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Autore: SSJD    09/01/2024    6 recensioni
Parigi.
Giugno 2012.
Il ritrovamento di un cadavere sotto a un ponte dà il via libera ad approfondite indagini. I risvolti che ne seguiranno scuoteranno l'opinione pubblica e le coscienze dei protagonisti in modo irreversibile...
1° classificato al contest - Uno schizzo di trama - indetto da elli2998 e inky_clouds sul forum di EFP
Genere: Noir | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il caso Buleur
 
 
Luder depositò una banconota da cinquanta euro sul comodino, nell’esatto momento in cui Nat bussò alla porta.
Un mezzo sorriso gli si dipinse in volto nel constatare la puntualità della ragazza.
Andò ad aprire e la osservò per qualche istante prima di farla accomodare.
Capelli rossi di un riccio innaturale, gomma da masticare a formare un palloncino tra le labbra colorate da un insolito lucidalabbra arancione fluorescente. Il seno fasciato da un top nero dello stesso colore della minigonna.
L'uomo abbassò lo sguardo e non poté fare a meno di arricciare le sopracciglia nel valutare il colore improbabile degli stivali con tacco a spillo che le chiudevano le gambe fin sopra al ginocchio: vinaccia.
“Hai intenzione di chiedermi patente e libretto o mi fai entrare?” gli chiese leggermente scocciata.
“Prego,” rispose Luder, spostandosi leggermente di lato per permetterle di passare.
Una volta a fianco al letto, si accorse dei soldi che lui le aveva lasciato sul comodino.
Li prese e li infilò in una borsetta rigida a forma di cuore, completamente rivestita da lustrini blu la cui catenella, che faceva da tracolla, era riparata alla bella e meglio con una spilla da balia.
“Carino qui. Ti hanno buttato fuori casa?” chiese iniziando a girare per la piccola camera al trentesimo piano dell’hotel Mercì, in pieno centro città.
“In effetti, sì. Disinfestazione. Starò qui una settimana. Pagano i vicini perché è colpa loro se ci sono le blatte. Bevi qualcosa?” domandò, osservandola avvicinarsi alle vetrate che davano sul mondo esterno.
“No, non mi va. Forse dopo”, rispose iniziando a spogliarsi.
Fece cadere i pochi indumenti che indossava a terra senza muoversi di un millimetro dalla sua posizione, come se volesse sfidare il mondo esterno a osservare quanto fosse bella.
L’uomo decise in quell’istante come e dove avrebbe fatto sesso quella sera.
Nei pochi passi che fece per raggiungerla, si tolse boxer e maglietta. Si posizionò alle sue spalle e le sussurrò all’orecchio:
“Qui è perfetto”.
Come se fosse un gioco, o forse semplicemente per prenderlo in giro, lei alzò le mani sopra alla testa, appoggiandole alla vetrata e aprì le gambe, assumendo la posizione di un criminale che sta per essere perquisito.
Lui sorrise.
Nat era capace di eccitarlo a tal punto che avrebbe potuto scoparsela dimenticandosi completamente di infilare un preservativo. Ne recuperò uno dal cassetto del comodino e se lo mise, poi la penetrò osservandola gemere nel riflesso che la finestra offriva del suo incantevole volto.
Nat gli piaceva.
Era una di poche parole, proprio come lui.
Le mise le mani sui fianchi e intensificò i suoi movimenti. Venne in pochi minuti, ma l’orgasmo fu memorabile.
Uscì dal corpo di Nat che, senza dire nulla, prese la sua borsetta, l’aprì, ne estrasse un pacchetto di gomme da masticare e se ne infilò una in bocca. Poi iniziò a rivestirsi.
“Me lo dai un bicchiere d’acqua?” chiese dopo essersi rimessa anche gli stivali.
Luder non rispose. Si limitò ad andare al piccolo frigorifero presente nella camera e ad estrarne una bottiglietta di Evian.
“Nat, puoi rimanere? Vorrei tanto che tu restassi qui con me, almeno per una notte”, la supplicò quasi.
Nat bevve un lungo sorso d’acqua, poi leccò le labbra per togliere le poche gocce rimaste sulla pelle.
“Sai che non posso. Ho altri clienti e, come ti ho già detto tante volte, la vita di coppia non fa per me… Ora scusa, ma devo andare, altrimenti perdo l’autobus”, rispose con un filo di voce, senza mai avere il coraggio di guardarlo negli occhi.
Prima di uscire, si soffermò davanti allo specchio della piccola anticamera a sistemarsi il lucidalabbra arancio fluo.
“Ci vediamo, capo,” salutò chiudendosi la porta alle spalle.
Lui aspettò davanti alla vetrata che la donna attraversasse la strada. Quando intravide l’esile figura di lei posizionarsi sotto il lampione davanti all’hotel, in attesa dell’autobus, decise che era ora di andare a letto a dormire.
 
Ore 5.00.
Il cellulare si mise a suonare insistentemente.
L’investigatore Robert Luder, del dipartimento di polizia di Parigi, fu svegliato bruscamente.
Chi cazzo aveva osato disturbare il suo sonno all’alba del sabato?
Cercò il telefono sul comodino, tastando a casaccio la superficie. Quando lo trovò, senza nemmeno aprire gli occhi, rispose con voce impastata:
“Chi cazzo è?”
“Ispettore, mi perdoni. Sono  Rosser. C’è stato un omicidio, è necessario che venga. Le mando la posizione.”
Luder fece uno sforzo non indifferente per convincersi ad alzarsi.
Si mise seduto sul bordo del letto e voltò lo sguardo verso la finestra, per rendersi conto che tipo di giornata lo avrebbe atteso.
‘Merda’, il suo unico pensiero.
Non sarebbe riuscito ad accendersi nemmeno una sigaretta, sotto quella pioggia battente.
Si vestì in fretta, non perse tempo nemmeno per radersi e infilò la porta.
Dieci minuti dopo era sulla banchina, lato destro della Senna, sotto al ponte la Tournelle.
Chiuse l’ombrello nero, che appoggiò alla parete e subito si accese una sigaretta, ringraziando il cielo che l’omicidio fosse avvenuto ‘al coperto’. Si mise a osservare la scena del delitto, aspettando che l’agente Rosser venisse a ragguagliarlo.
I primi intervenuti sul luogo avevano avuto l’accortezza di coprire il cadavere con un lenzuolo bianco.
Mentre il fotografo della scientifica scattava le foto, altri uomini delimitavano l’area col nastro giallo, per tenere lontani i curiosi che, alle prime luci dell’alba, già si affollavano sotto al ponte, per capire cosa fosse successo.
L’ispettore buttò il mozzicone a terra e lo calpestò col piede. Mentre stava per accendersi una seconda sigaretta, arrivò Rosser che lo invitò ad avvicinarsi al corpo, per esaminarlo.
“Quando cazzo ha ricominciato a piovere?”, chiese scocciato Luder.
“Poco prima delle cinque, capo”, gli rispose l’agente.
“Perfetto, giusto per rovinarmi la giornata. Cosa sappiamo?”, chiese dirigendosi verso il cadavere.
“Donna, venti, venticinque anni. È stata lasciata completamente nuda qui sotto al ponte. Una telefonata anonima in centrale alle 2.55 ci ha avvisato della presenza di un cadavere sul fiume. Ci abbiamo messo quasi due ore a trovare il punto esatto in cui fosse stato avvistato”, riassunse con fare professionale l’agente.
“Due ore?”, domandò stupito l’ispettore.
“Già, la persona al telefono ha detto solo: ‘c'è un cadavere sul fiume’, senza dare ulteriori ragguagli”, spiegò l’agente.
“Capisco. Come è morta?”
“Non lo sappiamo, ci vorrà l’autopsia per stabilire causa e ora del decesso e se ha subito violenza sessuale”, rispose schietto Rosser.
Giunto a fianco al cadavere, Luder si accovacciò. Prese un lembo del lenzuolo e lo scostò per poter osservare il corpo.
Notò subito il rosso dei capelli; i lineamenti del viso e l’inconfondibile rossetto fluo gli tolsero ogni dubbio.
“Cazzo, Nat…”, mormorò.
“Come? La conosceva, signore?”, chiese l’agente alle sue spalle.
L’ispettore si alzò in piedi sbuffando, dopo aver ricoperto il viso della ragazza col lenzuolo.
Si accese una sigaretta e, dopo aver inspirato a fondo, disse:
“Sì, cazzo. È una prostituta, una di quelle con pochi clienti fissi. Cazzo, chi l’ha ridotta così? Dove sono i suoi vestiti e i suoi effetti personali?”, domandò serio.
“Magari è stata una semplice rapina. Scommetto che la borsetta era piena di contanti”, ipotizzò Rosser.
“Non credo sia stata una rapina, perché un rapinatore dovrebbe perdere tempo a spogliarla e a far sparire gli abiti? Un ladro le avrebbe strappato la borsetta e sarebbe scappato di corsa, mica l’avrebbe inseguito coi tacchi a spillo. No, il movente rapina non regge. Aspettiamo il resoconto dell’autopsia e mandiamo i sommozzatori a scandagliare il fiume. Cerchiamo abiti e borsetta. Ci vediamo fra un’ora nel mio ufficio. Ok?”
“Agli ordini, capo”.
 
***
 
Esattamente un’ora dopo, Rosser bussò alla porta dell’ufficio del suo capo nell’esatto momento in cui Luder stava inspirando l’ultima boccata dell’ennesima sigaretta della mattina.
“Avanti”, disse secco.
L’ispettore spense la cicca nel posacenere, già stracolmo, sulla sua scrivania.
Guardò fuori dalla finestra e fece una smorfia notando che la pioggia stava dando del suo meglio per rendere la sua giornata ancora più terribile di quanto già non fosse.
“Si accomodi, Rosser. Ci sono novità?”, chiese volgendo di nuovo lo sguardo al collega.
“No, nessuna, al momento. Ma tornando in centrale ho riflettuto su una sua affermazione. Se come dice lei la ragazza aveva solo clienti abituali, magari la chiamavano sempre lo stesso giorno della settimana, alla stessa ora. Ci facciamo dare i tabulati telefonici?”, chiese l’agente.
Rosser era sveglio. A volte si percepiva nelle sue osservazioni una mancanza di esperienza, ma nella maggior parte dei casi aveva intuizioni per nulla banali. L’ispettore era convinto che il suo collega avrebbe fatto carriera, non appena lui fosse andato in pensione.
“Sì, certo. Si faccia dare i tabulati, è l’unica via che abbiamo”, disse l’ispettore.
Poi si alzò dalla sedia e andò a chiudere la porta del suo ufficio.
Tornò ad accomodarsi dietro la scrivania e guardò il collega fisso negli occhi.
“Tutto bene, capo?”
“Rosser, c’è una cosa che deve sapere. Nei tabulati telefonici del cellulare della vittima, troverà anche il mio numero. Conoscevo quella ragazza, da un anno, quasi. Chiamavo solo lei, nessun’altra. Ieri sera è venuta da me in hotel alle 23. Alle 23.40 se n’è andata. È scesa in strada e si è messa ad aspettare l’autobus delle 23.45. Quando è arrivato, l’ho vista salire e andare via. A quel punto sono andato a letto a dormire. Ho dormito fino a quando lei mi hai chiamato, alle 5.00. Ora. Ritiene che io sia nella posizione di poter continuare le indagini, o preferisce lavorare con qualcun altro su questo caso?”, gli domandò con estrema sincerità.
Rosser sospirò.
Rifletté per qualche istante e poi chiese:
“Qualcuno può confermare questi fatti? Il portiere dell’hotel, una cameriera?“
“No, nessuno. L’hotel è uno di quelli con il check-in automatico. Le cameriere arrivano solo al mattino, per allestire le colazioni a self-service e rifare le camere. Solo l’autista dell’autobus può confermare che lei abbia preso quel mezzo a quell’ora. Quella ragazza non passava di certo inosservata”.
L’uomo rispose con calma e cercando di ricordare più dettagli possibili.
“Chiederò la lista dei turnisti dell’autobus, per confermare. Sa, la procedura…”, aggiunse imbarazzato.
“Naturalmente”, lo rassicurò l’ispettore.
“Posso farle qualche altra domanda, capo?”, chiese prendendo un taccuino su cui prendere appunti.
Luder fece cenno positivo con la testa.
“Si ricorda com’era vestita?”
Luder gliela descrisse per filo e per segno, difficile dimenticare l’abbigliamento stravagante della giovane.
Rosser scrisse tutto con estrema precisione. Poi richiuse il taccuino e si mise a riflettere per qualche istante, guardando fuori dalla finestra.
“Capo, mi sembra di capire che il suo desiderio di trovare l’assassino sia forte quanto il mio. Ha reso una testimonianza su base volontaria di fatti antecedenti l‘omicidio. Io farò le opportune verifiche su quanto lei ha dichiarato, ma credo di aver bisogno della sua esperienza per proseguire nelle indagini.  Dobbiamo capire chi sono gli altri clienti, solo così troveremo chi ha ucciso questa giovane”, concluse Rosser.
 
***
 
Mentendo più a se stesso che al suo collega, Luder si presentò al funerale di Nat con l’intento di osservare i presenti. In vent’anni di carriera aveva capito due cose: la prima era che l’assassino, nel novanta percento dei casi, partecipa sfacciatamente ai funerali della sua vittima e la seconda era che, sempre nel novanta percento dei casi, il colpevole non era mai il primo sospettato.
La pioggia scrosciò incessantemente per tutta la durata del funerale. Difficile delineare i volti dei presenti, tutti nascosti da grandi ombrelloni neri.
Luder constatò meravigliato che, nonostante Nat fosse una prostituta, una che di fatto viveva ai margini della società, conoscesse molte persone che erano lì a darle l’ultimo saluto. L’ispettore intravide una donna di mezza età, stretta a una ragazza più giovane, dai capelli rossi. Le vide abbracciarsi, al momento della sepoltura e si rese conto che erano l’immagine della sofferenza.
Sotto tutta quella pioggia, l’ispettore Luder, vent’anni di carriera sulle spalle, non si rese nemmeno conto che le sue lacrime cadevano assieme alla pioggia.
Al termine della cerimonia, si avvicinò alle due donne, per scambiare qualche parola di circostanza.
“Lei era un suo cliente?”, chiese la ragazza dai capelli rossi.
“Sono l’ispettore che si occupa delle indagini, volevo porgervi le mie condoglianze e rassicurarvi sul fatto che il dipartimento di polizia farà di tutto per trovare l’assassino”, disse con voce mesta ma convinta.
A quel punto fu la donna di mezza età a parlare:
“Ispettore, Natalie era mia figlia. Trovi chi le ha fatto questo, la supplico”.
“Glielo prometto, signora. Le giuro che troverò il colpevole, stia tranquilla”, le disse sinceramente.
Fu quando le due donne si allontanarono che lo vide.
C’era un uomo, mezza età, elegante, con giacca, cravatta, impermeabile e cappello per proteggersi dalla pioggia.
Lo fissava da una decina di metri di distanza.
Aveva gli occhi azzurri come il ghiaccio più puro e lo sguardo duro.
Luder si sentì quasi giudicato o, per meglio dire, condannato da quello sguardo glaciale e si bloccò completamente. Vide scomparire l’uomo tra le lapidi del cimitero e non riuscì nemmeno a inseguirlo. 
“Capo, ha visto un fantasma?”
Fu la voce di Rosser a riportarlo alla realtà.
Chi era quell’uomo? Che relazione aveva con Nat?
Si decise a darsi una risposta, convinto che quell’individuo c’entrasse qualcosa con la morte della giovane.
“Torniamo in centrale, dovrebbe essere pronto il reperto dell’autopsia”, disse duramente, dirigendosi verso la propria auto.
 
***
 
“Natalie Buleur, 23 anni. Il decesso è avvenuto il giorno 4 giugno tra le 2.30 e le 2.45 per trauma cranico. Il corpo presenta diverse fratture scomposte compatibili con una caduta dalle scale. Nella ferita alla base del cranio, sono stati ritrovati residui di natura inorganica. Non ci sono altri segni di violenza. La vittima ha avuto rapporti sessuali prima della morte, ma nessuna violenza.
Niente sperma.
Niente DNA sotto le unghie, né su altre parti del corpo. Si allegano fotografie delle piccole tracce ematiche rinvenute alla base della scala nord del ponte della Nouvelle. Il DNA corrisponde a quello della vittima”.
Rosser lesse la cartellina inviata dal medico legale con calma e scandendo bene le parole.
Luder spense la ventesima sigaretta della giornata nel posacenere ed espirò l’ultima voluta di fumo voltandosi verso la finestra.
Rifletté per qualche istante e poi commentò:
“Quindi è morta sul colpo cadendo dalle scale. Ciò che non capisco è perché poi sia stata trascinata sotto al ponte e le siano stati portati via i vestiti. Questo non ha senso”
“Capo, con tutto il rispetto, ma questa non è l’unica cosa che non ha senso. La vittima era una prostituta. Anche se aveva pochi clienti fissi, com’è possibile che non ci sia un minimo di DNA dei clienti sul suo corpo? O sotto le unghie?”, chiese l’agente davvero perplesso.
“Pensa che il corpo sia stato ‘ripulito’ da eventuali tracce?”, ipotizzò a quel punto Luder.
“Non vedo altre spiegazioni, al momento”, concluse l’agente con fare rammaricato.
“Novità dai sommozzatori?”, chiese allora l’ispettore.
“Capo, la Senna è in piena e la squadra afferma che la visibilità è nulla, là sotto. La probabilità di ritrovare i beni personali di quella poverina sono pari a zero. In compenso però abbiamo i tabulati telefonici del cellulare della vittima. Possiamo convocare tutti i clienti”.
“Certo, iniziamo con quelli del venerdì sera”.
 
***
 
Non ci misero molto a trovare chi fossero i clienti che quella notte erano stati con Nat. Bastarono i tabulati telefonici, per farli confessare di conoscere la vittima.
Entrambi gli uomini dichiararono di essere stati con lei quella notte, di averla pagata in contanti e di averla vista andare via circa mezz’ora dopo il suo arrivo. Avevano testimoni, più di uno, in realtà.
Alla fine degli interrogatori rimaneva il mistero. Chi aveva ucciso quella povera donna? Chi era l’uomo dagli occhi di ghiaccio che al funerale aveva squadrato Luder con tanta severità da farlo sentire come un condannato al patibolo? Non era uno dei due uomini convocati in centrale, ma l’ispettore era convinto che ci fosse un nesso tra lui e la morte di Nat.
“Pensavo veramente fosse stato uno di loro due”, affermò Rosser sconsolato al termine della lunga giornata di interrogatori.
“Mi faccia vedere la lista delle chiamate”, esclamò a un tratto l’ispettore.
L’agente gliela porse e l’uomo si mise a scrutarla con estrema attenzione.
“Convochiamo questo qui. Lei lo ha chiamato alle 2.20, poco prima di morire, secondo l’autopsia”, disse mostrando al collega il numero di telefono interessato.
“Lo faccio chiamare subito a depor…”
Toctoc
Fu il bussare secco sulla porta dell’ufficio di Luder a interrompere l’iniziativa dei due.
“Avanti!”, esclamò l’ispettore.
“Capo, nella sala interrogatori ci sono due uomini che chiedono di lei. Dicono che hanno informazioni importanti per il caso Buleur”, li informò un agente affacciandosi appena nello spicchio tra porta e stipite.
“Grazie, arriviamo subito”, risposero alzandosi per andare a vedere se fossero giunti finalmente a una svolta.
Non appena aprì la porta della saletta interrogatori, a Luder si gelò il sangue nelle vene. Mai più avrebbe pensato che proprio lì, davanti a lui, ci fosse l’uomo che stava cercando dal giorno del funerale.
L’uomo con gli occhi di ghiaccio.
Ci furono trenta secondi di totale silenzio durante i quali i due si studiarono a vicenda. L’aria si stava facendo sempre più pesante, quindi Rosser decise di intervenire.
“Vi conoscete?”, chiese per cercare di inquadrare la situazione.
“Il signore era al funerale della signorina Buleur”, si affrettò a precisare l’ispettore, senza distogliere lo sguardo dall'uomo elegante che gli stava di fronte.
“Bene. Direi che possiamo metterci comodi e procedere con le presentazioni”, continuò l’agente con tono professionale.
I quattro uomini si sedettero al tavolo al centro della saletta.
“Dunque, a fianco a me c’è l’ispettore capo Luder e io sono l’agente Rosser. Entrambi ci occupiamo di questo caso. In che modo possiamo esservi utili?”, iniziò Rosser.
“Mi chiamo Floren Blanche. Il signore che mi ha accompagnato è Gilbert Billier ed è il mio avvocato, ma non è qui in veste di mio difensore, quanto di testimone oculare dell’omicidio sul quale state indagando. Entrambi lo siamo”, spiegò l'uomo con gli occhi di ghiaccio.
Rosser, che aveva già preso tre pagine di appunti, li guardò entrambi esterrefatto.
Il suo stato d’animo era un misto tra eccitazione e incredulità.
“Ci state dicendo che avete visto chi ha ucciso la signorina Natalie Buleur?”, chiese a quel punto Luder, altrettanto allibito.
“Sì, assolutamente”, confermò Blanche.
“Posso sapere perché non siete venuti prima a parlare con noi? Dopo il funerale, per esempio?”, domandò Luder più incuriosito che insospettito dallo strano ritardo della testimonianza.
“La notte dell’omicidio sono stato colto da un grave malore e sono stato portato d’urgenza all’ospedale. Potete accertarvene, senza problemi. Sono venuto qui appena mi è stato possibile”, spiegò l’avvocato.
“Capisco, verificheremo. Quindi sapreste dirci cosa è successo quella notte? Possiamo chiamare un disegnatore per un identikit, se siete in grado di fornirci una descrizione dell’assassino”, continuò Luder.
“No, non è necessario. Conosciamo chi è stato. Lo abbiamo visto chiaramente salire da sotto il ponte della Nouvelle con in mano un sacco di abiti, degli stivali lunghi e una borsetta e gettare tutto nel fiume. Siamo scesi sotto al ponte e abbiamo visto il corpo. A quel punto Gilbert si è sentito male e io ho chiamato prima l’ambulanza e poi la polizia, per  avvisare della presenza del cadavere sul fiume. Erano le 2.55”, raccontò con voce ferma e senza mai distogliere lo sguardo gelido dai suoi interlocutori.
“Conoscete l’assassino? Sapete dirci le sue generalità?”, chiese a quel punto Rosser.
“È l’ispettore Luder”, rispose sicuro l’avvocato.
L’accusato, incredulo, sgranò gli occhi.
“Come, prego?”, chiese l’agente inebetito.
“Sì, era lui l’uomo che abbiamo visto risalire da sotto il ponte della Nouvelle. Ero lì ad aspettare Natalie, come tutti i venerdì notte. Mi aveva chiamato, intorno alle 2.20, per dirmi che stava arrivando, ma poi non si è presentata all’appuntamento, alle 2.45. Al momento ho pensato che avesse cambiato idea riguardo a una proposta che le avevo fatto, ma quando ho visto il corpo, ho capito perché non era arrivata all’incontro…”, concluse mestamente.
“Quale proposta?”, chiese a quel punto l’ispettore, come se fosse la domanda più importante in quel momento.
“Le avevo chiesto se fosse interessata a conoscere il mio avvocato. Lui voleva offrirle un posto come assistente, per toglierla dalla strada e farle cambiare vita. Mi aveva risposto che, se Gilbert fosse stato disponibile, lo avrebbe incontrato volentieri quella stessa notte…”, concluse rassegnato.
Seguirono istanti di silenzio che parvero lunghi come ore.
Poi fu Luder a parlare per primo.
“Perdonatemi, signori, ma capite anche voi che quanto ci avete raccontato è assurdo? Io non ho ucciso la signorina Buleur. Perché avrei dovuto? E in che modo poi? All’ora del delitto dormivo tranquillo nel mio letto in hotel!”, si difese Luder ancora scioccato dalla testimonianza resa dai due.
“Ispettore, noi siamo sicuri di ciò che abbiamo visto. Era proprio lei. Potete fare delle verifiche per accertarvi se abbiamo detto la verità. Noi siamo venuti a deporre perché, come credo tutti quanti, vogliamo che sia fatta giustizia per quella povera ragazza. Rimaniamo a disposizione, se avete ulteriori domande”, disse Blanche alzandosi con il suo avvocato e indossando l’impermeabile per andarsene.
Fu solo un istante prima che i due infilassero la porta, che Luder li bloccò con un’ultima domanda:
“L’amava?”
Blanche nemmeno si voltò.
“Sì”, fu la sua unica risposta.
 
***
3 settimane dopo.
 
Quando Luder riaprì gli occhi, gli sembrò che un rullo compressore gli fosse passato sopra durante il sonno.
Fu quello del suo collega Rosser, il primo volto che vide.
“Buongiorno, capo. Come si sente oggi?”, gli chiese con un mezzo sorriso.
“Di merda. Mi sembra di non aver dormito affatto. Che ore sono?”, chiese l’ispettore con la voce impastata.
“Sono le dieci passate e in effetti le posso confermare che, a quanto mi hanno riferito, ha dormito molto poco questa notte”, confermò l’agente.
Luder alzò gli occhi al cielo.
“Cos’altro ho combinato questa volta?”, chiese scocciato.
“Spuntino di mezzanotte e giri per il parco. Stiamo ancora cercando di trovare la bicicletta che ha rubato all’infermiere di turno”, ironizzò il giovane collega.
“Ah-ah, davvero simpatico. Mi dica, piuttosto. Ha novità riguardo al caso Buleur?”, chiese Luder tornando serio.
“Purtroppo, come le ho già detto, è tutto confermato. La chiave elettronica della camera dell’hotel è scattata alle 3.05. La telecamera di sorveglianza di un bancomat non lontano dal ponte della Nouvelle l’ha inquadrata alle 2.15, cinque minuti dopo il passaggio di Natalie davanti allo stesso bancomat”, spiegò con calma. Poi, davanti all’apatia dell’ispettore si sentì in dovere di continuare:
“Capo, tutti i medici di questo ospedale hanno confermato che la sua forma di sonnambulismo è molto rara, ma non impossibile. Nei video si vede chiaramente che i suoi movimenti sono automatici. Ha gli occhi aperti, ma di fatto tutto ciò che vedeva o faceva, per lei era come un sogno. Anche Billier e Blanche hanno confermato che lei non fosse in sé, quella notte. Non si è nemmeno accorto della loro presenza sul ponte!”.
Luder lo ascoltò attentamente, guardando fuori dalla finestra della stanza d’ospedale in cui era ricoverato.
Dopo aver sentito la testimonianza dell’uomo dagli occhi di ghiaccio e del suo avvocato, aveva trascorso giorni sospeso tra incredulità e rabbia. Dopo tutti gli accertamenti che la polizia poteva fare, si era deciso a prendere atto della dura realtà: era un assassino.
Rosser gli era stato vicino. Gli aveva trovato un bravo avvocato, che a sua volta gli aveva procurato un ancor più bravo psicologo il quale, a sua volta, aveva pensato di coinvolgerlo in un programma di studio dell’ospedale universitario per accertare cause ed effetti della sua particolare patologia, se così si poteva definire. Lui aveva accettato, pensando che fosse l’unico modo per alleggerire il fardello che gli era piombato addosso dal giorno in cui aveva appreso di aver ucciso l’unica donna che avesse mai amato.
Dopo due settimane di terapia era chiaro a tutti che Luder, durante il sonno, compiva azioni che solo una irrisoria percentuale di persone sulla Terra riusciva a svolgere mentre dormiva.
Dal suo punto di vista, rimaneva il fatto che l’essere passato da onorato ispettore di polizia a cavia non era comunque una punizione sufficiente per ciò che aveva compiuto.
Non voleva che Nat morisse.
Non voleva sicuramente che morisse per causa sua.
Accertare che soffrisse di quella che i medici pomposamente chiamavano ‘Sindrome da sonnambulismo acuta’ non avrebbe mai risposto alla domanda che gli sarebbe girata per sempre nella testa: perché?
In quel momento si sentì in dovere di condividere questo suo pensiero con Rosser e disse:
“Sa cosa mi distrugge maggiormente?”
“Non sapere cosa è accaduto veramente?”, domandò l’agente, azzeccando in pieno la questione.
Di fatto ricostruire l’accaduto e cercare un movente era stata anche la sua missione, nelle ultime tre settimane.
“Già. Io amavo Nat. Non si poteva non amarla. Quella sera le ho chiesto se poteva rimanere a dormire da me. Mi aveva risposto che aveva altri clienti e che comunque i rapporti di coppia non facevano per lei. È andata via con un semplice: ci vediamo, capo”, fece un sospiro e poi riprese.
“Il mio incubo peggiore è sognare le mie mani che la spingono giù per quella scala e che trascinano il suo minuto corpo esanime fin sotto il ponte”, concluse sofferente.
“Non sappiamo se è andata così. Nessuno può dire se sia stata spinta, o sia stato un incidente. Non si può negare che l’abbia trascinata sotto il ponte, ma la caduta potrebbe essere stata accidentale…”
“Il mio incubo dice il contrario…”, commentò sottovoce.
“Capo, lei sapeva che Natalie voleva smettere? Che stava andando a parlare con Billier per cambiare vita?”, chiese a quel punto Rosser.
“No, non lo sapevo. Sapevo solo che l’ultimo cliente del venerdì sera lo incontrava al ponte. Me lo disse una volta, mentre parlavamo di gente che dava appuntamenti in posti impensati… Mai più avrei immaginato che il mio subconscio usasse questo ricordo per seguire Nat in piena notte, ucciderla e lasciarla lì, nuda, sotto un ponte. Perché? Dio mio, come ho potuto?”, si domandò  triste.
“Qualsiasi poliziotto in quella situazione avrebbe fatto sparire le prove. Andiamo! Piuttosto, mi dica sinceramente, avrebbe voluto che Nat fosse stata tutta per lei?”
La domanda piombò su Luder come un fulmine a cielo sereno.
Quindi era quello il movente?
La gelosia?
Non poteva più sopportare che la donna che amava andasse a letto con altri uomini e così il suo inconscio era riuscito a guidare il suo corpo in un’impresa dai risvolti così terribili?
“Sì”, rispose soltanto, mentre lacrime amarissime gli solcavano il volto.
 
***
 
Luder affrontò dignitosamente il processo.
Durante la sua deposizione era arrivato addirittura a chiedere perdono pubblicamente alla famiglia della giovane prostituta.
Alla sentenza, Luder fu l’unico a meravigliarsi della sua completa assoluzione.
Né la famiglia di Nat, né l’opinione pubblica, né i suoi colleghi di lavoro si sentirono di condannarlo ulteriormente. Avrebbe dovuto convivere per tutta la sua esistenza con il peso della colpa sulle spalle.
Fu riammesso al lavoro a condizione che proseguisse nel percorso di cure che i medici gli avevano prescritto.
Cinque anni dopo, in una notte di pioggia incessante, Luder uscì di casa, salì sul ponte della Nouvelle e si gettò nel fiume in piena.
Nessuno seppe mai se lo fece di proposito o del tutto inconsciamente.
 
Fine
 
 
NCA: Per scrivere questa storia ho letto diversi articoli di fatti realmente avvenuti. Tizi che da sonnambuli guidano per km, gente che cucina per tutta la notte, gente che sale su torri altissime cantando l’opera…
E poi ci sono loro, gli assassini sonnambuli. La storia ne conta una decina.
Due di questi mi hanno colpito: un tizio una sera entrò nel bordello dove lavorava una prostituta di cui lui si era innamorato e la uccise sotto gli occhi di tutti. Non fu mai condannato perché fu impossibile dimostrare che al momento dell’omicidio, l’uomo, non stesse dormendo.
Il secondo avvenimento è la storia di un ispettore di polizia che doveva indagare sull’omicidio di un criminale. Scoprì, con assoluta certezza, che l’assassino era lui stesso. Anche lui non venne mai condannato, vista la patologia di cui soffriva: sonnambulismo.
   
 
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