisco… e “Oscar” sa che sei innamorato di lei?”, aveva sparato a bruciapelo Alan.
 
“EEEEEHHHHH?”, aveva sgranato gli occhi André, mentre la birra gli andava di traverso. “E tu come lo sai?! Chi te l’ha detto?!”, aveva chiesto, allarmato.
“Ma tu con chi credi di avere a che fare?!”, aveva riso Alan, per tutta risposta. “Credi che non li abbia gli occhi?! Si vede lontano un miglio!”.
“Ecco, Alan, ti prego di non farne parola con lei”. Gli occhi di André si erano incupiti, e Alan aveva sentito un moto di compassione per lui, per cui sospiravano tutte le ragazze del liceo – quelle, beninteso, che non cadevano ai suoi piedi. Era davvero un bravo ragazzo, André, e ad Alan faceva male al cuore vedere come il suo amico si struggesse per “Oscar”, ovvero, per Françoise
“E lei….?”, aveva indagato, guardingo, Alan.
“Oh, Oscar, Oscar…”, aveva alzato le spalle André, in apparenza noncurante, in realtà amaro, “lei … per lei è molto più semplice ignorare i suoi sentimenti. Il padre, vedi, ha per lei progetti molto ambiziosi. E io… chi sono io per mettermi di mezzo?”.
“Ma non le piace quello stoccafisso svedese?”
“EHHHH?!”. La sorpresa di André era stata ancora più forte. “Ma tu sei un mago o che cosa?!”.
“Oh, un mago!”. Alan aveva portato la bottiglia alle labbra e aveva buttato giù una robusta sorsata. Ora erano entrambi con la schiena e con i gomiti appoggiati al bancone dal ripiano in metallo, mentre nell’aria si diffondevano le note di “Que je t’aime” di Johnny Halliday.
“Basta  un  pochino  di  senso  dell’osservazione,  direi!”,  aveva minimizzato  Alain, iniziando a canticchiare le parole della canzone.

Quand tes cheveux s'étalent Comme un soleil d'été
Et que ton oreiller
Ressemble aux champs de blé Quand l'ombre et la lumière Dessinent sur ton corps
Des montagnes des forêts Et des îles au trésor,,,
Que je t'aime, que je t'aime, que je t'aime
 
Que ...
(**Johnny Halliday, Que je t'aime, 1977).

 
“Potresti smetterla, Alan?”, aveva chiesto André, cupo.
“Che c’è, amico? Non ti piace questa vecchia lagna?”, aveva ribattuto, sarcastico, Alan: certo che l’accenno ai capelli biondi sparsi sul cuscino era stato un autentico colpo basso.
“Cantata da te, poi!”, era scoppiato a ridere André.
“Ah, l’amore, l’amore”, aveva pensato Alan, “quante scemenze fa fare l’amore!”.
 

3-  I mesi erano passati senza grandi novità. Oscar spasimava per Axel, che, intanto, aveva iniziato a fare coppia fissa con Marie: essere tutti insieme in classe non aiutava certo, perché, nel bel mezzo di una lezione di trigonometria, ad Alan capitava di distogliere lo sguardo dalla lavagna, e di vedere “Oscar” che furtivamente guardava Axel, che guardava sognante Marie, la quale a sua volta guardava la lavagna con le espressioni buffe di chi non capisce nulla, e che, regolarmente, finiva per chiedere a Françoise di rispiegarle gli argomenti trattati in classe, e di fare i compiti con lei.
E André? André, una classe avanti a loro, si preparava per il suo baccalauréat, dopo il quale meditava di iscriversi ai corsi di filosofia o storia in Sorbonne. Con Oscar, si incontrava al club di scherma, ai corsi pomeridiani di vietnamita, al circolo degli scacchi, e, ovviamente, i due arrivavano a scuola insieme, su un macchinone blu con autista, direttamente dal palazzetto settecentesco che la famiglia della ragazza possedeva nella zona del Bois de Boulogne.
Qualche volta, Alan aveva visto André aprire furtivo, con una forcina, la serratura dell’armadietto di Oscar, alla fine delle lezioni, o un attimo prima  che  la  ragazza  avesse  attraversato  il  corridoio,  quando  veniva trattenuta da quell’elegantone di Victor (che cercava sempre di invitarla qua e là, senza successo), e metterci un bocciolo di rosa bianca.
“Vedi”, diceva André ad Alain, nelle pause degli allenamenti di scherma, o nelle soste fra una vasca e l’’altra in piscina, “Oscar sicuramente si iscriverà a Sciences-Po3, e avrà squadernato di fronte a sé un grande futuro, il futuro di una donna di successo: potrebbe diventare, che so, Ministro del Tesoro, della Giustizia, e forse sarà il primo Presidente della Repubblica donna! Ma io? Io vorrei essere un semplice professore di filosofia al liceo, vivere fra i libri e insegnare ai ragazzi a pensare con la loro testa e a essere liberi, magari in un liceo di provincia. Come pensare che Oscar possa accontentarsi di questo?”.
“E pensi invece che sarebbe felice con quello svedesone dagli occhi languidi? Sempre che riesca a distogliere per un attimo lo sguardo dalla sua Venere tascabile tutta boccoli, e capire che Françoise spasima per lui!”
“Oh, ma io spero proprio che non se ne accorga proprio!”, esclamava con foga André.
“Non c’è pericolo, bello mio! Non c’è pericolo: da’ retta a un cretino, nello specifico a me. Quello svedese è un “bello che non balla”: non è molto sveglio, credimi!”
“Speriamo”, rispondeva, dubitabondo, André.

 4– Era arrivato giugno, e l’aria esplodeva di colori e di profumi, anche nel cuore di una metropoli come Parigi. I sabati sera erano più dolci, e per le vie si vedevano le ragazze indossare sotto i giubbetti di jeans corti abitini a fiori, che lasciavano scoperte le gambe, mentre camminavano svelte per le vie della città calzando ballerine e basse sneakers a fiorellini, cui avevano sostituito le stringhe con nastri colorati o a pois.
 Quella mattina, una delle ultime di scuola, tesa per il compito di matematica previsto alla terza ora, e che prometteva di essere una delle prove più impegnative dell’anno, Oscar trovò nell’armadietto la solita rosa bianca in boccio, e un biglietto. Lasciò il fiore nell’armadietto, come sempre, con il solito pudore – lo avrebbe recuperato, come sempre, alla fine delle lezioni, nascosto dello zaino, e messo in un vasetto sul suo comodino una volta arrivata a casa – e aprì, mordendosi il labbro inferiore, il bigliettino piegato in due: c’erano poche parole, vergate con una grafia elegante e a lei vagamente conosciuta:
Ti aspetto sabato 18, alle nove al Luna Park del Bois, sotto la ruota panoramica. Non dirlo a nessuno, soprattutto acqua in bocca con Marie. Sei la sola che potrei mai amare. Tuo A.”
Mentre risolveva i difficili problemi, mentre seguiva la lezione su Cartesio, mentre saltellava a ritmo di jazz, inguainata in una stupidissima tutina di lycra bianca e blu durante la lezione di educazione fisica, in un angolino della sua testa Françoise pensava sempre a quell’invito misterioso. Allora Axel l’aveva notata? Povera Marie! Perché certo, la raccomandazione di non dirle nulla era chiara: Axel sentiva di doverle dei riguardi, e non la voleva ferire, fino a che fosse stato possibile, anche se ormai era diventato consapevole dei suoi sentimenti.
No, davvero, non avrebbe detto nulla a Marie. E nemmeno ad André. Perché… perché… perché insomma, con André erano come fratelli, e lui non l’aveva mai vista perdersi appresso a un ragazzo: e nemmeno lui, del resto, le aveva mai detto nulla delle sue preferenze femminili, che pure dovevano esserci, eh! Era bello, André, indubbiamente; e intelligente, e sensibile…e .. oh insomma! Ecco, non poteva certo confidare i suoi patemi amorosi a lui…e nemmeno viceversa. Un po’ di discrezione, vivaddio!
Decise che si sarebbe preparata come per una normale uscita con le amiche (che non aveva, ma questo era un particolare ininfluente) al Luna Park: jeans bianchi attillati, Superga bianche e una maglia con la scollatura a barchetta blu navy. Ecco, e sarebbe passata inosservata. O meglio, Axel l’avrebbe notata. Lui, sì, che doveva notarla: degli altri, se ne fregava.
 
5– Faceva un caldo infernale, altroché, in quel sabato sera di giugno. Il Luna Park era una bolgia, un carnaio, sovrastato dal nuovo singolo degli U2 che si diffondeva nell’aria a volume altissimo. Sembrava che tutti i giovani di Parigi si fossero dati appuntamento in  quel  Luna Park al  Bois  per assaporare il primo sabato di libertà, per ristorarsi dopo le fatiche della scuola, delle verifiche, delle lezioni universitarie. You say you want Diamonds on a ring of gold You say you want
Your story to remain untold
 
But all the promises we make From the cradle to the grave When all I want is you
 
You say you'll give me
 
 
Coppie e coppiette si baciavano davanti al chiosco delle frittelle, al tiro a segno, all’uscita dal labirinto degli specchi e dalla casa stregata, davanti e sulla ruota panoramica; e proprio lì, davanti alla ruota panoramica, come le aveva chiesto di fare A., Françoise attendeva, le braccia conserte, le gambe incrociate, la borsetta di Chanel che le dondolava alla spalla mentre, senza rendersene conto, alzava ritmicamente le spalle canticchiando quella canzone che da qualche giorno veniva sparata da tutte le radio e che le era entrata nelle orecchie senza volersene andare.
 
 
ALL THE PROMISES WE MAKE FROM THE CRADLE TO THE GRAVE WHEN ALL I WANT IS YOU
 
YOU SAY YOU WANT YOUR LOVE TO WORK OUT RIGHT TO LAST WITH ME THROUGH THE NIGHT
YOU SAY YOU WANT A DIAMOND ON A RING OF GOLD YOUR STORY TO REMAIN UNTOLD
YOUR LOVE NOT TO GROW COLD
 
 
D’accordo, lei era, oggettivamente, arrivata in  anticipo,  molto in anticipo; però, adesso Axel era decisamente in ritardo. Ma dove era finito? Françoise era una ragazza estremamente razionale, ma ormai, dopo aver sobbalzato di fronte a ogni giovane alto e biondo che intravedeva nella folla, si stava preoccupando: e se gli fosse successo qualcosa? Axel era un centauro provetto, ma  … con tutti gli irresponsabili in giro per le strade… e se avesse avuto un incidente? Non riusciva a togliersi dalla testa quell’assurda preoccupazione … e poi li vide: Axel e Marie, che camminavano languidamente allacciati. Lei stringeva fra le braccia un mostruoso gattone bianco e rosa di pelouche, vinto al tirassegno dal suo cavaliere, e procedeva, minuta com’era, con lo sguardo rivolto verso all'insù, per tenere gli occhi fissi in quelli di lui, tanto più alto.
Si sentì avvampare, di delusione, e di vergogna. Come aveva potuto sperare … anche solo pensare… ? E però… il biglietto parlava chiaro. O forse…
Forse …
Uno scherzo! Ecco che cosa era stato: uno scherzo di pessimo gusto! E sapeva anche di chi, forse.
Strinse il biglietto fra le dita, accartocciandolo crudelmente. Poi, cercando di non farsi vedere da Axel e Marie (che, comunque, non davano segno di rendersi conto della realtà che li circondava, nemmeno se fosse esplosa una bomba H a due metri da loro, e si erano diretti in un luogo ombroso, vicino a una macchia di platani, per sbaciucchiarsi in santa pace), strappò il bigliettino in mille pezzi, gettando i frustuli a terra, e si avviò al chiosco dello zucchero filato: aveva bisogno di dolci, molti dolci, di qualche porcheria, per snebbiare le idee; sì, zucchero, urgentemente zucchero; voleva ingozzarsi di zucchero! E poi si sarebbe presa quelle specie di frittelle bisunte! E anche una birra enorme! Forse anche due!
 
“Alan… non capisco perché mi hai trascinato sin qui stasera!”, sbottò André. “Lo sai che devo studiare per l’esame, altrimenti …”
“Oh, via! Ma se hai il massimo dei voti, fin dal primo anno, in tutte le materie, Monsieur la Perfection!”, rise l’amico, dando ad André quello che doveva essere un amicale buffetto sulla spalla, e che invece fu un colpo tale da fargli quasi sputare un polmone.
“Seeee…. Magari….ti ricordo che mia nonna tiene moltissimo al mio diploma, povera donna: lavora da una vita per poter dire di avere un nipote universitario alla Sorbonne, e se qualcosa andasse storto.. e poi, io voglio essere ammesso a Filosofia, lo sai…”
“E su! Sta’ rilassato! Per una sera, non casca mica il mondo! Non ti piace il nuovo singolo degli U2?”.
“Sì, certo, Alan… ma non capisco perché tu abbia insistito per venire qui, stasera, e con me: il Luna Park è un posto da innamorati….”
“O da bambini del giardino d’infanzia”, completò l’amico, indicando simultaneamente André e Françoise, davanti alla quale si erano fermati, e che stava divorando, con aria truce, una porzione enorme di zucchero filato rosa..
“Oscar…”, arrossì André.
“André….”, avvampò Oscar, sollevando le labbra dallo zucchero filato e cercando, meccanicamente, di pulirsi la mano sinistra, tutta appiccicaticcia - orrore! - nei jeans bianchi.
“Ehi, amico, hai dimenticato questa”, disse Alan, cavando dalla tasca interna del chiodo un minuscolo bocciolo di rosa bianca, e porgendolo ad André, perché a sua volta lo porgesse a Oscar.
“Ma … ma … Alan …. come fai a sapere che ero io?”, chiese André, tramortito dalla sorpresa.
“Ma … ma… come fai a sapere delle rose bianche?”, chiese allo stesso tempo ad Alan una stupitissima Françoise, con gli occhi fuori dalle orbite.. .e subito dopo, posando quegli zaffiri scintillanti su André: “E tu? Allora, eri tu…”.
“Sì, ero io… ma credevo che tu non mi vedessi nemmeno…”
“Oh, André… ma che dici… io non vederti? Io?! Ma no… ma no… ero io che credevo che… ma … ma se non pensavi che… allora … chi ha scritto il biglietto?”, si riscosse Oscar, guardando in direzione di Alan con occhi che dal delicato color fiordaliso che avevano naturalmente sembravano farsi di bragia. “Alan! ALAN! ALAN! Non mi dire che sei stato tu….!!!! Non mi dire che hai organizzato tu tutto questo … questo … questo teatrino! ALAN!!!”. Ma  Alan,  tanto  energicamente  chiamato  in  causa,  non  sembrava preoccuparsi del tono di accusa di Françoise: col suo solito fare guascone, levate le braccia e intrecciate le mani sulla nuca, si limitò a dire, le labbra increspate nel solito, irresistibile sorrisetto ironico su quella bella faccia da schiaffi: “Bene, ragazzi, io vi lascio alla vostra privacy! Credo che abbiate molte cose da dirvi!”. E con un ghigno sparì, a grandi falcate, mentre Françoise e André si avvicinavano timidamente, lei come se lo vedesse per la prima volta, lui con le mani che gli tremavano per l’incredulità, a stringersi in un abbraccio e in un bacio leggero, preludio ad altri abbracci, ad altri baci più passionali
 
Alan, osservandoli da lontano, sorrise compiaciuto: anche se sfiorava i due metri, e pesava novanta chili, e non si vedeva davvero con alucce, arco e frecce, era stato un eccellente Cupido.
E ora, dopo tanta fatica, ci voleva una ricompensa: si incamminò baldanzoso verso il chiosco delle birre, con aria soddisfatta, ricordando vagamente che la ragazza che gestiva il minuscolo locale di ristoro era bruna e formosa, come gli occhi chiari e un sorriso invitante: proprio come piaceva a lui.
“E allora? Non si salutano più le vecchie amiche?”. La voce, sonora e sferzante, con un che di imperioso, ma anche con una segreta inflessione di dolce, colse Alan di sorpresa.
 
Si volse, stupito, e si trovò davanti a Jeanne, più bella che mai, inguainata in una tuta di pelle nera, con una scollatura che lasciava ben poco all’immaginazione, i capelli biondi tirati indietro e cotonati; reggeva su una spalla, sospeso a due dita della mano destra, un chiodo di pelle rossa, e si avvicinava a passi lenti e cadenzati ad Alan. Nonostante portasse dei vertiginosi tacchi a spillo di vernice rosso fuoco, Alan la superava di tutta la testa; eppure, quando lei lo guardò di sotto in su, facendo sfavillare gli occhioni viola bistrati, il ragazzone si sentì piccolo piccolo: che ci faceva una donna come lei, al Luna Park, fra i ragazzini? Dove stava Mister Porsche bianca?, pensò Alan.
“Je .. Jeanne?! Ma … ma che ci fai tu qui?”, balbettò lui, incredulo. Jeanne al Luna Park, tra i ragazzini? Possibile?!
“E tu? Tu che ci fai qui? Non starai per caso dragando qualche ragazzetta?”, chiese lei, con fare inquisitorio e gli occhi che sfavillavano, un’inflessione severa a sottolineare la parola “ragazzetta” (gelosia?, balenò in mente ad Alan per un attimo).
“Io… beh… io, Jeanne… ecco..”
“Baciami, stupido!”, gli troncò la risposta in bocca lei, mettendo d’impeto le labbra sulle sue, e lasciandosi avvinghiare in un abbraccio che sembrò stritolarla tanto era appassionato.
Sì, sarebbe stata un’estate da ricordare, riuscì a stento ad articolare come confuso pensiero nella sua mente Alan, mentre i baci di Jeanne lo inebriavano e gli toglievano il fiato; intanto, nella notte, profumo d’estate, profumo di sogni, di amore, di progetti per il futuro; e nell’aria, le note di una canzone:
You say you'll give me
Eyes in the moon of blindness A river in a time of dryness  A harbour in the tempest  But all the promises we make From the cradle to the grave When all I want is you

You say you want
Your love to work out right
To last with me through the night You say you want
Diamonds on a ring of gold Your story to remain untold Your love not to grow cold All the promises we break From the cradle to the grave When all I want is you
You
All I want is you All I want is you All I want is you
 (U2, All I want is you, 1988)
 
 
Si ringrazia vivamente Alessandra DF3 per la fan art.
 
****************************************************************************************************************************************************************************************
 
Io lo so, questo racconto non parla propriamente dell’atmosfera natalizia. Ma, voi lo sapete, non sarò il Grinch, ma non amo il Natale, e quest’anno meno che mai: chi mi conosce lo sa.
Ma dopo ogni inverno, torna la primavera, no?
Ecco: e che questo sia un buon auspicio per tutti, in tutti i sensi: che la primavera possa tornare a germogliare, timidamente, ma con decisione, nei nostri spiriti.
           

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
Leggi le 12 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Lady Oscar / Vai alla pagina dell'autore: Dorabella27