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Autore: Keeper of Memories    24/12/2023    1 recensioni
[RusAme] [Nyo!FrUK di sfondo+FACE Family+Sealand]
Le feste di Natale si avvicinano e Alfred ha commesso un terribile errore: promettere a suo fratello minore che gli avrebbe presentato Babbo Natale. Purtroppo, la persona che doveva rivestire tale ruolo è sparita nel nulla, lasciando l'americano a pochi giorni dall'inizio delle festività in grave difficoltà. La sua unica speranza è un misterioso studente russo rimasto bloccato dalle intemperie.
[Human!AU] [Fake Dating]
[Questa storia partecipa al Secret Santa del gruppo Facebook "Non solo Sherlock - gruppo eventi multifandom"]
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Canada/Matthew Williams, FACE Family/New Continental Family, Nyotalia, Russia/Ivan Braginski
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Era un gelido giorno di metà dicembre a Washington e la Northeast Library versava in uno stato di totale pace e quiete, con solo pochi avventori che sbirciavano pigramente gli scaffali colmi di libri.

Questo prima che Alfred sbattesse violentemente le porte d’ingresso e, ignorando totalmente l’occhiataccia della seccata bibliotecaria, attraversasse di corsa la sala principale, lasciando una scia di neve fresca al suo passaggio. Il suo obiettivo si trovava in una delle aule studio e nulla lo avrebbe fermato dal raggiungerlo, nemmeno una bufera di neve.

 

«Ehilà!» disse, facendo un cenno con la mano all’unica persona presente nella stanza.

Non ricevendo risposta, ci riprovò a voce più alta, ma ottenne solo un seccato “ssshhh” dalla suddetta bibliotecaria.

«Ti avevo sentito la prima volta» disse il suo interlocutore, con un forte accento russo. Chiuse il libro che stava leggendo e sorrise freddamente ad Alfred. L’americano prese una sedia libera e si sistemò davanti a lui.

«Tu sei Ivan, giusto? Io sono-»

«Alfred F. Jones. La persona più chiassosa del corso di Ingegneria Aerospaziale. So benissimo chi sei, lo frequento anch’io quel corso.»

Alfred ebbe un brivido lungo la schiena. I suoi amici e compagni di corso lo avevano messo in guardia su “l’inquietante studente russo” e sul suo modo di fare vagamente minaccioso, ma si trattava della sua unica speranza e non intendeva tirarsi indietro.

«Ho bisogno di un favore. Sei l’unico che può aiutarmi.»

«Oh, devi essere proprio disperato. Con me non parla mai nessuno.»

«Si, uhm...»

Ivan ridacchiò, scacciando per qualche istante il gelo dagli occhi violetti.

«Cosa c’è da ridere?» aggiunse l’americano.

«Nulla, sei buffo.»

Alfred balbettò qualcosa di incomprensibile, il volto improvvisamente accaldato da una sensazione che poteva vagamente dirsi imbarazzo. Scosse leggermente la testa, come per allontanare tale pensiero. Era del tutto impossibile, si disse. Nessuno era mai riuscito a metterlo in imbarazzo, nemmeno le sue chiassose madri.

«Quindi, perché mi stavi cercando Alfred F. Jones?»

Il russo d’altra parte continuava a sorridere con tranquillità.

«Uhm, dunque, ho promesso a mio fratello Peter che gli avrei presentato Babbo Natale, ma l’amico a cui avevo chiesto questo favore mi ha paccato.»

«Non vedo come questo abbia a che fare con me.»

Ivan piegò leggermente la testa, il mento posato sul palmo della mano mentre ascoltava divertito le parole di Alfred.

«Come on! Saresti un Babbo Natale perfetto. E poi non hai niente da fare, no? Hanno cancellato tutti i voli per la Russia per il maltempo.»

Il sorriso di Ivan svanì istantaneamente. Riprese il libro che aveva posato, spostando lo sguardo sulle pagine inchiostrate.

«Non sono interessato.»

«Come no? Daiiii, ne ho assolutamente bisogno.»

«Ho detto che non sono interessato.»

«Farò tutto quello che vuoi, ti prego!»

Con pochissima cura dello spazio vitale altrui, Alfred si sporse in avanti e, ormai quasi disteso sul tavolo, posò il mento sul taglio superiore del libro che Ivan stava leggendo. Il russo sollevò lo sguardo e lo scrutò attentamente.

«Tutto quello che voglio?» disse, abbozzando nuovamente un gelido sorriso.

«Tutto quello che vuoi» ripetè Alfred, realizzando troppo tardi l’errore che aveva commesso. Ivan avvicinò pericolosamente il volto al suo, i nasi prossimi allo sfiorarsi.

«Allora esci con me, Alfred F. Jones.»

 

 

«Sei sicuro di quello che stai facendo, Al?»

Matt osservò dubbioso suo fratello, mentre questo cercava disperatamente qualcosa nel suo armadio. Ad ogni cambio di stagione Alfred tardava sempre con il cambio dell’armadio, finendo puntualmente per “prendere in prestito” i suoi vestiti. Accadeva così spesso che Matt ormai dubitava di essere proprietario di un qualche capo di abbigliamento.

«Assolutamente! Me l’ha promesso. Ah, eccolo!»

Alfred uscì dal mucchio di vestiti, sventolando un pesante maglione rosso.

«Anche l’altro tuo amico te lo aveva promesso… questo russo poi nemmeno lo conosci! Come fai a fidarti?» ribadì Matt preoccupato.

«Beh, al russo sto effettivamente facendo un favore, no?»

«Ripetimi cosa farete...»

«Beh...» iniziò Alfred, non appena la sua testa spuntò dal colletto del maglione «mi ha chiesto di uscire. Andiamo al National Air and Space Museum! Sarò un’ottima guida, vedrai.»

Matt guardò il fratello sorridergli con sicurezza, come se avesse tutto sotto controllo e nulla potesse mai andare storto.

«Hai pensato che magari, siccome frequentate lo stesso corso, non abbia esattamente bisogno di una guida?»

«Sciocchezze, Matt! Per quale altra ragione vorrebbe andare con me a quel museo altrimenti?»

Matt attese qualche istante prima di rispondere. Era allibito, ma non stupito.

«Quindi non hai proprio pensato che potesse essere un vero e proprio appuntamento?»

«Sciocchezze. Ci vediamo stasera, Matty!»

Con noncuranza Alfred uscì dalla stanza, sotto lo sguardo perplesso del fratello.

 

 

Quando Alfred arrivò al National Air and Space Museum, Ivan lo stava già aspettando. Quel giorno silenziosi fiocchi di neve scendevano dal cielo e lentamente si stavano posando sul volto sereno del russo, impigliandosi tra i i folti capelli biondi e imperlando le ciglia chiare mentre guardava il cielo.

Alfred rimase a fissarlo per qualche istante, insolitamente incantato. Sembrava quasi uno di quegli eterei spiriti invernali, uscito dalle fiabe che sua madre gli leggeva da piccolo e improvvisamente apparso al centro di Washington, tra la calca e i turisti indaffarati nella zona più famosa della città.

Fu proprio Ivan a riportarlo alla realtà, notando non lontano da lì, un americano allucinato costretto improvvisamente a scuotersi da un innevato sogno ad occhi aperti.

«Ti stavo aspettando» lo salutò, la voce attutita dalla folta sciarpa bianca.

«Sono rimasto bloccato nel traffico. Dai, andiamo! C’è una mostra bellissima che devi assolutamente vedere.»

Senza troppe cerimonie, Alfred prese Ivan per mano e, con tutto l’entusiasmo che un appassionato dello spazio può avere, quasi lo trascinò all’interno del museo.

 

«Guarda! Quella è la prima vera tuta spaziale!»

Con un ampio gesto del braccio Alfred indicò a Ivan la tuta di Alan Shepard, accuratamente conservata dietro ad una teca di vetro.

«Eh? Mi sembra un po’ strano...»

Ivan piegò leggermente la testa a lato, scrutando dubbioso il contenuto della teca. Alfred scosse la testa.

«No, questa è proprio la tuta di Alan Shepard, il primo uomo ad aver viaggiato nello spazio!»

Ivan iniziò a ridere, una risata genuinamente divertita. «Alfred, Shepard è stato il primo americano a volare nello spazio. È diverso.»

«Che differenza vuoi che faccia...» bofonchiò Alfred, più a sé stesso che al russo. Di nuovo quella sensazione molto simile all’imbarazzo gli stava imporporando le guance e, di conseguenza, provocando un certo fastidio al suo orgoglio.

«Molta. Il primo uomo a viaggiare nello spazio fu il cosmonauta sovietico Juri Gagarin, nel 12 aprile 1961. Il viaggio di Shepard avvenne nel 5 maggio dello stesso anno, quindi è il secondo uomo ad aver viaggiato nello spazio. Guarda, c’è scritto anche qui.»

«Uh-uh.»

Lo sguardo dell’americano si fissò su un punto lontano, ignorando totalmente la targa che Ivan indicava. Stava pensando freneticamente a qualcosa d’intelligente da aggiungere per salvarsi dall’orribile figuraccia, ma non ne ebbe il tempo.

«Oh! Quella laggiù è la tuta di Neil Armstrong. E ci sono i resti del motore dell’Apollo 11!»

Senza troppe cerimonie, Ivan prese Alfred per mano e lo trascinò di teca in teca, dimostrando forse un entusiasmo pari se non addirittura superiore al suo.

Alfred sperava che quella pessima figura fosse l’unica e che presto entrambi se ne sarebbero dimenticati per sempre; purtroppo, accadde l’esatto opposto. Ogni volta che apriva bocca, Ivan interveniva aggiungendo dettagli che Alfred stesso non conosceva o, molto più spesso, per correggerlo su argomenti che l’americano era convinto di conoscere alla perfezione. Lo fece davanti al motore bruciato dell’Apollo 11, mentre parlavano di shuttle; lo fece davanti ai rover e alle sonde mentre parlavano dell’esplorazione di Marte e degli altri pianeti del Sistema Solare; infine, lo fece davanti ai velivoli dei fratelli Wright, mente discutevano di aviazione e aeronautica.

Quando uscirono dal museo, Alfred era oltremodo frustrato. Per quale ragione Ivan l’aveva trascinato fin lì? L’unica risposta che riusciva a pensare era per dargli fastidio, se non addirittura per metterlo in ridicolo.

«Ah, che bella giornata è stata! Dove mi porti la prossima volta?»

La voce allegra di Ivan scosse l’americano dai suoi pensieri furibondi.

«Dove ti porto? Cosa significa “dove ti porto”?»

Alfred guardò allibito il russo, che sorrideva amabilmente.

«Oggi ho scelto io il posto, il prossimo lo scegli tu.»

«Ma questi non erano gli accordi! Manca pochissimo a Natale...»

«Vuoi o non vuoi che faccia da Babbo Natale per il tuo fratellino, Fedya?»

Di nuovo, Alfred rabbrividì. Ivan si era avvicinato all’improvviso, piegandosi leggermente per sussurrare al suo orecchio. Non sorrideva più e tanto doveva bastare per spaventare a morte chiunque, ma questo non valeva per l’americano che ora era solo mortalmente arrabbiato e infastidito.

«E dove vorresti andare, esattamente?»

Un sorriso trionfante tornò ad illuminare il volto di Ivan.

«Stupiscimi!»

 

 

«Mon cher, va tutto bene?»

Marianne osservò per alcuni istanti il figlio, mentre questo camminava senza sosta per il salotto della loro casa da diversi minuti. Alfred fermò i suoi passi e le sue nervose elucubrazioni; sua madre era seduta sul divano e si stava versando un calice di vino, chiaro segnale che era giunta lì per ascoltarlo.

«Ho un problema, maman» annunciò, sedendosi scompostamente accanto a lei.

«Riguarda la promessa che hai fatto a Peter?»

Alfred annuì, lanciando qualche occhiata ai dintorni prima di parlare. Notò soltanto sua madre Alice sistemare delle decorazioni nella stanza accanto.

«Questo mio, uhm, amico mi ha promesso che ci avrebbe fatto da Babbo Natale in cambio di un’uscita al museo. Ma si è rimangiato la parola e ora vuole che andiamo da qualche altra parte! E devo scegliere io!»

Marianne guardò il figlio corrucciato per qualche istante prima di parlare.

«Quindi questo ragazzo ti piace?» chiese candidamente.

«COSA? Assolutamente no. Mi dà sui nervi. Ma devo velocemente trovare un posto in cui portarlo entro domani o non posso mantenere la promessa che ho fatto a Peter.»

«Beh, prova a pensare a qualcosa che potrebbe piacergli. O che potrebbe piacere a entrambi.»

«Qualcosa che possa piacere a entrambi… uhm...»

Lo sguardo di Alfred cadde brevemente sul calendario appeso alla parete di fronte a loro.

«MA CERTO! Grazie, maman» urlò, alzandosi di scatto. Stritolò brevemente sua madre in un rapido abbraccio prima di salire le scale verso la sua camera.

«Quindi? Che ne pensi?»

Alice si sedette accanto alla moglie e posò la testa sulla sua spalla.

«È innamorato, chérie. Non l’ho mai visto così nervoso per un appuntamento da quando è entrato nella nostra vita» rispose Marianne, schioccandole un bacio tra i capelli.

«Pensi che dovremmo lasciarlo fare? Non mi fido molto del suo giudizio sulle altre persone...»

«Starà bene. Mi ricorda un po' te, sai?»

«Io non sono così avventata» bofonchiò Alice, mentre il suo volto si arrossava sotto lo sguardo divertito della moglie.

 

 

Questa volta fu Alfred a dover attendere. Il sole era calato da un po' e il freddo iniziava a farsi sentire sotto gli innumerevoli strati di vestiti. Come se non bastasse, il russo era pure in ritardo.

«È da molto che attendi, Fedya?»

La voce di Ivan alle sue spalle lo fece sobbalzare.

«Fedya è il mio nuovo nomignolo, adesso?» sbuffò, cercando di mascherare la sorpresa.

«Lo trovo molto carino. Perché siamo qui, esattamente?» chiese, lanciando un’occhiata incuriosita alle porte del National Air and Space Museum.

«Non andiamo al museo, ma al planetario» rispose l’americano, entrando nell’edificio senza guardarsi indietro.

«Non sapevo che fosse aperto a quest’ora.»

«Di solito non lo è» spiegò Alfred, avvicinandosi a un assonnato bigliettaio «ma una volta al mese c’è questo spettacolo, “Cieli d’America”, dove puoi vedere come sarebbe il cielo notturno dalle più grandi città americane se non ci fosse l’inquinamento luminoso. È il mio spettacolo preferito! Guarda, ci sono pure molti posti liberi.»

Alfred trotterellò felice all’interno della sala e scelse quelli che, per sua personalissima esperienza, erano i posti migliori. Essendo uno spettacolo poco conosciuto e ad un orario molto scomodo per le famiglie con bambini, la sala era davvero poco affollata, permettendogli non solo di scegliere dove sedersi, ma anche di godersi lo spettacolo in tranquillità.

Le luci si spensero e il soffitto si trasformò nella buia coltre che rivestiva Washington. Lentamente, i lampioni delle strade si spensero, permettendo a miriadi di puntini luminosi di fare capolino nell'oscurità. In pochi istanti un meraviglioso cielo stellato apparve davanti ai loro occhi, uno spettacolo che solo il cosmo poteva offrire.

 

 

Alfred non riusciva ad capire come aveva fatto ad addormentarsi, né si ricordava quando era successo. Fu un bisbiglio nell’orecchio a svegliarlo, un surreale “svegliati Fedya” che sembrava provenire da una terra lontana.

Quando lo fece però, si rese conto di non essersi semplicemente addormentato, ma di averlo fatto comodamente rannicchiato sulla spalla di Ivan.

«Hai dormito bene?» chiese quest’ultimo, in tono scherzoso. Alfred si allontanò di scatto.

«Cosa? Si, cioè, no. Argh! Ho veramente dormito per tutta la proiezione?»

«Temo di si» rispose il russo, ridacchiando.

«Mi dispiace.»

Alfred era sinceramente mortificato. Non era così che aveva immaginato quella serata, anche se, con il senno di poi, nemmeno lui era sicuro di come avrebbe dovuto essere. Sicuramente, non era nei suoi piani addormentarsi.

Percependo il suo umore, Ivan gli si avvicinò e con delicatezza gli sistemò ciuffi di capelli disordinati che gli avevano invaso la fronte.

«Non preoccuparti Fedya. È stato uno spettacolo bellissimo.»

 

 

«Pensi che rimanere a guardare il vialetto lo farà apparire magicamente?»

La voce di Alice scosse Alfred dai suoi pensieri. Era la mattina di Natale e si era svegliato insolitamente presto per i suoi standard. Da allora, non aveva mai abbandonato la poltrona vicino alla finestra, riuscendo solo raramente a staccare gli occhi dal vialetto che si poteva osservare da lì. Sua madre Alice, invece, era seduta sul divano accanto a lui e stava ascoltando pazientemente i buffi discorsi del piccolo Peter sui regali che aveva appena ricevuto.

«Ma quando arriva Babbo Natale?» chiese quest’ultimo.

«Prestissimo, vedrai!» rispose Alfred con un sorriso.

«Arriverà più velocemente se Alfred andrà ad aiutare mamma Marianne e Matthew in cucina» aggiunse Alice, lanciando un’occhiata torva al figlio maggiore.

Alfred sbuffò, ubbidendo di buon grado. Non era minimamente dell’umore per discutere.

 

L’ora del pranzo stava per avvicinarsi quando il campanello suonò. Ad aprire furono proprio Alice e Peter.

«BABBO NATALE!» strillò il bambino e Alfred non ebbe bisogno di sapere chi fosse. Lasciò immediatamente quello che stava facendo e corse alla porta.

Ivan era arrivato veramente, lo vide rannicchiato mentre porgeva a suo fratello un regalo impacchettato alla perfezione. Non indossava il tipico costume da Babbo Natale che si vede nei centri commerciali, il cappotto rosso era più lungo e aveva delle piccole decorazioni d’agrifoglio lungo i bordi, dandogli forse un’aria più tradizionale. Aldilà della barba finta un po’ pacchiana, Alfred trovava che gli donasse molto.

Ivan ebbe a malapena il tempo di salutarlo, prima che un emozionatissimo Peter decidesse di mostrare a Babbo Natale la sua collezione di peluche, come il bellissimo orsacchiotto che aveva trovato nel pacchetto appena donatogli.

 

«Forza Peter, Babbo Natale deve portare i regali anche agli altri bambini.»

Lo sproloquio del bambino venne interrotto da Alice che, sebbene molto ammirata dalla pazienza che “Babbo Natale” stava dimostrando verso suo figlio minore, non intendeva permettere che quest’ultimo monopolizzasse l’attenzione di Ivan per tutto il giorno. Provò a lanciare un’occhiata eloquente ad Alfred, sebbene dubitasse che il suo figlio maggiore potesse arrivare a comprendere un così sottile messaggio.

Babbo Natale venne così tristemente scortato alla porta, dopo un caloroso abbraccio e un gioioso “grazie Babbo Natale” da parte di Peter.

 

«Grazie per essere venuto» sussurrò Alfred, appena la madre e il fratello sparirono oltre la porta della sala da pranzo.

«Te l’avevo promesso, dopotutto» rispose Ivan, togliendosi finalmente la fastidiosa barba finta «Mi ricorda mia sorella. Anche lei ha lo stesso entusiasmo quando si avvicina il Natale.»

«Ah. Giusto. Uhm… se vuoi puoi restare per il pranzo. Posso prestarti dei vestiti, ecco, così Peter non sospetterà nulla.»

Alfred arrossì violentemente, le parole interrotte da balbettii sconnessi. Nemmeno lui riusciva a credere a quello che stava dicendo.

Ivan sorrise, lo splendido sorriso genuino che gli illuminava lo sguardo e che Alfred aveva visto solo tempo addietro, quando l’aveva incontrato per la prima volta nella biblioteca.

«Guarda in alto, Fedya.»

Alfred sollevò lo sguardo, individuando immediatamente il sottile ramo di vischio che pendeva dalla porta sotto cui si trovavano.

«Ah. Deve averlo messo mia madre.»

«Mh-mh.»

Il russo avvicinò il volto al suo e il cuore di Alfred fece una capriola con triplo salto carpiato. Ivan attese prima di baciarlo, prendendosi qualche istante per osservare la sua espressione imbarazzata.

Quando le loro labbra si sfiorarono, Alfred non oppose resistenza. Invece, cinse il collo di Ivan con entrambe le braccia e ricambiò quel bacio con più trasporto di quanto lui stesso si ritenesse capace. Quando si staccarono dopo un tempo indefinitamente lungo, scoprirono entrambi di essere senza fiato.

«Sono sicuro che le mie madri saranno felici di averti con noi per pranzo» bisbigliò Alfred, ancora frastornato.

«Allora resterò» disse Ivan, sfiorandogli la punta del naso con il suo «Buon Natale, Fedya.»

______________

Note conclusive:

Buone Feste! Spero che questa RusAme fluffosa vi sia piaciuta^^

Ho usato il nomignolo "Fedya" al posto dell'unanimamente accettato "Fredka" dopo approfondite ricerche tumblriane. Secondo il fandom russo, è qualcosa di più simile a un nomignolo che un russo darebbe, quindi l'ho giudicato più adatto ad una Human!AU.

   
 
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