Passi leggeri scendono negli umidi e oscuri recessi di una prigione. Chiavi che tintinnano, un portone pesante che si apre.
LUI apre gli occhi, infastidito dalla debole luce della candela. Fissa la donna ma non dice nulla.
Lei, silenziosa, gli si avvicina, la mano destra debolmente luminosa di potere magico color cielo estivo. Ma non tocca lui, tocca invece alcuni sigilli incantati iscritti per terra e sulla parete alle sue spalle.
Egli osserva incuriosito e perplesso.
Quando ha finito di dissolvere l'intera gabbia arcana, lei si gira e comincia ad uscire.
“Carceriera” la trattiene lui “Cosa sta succedendo? Perché mi liberi, dopo aver giurato sulla tua vita che non mi avresti mai lasciato andare?”
Lei si ferma sull'uscio, tremando in maniera visibile. Deglutisce:
“Ordini del Concilio. Stiamo perdendo una guerra che va avanti da duecento anni”
Lui si alza e la raggiunge, fermandosi alle sue spalle.
“Stai soffrendo”
“Non presumere, Distruttore. Vai e fai ciò per cui esisti”
Il Distruttore esita un momento, poi insiste:
“Non me ne vado finché non mi dici la verità. Perché stai soffrendo?”
I lineamenti della donna si torcono per un dolore a cui non viene permesso di esprimersi liberamente:
“Avevo un solo scopo nella mia vita, ed ora il Concilio me l'ha tolto”
Forse è il Distruttore, ma non è stupido.
“Non hai tolto tutte le mie catene, Carceriera. Tornerò” dopodiché corre fuori, assaporando le membra che finalmente si ridistendono dopo secoli di immobilità.
Lei si copre il viso con le mani e finalmente scoppia a piangere. Tra le lacrime, mormora:
“E che futuro potrai mai offrirmi, Distruttore, dopo che tutto sarà stato raso al suolo ed ogni vita mietuta?”